Giovanni racconta di Gesù che conclude la sua ultima cena con una
preghiera solenne. Egli, incamminandosi liberamente verso la passione e la
morte, chiede al Padre, quale vero sacerdote, ciò che più desidera per i suoi
fratelli: “Padre santo, quelli che mi hai dato custodiscili nel tuo nome, affinché
siano una cosa sola, come noi. Consacrali nella verità”.
In queste due espressioni viene riassunta l’opera del Figlio di Dio a
favore dell’umanità, quell’opera sulla quale poggia la speranza di quanti sanno
che la loro vita è nelle mani di Dio. Noi, che abbiamo creduto in Cristo,
crediamo anche che siamo “custoditi nel nome del Padre” e siamo “consacrati
nella verità”.
Il nome di Dio è presentato qui come il luogo in cui veniamo accolti e
difesi, come la dimora sicura nella quale entrare per ripararsi e trovare riposo.
Il nome, secondo la tradizione biblica, richiama l’identità stessa di colui che lo
porta. Ma il Signore Dio – come afferma chiaramente la Scrittura – non ha un
nome che lo possa definire. E così quando Mosè chiederà a Dio di farglielo
conoscere, non riceverà la risposta che si aspetta. Eppure Gesù, all’inizio della
sua preghiera, dichiara: “Padre, ho fatto conoscere il tuo nome agli uomini che
mi hai dato”. Ma “come” e “quando” Gesù ha rivelato il nome del Padre suo? E
“quale” è mai questo nome che il Padre possiede?
Ora dall’insieme del quarto vangelo comprendiamo che