PIETRO FU DAVVERO A ROMA?

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Cattolico_Romano
00giovedì 6 novembre 2008 10:46

PIETRO FU DAVVERO A ROMA?

     Una tradizione, assai antica, ha creduto che Pietro sia andato a Roma, dove avrebbe subito il martirio sotto la persecuzione di Nerone. Per secoli questa fu la fede della Chiesa. Solo nel XIV secolo, Marsilio da Padova avanzò dubbi sul fatto che Pietro fosse stato vescovo di Roma. In seguito, larga parte del protestantesimo tentò di mettere in dubbio anche la venuta di Pietro a Roma con evidenti finalità polemiche verso la chiesa cattolica ed il vescovo di Roma.

     Sebbene il Nuovo Testamento non parli chiaramente del martirio romano di Pietro, nel saluto finale della sua prima epistola Pietro dice: "La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta" (1 Pietro 5, 13). Poiché l'antica Babilonia giaceva distrutta da molti secoli e in Mesopotamia  non esisteva una comunità cristiana ma solo di una colonia giudaica, Babilonia deve essere per forza il nome

simbolico di Roma, nome peraltro assai amato nell'apocalittica giudaica e cristiana (Apocalisse 17-18-19). 

     Clemente Romano (ca. 96 d.C.) per primo parla della morte di Pietro e di Paolo, dicendo: "Per l'invidia e gelosia  furono perseguitate le più grandi e più giuste colonne le quali combatterono sino alla morte. Poniamoci dinanzi agli occhi i buoni apostoli. Pietro che per l'ingiusta invidia soffrì non uno, ma numerosi tormenti nella grande Babilonia, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Fu per effetto di gelosia e discordia che Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza …." (Clemente, 1 Corinzi V, 2-5)

     Ignazio, vescovo di Antiochia, verso il 110 d.C. durante il suo viaggio verso Roma per subirvi il martirio, pur non ricordando il martirio dell'apostolo, scrive alla chiesa ivi esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo" (Ignazio, Ai Romani 4, 3). Siccome Pietro non scrisse alcuna lettera ai Romani, si deve dedurre che egli avesse loro impartito dei comandi di presenza, cioè a voce, come solevano fare gli Apostoli.

     Papia di Gerapoli, verso il 130 d.C. afferma che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (Papia in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 15, 2), usando il termine figurato di Babilonia per indicare Roma.

     Origene (185-254) è il primo a ricordarci che Pietro fu crocifisso a Roma con il capo all'ingiù. Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).

     Dionigi, vescovo di Corinto, verso il 170 d.C., in una lettera parzialmente conservata da Eusebio, attribuisce a Pietro e Paolo la fondazione della chiesa di Corinto e la loro predicazione simultanea in Italia dove assieme subirono il martirio. "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo" (Dionigi in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 25).

     Clemente Alessandrino (150-215) ricorda che, "quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la Parola a Roma e dichiarato il Vangelo nello Spirito, molti degli ascoltatori chiesero a Marco, che lo aveva seguito da lungo tempo e ricordava i suoi detti, di metterli per iscritto." (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 14).

     Tertulliano (160-240) ripete che Pietro fu crocifisso a Roma durante la persecuzione neroniana, dopo aver ordinato Clemente, il futuro vescovo romano (Scorpiace XV; Sulla prescrizione degli eretici XXXII); lo stesso Tertulliano ricorda anche il martirio comune di Pietro e Paolo a Roma, sottolineando come Pietro avesse sofferto lo stesso martirio di Gesù e come Paolo fosse stato ucciso come Giovanni Battista (Sulla prescrizione degli eretici XXXVI).

     Ireneo, vescovo di Lione (140-202), ricorda che "Matteo... compone il suo Vangelo mentre Pietro e Paolo predicavano e fondavano la chiesa …" e parla "… della chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo …. con questa chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve essere necessariamente d'accordo ogni chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte ….la chiesa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli …" (Contro le eresie III, 1-3)

      Eusebio di Cesarea (260-337) ricorda come, sotto il regno di Claudio, la Provvidenza condusse Pietro a Roma per porre fine al potere di Simon Mago (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 14). Egli inoltre ricorda come, a Roma, sotto l'impero di Nerone, Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25).

     Girolamo (347-420) scrive che "Simon Pietro venne a Roma per debellare Simon Mago …occupò a Roma la cattedra episcopale per 25 anni, fino all'ultimo anno di Nerone …..fu crocifisso con il capo all'ingiù e i piedi rivolti verso l'alto, dichiarandosi indegno di venir crocifisso come il suo Signore" (Gli uomini illustri I).

Circa il martirio di Pietro e Paolo a Roma, le testimonianze materiali come quelle letterarie sono numerose. Clemente Romano terzo Papa, nella sua lettera ai Corinzi del 96, porta l’esempio di pazienza degli Apostoli che furono catturati a causa di invidie gelosie e discordie, quindi processati e uccisi "insieme ad una folla di eletti". Pietro, secondo lo storico Eusebio sulla base di uno scritto di Origene, venne crocifisso come gli altri cristiani nel circo di Caligola sulle pendici del colle Vaticano tra il 64 e il 67, crocifisso a testa in giù e sepolto in una tomba terragna nella necropoli esistente lungo il circo. Paolo venne decapitato nella stessa persecuzione sulla via Ostiense e sepolto nella necropoli sulla quale nel 386 venne costruita la basilica costantiniana.

Sulla tomba dei due apostoli sorse subito un piccolo monumento, una memoria, di cui parla il prete Gaio nel II secolo: "In Vaticano e sulla Via Ostiense, ti mostrerò i trofei (tombe gloriose) di coloro che hanno fondato questa Chiesa". Un discorso che è criterio guida per individuare la linea della retta tradizione mentre esprime la coscienza che la Chiesa di Roma si fonda sulla testimonianza e sul martirio dei due apostoli.


S.Pietro- scavi – Tomba di Pietro (Trofeo di Gaio sec II)


Il monumento di Pietro su cui, era convinzione comune, fosse sorta la Basilica elevata da Costantino, venne realmente trovato negli scavi condotti per volere di Pio XII tra il 1939 e il 1949. Vi si rinvenne anche un bollo recanti i nomi di Marco Aurelio e Faustina Augusta sua moglie, databile intorno al 146-161. Il piccolo monumento costruito sopra la tomba terragna di Pietro, era costituito da un’edicola con una nicchia e due colonnine, era addossato ad un "muro rosso" e diviso in due da una lastra orizzontale di travertino. In seguito era stata aggiunta, a lato dell’edicola, un piccolo ambiente di culto; nel muro superstite (detto muro "g") venne ricavato un loculo rivestito di marmo, per deporvi i resti di Pietro. In corrispondenza del loculo, sul "muro rosso", negli anni ’40 il P.Ferrua aveva trovato un frammento graffito con la scritta "Petr…eni" tradotto "Pietro è qui". Le successive ricerche di Margherita Guarducci tra il 1953-58, portarono al rinvenimento di alcune ossa di un uomo di circa 60 anni sepolto nel loculo del muro "g". Su questo muro i fedeli avevano inciso innumerevoli crittografie mistiche, preghiere e invocazioni a Cristo a Maria a Pietro, decifrati dalla stessa Guarducci (M.Guarducci – La tomba di Pietro - Rusconi 92)

LE OSSA DI SAN PIETRO SONO ANCOR OGGI NELLA SUA TOMBA SOTTO L'ALTARE PAPALE DELLA BASILICA VATICANA


Dal punto di vista storico non sono mai esistiti dubbi sulla venuta di San Pietro a Roma, sulla sua crocifissione e sulla sua sepoltura nella necropoli vaticana, a breve distanza dal luogo del martirio.
Egli era giunto a Roma nell'anno 41, al tempo dell'imperatore Claudio e vi rimase, salvo una breve interruzione, fino alla morte che subì nell'anno 64, all'inizio della persecuzione di Nerone.
Questo pazzo imperatore che aveva già fatto avvelenare il fratello, assassinare la madre Agrippina, la moglie Ottavia e aveva ucciso personalmente la seconda moglie Poppea in un raptus di pazzia mise a fuoco

la città di Roma.
Quindi, come afferma lo storico Tacito, (per distogliere da sé l'ira del popolo ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione.
Fu durante questa persecuzione che, secondo la testimonianza di Clemente romano (Ad Chorinthios, 1, 56), nell'anno 64 Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano.
Lo storico Eusebio di Cesarea ci informa che Pietro, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro, chiese ed ottenne di essere crocifisso con il capo all'ingiù.
Il suo corpo fu seppellito nello stesso colle Vaticano, in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, un "trofeo" (detto di "Gaio", dal nome dello scrittore cristiano del II secolo che ne parla, come ci riferisce lo storico Eusebio) in base agli scavi effettuati negli anni '40.

