Nessuna svolta nei negoziati sul clima

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S_Daniele
00giovedì 17 dicembre 2009 06:35
 

Nessuna svolta nei negoziati sul clima




Appello di Ban Ki-moon a impedire il fallimento della Conferenza mentre manca ancora una bozza d'accordo

Copenaghen, 16. Mancano meno di tre giorni alla conclusione della Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici, entrata nella sua fase decisiva, e manca ancora una bozza di testo finale. Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, arrivato a Copenaghen, ha fatto un appello a tutte le parti perché abbandonino le tattiche dilatorie e impediscano il fallimento del vertice, ma le prospettive di successo restano difficili. In particolare, è più che improbabile il varo già a Copenaghen di un nuovo trattato internazionale che subentri al Protocollo di Kyoto, in scadenza nel 2012 e che oggi il ministro indiano dell'Ambiente, Jairam Ramesh, ha definito "in terapia intensiva, se non morto".
Fino a venerdì 18 si susseguiranno gli interventi dei capi delegazione dei 192 Paesi partecipanti, compresi un centinaio di capi di Stato e di Governo. La presidenza della Conferenza è stata assunta questa mattina dal primo ministro danese Lars Løkke Rasmussen, subentrato al ministro dell'Ambiente, Connie Hedegaard, dimessasi dopo l'ultima sessione di lavori, incominciata ieri sera alle 22 e più volte sospesa durante la notte, senza arrivare a un'ipotesi di accordo sui punti cruciali del confronto:  la riduzione delle emissioni dei gas responsabili del cosiddetto effetto serra e i finanziamenti ai Paesi poveri per consentire la riconversione delle loro economie.
Le delegazioni hanno come base di lavoro due documenti messi a punto dalla presidenza danese. In quello sul finanziamento dei Paesi ricchi ai poveri non appaiono cifre. L'altro, con le percentuali da negoziare sulle emissioni globali di anidride carbonica fino al 2080, non fissa limiti vincolanti. Sembra dunque difficile arrivare entro venerdì a un testo condiviso che superi sia le divergenze tra Paesi in via di sviluppo e Paesi industrializzati, sia lo scontro tra questi e i Paesi emergenti.
Al momento, tale scontro permane evidente. Ne offre un esempio la reazione della Cina alla proposta di Francia e Germania che l'Unione europea imponga, in caso di fallimento dei negoziati, una tassa sui prodotti importati dai Paesi che sono ritenuti troppo morbidi verso le emissioni inquinanti. Il portavoce del ministero cinese del Commercio, Yao Jian, ha detto che istituire una simile imposta significherebbe penalizzare il commercio e "ignorare il fatto che i Paese sviluppati e quelli in via di sviluppo sono in fasi diverse e devono assumere responsabilità differenziate".
La Cina, come altri Paesi emergenti, sostiene che non deve esserci un trattato vincolante, ma programmi unilaterali di efficienza energetica e di miglioramento ambientale. La Cina chiede che i Paesi industrializzati, a cui attribuisce responsabilità storiche nel surriscaldamento del pianeta, riducano le emissioni del 40 per cento e assicurino aiuti finanziari e tecnologici ai Paesi poveri. Da parte sua, il Governo cinese si è recentemente impegnato a ridurre del 40-45 per cento entro il 2020 (rispetto al 2005), la cosiddetta intensità carbonica, le emissioni di anidride carbonica calcolate sulla base del prodotto interno lordo.
Su impegni vincolanti insiste invece l'Unione europea. Il primo ministro svedese e presidente di turno dell'Unione, Frederik Reinfeldt, intervenendo davanti al Parlamento europeo prima di recarsi a Copenaghen, ha detto di dubitare della possibilità di un accordo che consenta di contenere l'aumento del riscaldamento globale in due gradi centigradi rispetto all'epoca preindustriale. Reinfeldt ha sottolineato che l'Unione europea ha già fatto la sua parte, impegnandosi a ridurre i gas serra del 20 per cento entro il 2020 in rapporto al 1990 e che è pronta a passare al 30 per cento se gli altri Paesi industrializzati metteranno sul tavolo offerte analoghe e i Paesi emergenti e in via sviluppo daranno il loro contributo.
Nel frattempo, anche oggi a Copenaghen ci sono stati scontri tra manifestanti e polizia.


(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)


Come volevasi dimostrare, l'ennesima presa per i fondelli.
S_Daniele
00giovedì 17 dicembre 2009 06:55
I mutamenti climatici tra le cause della mobilità

