Oggi al Duomo di Milano beatificazione di Don Gnocchi

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Gabbianella1.
00domenica 25 ottobre 2009 11:37

circa 50 mila fedeli, tra cui 15 mila alpini e 20 reduci della Campagna di Russia

Piazza Duomo gremita per don Gnocchi

La solenne cerimonia di beatificazione con il cardinal Tettamanzi. Benedetto XVI si collega per l'Angelus

 
 
MILANO - Piazza Duomo e Cattedrale gremite, domenica mattina, per la beatificazione di don Carlo Gnocchi, il «papà dei mutilatini» (1902-1956). Circa 50 mila fedeli, tra i quali 15 mila alpini in rappresentanza delle 81 sezioni italiane, hanno partecipato alla solenne liturgia. Alle 10 la Celebrazione Eucaristica con il Rito di Beatificazione, presieduta dall’Arcivescovo di Milano, Card. Dionigi Tettamanzi, alla presenza del Legato Pontificio monsignor Angelo Amato, Prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi (diretta sul sito www.chiesadimilano.it). La funzione è stata preceduta da un corteo, partito da piazza Santo Stefano, che ha accompagnato l’urna contenente il corpo di don Gnocchi. L'urna di cristallo, del peso di 500 chili, è stata portata a spalla dagli alpini. Dopo la messa in San Pietro a Roma, papa Benedetto XVI guiderà la preghiera dell'Angelus in collegamento con piazza Duomo.

I NUMERI - Alla celebrazione erano presenti 18 vescovi, oltre all'arcivescovo Tettamanzi e al Prefetto della Congregazione delle cause dei santi; 211 i sacerdoti concelebranti, tre i cori per un totale di 210 cantori (coro della cappella musicale del Duomo, coro del seminario arcivescovile di Milano, coro Alpini Ana Milano) diretti dal maestro don Claudio Burgio, venti sindaci, venti combattenti reduci della Campagna di Russia, 250 volontari in servizio. In piazza Duomo sono state posizionati due chilometri di transenne; 40 mila i fedeli in piazza con il pass, e 10 mila ai bordi della piazza.

LA VITA - Nato nel 1902 a San Colombano al Lambro e ordinato sacerdote nel 1925, don Gnocchi fu prima assistente di oratorio a Cernusco sul Naviglio, poi nella parrocchia di san Pietro in Sala a Milano e nel 1936 venne nominato direttore spirituale dell’Istituto Gonzaga dei «Fratelli delle Scuole Cristiane». Allo scoppio della seconda guerra mondiale partecipò, come cappellano degli alpini, alle campagne di Albania e Russia. Un’esperienza dolorosa che lo segnò profondamente e che lo portò a istituire la «Fondazione Pro Juventute», ora «Fondazione don Carlo Gnocchi, in aiuto dei ragazzi vittime della guerra, mutilati, orfani, abbandonati, ammalati. Morì nel febbraio del 1956, donando le cornee a due giovani privi della vista. A trent'anni dalla morte, il cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini istituì il Processo sulla vita, virtù e fama di santità.

 




dal sito corriere delle sera
S_Daniele
00domenica 25 ottobre 2009 13:37

Anche il Papa all'Angelus ha ricordato Don Gnocchi, ecco le sue parole:

Rivolgo anzitutto uno speciale saluto alle migliaia di fedeli radunati a Milano, in Piazza del Duomo, dove stamani è stata celebrata la liturgia di beatificazione del sacerdote Don Carlo Gnocchi. Egli fu dapprima valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli Alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, Don Gnocchi lavorò per “restaurare la persona umana” raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La sua opera ha continuato a svilupparsi ed oggi la Fondazione Don Gnocchi è all’avanguardia nella cura di persone di ogni età che necessitano di terapie riabilitative. Mentre saluto il Cardinale Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, e mi rallegro con l’intera Chiesa ambrosiana, faccio mio il motto di questa beatificazione: “Accanto alla vita, sempre”.

enricorns
00domenica 25 ottobre 2009 22:28
 

Omelia per la Beatificazione di don Carlo Gnocchi

Prima Domenica dopo la Dedicazione

Milano-Duomo, 25 ottobre 2009

 

 

 

SOLO LA CARITA’ PUO’ SALVARE IL MONDO

Carissimi fratelli e sorelle,

a tutti rinnovo il saluto liturgico: la grazia, la pace e la gioia del Signore Gesù sia nel cuore di ciascuno di voi. Insieme vogliamo rendere grazie a Dio per il dono fatto alla Chiesa di un nuovo beato nella persona di don Carlo Gnocchi.