Tratto da http://www.cristianicattolici.net/course22.html

Cattolico_Romano
00giovedì 6 novembre 2008 10:46

ANNO 150/153

LA TOMBA DI PIETRO - Intorno a questa data a Roma abbiamo un altro importante evento di carattere religioso che avrà grande importanza nella tradizione ufficiale della Chiesa nei secoli seguenti.

E' la costruzione di una semplice edicola sulla tomba terragna dell'APOSTOLO PIETRO, in quella necropoli costruita sul colle romano VATICANUS che era un colle di mala fama perché in quella zona per il particolare terreno, la vite, dava il peggiore vino di Roma, vi cresceva una vera "vite da cani".

L'ANNO 153
*** TOMBA DI SAN PIETRO

 Intorno a questa data viene fatta  la costruzione di una piccola edicola sulla tomba fatta di nuda terra che accoglieva le spoglie dell'apostolo Pietro. Oggi questa edicola, si trova nella necropoli Vaticana, ed è forte nella tradizione cristiana che questa sia la sua tomba, i recenti scavi hanno comunque rinvenuto delle ossa molto venerate e il che lo si deduce dai graffiti rinvenuti di questo periodo che riportano le iniziali di Cristo, Pietro e Maria. 
Sorgeva la sua tomba su un'area sepolcrale terragna venerata dai cristiani da circa un centinaio d'anni su questo territorio detto Vaticanus, una localita' che veniva considerata infame. Era infatti il luogo dove si produceva il più pessimo vino di Roma. (e qualcuno vi trova la radice di una vite da cani). Ma era anche il luogo dove un antico oracolo vaticinava, cioè predicava, profetizzava, indovinava. Del resto i romani chiamavano Vaticano la divinità che presiedeva alle prime parole dei bambini, non a caso i primi cristiani volentieri la sostituirono con la venerzione del Primo Vescovo a capo della Chiesa nascente. Poi prese il nome tutta la zona e quindi il monte.

Nel 316-333 per costruirvi l'enorme basilica voluta da Costantino, fu necessario abbattere un grande numero di tombe di questo cimitero, ma si ebbe cura di farla sorgere sopra l'antica memoria eretta secoli prima in onore del santo. Lo schema di questa prima chiesa-basilica detta all'inizio "del Salvatore" era divisa in cinque grandi navate, e di fronte all'abside si trovava la tomba dell'apostolo. Un cofanetto d'avorio trovato a Zara nel 1900, che si trova oggi a Venezia al Museo Archeologico, è l'unica testimonianza che ci rimane di questa basilica, e ci documenta sia l'architettura della stessa e sia l'aspetto di questa tomba dell'Apostolo, l'edicola appunto che abbiamo citata sopra, inserita nell'intero contesto .

In seguito nel 1452, e poi nel 1506 con Bramante, con lo spianamento di tutta l'area per far sorgere l'enorme basilica di San Pietro attuale, si ebbe ancora la cura di far sorgere la cupola esattamente al di sopra della edicola. Dove oggi è possibile visitarla con la fede dovuta.........

Ma quali prove abbiamo ancora?

PIETRO FU DAVVERO A ROMA?

     Una tradizione, assai antica, ha creduto che Pietro sia andato a Roma, dove avrebbe subito il martirio sotto la persecuzione di Nerone. Per secoli questa fu la fede della Chiesa. Solo nel XIV secolo, Marsilio da Padova avanzò dubbi sul fatto che Pietro fosse stato vescovo di Roma. In seguito, larga parte del protestantesimo tentò di mettere in dubbio anche la venuta di Pietro a Roma con evidenti finalità polemiche verso la chiesa cattolica ed il vescovo di Roma.

     Sebbene il Nuovo Testamento non parli chiaramente del martirio romano di Pietro, nel saluto finale della sua prima epistola Pietro dice: "La chiesa che è in Babilonia, eletta come voi, vi saluta" (1 Pietro 5, 13). Poiché l'antica Babilonia giaceva distrutta da molti secoli e in Mesopotamia  non esisteva una comunità cristiana ma solo di una colonia giudaica, Babilonia deve essere per forza il nome simbolico di Roma, nome peraltro assai amato nell'apocalittica giudaica e cristiana (Apocalisse 17-18-19). 

     Clemente Romano (ca. 96 d.C.) per primo parla della morte di Pietro e di Paolo, dicendo: "Per l'invidia e gelosia  furono perseguitate le più grandi e più giuste colonne le quali combatterono sino alla morte. Poniamoci dinanzi agli occhi i buoni apostoli. Pietro che per l'ingiusta invidia soffrì non uno, ma numerosi tormenti nella grande Babilonia, e così col martirio raggiunse il posto della gloria. Fu per effetto di gelosia e discordia che Paolo mostrò come si consegua il premio della pazienza …." (Clemente, 1 Corinzi V, 2-5)

     Ignazio, vescovo di Antiochia, verso il 110 d.C. durante il suo viaggio verso Roma per subirvi il martirio, pur non ricordando il martirio dell'apostolo, scrive alla chiesa ivi esistente di non voler impartire loro "degli ordini come Pietro e Paolo" poiché essi "erano liberi, mentre io sono schiavo" (Ignazio, Ai Romani 4, 3). Siccome Pietro non scrisse alcuna lettera ai Romani, si deve dedurre che egli avesse loro impartito dei comandi di presenza, cioè a voce, come solevano fare gli Apostoli.

     Papia di Gerapoli, verso il 130 d.C. afferma che Pietro scrisse da Roma la sua lettera (Papia in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 15, 2), usando il termine figurato di Babilonia per indicare Roma.

     Origene (185-254) è il primo a ricordarci che Pietro fu crocifisso a Roma con il capo all'ingiù. Egli infatti scrive: "Si pensa che Pietro predicasse ai Giudei della dispersione per tutto il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e l'Asia e che infine venisse a Roma dove fu affisso alla croce con il capo all'ingiù, così infatti aveva pregato di essere posto in croce". (Origene in Eusebio, Storia Ecclesiastica III, 1, 2).<o:p></o:p>

     Dionigi, vescovo di Corinto, verso il 170 d.C., in una lettera parzialmente conservata da Eusebio, attribuisce a Pietro e Paolo la fondazione della chiesa di Corinto e la loro predicazione simultanea in Italia dove assieme subirono il martirio. "Con la vostra ammonizione voi (Romani) avete congiunto Roma e Corinto in due fondazioni che dobbiamo a Pietro e Paolo. Poiché ambedue, venuti nella nostra Corinto hanno piantato e istruito noi, allo stesso modo poi, andati in Italia, insieme vi insegnarono e resero testimonianza (con la loro morte) al medesimo tempo" (Dionigi in Eusebio, Storia Ecclesiastica II, 25).

     Clemente Alessandrino (150-215) ricorda che, "quando Pietro ebbe predicato pubblicamente la Parola a Roma e dichiarato il Vangelo nello Spirito, molti degli ascoltatori chiesero a Marco, che lo aveva seguito da lungo tempo e ricordava i suoi detti, di metterli per iscritto." (Eusebio, Storia Ecclesiastica VI, 14).<o:p></o:p>

     Tertulliano (160-240) ripete che Pietro fu crocifisso a Roma durante la persecuzione neroniana, dopo aver ordinato Clemente, il futuro vescovo romano (Scorpiace XV; Sulla prescrizione degli eretici XXXII); lo stesso Tertulliano ricorda anche il martirio comune di Pietro e Paolo a Roma, sottolineando come Pietro avesse sofferto lo stesso martirio di Gesù e come Paolo fosse stato ucciso come Giovanni Battista (Sulla prescrizione degli eretici XXXVI).