Migrazioni e globalità


di Pierluigi Natalia

In un mondo sempre più globalizzato, in cui tutto è destinato a tenersi o a confliggere, la questione migratoria assume un rilievo straordinario. Oggi 214 milioni di persone risultano emigrate all'estero e 700 milioni all'interno del loro Paese, per un totale che sfiora il miliardo, secondo quanto ha reso noto la settimana scorsa l'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Numeri simili non consentono di dare alla questione risposte parziali, né tantomeno incentrate su un unico aspetto.
In questi giorni se ne è discusso e se ne sta discutendo in diversi consessi internazionali, dall'Onu alla Conferenza di Copenaghen sul clima, dal Consiglio europeo al Forum arabo-africano su democrazia e diritti umani. Significativa, in particolare, è la dichiarazione finale di tale forum, tenuto la settimana scorsa al Cairo per iniziativa dell'Unesco, l'organizzazione delle Nazioni Unite per la cultura, la scienza e l'educazione, e del Consiglio egiziano dei diritti umani.
Punto centrale della dichiarazione è l'impegno a un dialogo permanente tra Paesi arabi e africani, tanto mediterranei quanto subsahariani, per una gestione dei flussi migratori concertata e rispettosa dei diritti umani. I partecipanti hanno cioè riconosciuto essenziale porre fine alla criminalizzazione dei migranti e, soprattutto, ratificare e applicare le convenzioni internazionali, un campo nel quale risultano in ritardo molti Paesi.
Aprendo il forum, Irina Bokova, direttore dell'Unesco, si è detta convinta che in un mondo ormai strettamente interdipendente "occorre preparare una nuova strada della migrazione in maniera pragmatica, riconoscendo nelle differenze un elemento di vantaggio". Pierre Sané, vicedirettore del dipartimento Scienze e Affari sociali dell'Unesco, ha sollecitato garanzie che i più vulnerabili vengano trattati con dignità:  "Dobbiamo dare esempio all'Occidente - ha detto -. Assicurando un miglior trattamento ai nostri migranti avremmo legittimità quando ci rivolgeremo all'Europa in materia di immigrazione".
Su questa linea il forum ha concordato. Diversi rappresentanti politici e della società civile dei Paesi dell'Africa subsahariana, dell'Africa settentrionale e del mondo arabo non si sono limitati a denunciare l'illegittimità di politiche discriminatorie adottate da Paesi del nord del mondo, ma hanno soprattutto riconosciuto la necessità di porre fine alle pratiche repressive di alcuni Stati, in particolare nordafricani, che trattengono migliaia di migranti subsahariani in condizioni spesso inumane.
Meno risalto internazionale si sta dando, invece, alle ricadute che inevitabilmente avrà sulle migrazioni il tipo di accordo che verrà raggiunto a Copenaghen. Le migrazioni determinate dai mutamenti climatici, infatti, non sono solo un rischio, ma una realtà già evidente. Secondo uno studio diffuso sempre dall'Oim, il surriscaldamento globale spinge milioni di persone a cercare condizioni di vita meno difficili lontano dai loro luoghi d'origine, talora oltre i confini dei propri Paesi, ma più spesso al loro interno. Proprio il cambiamento climatico, cioè, negli ultimi anni si è aggiunto alle cause tradizionali delle migrazioni interne, con le conseguenti urbanizzazioni massicce e spesso incontrollate.
Il rapporto non fornisce stime sul numero dei migranti di questo tipo, ma si limita a evidenziare le grandi differenze fra le previsioni, che per il 2050 oscillano fra i 25 milioni e il miliardo. Numeri tanti diversi, sostengono i ricercatori dell'Oim, confermano che lo studio di questo fenomeno è solo agli inizi. Tuttavia, molti Governi nel sud del mondo già riconoscono la mobilità interna come conseguenza dei mutamenti del clima. Nel Mali, per esempio, gli spostamenti di popolazione dalle regioni sahariane settentrionali verso il sud o verso i Paesi costieri dell'Africa occidentale sono considerate una spontanea strategia di adattamento. Nel documento dell'Oim si evidenzia altresì che i mutamenti climatici mettono a rischio la disponibilità di alimenti in molte regioni del sud del mondo, dall'Afghanistan al Bangladesh, dall'America centrale all'Africa occidentale.
Più in generale, il responsabile dell'Oim, William Lacy Swing, in un incontro con la stampa internazionale, ha messo in guardia dagli stereotipi e dalla criminalizzazione dei migranti e ha esortato a guardare anche al loro contributo positivo e al ruolo importante che svolgono per lo sviluppo tanto dei Paesi dove vivono quanto di quelli di provenienza, anche sotto l'aspetto economico, con il loro lavoro e con le loro rimesse di valuta pregiata. Secondo Lacy Swing, una politica dei visti troppo restrittiva rischia in primo luogo di spingere più persone nelle mani dei trafficanti:  "La mia più grande preoccupazione - ha detto - è che ci si concentri solo sui respingimenti".


(©L'Osservatore Romano - 17 dicembre 2009)
Cattolico_Romano
00venerdì 18 dicembre 2009 06:10
 

Non si profila ancora un'intesa

A Copenaghen solo dichiarazioni d'intenti


Copenaghen, 17. La Conferenza di Copenaghen sui cambiamenti climatici al momento sembra destinata a concludersi, domani, solo con dichiarazioni d'intenti e senza un chiaro accordo vincolante sulle misure di riduzione delle emissioni di gas nocivi responsabili del riscaldamento globale. Una svolta potrebbe però esserci in queste ore in cui sono arrivati o stanno arrivando a Copenaghen centoventi capi di Stato o di Governo per dire l'ultima parola su un negoziato che dura da oltre due anni e che i dieci giorni di lavori della Conferenza non hanno sbloccato. "Nelle prossime 36 ore arriveremo alla più impressionate decisione che si sia mai vista al mondo", ha  detto oggi il premier Lars Løkke Rasmussen, che ieri ha assunto la presidenza della Conferenza.
Il premier britannico Gordon Brown, aprendo questa mattina la serie degli interventi, ha ricordato che le future generazioni potranno "provare gratitudine o vergogna" per le scelte che si è chiamati oggi a fare per fermare il riscaldamento che minaccia l'esistenza stessa del pianeta. Di fronte a tale pericolo "non ci sono interessi nazionali" a cui ancorarsi, ha detto Brown, secondo il quale, "quanto possiamo fare insieme è molto di più di quanto ciascuno di noi potrà mai fare da solo". Il cancelliere tedesco Angela Merkel, prima di partire per Copenaghen, ha parlato però di notizie non buone. Il punto cruciale restano la posizione degli Stati Uniti e quella dei Paesi emergenti, a partire dalla Cina. "Devo dire con tutta onestà - ha dichiarato Merkel - che la promessa degli Stati Uniti di tagliare le emissioni di anidride carbonica del 4 per cento rispetto ai livelli del 1990 non è ambiziosa".
A giudizio di alcuni osservatori, comunque, le cose potrebbero mutare in queste ore e gli Stati Uniti mostrerebbero una reale volontà di non far fallire il vertice, se non altro con il rilievo politico della loro presenza. A Copenaghen è arrivata Hillary Clinton, precedendo di ventiquattro ore il presidente Barack Obama. Secondo il segretario esecutivo della Convenzione Onu sui cambiamenti climatici, l'olandese Yvo De Boer, gli Stati Uniti hanno comunicato di essere pronti ad accettare un trattato legalmente vincolante. Clinton ha anche annunciato che Washington farà la sua parte per il fondo di finanziamento dei Paesi in via di sviluppo, stimato in cento miliardi di dollari l'anno entro il 2020. Clinton ha però accusato alcuni Paesi emergenti, con esplicito riferimento alla Cina, di marcia indietro sugli impegni presi e di voler impedire le verifiche delle emissioni di gas nocivi sul proprio territorio, ammonendo che se non c'è trasparenza non può esserci accordo.
In precedenza, la presidenza danese aveva rinunciato a presentare una nuova bozza d'accordo alla quale si è opposta la Cina. In attesa del primo ministro Wen Jiabao, atteso oggi a Copenaghen, la posizione cinese è stata ribadita dal capo negoziatore Su Wei, secondo il quale "questo è un processo a guida multipla", la Cina vuole un testo raggiunto con "l'ampia partecipazione di tutte le parti contraenti" e la circolazione della bozza danese senza consultazioni preliminari "metterebbe in pericolo un successo". In dichiarazioni all'agenzia di stampa ufficiale cinese Xinhua, Su Wei ha definito come uniche legittime basi di discussione "i risultati ottenuti nei due principali gruppi di lavoro", riferendosi alle due bozze presentate l'11 dicembre sui seguiti da dare al Protocollo di Kyoto. A questo, come noto, non aderiscono né gli Stati Uniti, né la stessa Cina.