Una gratitudine che estendiamo a quanti il Signore si è scelto come “strumenti” di questo evento di grazia: in particolare il Santo Padre Benedetto XVI – cui vanno la nostra preghiera e il nostro affetto - e S.E. l’arcivescovo mons. Angelo Amato, che oggi lo rappresenta in mezzo a noi; l’immensa schiera delle persone che hanno incontrato, conosciuto, stimato, amato don Carlo e ne hanno testimoniato il cammino di santità; quanti hanno tenuto viva la memoria di questo sacerdote ambrosiano continuandone le opere e lasciandosi ispirare dal suo carisma di carità intelligente e coraggiosa verso i giovani, i soldati, i piccoli, i malati, i sofferenti, i poveri, gli emarginati; tutti noi presenti e partecipi a questo solenne Rito di beatificazione, compresi quanti ci seguono grazie ai mezzi di comunicazione.

 

Ci vuole santi, come lui è santo

Questo rendimento di grazie al Signore, mentre dice la nostra gioia spirituale, diventa per noi un richiamo particolarmente forte a riscoprire la fondamentale e comune vocazione alla santità: questo e non altro è il grande progetto d’amore e di felicità che dall’eternità Dio ha stabilito per tutti e per ciascuno di noi: ci vuole santi, come lui è santo!

Questo è il progetto che abita il cuore di Dio e di conseguenza non ci può essere nel nostro cuore un desiderio, un’aspirazione, un bisogno più forti e radicali che di fare nostro questo progetto e con la massima generosità possibile. Così cammineremo sulla strada della santità: una strada divina ma al tempo stesso umana e umanizzante.

Beatificando don Carlo la Chiesa dichiara autorevolmente che il desiderio di farsi santo è stato il sentimento dominante del suo cuore e insieme il principio fecondo della sua comunione d’amore con Dio e della sua infaticabile attività al servizio dell’uomo: una santità mistica e umanamente contagiosa e missionaria; una santità che lo conduceva a vivere nell’intimità di Dio e ad aprirsi e donarsi agli uomini in ogni ambito della loro esistenza.

Di questo progetto divino di amore e di felicità don Carlo era profondamente convinto e non temeva affatto di proporlo, peraltro in modo affascinante ed esigente, ai suoi giovani: «Nulla è più santificante e salvifico della santità. Credetelo. […] La santità irradia tacitamente Fede e bontà. […] Ben più e ben meglio delle discussioni e delle industrie umane, la santità ha il magico potere di convertire. Credetelo!» (Andate e insegnate, in Scritti, Milano 1993, 51-52).

Così parlava ai giovani dei suoi oratori di Cernusco sul Naviglio e di San Pietro in Sala a Milano, ripetendo quasi come slogan la celebre frase di Leon Bloy: «Non vi è al mondo che una tristez­za: quella di non essere santo».

E questo sia il richiamo che vogliamo accogliere dal Rito che stiamo celebrando: la sfida che tutti ci interpella, la missione che come credenti ci viene affidata è quella di portare nel nostro mondo il fuoco della santità, il fuoco dell’amore, il fuoco della vera gioia.

Ma come portarlo? E’ una domanda che trova risposta nella prima lettura della liturgia ambrosiana che oggi celebra la Domenica detta del “Mandato missionario”.

 

In ogni uomo lo splendore del volto di Dio

Gli Atti degli Apostoli (8, 26-39) ci presentano un ministro della regina Candace d’Etiopia: è alla ricerca di Dio ed è affascinato dal Dio d’Israele. Dal tempio di Gerusalemme sta tornando verso la sua terra e in viaggio legge il libro del profeta Isaia. E’ inquieto perché non ne comprende il contenuto. Proprio in quel momento gli si accosta il diacono Filippo, che si era messo in cammino obbedendo alla voce dell’angelo. Senza alcuna paura Filippo intavola il discorso, sale sul carro dell’etiope, prende il libro, ne spiega il senso e annuncia Gesù.