     Ireneo, vescovo di Lione (140-202), ricorda che "Matteo... compone il suo Vangelo mentre Pietro e Paolo predicavano e fondavano la chiesa …" e parla "… della chiesa grandissima e antichissima e a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo …. con questa chiesa, in ragione della sua origine più eccellente, deve essere necessariamente d'accordo ogni chiesa, cioè i fedeli che vengono da ogni parte ….la chiesa nella quale per tutti gli uomini sempre è stata conservata la tradizione che viene dagli apostoli …" (Contro le eresie III, 1-3)<o:p></o:p>

      Eusebio di Cesarea (260-337) ricorda come, sotto il regno di Claudio, la Provvidenza condusse Pietro a Roma per porre fine al potere di Simon Mago (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 14). Egli inoltre ricorda come, a Roma, sotto l'impero di Nerone, Paolo venne decapitato e Pietro crocifisso (Eusebio, Storia Ecclesiastica, II, 25).

     Girolamo (347-420) scrive che "Simon Pietro venne a Roma per debellare Simon Mago …occupò a Roma la cattedra episcopale per 25 anni, fino all'ultimo anno di Nerone …..fu crocifisso con il capo all'ingiù e i piedi rivolti verso l'alto, dichiarandosi indegno di venir crocifisso come il suo Signore" (Gli uomini illustri I).

Cattolico_Romano
00giovedì 6 novembre 2008 10:47

Fu la presenza dei due Apostoli, fondatori della Chiesa di Roma, e qui martirizzati e sepolti che, fin dall’inizio, divenne motivo di convergenza dei pellegrinaggi verso la città. Roma, dopo la libertà di culto del IV secolo, con l’erezione delle basiliche si trasformerà, per diventare quella che oggi ci appare: una città carica di memorie – nelle piazze, nelle vie, nelle chiese, nei monumenti.

Il cristianesimo a Roma, portato in città forse da quegli "stranieri romani" presenti al discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste (Atti 2,10) si sviluppò ben presto in seno alla comunità giudaica. Lo storico Svetonio nella sua "Vita di Claudio", narra che nel 49 l’imperatore espulse da Roma i giudei ivi residenti, per i disordini nati a causa di "Chrestos" cioè di Cristo. E’ la più antica notizia della presenza cristiana a Roma cui Paolo tra il 56-57 indirizza la sua Epistola.

Tacito, grande storico romano, all’inizio del II secolo descrive negli Annali la prima persecuzione, scatenata da Nerone nel 64 dopo l’incendio di Roma contro la comunità cristiana, costituita da una "moltitudine ingente", tanto da non essere annientata neppure dalla feroce persecuzione.

I reperti della mostra parlano dell’inquietudine religiosa nella cultura romana di quegli anni, mentre la sezione storica presenta le testimonianze della presenza degli apostoli Pietro e Paolo a Roma.

Pietro giunse nella capitale dell’impero, in un anno non precisato tra il 42 e il 64. "Vi saluta la chiesa che è in Babilonia" scrive nella sua Prima Lettera (5,13). Babilonia, ormai scomparsa, era allora sinonimo di Roma.

La venuta di Paolo nel 61, è invece precisata da At 28,15. Paolo che si era appellato a Cesare, giunge in catene a Roma, dove trova un gruppo di fratelli cristiani ad attenderlo al Foro di Appio e alle Tre Taverne.

I Padri parlano unanimemente della presenza di Pietro a Roma oggi sostenuta dalla maggioranza degli studiosi, anche tra i fratelli separati.

Oltre alle già ricordate testimonianze dei Padri abbiamo diverse testimonianze archeologiche:

<DIR>
  • Abercio nella sua stele funeraria del 170, parla della sua visita a Roma dicendo in linguaggio simbolico: "…Mi mandò (il Pastore) a Roma a vedere una regina dalle vesti d’oro e dai calzari d’oro…vidi anche un popolo che aveva uno splendido segno…" e Giustino negli stessi anni commenta: "Questa regina è la Chiesa di Roma contrassegnata dal successore di Pietro". </DIR>

    Le sculture di numerosi sarcofagi, presentano i fatti evangelici di Pietro con Gesù; menzionato oltre duecento volte negli scritti neo-testamentari, Pietro emerge come il più autorevole degli apostoli.

    Nel Sarcofago di Giona del Museo Pio Cristiano in Vaticano (III secolo), il registro che sovrasta il grande ciclo biblico, presenta le scene in cui Pietro, novello Mosè, compie il miracolo della fonte nel carcere Mamertino, dove l’apostolo avrebbe battezzato i suoi carcerieri (Atti di Pietro II sec.); viene quindi raffigurato il suo arresto mentre i cristiani a terra lo supplicano di fuggire.

    Frequente è poi la raffigurazione dei miracoli di Pietro raccontati dagli Atti degli Apostoli e soprattutto la scena della "negazione", dove Pietro, con la mano sul mento e accompagnato dalla presenza del gallo, ascolta pensoso la predizione di Gesù (Mc.14,30). Nel Sarcofago dei Due Fratelli (IV secolo) appare la scena della "cathedra Petri" in cui l’Apostolo, dalla fisionomia riconoscibile, siede su un’emergenza rocciosa e legge un rotolo, mentre due soldati assistono alla lettura. Nel Sarcofago di passione (340-360) proveniente da S.Paolo fuori le mura, 4 alberi che accolgono uccelli e nidi, dividono lo spazio come colonne. Al centro appare l’allegoria delle Risurrezione: la croce vittoriosa con la corona e il cristogramma; a sinistra è raffigurato l’arresto di Pietro, a destra, per la prima volta, il martirio di Paolo.

    Nei sarcofagi romani, tra il terzo e il quarto secolo, i racconti relativi a Pietro rappresentano una costante tra i temi raffigurati. Mentre dalla metà del IV secolo sui sarcofagi e nelle absidi mosaicate, compaiono le scene maiestatiche in cui Cristo Signore consegna la legge o le chiavi a Pietro mentre Paolo applaude.

    Bellissimo l’affresco della Catacomba di Commodilla e il mosaico del Mausoleo di S.Costanza. La scena della "consegna delle chiavi" che sancisce il mandato conferito a Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli" (Mt. 16,19) diventerà un tema diffusissimo nell’arte, mentre il simbolo delle chiavi diventerà, a partire dal V secolo, l’attributo di Pietro, così come la spada e il rotolo sarà quello di Paolo.

    Il racconto apocrifo dell’incontro dei due Apostoli e la loro riconciliazione dopo i contrasti ideologici di Gal. 2-7,14, ha prodotto numerosissime opere – medaglioni, vetri dorati, lastre funerarie - dove i due Apostoli appaiono affrontati, faccia a faccia. Tra i più noti, il bellissimo vetro della Biblioteca Vaticana, in cui gli apostoli, ben identificati nelle loro diverse sembianze, sono accomunati dalla corona del martirio o - come nell’epigrafe del loculo di Asellus - dal monogramma di Cristo; oppure vengono raffigurati nell’abbraccio alle porte di Roma prima del martirio, come nell’avorio di Castellammare di Stabia.

    Dopo il IV secolo, le immagini dei due apostoli, nel contesto decorativo delle solenni basiliche mosaicate, entrano nella grande tradizione figurativa cristiana.