(©L'Osservatore Romano - 18 dicembre 2009)
S_Daniele
00sabato 19 dicembre 2009 06:52
Santa Sede: difendendo l'ambiente, l'umanità salvaguarda se stessa
Il rappresentante vaticano all'ONU interviene alla Conferenza di Copenhagen

di Roberta Sciamplicotti

ROMA, venerdì, 18 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Tra l'umanità e l'ambiente esiste uno stretto rapporto di interconnessione; per questo motivo, tutelare la natura e il creato in generale è il modo migliore per salvaguardare anche la razza umana.

E' il messaggio centrale lanciato questo giovedì a Copenhagen dall'Arcivescovo Celestino Migliore, Nunzio Apostolico e Osservatore Permanente della Santa Sede presso le Nazioni Unite, intervenuto davanti alla plenaria del Segmento di Alto Livello della Conferenza ONU sui Cambiamenti Climatici, in svolgimento in queste settimane nella capitale danese.

Secondo il presule, la Conferenza “ribadisce quanto tempo ci voglia per creare la chiara e ferma volontà politica necessaria ad adottare misure vincolanti comuni e budget adeguati in vista di una mitigazione e un adattamento efficaci agli attuali cambiamenti climatici”.

A suo avviso, bisognerebbe notare come “le molte considerazioni che si sviluppano durante questo processo convergono su un aspetto centrale: la necessità di una riflessione nuova e più profonda sul significato dell'economia e sui suoi obiettivi, e di una revisione approfondita e lungimirante del modello di sviluppo, per correggere il malfunzionamento e le distorsioni”.

A richiederlo, ha sottolineato, sono “la buona salute ecologica del pianeta” e soprattutto la necesità di “una risposta urgente alla crisi culturale e morale dell'uomo, i cui sintomi sono da tempo ben evidenti in tutto il mondo”.

Monsignor Migliore ha infatti segnalato che il pianeta ha bisogno di “un profondo rinnovamento culturale e di una riscoperta dei valori fondamentali su cui costruire un futuro migliore”.

Per raggiungere questo obiettivo, servono “realismo, fiducia e speranza”, che permetteranno di “assumere le nuove responsabilità” per compiere un vero e benefico cambiamento.

“Le crisi morali che l'umanità sta sperimentando, siano esse di natura economica, alimentare, ambientale o sociale – tutte profondamente collegate –, ci costringono a ridisegnare la nostra strada, a stabilire nuove linee guida e a trovare nuove forme di impegno”, rappresentando “l'occasione per il discernimento e un nuovo tipo di pensiero”.

Questo dovere, ha proseguito l'Osservatore Permanente, richiede di “raccogliere analisi scientifiche dettagliate e accurate per aiutare ad evitare le ansie e le paure di molti e il cinismo e l'indifferenza di altri”.

Allo stesso modo, “richiede il coinvolgimento responsabile di tutti i segmenti della società umana per cercare e scoprire una risposta adeguata alla realtà tangibile dei cambiamenti climatici”

L'impegno della società

Monsignor Migliore ha quindi ricordato che la società civile e le autorità locali “non hanno aspettato le conclusioni politiche e legalmente vincolanti dei nostri incontri, che hanno richiesto così tanto tempo”.

“Individui, gruppi, autorità e comunità locali hanno già avviato un'impressionante serie di iniziative per dare forma a due pietre miliari della risposta ai cambiamenti climatici: l'adattamento e la mitigazione”.

“Le soluzioni tecniche sono necessarie, ma non sufficienti”, ha dichiarato. “I programmi più saggi ed efficaci si concentrano sull'informazione, sull'istruzione e la formazione del senso di responsabilità nei bambini e negli adulti nei confronti di modelli di sviluppo e di salvaguardia del creato giusti a livello ambientale”.

Queste iniziative, ha osservato, “hanno già iniziato a costruire un mosaico di esperienze e traguardi segnati da un'ampia conversione ecologica. Questi nuovi atteggiamenti e comportamenti hanno il potenziale di creare la necessaria solidarietà intra- e intergenerazionale e fugare ogni sterile senso di paura, terrore apocalittico, controllo dispotico e ostilità verso l'umanità che si moltiplicano nei resoconti dei media”.

Mobilitazione della Santa Sede

Monsignor Migliore ha ricordato che anche la Santa Sede “sta compiendo sforzi significativi per assumere un ruolo guida nella difesa ambientale, promuovendo e implementando progetti di diversificazione energetica che mirano allo sviluppo delle energie rinnovabili, con l'obiettivo di ridurre le emissioni di Co2 e il consumo di combustibili fossili”.

Accanto a questo, “sta dando sostanza alla necessità di diffondere un'educazione alla responsabilità ambientale, che cerca anche di salvaguardare le condizioni morali per un'autentica ecologia umana”.

Questi sforzi, ha ricordato, “riguardano lo stile di vita, visto che i modelli di consumo e produzione attualmente dominanti sono spesso non sostenibili dal punto di vista dell'analisi ambientale, economica e perfino morale”.

“Dobbiamo salvaguardare la creazione – terra, acqua e aria – come dono affidato a chiunque, ma dobbiamo anche e soprattutto evitare che l'umanità distrugga se stessa”, ha sottolineato.

“Il degrado della natura è direttamente collegato alla cultura che modella la coesistenza umana: dove l'ecologia umana è rispettata nella società, l'ecologia ambientale ne trarrà beneficio”.

“Il modo in cui l'umanità tratta l'ambiente influenza quello in cui tratta se stessa”, ha concluso.