Questo ministro e questo diacono incarnano alcuni tratti che caratterizzano il nuovo beato. Anche don Carlo, come l’eunuco etiope, è stato inquieto cercatore di Dio e come Filippo fu coraggioso cercatore dell’uomo.

E’ nella ricerca del volto di Cristo impresso nel volto d’ogni uomo che don Carlo ha consumato la sua vita. Lo ha cercato in ogni soldato, in ogni alpino - ferito o morente -, in ogni bimbo violato dalla ferocia della guerra, in ogni mutilatino vittima innocente dell’odio, in ogni mulattino frutto della violenza perpetrata sull’innocenza della donna, in ogni poliomielitico piegato nel corpo dal mistero stesso del dolore.

Sta qui il segreto dell’amore di don Carlo per l’uomo: la vivissima coscienza che nel cuore di ogni essere umano abita lo splendore del volto di Dio.

Ma ogni cristiano è chiamato ad amare sino alla fine e senza paura ogni essere umano, sapendo che in tutti è l’impronta incancellabile del volto di Dio, di tutti Creatore e Padre.

 

L’impegno per la “personalità cristiana” nel mondo

La seconda lettura, tratta dalla lettera di Paolo a Timoteo (1 Timoteo 2,1-5), ci rimanda ad un tratto caratteristico della carità di don Gnocchi. L’Apostolo raccomanda, in particolare, “che si facciano domande, suppliche, preghiere e ringraziamenti per tutti gli uomini, per i re e per tutti quelli che stanno al potere, perché possiamo condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio”.

Don Carlo ha saputo coinvolgersi con dedizione entusiasta e disinteressata non solo nella vita della Chiesa, ma anche in quella della società. E lo ha fatto coltivando con grande intelligenza e vigore l’intimo legame tra la carità e la giustizia: una carità che “tende le mani alla giustizia”, egli diceva. Noi possiamo continuare la sua opera chiedendo oggi alla giustizia di tendere le mani alla carità. Don Carlo è stato mirabile nell’operare una sintesi concreta di pensiero e di impresa, appellando alle diverse istituzioni pubbliche e insieme alle molteplici forme di volontariato, ponendo come criterio necessario e insuperabile la centralità della persona umana sempre onorata nell’inviolabilità della sua dignità e nella globalità unitaria delle sue dimensioni – fisiche, psichiche e spirituali -, insistendo sull’opera educativa e culturale come decisamente prioritaria per lo sviluppo autentico della società. Mai egli ha dimenticato il privilegio e comandamento evangelico del servizio agli “ultimi”.

Don Carlo ha vissuto la sua vocazione come impegno leale nel mondo, senza sminuire – anzi arricchendo – il suo essere di sacerdote. Impegno nel mondo così come si presentava al suo tempo: lontano dalle nostalgie del passato, calato cordialmente nel presente, aperto, profetico e anticipatore del futuro, mai nel segno del pessimismo o della paura.

Egli era convinto che il tempo nel quale Dio lo aveva chiamato a vivere era il migliore possibile. Nell’opera Educazione del cuore scrisse: «Amiamo di un amore geloso il nostro tempo, così grande e così avvilito, così ricco e così disperato, così dinamico e così dolorante, ma in ogni caso sempre sincero e appassionato. Se avessimo potuto scegliere il tempo della nostra vita e il campo della nostra lotta, avremmo scelto… il Novecento senza un istante di esitazione» (Educazione del cuore, in Scritti, 328).

Al mondo moderno don Carlo augurava un tempo nuovo, un nuovo tipo di umanità; augurava la personalità cristiana, cioè “cristianesimo e cristiani attivi, ottimisti, sereni, concreti e profondamente umani; che guardano al mondo, non più come a un nemico da abbattere o da fuggire, ma come a un (figlio) prodigo da conquistare e redimere con l’amore…” (Restaurazione della persona umana, in Scritti, 728-729).