    Circa il martirio di Pietro e Paolo a Roma, le testimonianze materiali come quelle letterarie sono numerose. Clemente Romano terzo Papa, nella sua lettera ai Corinzi del 96, porta l’esempio di pazienza degli Apostoli che furono catturati a causa di invidie gelosie e discordie, quindi processati e uccisi "insieme ad una folla di eletti". Pietro, secondo lo storico Eusebio sulla base di uno scritto di Origene, venne crocifisso come gli altri cristiani nel circo di Caligola sulle pendici del colle Vaticano tra il 64 e il 67, crocifisso a testa in giù e sepolto in una tomba terragna nella necropoli esistente lungo il circo. Paolo venne decapitato nella stessa persecuzione sulla via Ostiense e sepolto nella necropoli sulla quale nel 386 venne costruita la basilica costantiniana.

    Sulla tomba dei due apostoli sorse subito un piccolo monumento, una memoria, di cui parla il prete Gaio nel II secolo: "In Vaticano e sulla Via Ostiense, ti mostrerò i trofei (tombe gloriose) di coloro che hanno fondato questa Chiesa". Un discorso che è criterio guida per individuare la linea della retta tradizione mentre esprime la coscienza che la Chiesa di Roma si fonda sulla testimonianza e sul martirio dei due apostoli.

    S.Pietro- scavi – Tomba di Pietro (Trofeo di Gaio sec II)


    Il monumento di Pietro su cui, era convinzione comune, fosse sorta la Basilica elevata da Costantino, venne realmente trovato negli scavi condotti per volere di Pio XII tra il 1939 e il 1949. Vi si rinvenne anche un bollo recanti i nomi di Marco Aurelio e Faustina Augusta sua moglie, databile intorno al 146-161. Il piccolo monumento costruito sopra la tomba terragna di Pietro, era costituito da un’edicola con una nicchia e due colonnine, era addossato ad un "muro rosso" e diviso in due da una lastra orizzontale di travertino. In seguito era stata aggiunta, a lato dell’edicola, un piccolo ambiente di culto; nel muro superstite (detto muro "g") venne ricavato un loculo rivestito di marmo, per deporvi i resti di Pietro. In corrispondenza del loculo, sul "muro rosso", negli anni ’40 il P.Ferrua aveva trovato un frammento graffito con la scritta "Petr…eni" tradotto "Pietro è qui". Le successive ricerche di Margherita Guarducci tra il 1953-58, portarono al rinvenimento di alcune ossa di un uomo di circa 60 anni sepolto nel loculo del muro "g". Su questo muro i fedeli avevano inciso innumerevoli crittografie mistiche, preghiere e invocazioni a Cristo a Maria a Pietro, decifrati dalla stessa Guarducci (M.Guarducci – La tomba di Pietro - Rusconi 92)


  • Cattolico_Romano
    00giovedì 6 novembre 2008 10:47

    LE OSSA DI SAN PIETRO SONO ANCOR OGGI NELLA SUA TOMBA SOTTO L'ALTARE PAPALE DELLA BASILICA VATICANA


    Dal punto di vista storico non sono mai esistiti dubbi sulla venuta di San Pietro a Roma, sulla sua crocifissione e sulla sua sepoltura nella necropoli vaticana, a breve distanza dal luogo del martirio.
    Egli era giunto a Roma nell'anno 41, al tempo dell'imperatore Claudio e vi rimase, salvo una breve interruzione, fino alla morte che subì nell'anno 64, all'inizio della persecuzione di Nerone.
    Questo pazzo imperatore che aveva già fatto avvelenare il fratello, assassinare la madre Agrippina, la moglie Ottavia e aveva ucciso personalmente la seconda moglie Poppea in un raptus di pazzia mise a fuoco la città di Roma.
    Quindi, come afferma lo storico Tacito, (per distogliere da sé l'ira del popolo ne fece ricadere la colpa sui cristiani scatenando contro di essi una feroce persecuzione.
    Fu durante questa persecuzione che, secondo la testimonianza di Clemente romano (Ad Chorinthios, 1, 56), nell'anno 64 Pietro subì il martirio per crocifissione proprio nel circo di Nerone che sorgeva sul colle Vaticano.
    Lo storico Eusebio di Cesarea ci informa che Pietro, non ritenendosi degno di morire come il suo Maestro, chiese ed ottenne di essere crocifisso con il capo all'ingiù.
    Il suo corpo fu seppellito nello stesso colle Vaticano, in un cimitero vicino al luogo del martirio e sulla sua tomba, divenuta subito oggetto di venerazione, i cristiani innalzarono, nel II secolo, un "trofeo" (detto di "Gaio", dal nome dello scrittore cristiano del II secolo che ne parla, come ci riferisce lo storico Eusebio) che, in base agli scavi effettuati negli anni '40, è stato ricostruito così:

     

    Agli inizi del IV secolo, Costantino, l'imperatore che decretò la libertà religiosa per il Cristianesimo, fece erigere, sul luogo dell'antico "trofeo" una grande Basilica a cinque navate, il cui altare maggiore era ubicato esattamente sopra la tomba dell'Apostolo.
    Ecco la ricostruzione generale del complesso monumentale:

     

    Costantino aveva anche raccolto le ossa di San Pietro dal luogo della sepoltura primitiva (un umido loculo interrato) e le aveva poste in un loculo più asciutto, ricavato in un muro che già sorgeva accanto al luogo della sepoltura primitiva.
    Ma di questo diremo diffusamente più sotto, quando parleremo degli scavi ordinati nel 1939 da Pio XII.
    Qui vogliamo solo anticipare che nel Rinascimento l'intera Basilica costantiniana fu demolita da Papa Giulio II e ricostruita dalle fondamenta su disegno del Bramante poi modificato da Michelangelo, dal Maderno e dal Bernini: è l'attuale Basilica Vaticana dominata dalla cupola di Michelangelo, sotto il cui altare, disegnato dal Bernini ed eretto da Papa Clemente VIII, sono ancor oggi custodite le sacre ossa dell'Apostolo.

    Il lettore si chiederà: come sappiamo che le ossa dell'Apostolo Pietro si trovano ancor oggi là sotto?
    Lo sappiamo (oltre che dalla secolare tradizione storica) dai positivi e inconfutabili risultati degli scavi archeologici iniziati nel 1939 e tuttora in fase di sviluppo, come diremo ora.

    Cattolico_Romano
    00giovedì 6 novembre 2008 10:48
    Per molti secoli, praticamemte fino all'inizio del secolo ventesimo, nessun Papa osò ordinare una ispezione archeologica della tomba di San Pietro. La tomba dell'Apostolo incuteva in tutti un sacro timore reverenziale.

    Fu Pio XII che, pochi mesi dopo la sua elezione a Pontefice, volle iniziare gli scavi sotto il pavimento della Basilica Vaticana e specialmente sotto l'altare della Confessione dove, secondo l'ininterrotta tradizione, si sarebbe dovuta trovare la tomba dell'Apostolo.

    Questi scavi Ñdiretti da Mons. Ludovico Kaas coadiuvato dagli archeologi professor Enrico Josi, Padre Antonio Ferrua e Padre Engelbert Kirschbaum e dall'architetto Bruno Maria Apollonj GhettiÑ durarono circa un decennio (dal 1941 al 1950) e portarono dapprima alla scoperta, sotto la Basilica Vaticana, di una vasta necropoli di epoca precristiana, orientata da Ovest ad Est. La sua posizione rispetto alla Basilica è visibile (in nero) nella figura sottostante:
     

    Il lettore potrà notare che l'estrema zona Ovest della necropoli viene a trovarsi proprio sotto la "cupola" michelangiolesca, ossia sotto l'Altare papale detto "della Confessione".
    Se ora osserviamo una pianta più dettagliata di tale necropoli, potremo constatare che l'estrema zona Ovest comprende un cortile abbastanza vasto chiamato dagli archeologi campo "P".

     


    In questo ulteriore ingrandimento della zona Ovest della necropoli, possiamo notare che il campo "P" è delimitato, sulla sinistra di chi guarda, da un muro che va da Nord a Sud, detto "Muro rosso", dal colore dell'intonaco che lo ricopre.

     

    Al centro di questo "Muro rosso" è visibile una piccola nicchia semicircolare e un poco più in alto un piccolo muro, detto muro "G", ricoperto sul lato Nord da numerosi graffiti.