S_Daniele
00domenica 20 dicembre 2009 09:21
  Una chiave di lettura per il summit sul clima

Dal Papa un messaggio a Copenaghen


di Franco Prodi

Una chiave di lettura per Copenaghen. Il messaggio di Benedetto XVI per la Giornata mondiale della pace 2010 è uscito quest'anno in singolare coincidenza con la Conferenza sui cambiamenti climatici conclusasi oggi nella capitale danese. Ed è un testo che si fa apprezzare per la comunicativa immediata, per la fusione di etica e concretezza economica, per la disinvoltura con la quale si spinge fino a suggerimenti economici e pratici, soprattutto per l'insistenza sulla centralità dell'uomo nel creato che ne costituisce il filo conduttore. Autorevoli commentatori si sono già cimentati sul messaggio papale contestualmente alla pubblicazione. Ma è utile provare a rileggerlo ora alla luce dell'esito finale del summit di Copenaghen.
È percepibile, anzitutto, il forte contrasto fra il pacato dipanarsi del testo pontificio e la concitazione delle immagini della immensa sala con i grandi della terra che faticosamente cercano di produrre un documento condiviso. Una fatica che traspare dalla bozza del testo finale, nell'imbarazzo di dovere ricorrere all'ennesimo rinvio degli impegni di riduzione delle emissioni, con il tentativo dei Paesi ricchi di compensare con trasferimenti finanziari ai Paesi più poveri il debito contratto con l'uso trasbordante delle risorse energetiche.
C'è poi un impegno quasi rodomontesco di "tenere sotto i due gradi il riscaldamento globale", come se l'obiettivo fosse alla portata grazie alla deterministica relazione di causa ed effetto tra sforzi da compiere e risultati attesi. Nessuno, al contrario, è stato sfiorato dal dubbio che si tratti di un obiettivo raggiungibile senza sforzo attraverso il naturale evolversi di un sistema così complesso e lontano dall'essere pienamente conosciuto.
Per fortuna il messaggio del Papa viene a dire che "la crisi ecologica non può essere valutata separatamente dalle questioni a essa collegate, essendo fortemente connessa al concetto stesso di sviluppo e alla visione dell'uomo e delle sue relazioni con i suoi simili e con il creato". Chiede di operare nientemeno che "una revisione profonda e lungimirante del modello di sviluppo". Parla inoltre di distorsioni dell'economia e dei suoi fini, di disfunzioni da correggere.
Ma la visione certamente originale del messaggio è che la noncuranza dell'uomo verso il creato, il saccheggio dei beni naturali, si ritorce contro lui stesso. Viene stabilito un nesso causale fra la tendenza auto distruttiva dell'uomo moderno e la sua crisi culturale e morale, che si esprime nella noncuranza verso il creato. Il Pontefice arriva a responsabilizzare i Governi per questa crisi dilagante, perché non forniscono "progetti politici lungimiranti".
La barriera dell'utopia viene addirittura scavalcata quando il messaggio addita l'enorme responsabilità delle decisioni economiche, con le loro conseguenze di carattere morale. L'attività economica deve rispettare l'ambiente dimostrando di considerare i costi di questo rispetto. Ne scaturisce un invito alla lotta al degrado e alla promozione dello sviluppo integrale come corollario a una dimensione più ampia della solidarietà internazionale vista come condizione culturale prima che come relazione unilaterale di stampo filantropico.
Da meditare poi, da parte di quanti operano nella ricerca e nell'innovazione ambientali, l'invito a vedere nella lotta al degrado e nella formazione dello sviluppo umano integrale anche delle opportunità scientifiche. Per essi c'è anche la gradita sorpresa di esplicite indicazioni per lo sviluppo del solare, la gestione dell'acqua e delle foreste, l'uso di tecniche agricole rispettose dell'ambiente, la gestione dei rifiuti.
In questa visione verrebbe quasi a cadere il concetto stesso di povertà, superato da una solidarietà a dimensione mondiale. L'imperativo della custodia del creato viene a migliorare l'interiorità dell'uomo ed è fattore di felicità. Esso conduce naturalmente alla pace perché aiuta a risolvere le sottocrisi nelle quali si manifesta la supercrisi ecologica. Il metodo della "sobrietà e solidarietà" vince lo sfruttamento indiscriminato che limita la disponibilità futura delle risorse. La connessione fra morale ed economia spinge il Papa a raccomandare norme giuridiche definite anche di compatibilità fra proprietà privata e destinazione universale dei beni.
Dalla raccomandazione di stili di vita che privilegino beni immateriali (il vero, il bello, il buono) segue la promessa di reciprocità:  "Nel prenderci cura del creato, noi constatiamo - assicura Benedetto XVI - che Dio, tramite il creato, si prende cura di noi".
Ecco quindi la strada che il messaggio del Papa indica ai partecipanti al Summit di Copenaghen:  la necessità di frenare il degrado ambientale deve essere basata sulla convergenza di intenti più che sulla controversa contabilità delle emissioni. Un cammino ancora molto lungo, ma che può contare sulla guida del messaggio cristiano e del suo umanesimo.
In Italia, intanto, l'esperto mostra in televisione il contenuto dello stomaco dei capodogli spiaggiati in questi giorni sul Gargano:  sacchetti di plastica, reti da pesca, oggetti fra i più disparati. Il grande animale perde l'orientamento e soffoca per i prodotti dell'uomo. Un'immagine emblematica che scuote dall'indifferenza per il creato e chiama a stili di vita diversi e a una nuova concezione di sviluppo.


