Per una pastorale del matrimonio indissolubile

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Cattolico_Romano
00giovedì 28 maggio 2009 19:46
Per una pastorale del matrimonio indissolubile

Nessuno è escluso dall'amore di Cristo


di Inos Biffi



L'unità e indissolubilità del matrimonio e il non sposarsi "per il regno di Dio" rappresentano le due inattese e sorprendenti novità del Vangelo. Annunciarle al mondo ebraico e soprattutto a quello pagano - sulla cui condotta abbiamo l'impressionante e realistica descrizione nel primo capitolo della lettera di Paolo ai Romani - significava proporre i principi e le norme che portavano a un rivolgimento inaudito e a un rinnovamento radicale. La Chiesa, fedele alla Parola di Cristo, lo ha fatto dall'inizio, a partire non da un dialogo delle culture, che sarebbero state sorde e non avrebbero capito, ma da tre altre precise persuasioni:  la prima, che quelle novità traducevano il disegno di Dio sull'uomo e attuavano una compiuta promozione umana; la seconda, che la trasmissione di quel Vangelo rappresentava un compito permanente e non volubile della predicazione cristiana; terzo, che quelle novità erano accompagnate dalla grazia, che sa toccare e convertire il cuore dell'uomo.

Ci soffermiamo qui sull'indissolubilità del matrimonio cristiano di fronte alla prassi del divorzio. L'affermazione di Cristo è perentoria e inequivocabile:  il ripudio era stato una condiscendenza alla "durezza del cuore", ma era contrario all'originario disegno di Dio sull'uomo e sulla donna:  "All'inizio non fu così" (Matteo, 19, 8). Nel progetto del Creatore l'uomo e la donna nel matrimonio sono destinati a formare "una sola carne", per cui l'uomo non deve dividere quello che Dio ha congiunto. Di conseguenza - dichiara Gesù - "chiunque ripudia la propria moglie,  se non in caso di unione illegittima,  e  ne  sposa un'altra, commette  adulterio" (Matteo, 19, 9). E vale sia per l'uomo sia per la donna:  "se questa,  ripudiato il marito, ne sposa un altro, commette adulterio" (Marco, 10, 12).

Nelle attuali discussioni, vivaci e non raramente confuse anche all'interno della Chiesa, il primo punto, che importa richiamare senza incertezze, riguarda precisamente questa indissolubilità. Deve, cioè, emergere che il divorzio, cioè il risposarsi, contrasta con la volontà di Gesù e che esso non corrisponde al progetto divino o alla ragione per la quale sono stati creati l'uomo e la donna. In altre parole, un matrimonio dissolubile contraddice e infrange quel disegno "iniziale" al quale Cristo ha inteso ricondurre perentoriamente chi scelga di essere suo discepolo. Certo, uno è libero di non diventare discepolo di Cristo ma, se lo diviene, non può concepire un proprio e differente modello di sponsalità.

Ciò che oggi appare più grave e preoccupante non sono, tuttavia, dei comportamenti di infedeltà, ma la pretesa di una professione cristiana che si accompagni con l'annebbiamento o la contestazione relativa al tassativo principio dell'indissolubilità del matrimonio, nella persuasione che un allentamento di tale indissolubilità sia segno da parte della Chiesa di maggiore umanità, rispetto a una concezione - quella stessa di Cristo - che sarebbe troppo severa e immisericordiosa.

Certo l'indissolubilità del matrimonio non è compiutamente comprensibile fuori dal Vangelo; essa suscita istintivamente sorpresa e reazione. Del resto, alla sua proposizione da parte di Cristo i discepoli non mancarono di reagire:  "Se questa è la situazione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi" (Matteo, 19, 10). Ma non per questo egli corregge il suo progetto. In ogni caso, l'essere "una sola carne" è il suggello che contrassegna l'unione sponsale del cristiano, cioè del credente, il quale la considera secondo il giudizio di Cristo e quindi secondo la sensibilità della fede. Al declinare della fede non stupisce che succeda fatalmente anche il rigetto di questa prerogativa del matrimonio, strettamente connesso con il contenuto del Credo cristiano.