    La figura seguente ritrae in modo molto dettagliato la zona della piccola nicchia e del muro "G".

     

    In essa sono chiaramente visibili il tratto del "Muro Rosso" con la nicchia che fa da sfondo alla Edicola del II secolo e la base delle due colonnine marmoree che sostenevano la lastra di travertino che costituivano l'Edicola o "Trofeo di Gaio" del II secolo.

    Tra la nicchia e la base delle due colonnine, ossia proprio al centro del "Trofeo", gli archeologi di Pio XII ritrovarono il luogo della primitiva sepoltura di Pietro (dell'anno 64), ma lo trovarono vuoto. Come spiegare questo mistero?
    La risposta verrà dal rinvenimento, a nord della sepoltura primitiva, di un loculo, rivestito di marmo, di epoca costantiniana (inizio del IV secolo) che l'Imperatore aveva fatto scavare all'interno di un muro già esistente (il cosiddetto muro "G"). e dove vi aveva deposto, avvolte in prezioso tessuto di porpora e d'oro, le ossa dell'Apostolo.
    La parete nord del Muro "G", era ripiena di graffiti col nome di Cristo, di Maria e di Pietro, ma gli archeologi non vi fecero gran conto.

    * * *

    Di enorme importanza fu invece il ritrovamento di un graffito di sette lettere greche (ricordiamo che il greco era allora la seconda lingua dell'impero), inciso sul "Muro rosso" nella zona di esso alla quale veniva ad appoggiarsi il lato Nord del muro "G". In tal modo il graffito veniva a trovarsi all'interno del Loculo, come risulta dal suo perfetto adattamento alla lacuna rimasta nell'intonaco del "Muro rosso". Ciò ha portato giustamente la professoressa Guarducci ad arguire che quella scritta fosse stata graffita da una mano insinuatasi nel loculo prima della sua chiusura in età costantiniana.

    Tale graffito diceva:

     

    La storia di questo graffito è, a dir poco, rocambolesca. Esso fu trovato su una carriola di detriti dal padre Ferrua, uno dei quattro scavatori ufficiali, il quale (per motivi inspiegabili o, come lui disse, per salvarlo) se l'era portato a casa sua finché, quando nel 1952 la cosa fu risaputa, per ordine di Pio XII dovette restituirlo al Vaticano.

     



    Le sette lettere greche sono così state interpretate esattamente dalla professoressa Margherita Guarducci, epigrafista di fama mondiale:

     



    Facciamo notare che l'esistenza del prezioso graffito essendo venuta a conoscenza purtroppo solo nel 1952 quando la campagna di scavi indetta da Pio XII era da tempo ufficialmente conclusa non poté essere annunciata da Pio XII nel suo solenne annuncio del ritrovamento della Tomba fatto alla chiusura dell'Anno Santo 1950.

    * * *

    Al termine dei lavori, gli archeologi diretti da Mons. Kaas giunsero anche a stabilire con certezza che i successivi rifacimenti dell'altare della Confessione, che vari Papi avevano operato nei secoli (l'altare maggiore della Basilica costantiniana fu rifatto da Gregorio Magno nel VI secolo e poi da Papa Callisto II nel XII secolo e infine da Clemente VIII nel XVI secolo) giacciono tutti uno sopra l'altro e poggiano tutti sull'antico monumento costantiniano.

    Lo spaccato verticale della zona archeologica rappresentato nella fprossima immagine mostra, in basso, il luogo terrigno della primitiva sepoltura del corpo di Pietro' avvenuta subito dopo il martirio, sulla quale, nel II secolo è stata innalzata l' edicola funeraria o ''Trofeo" detto di Gaio. Sulla destra si vede il muro "G'' con il loculo marmoreo dove Costantino trasportò, nel IV secolo, le ossa dell'Apostolo. Il tutto ha come sfondo la parete orientale del ''Muro rosso".

     

    Alla base del disegno si vede il livello del pavimento costantiniano; più in su la base dell'altare di Callisto II (secolo XII) che circondava quello più piccolo eretto nel VI secolo da Gregorio Magno; più in su ancora il piano dell'attuale altare con le colonne a tortiglione del Bernini.
    In sostanza, gli scavi fatti effettuare da Pio XII confermarono archeologicamente quanto già storicamente si sapeva con certezza: che la tomba di San Pietro esiste ancor oggi sotto l'altare papale detto della "Confessione" della Basilica Vaticana, tanto che Pio XII poté dichiarare al mondo nel radiomessaggio natalizio a chiusura dell'Anno Santo 1950: «É stata veramente trovala la tomba di San Pietro? A tale domanda la conclusione dei lavori e degli studi risponde con un chiarissimo "Si": la tomba del Principe degli Apostoli è stata ritrovata!».

    Cattolico_Romano
    00giovedì 6 novembre 2008 10:48

    Al termine degli scavi suddetti, se si era ritrovata con certezza la tomba di San Pietro, non altrettanto si poteva dire per le ossa del Santo.
    Tali scavi infatti misero in luce sia la primitiva tomba interrata sia quella costantiniana ricavata nello spessore del muro "G", ma delle ossa non se ne seppe almeno ­ufficialmente­ nulla.
    Il merito del rinvenimento delle ossa dell'Apostolo va principalmente alla professoressa Margherita Guarducci, il cui nome resterà per sempre legato al ritrovamento e alla identificazione scientifica delle ossa del Santo; e quel che ora diremo non è che il riassunto di quanto la stessa professoressa Guarducci ha scritto nel suo libro: La Tomba di San Pietro edito nel 1989 dalla Editrice Rusconi di Milano. A questo libro appassionante rimandiamo il lettore che volesse approfondire l'argomento.
    La storia del ritrovamento ha veramente del romanzesco. Perché infatti le ossa di San Pietro non furono ritrovate nel Loculo del muro ''G" nel quale Costantino le aveva certamente riposte?
    Per comprenderlo bisogna rifarsi al 1941. In quell'epoca, mons Kaas, che era il sovrintendente agli scavi, per controllare personalmente il procedere dei lavori era solito fare, verso sera, a Basilica chiusa, un giro di ispezione nella zona degli scavi, accompagnato dal "sampietrino" (i "sampietrini" sono gli operai addetti alla manutenzione della Basilica di San Pietro) Giovanni Segoni.
    Una sera, durante l'ispezione, mons. Kaas notò che all'interno del Loculo del muro "G'", in mezzo a vari detriti ivi caduti dalle pareti in seguito alle forti scosse causate dagli scavi, affioravano alcune ossa umane.
    La presenza di queste ossa era sfuggita ai quattro archeologi che vi lavoravano durante il giorno, forse perché giudicarono di nessuna rilevanza archeologica i detriti crollati nel Loculo o forse pensarono di esaminarli in un secondo tempo.
    Ma l'occhio più attento di mons. Kaas o forse quello del "sampietrino" Segoni notarono le ossa; e fu un innato senso di pietà verso i trapassati che Mons Kaas decise di separare subito le ossa dai detriti e di farle mettere dal Segoni in una cassetta di legno che lo stesso Segoni e Mons. Kaas depositarono in un magazzino nelle grotte vaticane.
    Con ciò, scrive la Guarducci, mons. Kaas aveva salvato, pur non sapendolo, le reliquie di Pietro».


    * * *

    Ed ora dobbiamo fare un salto di oltre 10 anni ed arrivare al 1953, anno in cui la professoressa Guarducci ebbe il permesso di scendere a ispezionare le grotte vaticane.
    Il suo compito era quello di studiare i numerosi graffiti esistenti sul muro ''G'' che i precedenti archeologi non erano riusciti a decifrare che in minima parte.
    Ma sentiamo ora il racconto della stessa professoressa:
    «Mentre mi scervellavo per trovare una via dentro quella selva selvaggia [dei graffiti], mi venne in mente che forse mi sarebbe stato utile sapere se qualche altra cosa fosse stata trovata nel sottostante Loculo, oltre i piccoli resti descritti dagli scavatori nella relazione ufficiale.
    Era, per caso, vicino a me Giovanni Segoni, da poco promosso al grado di "capoccia" [capo] dei sampietrini. A lui, che sapevo aver preso viva parte agli scavi, rivolsi dunque la mia domanda, ed egli mi rispose senza esitare:
    Si, qualche altra cosa ci deve essere, perché ricordo di averla raccolta io con le mie mani. Andiamo a vedere se la troviamo".