(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2009)
S_Daniele
00domenica 20 dicembre 2009 09:22

A Copenaghen un'intesa senza accordo


Copenaghen, 19. E alla fine un'intesa c'è stata al vertice di Copenaghen sul clima. Ma è un'intesa sul "prendere nota", non certo un accordo politico di alto livello, né tantomeno un trattato legalmente vincolante. Il mondo si aspettava un accordo globale e storico contro la crisi climatica, ma così non è stato.
Infatti, al termine dell'ultima sessione plenaria, slittata a questa mattina dopo un'ennesima maratona notturna, la Conferenza ha "preso nota" di quanto concordato ieri sera tra Stati Uniti, Unione europea e i principali Paesi emergenti, Cina, India, Brasile e Sud Africa. La formula ha consentito di uscire dall'empasse e di rendere operativa tale intesa, senza aver bisogno dell'approvazione formale delle delegazioni di tutti i Paesi. Molte di queste - soprattutto del Sud del mondo, l'area più minacciata dai cambiamenti climatici - hanno lasciato Copenaghen indignate dalla scarsità dei risultati.
Il documento di Copenaghen non fissa cifre, tempi e controlli sulla riduzione delle emissioni di gas nocivi, prendendo semplicemente atto della loro necessità e dichiarando l'impegno a far sì che siano "misurate, riportate e verificate". Vengono invece stanziati trenta miliardi di dollari dal 2010 al 2012 e altri settanta fino al 2020, destinati principalmente ai Paesi più vulnerabili per sostenerli a contenere l'impatto dei cambiamenti climatici.
La formula del "prendere nota" è stata adottata dopo che per tutta la notte si erano susseguiti interventi fortemente contrari all'accordo raggiunto tra i Paesi più potenti. Il primo a esprimersi in questo senso è stato Apisai Ielemia, il primo ministro del piccolo arcipelago di Tuvalu, nel Pacico, che minaccia di scomparire per l'innalzamento del livello del mare. Apisai Ielemia ha detto che il futuro del suo popolo non è in vendita. Un applauso spontaneo e scrosciante ha sottolineato il suo intervento, che ha aperto la serie di quelli dei Paesi decisi a rifiutare le decisioni prese dai grandi Stati. Durissimi sono stati, in particolare, gli interventi di diversi Paesi dell'America Latina, come Venezuela, Bolivia, Cuba e Nicaragua.
Di grande delusione per il risultato parla una risoluzione adottata questa mattina dal Parlamento europeo. Nella risoluzione si afferma che quanto è avvenuto a Copenaghen dimostra la necessità di "riformare il metodo di lavoro dell'Onu con urgenza".
A giudizio concorde degli osservatori, a prevalere è stato alla fine il rifiuto della Cina di fissare per tutti i Paesi il target minimo di emissioni globali nel 2050 al 50 per cento rispetto al 1990. L'Unione europea alla fine ha accettato, sia pure in modo certo non convinto. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy ha espresso delusione per il mancato riferimento al taglio delle emissioni globali e ha annunciato una nuova Conferenza da tenere a Bonn entro sei mesi.
Sulla stessa linea si è espresso il Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, il quale ha ammesso che l'esito è ben lontano da quello sperato, ma ha parlato dell'accordo di Copenaghen come di "una prima tappa essenziale" e ha assicurato che "lavoreremo duro per renderlo legalmente vincolante nel 2010".


(©L'Osservatore Romano - 20 dicembre 2009)
iyvan
00domenica 20 dicembre 2009 13:18
L'incoscienza umana non ha limiti.
Al primo posto troneggiano gli interessi di parte, e l'uomo sembra essere molto bravo ad auto-distruggersi nel perseguirli.
Questo stanco pianeta si sta risvegliando e in qualche modo cercherà di porre rimedio ciò che la dissennatezza degli uomini continua incurantemente e pervicacemente a disequilibrare.
E' una legge naturale che non si può impunemente stravolgere senza pensare che, prima o poi, non si palesino effetti che potrebbero rivelarsi molto pesanti e traumatici.
Siamo responsabili di ciò che troveranno i nostri figli, ma l'uomo preferisce perseguire i suoi fini egoistici e così chiude occhi ed orecchi su una realtà che, molto presto, potrebbe essere tragicamente irreversibile. 
Homo Sapiens? Sì, molto sapiente sul come distruggere e, forse .... non dovremo neppure attendere delle generazioni.
Gli effetti potrebbero diventare esponenziali una volta che l'equilibrio si sia spezzato.

S_Daniele
00lunedì 21 dicembre 2009 06:38
Re:
iyvan, 20/12/2009 13.18:

L'incoscienza umana non ha limiti.
Al primo posto troneggiano gli interessi di parte, e l'uomo sembra essere molto bravo ad auto-distruggersi nel perseguirli.
Questo stanco pianeta si sta risvegliando e in qualche modo cercherà di porre rimedio ciò che la dissennatezza degli uomini continua incurantemente e pervicacemente a disequilibrare.
E' una legge naturale che non si può impunemente stravolgere senza pensare che, prima o poi, non si palesino effetti che potrebbero rivelarsi molto pesanti e traumatici.
Siamo responsabili di ciò che troveranno i nostri figli, ma l'uomo preferisce perseguire i suoi fini egoistici e così chiude occhi ed orecchi su una realtà che, molto presto, potrebbe essere tragicamente irreversibile. 
Homo Sapiens? Sì, molto sapiente sul come distruggere e, forse .... non dovremo neppure attendere delle generazioni.
Gli effetti potrebbero diventare esponenziali una volta che l'equilibrio si sia spezzato.





Condivido totalmente il tuo pensiero.
S_Daniele
00lunedì 21 dicembre 2009 06:38
Caritas e CISDE: a Copenhagen un "accordo vergognoso"
ROMA, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).-
 
Caritas Internationalis e il Gruppo Cattolico Internazionale per lo Sviluppo e la Solidarietà (CISDE), che costituiscono la più grande alleanza di agenzie di sostegno e sviluppo, hanno definito quello proposto a Copenhagen (Danimarca) durante il vertice ONU sui cambiamenti climatici "un accordo debole e moralmente riprovevole che rappresenterà un disastro per le popolazioni più povere del mondo".

Lo ricorda un comunicato Caritas che sottolinea come gli abitanti dei Paesi in via di sviluppo stiano già lottando con gli effetti dei cambiamenti climatici.

"L'accordo proposto a Copenhagen non prevede gli impegni che la scienza ritiene necessari. Milioni di persone stanno lottando per tenere la testa fuori dall'acqua mentre i leader politici temporeggiano", ha detto Niamh Garvey, del membro CISDE Trocaire/Caritas Irlanda del Bella Center.

La proposta "suggerisce un accordo non ambizioso e non vincolante che vede i Paesi stabilire i propri obiettivi individuali basandosi su ciò che si considera economicamente e politicamente fattibile più che su ciò che è richiesto dalla scienza e dalla giustizia", ha aggiunto.

Se i Paesi hanno espresso la volontà di continuare a lavorare, l'accordo proposto non presenta dei termini temporali chiari per concludere un accordo giusto e legalmente vincolate nei prossimi mesi.