Sono parole preziose anche per noi: amiamo il nostro tempo; impegniamoci nel nostro mondo; portiamo in tutti gli ambienti della nostra vita le speranze umane e la “speranza grande” che ci viene da Cristo, il vincitore della morte e di ogni male.

 

Il vangelo della carità

Un ultimo pensiero vogliamo trarre dal Vangelo che ci ripropone il mandato missionario di Gesù risorto: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Marco 16,15). A questo mandato hanno obbedito gli apostoli e tutti gli autentici discepoli del Signore. Ha obbedito il beato Carlo Gnocchi. Vogliamo obbedire anche noi.

Sì, siamo pienamente consapevoli della nostra debolezza e talvolta della nostra infedeltà: come nella pagina evangelica è stato per gli Undici, anche noi veniamo rimproverati dal Signore Gesù per la nostra “incredulità e durezza di cuore”. Ma siamo altrettanto consapevoli di non essere lasciati soli, perché possiamo beneficiare dello stesso aiuto che ha sostenuto gli Apostoli: “Allora essi partirono per predicare dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano”.

Ritorna la questione iniziale: si tratta di dire di “sì” con tutto il cuore al progetto di santità voluto da Dio per ciascuno di noi e di viverlo nella fiducia e nell’umile e generosa carità d’ogni giorno, dalla quale dipende la salvezza del mondo.

Ci doni il Signore di condividere la convinzione e la decisione di don Gnocchi, che così scriveva nel 1945 ad un confratello nel sacerdozio: “Non desidero che la mia santificazione, dalla quale sono infinitamente lontano. Forse mi manca il coraggio delle decisioni supreme eppure comprendo che oggi solo la carità può salvare il mondo e che ad essa bisogna assolutamente consacrarsi” (Lettera a don Sterpi).

Una santità che oggi con il Rito di beatificazione la Chiesa dichiara ufficialmente. Una santità che in questa piazza, cinquant’anni fa, nel giorno dei funerali di don Carlo Gnocchi, un ragazzo scelto dall’allora Arcivescovo Montini per  portare il suo saluto al “papà di tutti i mutilatini e poliomielitici” profeticamente riconobbe. Tutti noi oggi facciamo nostre le sue parole: «Prima ti dicevo: “Ciao don Carlo”. Oggi ti dico: “Ciao, san Carlo”».

 

+ Dionigi card. Tettamanzi

Arcivescovo di Milano

enricorns
00domenica 25 ottobre 2009 22:31
Don Gnocchi beato
Il Papa: «Faccio mio il motto
di questa beatificazione:
“Accanto alla vita, sempre”»
Ecco le parole pronunciate da Benedetto XVI al termine dell’Angelus, trasmesse in diretta dai maxischermi allestiti in piazza Duomo: «Rivolgo anzitutto uno speciale saluto alle migliaia di fedeli radunati a Milano, in Piazza del Duomo, dove stamani è stata celebrata la liturgia di beatificazione del sacerdote Don Carlo Gnocchi. Egli fu dapprima valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli Alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, Don Gnocchi lavorò per “restaurare la persona umana” raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla fine, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi. La sua opera ha continuato a svilupparsi ed oggi la Fondazione Don Gnocchi è all’avanguardia nella cura di persone di ogni età che necessitano di terapie riabilitative. Mentre saluto il Cardinale Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, e mi rallegro con l’intera Chiesa ambrosiana, faccio mio il motto di questa beatificazione: “Accanto alla vita, sempre”».
enricorns
00domenica 25 ottobre 2009 22:33
Don Gnocchi Beato
Martini: «Una testimonianza
per tutti il suo coraggio
nell’affrontare percorsi nuovi»
Ricordo bene come ebbi a iniziare il processo diocesano in vista della beatificazione di don Carlo nel 1987. Grande dunque è la mia gioia oggi nel vedere questa straordinaria figura di prete ambrosiano proclamato beato. Il beato don Gnocchi è un po’ il simbolo della molteplicità delle vocazioni di un prete diocesano. Egli non fu mai parroco in una parrocchia, ma si distinse come educatore, poi come cappellano militare e infine come apostolo della carità. Questo mi fa dire che la vocazione del prete ambrosiano è molto ampia e occorre procedere con questa larghezza di vedute. È naturalmente molto significativo che questa beatificazione avvenga durante l’Anno Sacerdotale voluto da Benedetto XVI. L’esempio di questo beato, il suo coraggio nell’affrontare anche percorsi nuovi e la sua speranza rimangono una testimonianza per tutti i nostri preti e per i nostri fedeli.
Carlo Maria Martini
Arcivescovo emerito di Milano
enricorns
00domenica 25 ottobre 2009 22:37
 