    Egli mi guidò allora verso il deposito dei materiali ossei, davanti alla cappella di San Colombano. Entrai dunque dietro il Segoni, per la prima volta, in quell'ambiente. Lì, fra casse e canestri pieni di materiali ossei e di altre cose varie, giaceva ancora al suolo la cassetta che più di dieci anni prima il Segoni stesso e mons. Kaas vi avevano deposta...
    Un biglietto, infilato tra la cassetta e il coperchio, molto umido ma ancora perfettamente leggibile, dichiarava che quel materiale proveniva dal muro "G". II Segoni mi disse di averlo scritto egli stesso sotto dettatura di mons. Kaas, ciò che, del resto, era prassi usuale.
    Credetti opportuno e doveroso portare subito la cassetta nello studio dell'Ing. Vacchini [direttore dell'Ufficio tecnico della Fabbrica di San Pietro] e qui, davanti alla finestra, la cassetta fu aperta e ne estraemmo il contenuto.
    Vi trovammo una certa quantità di ossa, di colore spiccatamente chiaro, frammiste a terra, un paio di scaglie di marmo, frammenti di laterizii e di malta, frammenti d'intonaco rosso, piccolissimi frammenti di stoffa rossastra intessuta di fili d'oro, e una moneta medioevale d'argento, che poi risultò battuta a Lucca nell'XI secolo
    [questa moneta risultò poi far parte di altre monete gettate dai fedeli intorno alla tomba di Pietro lungo i secoli, ed anche introdotte nel Loculo attraverso una fessura dell'intonaco tuttora esistente. Il tutto era fortemente impregnato di umidità.
    Nessuno avrebbe potuto ragionevolmente mettere in dubbio la provenienza di quel materiale dal Loculo del muro "G": la dichiarazione del Segoni e l'indicazione del biglietto erano infatti clamorosamente confermate dalla perfetta omogeneità del materiale contenuto nella cassetta con quello del Loculo. Specialmente significativa era la presenza dei frammenti di intonaco rosso nell'una e nell'altro
    ».
    Poi la professoressa Guarducci fa questa confessione che rivela la sua serietà scientifica:
    «Debbo dire, a questo punto, che già mi era balenata nella mente l'idea, ovvia del resto, che il loculo del muro "G" fosse destinato in origine ad accogliere le reliquie di Pietro, e che quest'idea si presentò in seguito, come ipotesi, anche ad altri studiosi.
    Allora però, davanti ai resti recuperati, io mi sentii fortemente scettica...».
    La professoressa voleva evidentemente che il riconoscimento di quelle ossa fosse condotto con estremo rigore scientifico e da diversi specialisti nelle varie scienze mediche, paleoantropologiche, storiche, ecc. E di fatto tali esami iniziarono subito e si protrassero per ben 10 anni, fino al giugno del 1963.
    Nel 1956, come antropologo fu scelto dalle autorità della Fabbrica di San Pietro il celebre professor Venerando Correnti che, dopo aver esaminato altri reperti ossei (che risultarono però appartenere a più persone) prese a studiare le ossa contenute nella cassetta che chiamò VMG perché sapeva che provenivano dal Vano del Muro "G".

    Ed ecco il risultato dei suoi studi:

    ­ le ossa appartenevano ad un unico individuo;

    ­ esse appartenevano a un individuo di sesso maschile e di robusta costituzione vissuto circa 2000 anni fa;

    ­ l'età dell'individuo oscillava tra i 60 e i 70 anni;

    ­ esse costituivano, in volume, circa la metà del totale dello scheletro e rappresentavano tutte le parti del corpo, cranio compreso (27 frammenti), esclusi i piedi;

    ­ tutte le ossa erano incrostate di terra;

    ­ alcune ossa sporgenti presentavano tracce regolari di colore rossastro che facevano pensare a un involucro di tessuto.

    Ora, tutte queste caratteristiche si adattavano perfettamente ella persona di Pietro.


    Continua la professoressa Guarducci:


    «Pensai anche al graffito del "Muro rosso"  "PETROS ENI'"(Pietro è qui dentro), esistente nell'interno del loculo, al di sopra delle ossa.
    Si fece allora strada nella mia mente un illuminante pensiero: che fossero veramente quelle le ossa di Pietro?...
    L'affascinante idea andava sempre più affermandosi. Tutti gli elementi convergevano verso tale soluzione con impressionante coerenza, tanto che già il 25 novembre 1963 potei annunciare a Paolo VI che, con estrema probabilità, le ossa di Pietro erano state identificate».


    Intanto le indagini scientifiche venivano estese al campo merceologico e chimico, condotte dalla professoressa Maria Luisa Stein e dal professor Paolo Malatesta dell'Università di Roma e portarono, per quanto riguardava i tessuti, a risultati importanti. Esse dimostrarono che si trattava di un finissima stoffa tinta con autentica porpora di murice e che l'oro era autentico e purissimo: lo stesso tipo di tessuto porporino intrecciato con oro nel quale venivano avvolti i corpi degli Imperatori o dei personaggi degni di altissimo onore!

    Anche la terra incrostata alle ossa fu sottoposta ad esame petrografico dai professori Carlo Lauro e Giancarlo Negretti: si trattava di terra (sabbia marnosa) perfettamente analoga alla terra del campo "P", il che confermava la provenienza di quelle ossa dal Loculo interrato che giaceva sotto l'edicola del II secolo.

    * * *

    A conclusione di tali accertamenti e di altri rigorosissimi fatti negli anni seguenti da scienziati di tutto il mondo, Paolo VI, durante l'udienza pubblica nella Basilica Vaticana del 26 giugno 1968, annunciò ai fedeli che le ossa di Pietro erano state ritrovate e identificate.
    Il giorno seguente' giovedì 27 giugno 1 l968, le reliquie del corpo di Pietro furono solennemente riportate nel Loculo del muro "G" dove Costantino le aveva deposte sedici secoli prima e da dove, 27 anni prima, mons. Kaas le aveva inconsapevolmente tolte, salvandole però in tal modo da quasi sicura dispersione.
    Le ossa dell'Apostolo erano precedentemente state racchiuse in 19 contenitori di plexiglas a tenuta stagna, legati da un filo di rame argentato fermato con il sigillo della Fabbrica di San Pietro.


    L'ENORME PORTATA STORICA, TEOLOGICA ED ECUMENICA DEL RITROVAMENTO DELLE OSSA DI PIETRO.


    1 ­ L'archeologia è, tra le scienze, forse la più ''concreta'': essa ha per oggetto realtà materiali, visibili, palpabili. I reperti storici sono lì da vedere e ognuno li può studiare, analizzare, datare in modo oggettivo col sussidio di quasi tutte le altre scienze sperimentali come la fisica, la chimica, ecc.
    Essa è, a sua volta, una scienza sussidiaria della storia. É vero che la storia ha le sue proprie fonti letterarie e di tradizione orale, ma trova nella archeologia una fonte sussidiaria che conferma in modo oggettivo e palpabile i dati delle altre fonti e talvolta li corregge e li precisa.
    Ebbene, con il rinvenimento della tomba e delle ossa di Pietro, la bimillenaria ed ininterrotta tradizione storica della venuta di San Pietro a Roma, della sua permanenza come Vescovo, del suo martirio e della sua sepoltura, riceve una conferma irrefutabile e consolantissima.