Nell'ultimo decennio, la mancanza di volontà politica ha ostacolato gli sforzi internazionali di far fronte ai cambiamenti climatici, il cui impatto sui Paesi in via di sviluppo è diventato sempre più preoccupante.

Il Segretario Generale del CISDE, Bernd Nilles, ha dichiarato dal canto suo che è inconcepibile che più di 100 leader mondiali riuniti per accordarsi in vista della risoluzione di un problema mondiale abbiano fallito a raggiungere un impegno adeguato e vincolante.

"Possono chiamarlo un accordo storico, una dichiarazione, tutto ciò che vogliono - ha commentato -. La realtà è che i leader hanno fallito nel fornire una soluzione concreta ed efficace. Hanno perso questa opportunità storica per creare una via chiara e collettiva per un futuro sostenibile".

Secondo Caritas e CISDE, i Paesi sviluppati dovrebbero vergognarsi. Le prove scientifiche e le analisi economiche, sostengono, mostrano chiaramente ciò che le Nazioni ricche dovrebbero fare termini di riduzione delle emissioni e di sostegno ai Paesi poveri.

"I leader possono compiere dei passi indietro, ma il livello di impegno mostrato dalle persone di tutto il mondo nella corsa verso Copenhagen ha mostrato inequivocabilmente che la gente sostiene fermamente un forte accordo sui cambiamenti climatici. I leader devono ora stabilire un termine per giungere a un accordo comprensivo e vincolante il prima possibile nei mesi a venire, e noi li seguiremo in ogni passo del percorso", ha dichiarato Lesley Anne Knight, Segretario Generale di Caritas Internationalis.

Il CIDSE e la Caritas credono che il mondo non debba accettare niente che sia meno di un accordo giusto, ambizioso e legalmente vincolante che impegni i Paesi sviluppati a ridurre le emissioni di gas serra di più del 40% entro il 2020 basandosi sui livelli del 1990.

L'alleanza vuole anche che i Paesi ricchi contribuiscano con 195 miliardi di dollari entro il 2020, oltre agli impegni già esistenti, per aiutare i Paesi in via di sviluppo a utilizzare le tecnologie verdi e a difendersi dalle conseguenze più gravi dei cambiamenti climatici.

S_Daniele
00lunedì 21 dicembre 2009 06:42
Il ritorno del controllo demografico
La vita umana pesa quanto le emissioni di carbonio

di padre John Flynn, LC

ROMA, domenica, 20 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Il Vertice di Copenhagen sui cambiamenti climatici ha innescato un'ondata di opinioni sulle questioni ambientali. Tra queste si scorge un inquietante ritorno verso posizioni malthusiane che vedono il controllo demografico come la soluzione ai problemi del pianeta.

Una legge mondiale che imponga a tutte le Nazioni la politica del figlio unico, come quella cinese, è ciò che ci vuole, secondo un articolo d'opinione di Diane Francis pubblicato l'8 dicembre sul quotidiano canadese National Post.

Secondo la Francis, questa misura ridurrebbe l'attuale popolazione mondiale di 6,5 miliardi a 3,43 miliardi entro il 2075. Sebbene siano più estremistiche della media, le posizioni della Francis a favore di un controllo demografico non sono affatto isolate.

Poco prima dell'inizio del Vertice, l'Optimum Population Trust britannico ha proposto uno schema di compensazione energetica, secondo quanto riferito dal quotidiano Guardian del 3 dicembre.

Come ha spiegato John Vidal, redattore della sezione ambientale del giornale, questo prevede che i ricchi consumatori possano compensare il loro stile di vita mondano finanziando i programmi di contraccezione nei Paesi più poveri.

Secondo Vidal, i calcoli del Trust mostrano che le 10 tonnellate metriche di anidride carbonica emesse da un volo da Londra a Sydney potrebbero essere compensate da un bambino in meno nato in Paesi come il Kenya.

Sembra che il neocolonialismo continui a sopravvivere negli atteggiamenti di alcuni ambientalisti, che non vedono alcun problema nell'esortare le Nazioni in via di sviluppo a ridurre la loro popolazione per consentire ai Paesi ricchi di continuare a emettere gas serra.

Questo schema è stato lanciato in seguito alla pubblicazione, ad agosto, di un rapporto del Trust dal titolo: "Fewer Emitters, Lower Emissions, Less Cost: Reducing Future Carbon Emissions by Investing in Family Planning".

Le conclusioni di questo studio affermano che "l'analisi costi/benefici dimostra che la pianificazione familiare è notevolmente più economica di molte tecnologie a bassa emissione".

"Sulla base di questo studio, si propone che i metodi di pianificazione familiare siano considerati uno strumento primario nella migliore strategia di riduzione delle emissioni di carbonio", afferma il rapporto.

Previsioni catastrofistiche

Il Fondo delle Nazioni Unite per la Popolazione (UNFPA) si è unito al coro malthusiano con la pubblicazione del suo Rapporto 2009 sullo stato della popolazione nel mondo.

Il Rapporto auspica ripetutamente un più diffuso accesso a misure di "salute riproduttiva". Questa definizione delle Nazioni Unite comprende l'accesso ai preservativi, ai contraccettivi e all'aborto.

"Abbiamo raggiunto un punto in cui l'umanità si sta avvicinando all'orlo del disastro", ha affermato Thoraya Ahmed Obaid, direttrice esecutiva dell'UNFPA, durante la presentazione del Rapporto a Londra il 18 novembre scorso.

Il documento è stato accolto dalla stampa con titoli quali "L'ONU combatte i cambiamenti climatici con i preservativi" (Associated Press, 18 novembre).

"Controllo della natalità: il modo più efficace per ridurre le emissioni di gas a effetto serra", strombazzava il quotidiano Times di Londra del 19 novembre nei suoi titoli relativi al Rapporto.

In modo confuso, accanto agli appelli per la salute riproduttiva nelle Nazioni in via di sviluppo, si leggevano altre affermazioni che contraddicevano le tesi secondo cui una riduzione della popolazione dei Paesi poveri sarebbe in grado di arrestare il cammino del mondo verso il baratro del disastro ambientale.

"La principale responsabilità per l'attuale accumulo di gas a effetto serra risiede nei Paesi sviluppati", ammette il Rapporto.