La prima pastorale della Chiesa verso i divorziati - ossia i cristiani validamente sposati che hanno contratto un altro vincolo coniugale - e la prima comprensione verso quanti di loro hanno sinceramente a cuore la loro fede cristiana non può consistere in una giustificazione del divorzio, ma, all'opposto,  deve richiamare e far comprendere,  con una attenzione illuminata, innanzi  tutto il valore dell'indissolubilità.
Questo non vuol dire indifferenza di fronte a situazioni non di rado estremamente complesse, soprattutto quando al divorzio sia seguita la formazione di altri nuclei familiari, con la presenza di figli, che hanno il diritto di avere e di sentire vicini il padre e la madre. Una sapiente attenzione a tali situazioni saprà sostenere, consigliare e anche confortare, con prudente e delicato discernimento, e con soluzioni variabili a seconda dei casi, lasciando a Dio il giudizio sulle singole responsabilità:  una grossolana durezza o uno sbrigativo trattamento non sono mai evangelici, come non lo è l'insensibilità a tante sofferenze che spesso si ritrovano in matrimoni venuti meno.

Ma in tutto questo dovrà sempre risaltare senza esitazione il matrimonio indissolubile come il solo conforme al Vangelo, e di conseguenza la scelta e lo stato del divorzio come scelta e stato, dal profilo cristiano ed ecclesiale, anomali, in se stessi affatto difformi dal disegno sponsale voluto da Dio e rivelato da Gesù Cristo. In sintesi, la via irrinunciabile per il risanamento in senso cristiano del matrimonio è di ribadirne l'indissolubilità e di richiamare il Vangelo. Si tratta, infatti, di comprendere che essa non è pura proibizione e costrizione.

L'apostolo Paolo insegna che l'"essere una sola carne" dell'"inizio" prefigurava e anticipava il mistero della sponsalità stessa di Cristo nei confronti della Chiesa (Efesini, 5, 31-32). Il matrimonio, nella sua divina progettazione, fu da subito una profezia e un anticipo di questo legame di amore per la Chiesa, che Gesù ha consumato sulla Croce e che è destinato a segnare lo stato sponsale dei suoi discepoli. Anzi, lo stesso matrimonio non cristiano - o naturale, come si dice, che ha la sua validità e il suo valore - è in condizione di incompiutezza, di sofferenza e di obiettiva aspirazione, fin che non si converta e non si risolva nel matrimonio che Cristo ha definito come appartenente alla sua fondazione divina "iniziale". Solo che per questo sono necessarie la fede per accoglierlo e la grazia, che è mediata dal sacramento, per viverlo.

Com'è noto, è oggi motivo di animate discussioni la comunione ai divorziati risposati. Ma, per comprendere i termini della questione, importa anzitutto mettere in luce il valore sia della comunione eucaristica sia dell'appartenenza alla Chiesa, ed è proprio quanto ci sembra sia largamente disatteso e assente sia nella considerazione dei fedeli sia anche talora in quella di pastori, che invece per primi dovrebbero farne oggetto di riflessione.

La comunione eucaristica non consiste in un semplice conforto religioso, in una specie di gratificazione spirituale, o in una iniziativa lasciata al singolo cristiano, che certamente non cessa, anche se divorziato, di far parte della Chiesa, o in un diritto da lui rivendicabile. Da un lato, la comunione eucaristica rappresenta la più intima unione con il Corpo e il Sangue di Gesù Cristo, la sua assunzione sacramentale (cioè reale), il pieno consenso alla sua volontà, il compimento e la perfezione del rapporto con lui. Dall'altro lato, la condizione del divorziato - da distinguere nettamente dalla colpa dell'infedeltà, che può essere perdonata - come ogni peccato - dice uno stato di evidente contrasto rispetto al piano divino di matrimonio da lui rivelato e voluto per i suoi discepoli e in cui l'indissolubilità è intrinsecamente inclusa. È esattamente questa antinomia tra la condizione del divorziato e il contenuto dell'Eucaristia che dev'essere anzitutto rilevata.