    2 ­ Inoltre non è chi non veda quanto questo rinvenimento conforti ciò che da sempre la teologia cattolica ha sostenuto: ossia che il Primato sugli altri Apostoli conferito da Cristo a Pietro si trasmette, in forza della successione nella Cattedra di Pietro, ai Vescovi di Roma, fino alla fine del mondo.
    Si deve qui ricordare che tutto il mondo protestante aveva sempre negato, cominciando dallo stesso Lutero, la presenza della tomba (e delle ossa) di Pietro a Roma.
    Ma questa negazione era evidentemente strumentale, dato che Lutero stesso, il quale conosceva benissimo le tradizioni letterarie al riguardo, non poteva ignorare la verità di questo dato storico.
    Ma, tant'è, quando un'ideologia offusca la mente di un uomo questi non arretra neppure davanti alla negazione e al capovolgimento delle più evidenti realtà storiche!
    Questa negazione ha percorso e sostenuto tutta la polemica teologica anticattolica dei protestanti (e degli ortodossi), fino ai nostri giorni, ed il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro dovrebbe indurre al ripensamento gli attuali negatori del Primato del Vescovo di Roma su tutta l'unica Chiesa di Cristo!
    Un bell'esempio di ravvedimento ci è offerto da un grande studioso protestante, che fu anche Osservatore al Concilio Vaticano II, Oscar Cullmann: dopo l'annuncio di Pio XII del ritrovamento della Tomba, egli uscì a dire alla Guarducci: «Ma che tomba avete trovato? Non c'è il nome, non ci sono le ossa...»; ma quando, quattordici anni dopo, la stessa professoressa Guarducci gli sottopose la documentazione archeologica della presenza del nome di Pietro accanto e nella tomba, e le ossa identificate con assoluta certezza, allora sul suo volto si dipinse lo sbalordimento e una mal repressa vena di disappunto, superato però subito dal desiderio di sapere tutto sulla straordinaria scoperta (Cfr. O.C. pag. 99).

    3 ­ Da ultimo ci piace sottolineare l'enorme portata ecumenica di questo ritrovamento archeologico.
    Il vero ecumenismo non è il cammino verso l'Unione per giungere alla Verità, ma è il cammino verso la Verità per giungere all'Unione; perché la Verità precede e fonda l'Unione, come Cristo, che è la Verità, precede e fonda l'unica Chiesa.
    Il ritrovamento della tomba e delle ossa di Pietro sono un provvidenziale richiamo a tutti noi su come dobbiamo condurre il nostro impegno ecumenico: anzitutto nella fedeltà personale al Magistero della Chiesa Cattolica; poi nella proposizione integrale dell'umica Verità ai fratelli separati; e, solo dopo, nella ricerca fraterna di un dialogo che appiani le loro difficoltà e li conduca ad accettare la Verità tutta intera.
    Non è certamente merito nostro se siamo nati e cresciuti nell'unica vera Chiesa che Cristo ha fondato su Pietro; ma sarebbe nostro eterno demerito se ci lasciassimo sedurre dal desiderio di far presto l'Unione e di farla a qualunque costo. Quanti sbagli sono stati commessi e quanto tempo è stato perduto da chi ha voluto percorrere questa via! Che le sacre Reliquie del Principe degli Apostoli (le uniche fino ad oggi ritrovate di un Apostolo!) ci richiamino costantemente a perseguire l'Unità solo passando per la Verità, che è Cristo!


    Cattolico_Romano
    00giovedì 6 novembre 2008 10:49
     
    collegamento a: Gruppo di Ricerca e di Informazione Socio-religiosa - diocesi di Saluzzo

    ARTE e FEDE


    Pietro e Paolo, radici di Roma - La presenza dei due apostoli nell'arte della capitale.

    Tra i graffiti le testimonianze della fede.

    Corriere di Saluzzo - 27 ottobre 2000 - articolo a cura di Mirella LOVISOLO




    Roma-S Pietro- Baldacchino di Bernini sulla tomba di Pietro


    Roma continua ad attirare folle di pellegrini e turisti. Ma perché Roma?

    Perché Roma è il centro della cristianità? Perché ad essa guardano da 2000 anni uomini di ogni cultura? Quali sono le radici profonde di questa realtà?

    Sono interrogativi cui rispondevano, con la semplicità dei fatti, i reperti archeologici datati tra il II e IV secolo raccolti nella mostra "PIETRO E PAOLO. LA STORIA, IL CULTO, LA MEMORIA DEI PRIMI SECOLI" organizzata nel 2000 dal "Meeting per l’amicizia tra i popoli" a Roma nel Palazzo della Cancelleria.

    Fu la presenza dei due Apostoli, fondatori della Chiesa di Roma, e qui martirizzati e sepolti che, fin dall’inizio, divenne motivo di convergenza dei pellegrinaggi verso la città. Roma, dopo la libertà di culto del IV secolo, con l’erezione delle basiliche si trasformerà, per diventare quella che oggi ci appare: una città carica di memorie – nelle piazze, nelle vie, nelle chiese, nei monumenti.

    Il cristianesimo a Roma, portato in città forse da quegli "stranieri romani" presenti al discorso di Pietro nel giorno di Pentecoste (Atti 2,10) si sviluppò ben presto in seno alla comunità giudaica. Lo storico Svetonio nella sua "Vita di Claudio", narra che nel 49 l’imperatore espulse da Roma i giudei ivi residenti, per i disordini nati a causa di "Chrestos" cioè di Cristo. E’ la più antica notizia della presenza cristiana a Roma cui Paolo tra il 56-57 indirizza la sua Epistola.

    Tacito, grande storico romano, all’inizio del II secolo descrive negli Annali la prima persecuzione, scatenata da Nerone nel 64 dopo l’incendio di Roma contro la comunità cristiana, costituita da una "moltitudine ingente", tanto da non essere annientata neppure dalla feroce persecuzione.

    I reperti della mostra parlano dell’inquietudine religiosa nella cultura romana di quegli anni, mentre la sezione storica presenta le testimonianze della presenza degli apostoli Pietro e Paolo a Roma.

    Pietro giunse nella capitale dell’impero, in un anno non precisato tra il 42 e il 64. "Vi saluta la chiesa che è in Babilonia" scrive nella sua Prima Lettera (5,13). Babilonia, ormai scomparsa, era allora sinonimo di Roma.

    La venuta di Paolo nel 61, è invece precisata da At 28,15. Paolo che si era appellato a Cesare, giunge in catene a Roma, dove trova un gruppo di fratelli cristiani ad attenderlo al Foro di Appio e alle Tre Taverne.

    I Padri parlano unanimemente della presenza di Pietro a Roma oggi sostenuta dalla maggioranza degli studiosi, anche tra i fratelli separati.

    Nel II secolo, Ireneo vescovo di Lione nell’opera "Contro le eresie" scrive: "Poiché sarebbe troppo lungo enumerare le successioni di tutte le chiese, prenderemo la chiesa grandissima e antichissima a tutti nota, la chiesa fondata e stabilita a Roma dai due gloriosissimi apostoli Pietro e Paolo...dopo aver fondato ed edificato la chiesa i beati Apostoli affidarono a Lino il servizio dell’episcopato…cui succede Anacleto. Dopo di lui al terzo posto…Clemente il quale aveva visto gli Apostoli e aveva nelle orecchie la loro predicazione…così è giunta sino a noi la tradizione che è nella chiesa a partire dagli apostoli…".

    <DIR>
  • Abercio nella sua stele funeraria del 170, parla della sua visita a Roma dicendo in linguaggio simbolico: "…Mi mandò (il Pastore) a Roma a vedere una regina dalle vesti d’oro e dai calzari d’oro…vidi anche un popolo che aveva uno splendido segno…" e Giustino negli stessi anni commenta: "Questa regina è la Chiesa di Roma contrassegnata dal successore di Pietro". </DIR>

    Le sculture di numerosi sarcofagi, presentano i fatti evangelici di Pietro con Gesù; menzionato oltre duecento volte negli scritti neo-testamentari, Pietro emerge come il più autorevole degli apostoli.


    Musei Vaticani Stele di Abercio sec. II.