Inoltre, "i legami tra popolazione e cambiamenti climatici sono nella maggior parte dei casi complessi e indiretti", aggiunge.

Una migliore guida ai temi demografici e ambientali è contenuta in un servizio speciale pubblicato dalla rivista The Economist nell'edizione del 31 ottobre.

In un editoriale che accompagna il rapporto, la rivista sottolinea che la tendenza verso il basso dei livelli di fertilità nei Paesi in via di sviluppo è già avanzata. "L'attuale riduzione della fertilità è molto ampia e repentina", afferma.

Immorale

Secondo l'editoriale, l'impatto antropico sull'ambiente può essere arginato agendo su tre fronti: demografia, tecnologia e politica. Per quanto riguarda la demografia, non vi è molto altro che si possa fare, secondo la rivista. Solo una "coercizione in stile cinese" potrebbe assicurare una più rapida riduzione della fertilità.

Sorprendentemente per una pubblicazione che non si avvicina alla religione in alcun modo, l'editoriale aggiunge che "sarebbe immorale costringere le persone ad avere meno figli rispetto a quelli desiderati perché i ricchi consumano troppe risorse naturali".

Lo stesso Rapporto afferma che il modo per arginare le emissioni di carbonio e affrontare i problemi ambientali non è quello di ridurre la fertilità, ma di incidere sulla crescita economica per renderla meno inquinante e meno "divoratrice di energia".

Il sociologo britannico Fran Furedi ha esplorato il ritorno del malthusianesimo in un pezzo scritto per il sito Internet Spiked. Nel suo commento del 7 dicembre, ha duramente attaccato le proposte dell'Optimum Population Trust accusandolo di essere una sorta di "organizzazione malthusiana zombie, dedita alla causa della riduzione umana".

"Nel corso di gran parte della storia, la vita umana è stata considerata come un valore in sé, che ha una speciale qualità che non ammette di essere ridotta a termini quantitativi per essere misurata da contabili misantropi", ha osservato.

Furedi ha basato i suoi commenti su una prospettiva umanistica e non religiosa. La vita umana possiede una qualità unica, ha sostenuto, chiedendosi perché altri umanisti non hanno voluto difendere la vita umana e sostenere gli ideali sviluppati nel Rinascimento e nell'Illuminismo.

Perdere la fede

"Un mondo che è capace di mettere sullo stesso piano un bambino e il carbonio è un mondo che ha perso la sua fede nell'umanità", ha lamentato Furedi.

Un altro commento interessante è stato pubblicato il 9 dicembre dal sito Internet australiano On Line Opinion. L'autrice Farida Akhter, del Bangladesh, dirige un'organizzazione che lavora con le comunità nel suo Paese e gestisce una casa editrice femminista.

Riflettendo sul rapporto dell'UNFPA sullo stato della popolazione mondiale, ha sostenuto che è un approccio semplicistico quello di pensare che i problemi ambientali possano essere risolti semplicemente con una riduzione della fertilità delle donne.

Puntare il dito contro le Nazioni in via di sviluppo semplicemente non ha senso, ha affermato. Citando i dati del Rapporto UNFPA, ha rilevato che il 50% delle emissioni di anidride carbonica del mondo provengono dal mezzo miliardo di persone più ricche del pianeta.

Pertanto, ha proseguito, anche se rallentiamo la crescita della popolazione nei Paesi più poveri, il loro contributo alla riduzione delle emissioni di carbonio e del consumo delle risorse non potrà essere significativo.

"Non facciamo delle donne l'obiettivo della contraccezione in nome della soluzione dei cambiamenti climatici", ha concluso.

Questo sentimento è condiviso da Jennie Bristow, editrice della pubblicazione britannica Abortion Review.

Anche lei ha scritto un articolo per Spiked sul tema della demografia e dell'ambiente, apparso il 6 ottobre.

La Bristow ha difeso l'aborto e la contraccezione, ma ha anche sottolineato che la storia è piena di esempi di pratiche imposte alle donne da autorità che volevano decidere quanti bambini far nascere.

Rispetto

L'autrice ha espresso critiche alla posizione pro-vita, ma ha anche sostenuto che "deve essere posta seriamente la questione di quanto sia genuino l'impegno per la libera scelta tra coloro che in definitiva vorrebbero che le donne scegliessero di non avere figli o di non averne più di un certo numero".

Effettivamente noi abbiamo una responsabilità nei confronti dell'ambiente, ha sottolineato Benedetto XVI nella sua Enciclica del 29 giugno scorso, "Caritas in Veritate".

Ciò che è in gioco, tuttavia è qualcosa di più delle sole questioni ecologiche, ha aggiunto il Papa. Il rispetto per la natura comprende il rispetto della vita umana. "I doveri che abbiamo verso l'ambiente si collegano con i doveri che abbiamo verso la persona considerata in se stessa e in relazione con gli altri", sostiene l'Enciclica (n. 51).

"Non si possono esigere gli uni e conculcare gli altri. Questa è una grave antinomia della mentalità e della prassi odierna", prosegue il Pontefice.

Una contraddizione che viene proposta da non poche e isolate voci del dibattito odierno su come affrontare il problema ambientale.

S_Daniele
00martedì 22 dicembre 2009 07:04
Lo sviluppo solidale è la chiave del dopo-Copenhagen

di Riccardo Cascioli*

ROMA, lunedì, 21 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Davanti alle sfide poste dai problemi ambientali la strada da seguire è quella dello sviluppo solidale. È l’affermazione cruciale ribadita domenica da Benedetto XVI al termine dell’Angelus, con riferimento al vertice di Copenhagen sul clima che si è aperto ieri. Essa sottolinea con forza la centralità dell’uomo – come soggetto e come fine – in ogni questione sociale, compresa quella dell’ambiente. La Chiesa preferisce parlare di sviluppo solidale, anziché sostenibile, perché quest’ultimo è un concetto che si presta ad alcune ambiguità, mentre l’interesse prioritario e non negoziabile dei cattolici è promuovere la dignità di ogni persona umana, incluse quelle che devono ancora nascere.