Ma anche il valore e il significato dell'appartenenza ecclesiale sono abitualmente trascurati nella questione della comunione ai divorziati. La partecipazione alla mensa eucaristica comporta e manifesta il proprio essere pienamente nel Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa. Eucaristia e Chiesa si implicano reciprocamente.

Vanno, al riguardo, ribadite con chiarezza due cose. La prima:  che il divorziato non si trova escluso dalla Chiesa, non solo perché la Chiesa in varie forme lo prende a cuore e prega per lui, ma anche perché lui stesso è chiamato a pregare, anzi a prender parte all'orazione della Chiesa nell'assemblea liturgica. La seconda:  che, a motivo del divorzio, per altro oggetto di una sua libera scelta, il divorziato si trova in una situazione ecclesialmente ed eucaristicamente dissonante. Né deve stupire che si affermi, per un verso, che non deve tralasciare l'assemblea eucaristica  senza  che, per l'altro verso, riceva il Corpo e il Sangue del Signore.

La tradizione della Chiesa conosce queste forme ridotte di partecipazione:  i catecumeni, per esempio, non partecipavano a tutta la celebrazione; la categoria dei penitenti a sua volta si asteneva, in attesa che, compiuto l'itinerario penitenziale, ricevendo l'Eucaristia rientrassero in piena comunione con la Chiesa.

Vi è poi la comunione spirituale, ossia di desiderio, assai fraintesa e quasi resa insignificante, ma a cui san Tommaso riconosceva una grandissima efficacia per il raggiungimento dello stesso frutto ultimo - o della "realtà" (res) - dell'Eucaristia. La non ammissione alla comunione sacramentale tiene viva nella coscienza della Chiesa che il divorzio è in contrasto radicale con l'immagine che Cristo ha del matrimonio; che l'ammorbidirne la radicalità è la via sbagliata per restaurare questa immagine e rinnovare in senso evangelico la famiglia. E, d'altronde, a nessuno, nella misura della sua buona volontà, è lasciata  mancare la grazia della misericordia  e  della  salvezza. Non si tratta di essere convenzionali o anticonvenzionali, ma semplicemente  di sapere che cos'è per un cristiano l'Eucaristia,  la quale non è un bene o una proprietà di cui il sacerdote possa disporre.

L'atteggiamento della Chiesa era già enunciato chiaramente dalla Congregazione per la Dottrina della Fede, in una Lettera ai vescovi della Chiesa cattolica:  i divorziati che si sono risposati civilmente "si trovano in una situazione che oggettivamente contrasta con la legge di Dio e perciò non possono accedere alla Comunione eucaristica, per tutto il tempo che perdura tale situazione". "Questa norma non ha affatto un carattere punitivo o comunque discriminatorio verso i divorziati risposati, ma esprime piuttosto una situazione oggettiva che rende di per sé impossibile l'accesso alla Comunione eucaristica:  "Sono essi a non poter esservi ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita contraddicono oggettivamente a quell'unione di amore tra Cristo e la Chiesa, significata e attuata dall'Eucaristia. C'è inoltre un altro peculiare motivo pastorale; se si ammettessero queste persone all'Eucaristia, i fedeli rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa sull'indissolubilità del matrimonio" (Familiaris consortio)". "Ricevere la Comunione eucaristica in contrasto con le norme della comunione ecclesiale è quindi una cosa in sé contraddittoria. La comunione sacramentale con Cristo include e presuppone l'osservanza, anche se talvolta difficile, dell'ordinamento della comunione ecclesiale, e non può essere retta e fruttifera se il fedele, volendo accostarsi direttamente a Cristo, non rispetta questo ordinamento".