    Nel Sarcofago di Giona del Museo Pio Cristiano in Vaticano (III secolo), il registro che sovrasta il grande ciclo biblico, presenta le scene in cui Pietro, novello Mosè, compie il miracolo della fonte nel carcere Mamertino, dove l’apostolo avrebbe battezzato i suoi carcerieri (Atti di Pietro II sec.); viene quindi raffigurato il suo arresto mentre i cristiani a terra lo supplicano di fuggire.

    Frequente è poi la raffigurazione dei miracoli di Pietro raccontati dagli Atti degli Apostoli e soprattutto la scena della "negazione", dove Pietro, con la mano sul mento e accompagnato dalla presenza del gallo, ascolta pensoso la predizione di Gesù (Mc.14,30). Nel Sarcofago dei Due Fratelli (IV secolo) appare la scena della "cathedra Petri" in cui l’Apostolo, dalla fisionomia riconoscibile, siede su un’emergenza rocciosa e legge un rotolo, mentre due soldati assistono alla lettura. Nel Sarcofago di passione (340-360) proveniente da S.Paolo fuori le mura, 4 alberi che accolgono uccelli e nidi, dividono lo spazio come colonne. Al centro appare l’allegoria delle Risurrezione: la croce vittoriosa con la corona e il cristogramma; a sinistra è raffigurato l’arresto di Pietro, a destra, per la prima volta, il martirio di Paolo.

    Sarcofago di Passione con l’arresto di Pietro e martirio di Paolo


    Nei sarcofagi romani, tra il terzo e il quarto secolo, i racconti relativi a Pietro rappresentano una costante tra i temi raffigurati. Mentre dalla metà del IV secolo sui sarcofagi e nelle absidi mosaicate, compaiono le scene maiestatiche in cui Cristo Signore consegna la legge o le chiavi a Pietro mentre Paolo applaude.

     Catacomba di Commodilla - Consegna delle chiavi

    Bellissimo l’affresco della Catacomba di Commodilla e il mosaico del Mausoleo di S.Costanza. La scena della "consegna delle chiavi" che sancisce il mandato conferito a Pietro: "A te darò le chiavi del regno dei cieli e tutto ciò che scioglierai sulla terra sarà sciolto anche nei cieli" (Mt. 16,19) diventerà un tema diffusissimo nell’arte, mentre il simbolo delle chiavi diventerà, a partire dal V secolo, l’attributo di Pietro, così come la spada e il rotolo sarà quello di Paolo.

    Il racconto apocrifo dell’incontro dei due Apostoli e la loro riconciliazione dopo i contrasti ideologici di Gal. 2-7,14, ha prodotto numerosissime opere – medaglioni, vetri dorati, lastre funerarie - dove i due Apostoli appaiono affrontati, faccia a faccia. Tra i più noti, il bellissimo vetro della Biblioteca Vaticana, in cui gli apostoli, ben identificati nelle loro diverse sembianze, sono accomunati dalla corona del martirio o - come nell’epigrafe del loculo di Asellus - dal monogramma di Cristo; oppure vengono raffigurati nell’abbraccio alle porte di Roma prima del martirio, come nell’avorio di Castellammare di Stabia.

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  • Vetro della Biblioteca Vaticana – Pietro e Paolo </DIR></DIR></DIR></DIR></DIR></DIR>

    Dopo il IV secolo, le immagini dei due apostoli, nel contesto decorativo delle solenni basiliche mosaicate, entrano nella grande tradizione figurativa cristiana.

    Circa il martirio di Pietro e Paolo a Roma, le testimonianze materiali come quelle letterarie sono numerose. Clemente Romano terzo Papa, nella sua lettera ai Corinzi del 96, porta l’esempio di pazienza degli Apostoli che furono catturati a causa di invidie gelosie e discordie, quindi processati e uccisi "insieme ad una folla di eletti". Pietro, secondo lo storico Eusebio sulla base di uno scritto di Origene, venne crocifisso come gli altri cristiani nel circo di Caligola sulle pendici del colle Vaticano tra il 64 e il 67, crocifisso a testa in giù e sepolto in una tomba terragna nella necropoli esistente lungo il circo. Paolo venne decapitato nella stessa persecuzione sulla via Ostiense e sepolto nella necropoli sulla quale nel 386 venne costruita la basilica costantiniana.

    Sulla tomba dei due apostoli sorse subito un piccolo monumento, una memoria, di cui parla il prete Gaio nel II secolo: "In Vaticano e sulla Via Ostiense, ti mostrerò i trofei (tombe gloriose) di coloro che hanno fondato questa Chiesa". Un discorso che è criterio guida per individuare la linea della retta tradizione mentre esprime la coscienza che la Chiesa di Roma si fonda sulla testimonianza e sul martirio dei due apostoli.

    S.Pietro- scavi – Tomba di Pietro (Trofeo di Gaio sec II)


    Il monumento di Pietro su cui, era convinzione comune, fosse sorta la Basilica elevata da Costantino, venne realmente trovato negli scavi condotti per volere di Pio XII tra il 1939 e il 1949. Vi si rinvenne anche un bollo recanti i nomi di Marco Aurelio e Faustina Augusta sua moglie, databile intorno al 146-161. Il piccolo monumento costruito sopra la tomba terragna di Pietro, era costituito da un’edicola con una nicchia e due colonnine, era addossato ad un "muro rosso" e diviso in due da una lastra orizzontale di travertino. In seguito era stata aggiunta, a lato dell’edicola, un piccolo ambiente di culto; nel muro superstite (detto muro "g") venne ricavato un loculo rivestito di marmo, per deporvi i resti di Pietro. In corrispondenza del loculo, sul "muro rosso", negli anni ’40 il P.Ferrua aveva trovato un frammento graffito con la scritta "Petr…eni" tradotto "Pietro è qui". Le successive ricerche di Margherita Guarducci tra il 1953-58, portarono al rinvenimento di alcune ossa di un uomo di circa 60 anni sepolto nel loculo del muro "g". Su questo muro i fedeli avevano inciso innumerevoli crittografie mistiche, preghiere e invocazioni a Cristo a Maria a Pietro, decifrati dalla stessa Guarducci (M.Guarducci – La tomba di Pietro - Rusconi 92)


    Tomba di Pietro- Graffito sul "muro rosso"

    Invocazione a Cristo e a Pietro


    Nel III secolo, forse a causa della persecuzione di Valeriano, i corpi di Pietro e Paolo vennero, con probabilità, temporaneamente sistemati nella Memoria Apostolorum, lattuale Catacomba di S.Sebastiano. Del loro culto qui celebrato il 29 giugno, restano, commovente e visibile testimonianza, le centinaia di invocazioni graffite sul muro della triclia. (F.Bisconti - Memoria apostolorum - 2000 - Catalogo Mostra)

    La tomba di Pietro, collocata sulle pendici del Vaticano nel luogo di una precedente necropoli pagana, diventò centro di convergenza per altre sepolture cristiane. Il Trofeo di Pietro venne inserito nell’altare di un monumento più ampio nell’interno della Basilica costruita da Costantino a partire dal 320. Nei secoli successivi si ebbero altre sovrapposizioni sino a giungere all’attuale altare della basilica michelangiolesca del 1594. L’altare papale che si trova sotto il baldacchino del Bernini è collocato esattamente al di sopra del primo monumento e, dunque, al di sopra della tomba di Pietro.

    Nelle Grotte Vaticane, attraverso l’arco aperto nel 1979 è visibile la "confessione," il sepolcro di Pietro. La nicchia del "Trofeo" - oggi "nicchia dei Pallii"- rivestita del mosaico del Salvatore e collocata in posizione decentrata per la presenza del muro "g", nel rivestimento di marmi preziosi, resta ancora a testimoniare "Pietro è qui".

    Mirella LOVISOLO


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    Cattolico_Romano
    00giovedì 6 novembre 2008 10:49
     
    Ancora dopo anni e anni di discussioni noto che siamo sempre daccapo.
    Potrei inserire pagine e pagine di documenti ma credo che questo sia già esauriente.
    Cliccate sulle immagini e ingrandite le pagine
         
                                 
      
    Con affetto


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