La solidarietà, legata al tema dello sviluppo, implica il riconoscimento dell’appartenenza di tutti all’unica famiglia umana e la pari dignità di ogni essere umano. Non si può dunque sacrificare lo sviluppo di alcuni per salvarne altri, né a maggior ragione si può sacrificare alcuni nel nome di priorità «ambientali». Anche perché, oltre che essere immorale, questa visione ha già dimostrato nella storia la sua logica perversa, in quanto generatrice di conflitti.

Il tema della solidarietà fra gli uomini e fra questi e la natura conduce a una seconda parola non casualmente usata dal Papa: il creato. Rispetto al termine ambiente – che può essere interpretato in contrapposizione all’uomo o almeno come "altro" dall’uomo –, creato implica una visione positiva della realtà e dell’uomo, che affonda le radici nell’esistenza di un Creatore da cui tutto dipende.

La terra non è un organismo autonomo che reagisce alle aggressioni come il corpo umano fa con i virus, ovvero con la febbre (non si parla forse spesso di «febbre del pianeta» per descrivere il riscaldamento globale?), ma è dono di Dio all’uomo. L’uomo non solo è parte del Creato, ma è la prima tra le creature. Esiste cioè una gerarchia ontologica tra l’uomo e gli altri esseri viventi. D’altro canto, proprio perché è creatura l’uomo deve rendere conto al Creatore: la superiorità sulle altre creature non è disponibilità assoluta, ma è una responsabilità davanti ai propri simili e a Dio.

La dottrina sociale della Chiesa usa una formula semplice per esprimere questo concetto: la natura è per l’uomo, ma l’uomo è per Dio. L’insistenza del Papa su questi punti non è casuale perché spesso, quando si parla di ambiente, da alcune frange del movimento ecologista viene un rimprovero al cristianesimo che, col suo antropocentrismo, sarebbe addirittura una concausa dei disastri ambientali. Il problema del corretto rapporto con la natura è invece di natura morale, ovvero di come l’uomo gioca la sua libertà nel collaborare alla Creazione (cfr. Laborem Exercens, n.25): se segue il progetto di Dio rende la Creazione più bella e più umana; se invece persegue il proprio progetto, «sfigura» la Creazione.

È proprio per questo che, parlando al clero di Bressanone il 6 agosto 2008, Benedetto XVI sosteneva che il primo nemico dell’ambiente è l’ateismo: «Il consumo brutale della Creazione inizia dove non c’è Dio, dove la materia è ormai soltanto materiale per noi (…). E lo spreco della Creazione inizia dove (…) non esiste più alcuna dimensione della vita al di là della morte».

E ancora, nella Caritas in Veritate spiega che «l’uomo può responsabilmente utilizzare [la natura] per soddisfare i suoi legittimi bisogni –- materiali e immateriali – nel rispetto degli intrinseci equilibri del creato stesso. Se tale visione viene meno, l’uomo finisce o per considerare la natura un tabù intoccabile o, al contrario, per abusarne».

In questa prospettiva si inserisce anche il richiamo a stili di vita sobri. La sobrietà non consiste nell’usare poco, ma nell’usare secondo le giuste finalità. O, come esortava il Papa domenica, «a rispettare le leggi poste da Dio nella natura».

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*Riccardo Cascioli è scrittore e giornalista del quotidiano “Avvenire”, nonché direttore del Centro Europeo di Studi su Popolazione Ambiente e Sviluppo (Cespas).

S_Daniele
00mercoledì 23 dicembre 2009 06:31
Dopo Copenaghen

Clima in ostaggio

Londra, 22. L'insuccesso del summit sul clima di Copenaghen? Tutta colpa di una manciata di Paesi. Ad affermarlo è il premier britannico Gordon Brown. "Mai più dovremo permettere a un pugno di Paesi di prendere in ostaggio i negoziati che servono a portarci in un futuro più verde", ha detto Brown in un'intervista che sarà mandata in onda lunedì. Il premier britannico non ha specificato a quali Paesi si riferisse, anche se il suo ministro dell'Ambiente, Ed Miliband, aveva puntato il dito soprattutto contro la Cina, colpevole a suo dire di aver "dirottato" il summit bloccando la stesura di un accordo legalmente vincolante. "Non abbiamo ottenuto un accordo di riduzione del 50 per cento delle emissioni globali entro il 2050 o dell'80 per cento delle nazioni sviluppate perché entrambe le proposte sono state sottoposte a veto dalla Cina", ha sostenuto Miliband. "E questo nonostante il sostegno di una coalizione dei Paesi industrializzati e la vasta maggioranza di quelli in via di sviluppo".
Secondo Miliband, la maggioranza dei Paesi voleva inoltre un accordo che fosse vincolante dal punto di vista legale. Ma questo non è stato possibile anche per l'ostruzionismo avanzato da "Sudan, Bolivia e altre nazioni del Sudamerica".
La Cina ritiene invece di avere giocato nel vertice sul clima di Copenaghen un ruolo "importante e costruttivo". Lo ha sostenuto il primo ministro, Wen Jiabao, in un'intervista diffusa ieri dall'agenzia Nuova Cina. Il premier ha sottolineato che la delegazione cinese, che lui stesso ha guidato, "ha dato prova di grande sincerità e ha fatto tutti gli sforzi possibili". La Cina, come noto, ha annunciato unilateralmente i suoi obiettivi di riduzione delle emissioni di gas inquinanti ma ha rifiutato impegni vincolanti. Nell'intervista, Wen Jiabao ha aggiunto che la conferenza di Copenaghen deve essere considerata un "buon inizio" e che ora la comunità internazionale deve muoversi per raggiungere gli obiettivi indicati nella "road map" elaborata alla conferenza tenuta nel 2007 a Bali in Indonesia.
E che si possa giungere a un trattato legalmente vincolante sulle emissioni nocive entro il 2o10 è stato auspicato dal segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, il quale non ha mancato di prendere atto dei limiti dell'accordo raggiunto nella capitale danese. "Sono consapevole che i risultati della conferenza di Copenaghen compreso l'accordo finale non vanno lontano come avremmo sperato", ha detto Ban Ki-moon ai giornalisti del Palazzo di Vetro. "Copenaghen è stato un inizio e abbiamo fatto un passo importante nella giusta direzione", ha aggiunto il segretario generale facendo appello ai leader della terra "perché si impegnino alla ricerca di un trattato vincolante".


(©L'Osservatore Romano - 23 dicembre 2009)
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