Al clero di Aosta, il 25 luglio 2005, Benedetto XVI diceva:  "Partecipare all'Eucaristia senza comunione eucaristica non è uguale a niente, è sempre essere coinvolti nel mistero della Croce e della risurrezione di Cristo. È sempre partecipazione al grande Sacramento nella dimensione spirituale e pneumatica; nella dimensione anche ecclesiale se non strettamente sacramentale". E aggiungeva:  "Occorre, dunque, fare capire che anche se purtroppo manca una dimensione fondamentale tuttavia essi non sono esclusi dal grande mistero dell'Eucaristia, dall'amore di Cristo qui presente. Questo mi sembra importante, come è importante che il parroco e la comunità parrocchiale facciano sentire a queste persone che, da una parte, dobbiamo rispettare l'inscindibilità del Sacramento e, dall'altra parte, che amiamo queste persone che soffrono anche per noi. E dobbiamo anche soffrire con loro, perché danno una testimonianza importante, perché sappiamo che nel momento in cui si cede per amore si fa torto al Sacramento stesso e l'indissolubilità appare sempre meno vera".

Qualcuno potrebbe notare che queste nostre sono riflessioni troppo impegnative per i fedeli. In verità sono riflessioni semplicemente contenute nel messaggio cristiano, che devono far parte dell'abituale predicazione e catechesi della Chiesa, occupata anzitutto nella pastorale del matrimonio indissolubile.



(©L'Osservatore Romano - 29 maggio 2009)
Cattolico_Romano
00martedì 2 giugno 2009 08:02
Intervista al presidente della Conferenza episcopale italiana cardinale Angelo Bagnasco

Modelli credibili per riscoprire valori solidi


di Marco Bellizi

Una "cultura liquida", dove mancano le basi per costruire un solido edificio umano; una società frammentata e individualista, dove i giovani sono vittime e talvolta protagonisti in negativo; un Paese dove persistono situazioni di disagio, dove molte famiglie sono in difficoltà perché hanno perso o stanno perdendo il lavoro. Il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Conferenza episcopale italiana, illustra a "L'Osservatore Romano" le urgenze del Paese, esaminate e discusse nel corso dell'assemblea generale dei vescovi italiani appena conclusasi. Fra queste urgenze, quella educativa assume un'importanza cruciale. La risposta, spiega il cardinale, deve venire dalla testimonianza credibile, da modelli coerenti. Nella speranza di riscoprire i valori che contano.

Eminenza, parlando di urgenza educativa, si è detto che uno dei problemi è quello della formazione permanente, dei fedeli laici come anche di chi è chiamato all'interno della Chiesa ad assumere un compito formativo.

Nella mia prolusione ho citato espressamente Romano Guardini per dire che "la luce si accende solamente con la luce". Mi riferivo naturalmente proprio agli educatori, che devono essere persone vive, adulte, mature, appassionate, altrimenti non possono svolgere un'opera educativa. Pertanto il tema della formazione permanente riguarda anche gli educatori ed è, senza dubbio, un tema sempre attuale. Tanto più che in un processo educativo c'è sempre, come sappiamo, un'interazione fra il discepolo e il maestro.

Ma c'è a suo avviso la necessità di una formazione permanente per i laici?

Anche nel decennio pastorale che si sta concludendo - che, come è noto, è stato dedicato all'annuncio e alla comunicazione del Vangelo - si è fatto riferimento, in fondo, al tema dell'educazione. Oggi però vediamo attorno a noi quanto sia ancor più necessario riapprofondire la cultura cattolica da parte dell'intera comunità cristiana. È questa dunque un'istanza ben presente al cuore dei Vescovi, che proprio per questo hanno individuato nel compito urgente dell'educare il tema degli Orientamenti pastorali per il prossimo decennio.

In Italia alcuni giornali hanno parlato diffusamente della questione dei divorziati cattolici e delle loro sofferenze. Ritiene ci sia la necessità di porre un'attenzione particolare alla pastorale del matrimonio?

In realtà, da sempre c'è attenzione verso la pastorale del matrimonio. Il Vangelo della vita, della famiglia, del matrimonio sono questioni da sempre al centro dell'evangelizzazione. Certamente in questi ultimi anni, a seguito di quella diffusa fragilità che si individua in molte situazioni in cui purtroppo il matrimonio e la famiglia entrano in crisi, si richiede un investimento ancora più capillare. Quindi l'attenzione della Chiesa - che da sempre è rivolta all'istituzione familiare, ritenuta cellula fondante della società e rispondente al disegno divino e al sacramento che Cristo ha istituito - deve essere ancora maggiore nelle nostre comunità cristiane.