Beato don Carlo Gnocchi

 

Messaggio finale

 

 

Angelo Amato, SDB

 

 

 

Al termine di questa solenne celebrazione della beatificazione di Don Carlo Gnocchi, un ringraziamento particolare va al Santo Padre Benedetto XVI, che ha dato un’ulteriore testimonianza del suo apprezzamento e della sua vicinanza a questa gloriosa Chiesa ambrosiana, ricca di apostoli sapienti e santi.

Per il nostro Beato «l’uomo è uomo solo se ama».1 Indirizzandosi ai suoi piccoli ricoverati, scriveva: «Altri potrà servirli meglio che io non abbia saputo o potuto fare; nessun altro, forse, amarli più che io non abbia fatto».2

Don Carlo fu un eroe e un santo. L’Arcivescovo Montini, parlando agli Alpini, diceva: «Eroi eravate tutti; ma lui, per giunta, era un santo».3

E il segreto dell’eroismo della sua santità fu il suo amore per Cristo: «Solo Cristo – egli diceva – può essere principio di vita divina per l’uomo».4

Cristo fu per il nostro Beato l’unica avventura della sua vita sacerdotale. Fu un prete tutto di Cristo, tutto della Chiesa, tutto del prossimo bisognoso e sofferente.

«Ciò che mi colpiva nei suoi discorsi – attesta un testimone – era la centralità dei motivi sacerdotali nei suoi pensieri e nei suoi sentimenti. Trovavo in lui una eccezionale capacità di essere sempre sacerdote e di avere con naturalezza, senza sforzo, il pensiero sempre fisso sugli impegni umani e spirituali del suo sacerdozio».5

Don Gnocchi era prete fino in fondo. In una lettera dalla Russia scriveva: «Sogno, dopo la guerra, di potermi dedicare per sempre ad un’opera di carità […]. Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri, ecco la mia ‘carriera’».6

E la sua carriera sacerdotale fu il servizio ai giovani come educatore sapiente, come cappellano eroico, come benefattore generoso dei mutilatini. Il suo incontenibile entusiasmo apostolico era ancorato alla Provvidenza divina, da lui vista, come Don Bosco, incarnata concretamente nelle persone buone e generose. Don Gnocchi ebbe infatti una energia creativa, una imprenditorialità tutta milanese nel trovare mezzi e persone per far crescere e prosperare quella che lui chiamava “la mia baracca”. Era un vero imprenditore della carità.

Cari fedeli, la figura del Beato Carlo Gnocchi resta di grande attualità ancora oggi. Come profeta di speranza e come eroe della carità, egli continua a ispirare impegno e imitazione. Il Dio cristiano è carità, è amore vicino e provvidente. I santi cristiani sono anch’essi testimoni positivi di questo amore vero e concreto.

Imitiamo la carità del Beato Carlo Gnocchi e continuiamo ad affidarci alla sua intercessione presso nostro Signore Gesù Cristo.

 

1 Dal Testamento di don Carlo Gnocchi.

2 Mons. Giovanni Barbareschi, L’ultima Messa di don Carlo, in Giorgio Rumi – Eduardo Bressan (ed.), Don Carlo Gnocchi, Milano, Mondadori 2002, p. 6.

3 Giovanni Battista Montini, Discorsi e scritti milanesi II (1954-1963), Brescia, Istituto Paolo VI 1997, p.3488

4 Carlo Gnocchi, Andate e insegnate, in Gli scritti, p. 42.

5 Testimonianza di Mons. Pisoni, Positio super virtutibus, Vol. II, p. 652. Roberto Parmeggiani, Ho conosciuto don Gnocchi, I Testimoni raccontano, Milano, Ancora 2000, p. 79.

6 Roberto Parmeggiani, Ho conosciuto don Gnocchi,. p. 80.

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