Uno dei sintomi della crisi educativa è il diffuso relativismo dei valori. Questo particolare aspetto come va combattuto?

L'emergenza educativa o urgenza, o sfida educativa, come si vuole dire, provoca anzitutto noi adulti, come ho detto nella prolusione, che dobbiamo essere testimoni credibili. Quindi punti di riferimento, modelli credibili ai quali i giovani possano guardare con fiducia e con attrattiva. Questo è il punto principale. Come ho detto altre volte, il problema fondamentale dei giovani sono gli adulti, siamo noi. Perché io ritengo che nei giovani ci sia un animo, un cuore che cerca ideali grandi per rispondere alla propria vita con generosità e anche con sacrificio. Questo è il primo elemento da tenere presente. Inoltre è necessario avere criteri educativi chiari, solidi, che vadano anche controcorrente se necessario, contro le mode dominanti, che partano da una antropologia completa che per noi cristiani si radica nella persona di Gesù Cristo, come ci ricorda anche il concilio Vaticano ii. Da qui bisogna partire per avere il coraggio, la fiducia, la speranza di poter educare le giovani generazioni che sono portatrici di questa domanda interiore. Ce lo ricorda il Santo Padre, Benedetto XVI, quando in diversi discorsi ha esortato a non avere paura di fronte al compito educativo. Noi non dobbiamo avere paura. È possibile educare, non dobbiamo arrenderci, perché sono i giovani stessi a chiedere questo aiuto a noi adulti.

Si sono potuti ravvisare dei motivi per i quali la questione educativa è divenuta così urgente negli ultimi tempi?

In una cultura fortemente segnata dal relativismo e dall'individualismo, si vive dentro un'atmosfera dove l'unità della persona si è smarrita. Ora, dentro alla frantumazione, alla divisione della persona, e quindi della società, nessuno vive bene. Ecco allora manifestarsi i sintomi di un disagio profondo che non tarda a produrre fatti molto gravi e deprecabili, quali ci riporta la cronaca. È un disagio che nasce dal vivere in una società e in una cultura molto liquida, friabile, dove non c'è nulla di solido su cui poggiare e costruire l'edificio umano. Questo clima culturale interpella il mondo degli adulti, chi ha responsabilità educative, e spinge a prendere sul serio questa urgenza.

Nella prolusione lei ha fatto riferimento al pericolo strisciante di eugenetica insito in alcune interpretazioni anche giurisprudenziali della legge 40 del 2004, quella sulla fecondazione assistita. Quali sono i punti critici?

La legge 40, che è in sé imperfetta, stabiliva un limite preciso di tre embrioni da impiantare insieme. Ora, invece, andare oltre i tre embrioni e superare l'obbligo dell'unico e contemporaneo impianto - consentendo pertanto di scegliere gli embrioni - comporta il rischio di favorire, sia pure indirettamente, una mentalità e una pratica di tipo eugenetico. E pone un interrogativo molto serio e grave sul destino degli embrioni non impiantati.

Domenica si è tenuta la colletta nazionale che serve a finanziare il "prestito della solidarietà", un contributo per rispondere alla crisi economica che colpisce anche l'Italia. Molti hanno esortato a cogliere le opportunità che vengono dalla crisi, come per esempio, riconsiderare stili di vita più sobri. Altri già dicono che il peggio è passato. Si può fare già un bilancio:  questa opportunità è stata colta o no?

Dal punto di vista della contingenza economica, se sta passando, se ci sono segnali, questo non posso dirlo perché non ho la competenza sufficiente. Come pastori noi, naturalmente, lo speriamo. Ci sono tante iniziative che arrivano da molte parti, dalle istituzioni governative, dal volontariato, dalla società. Tutto questo è molto positivo. Poi se siamo quasi fuori dal guado, questo io non posso saperlo. Certamente, come pastori rileviamo ancora con preoccupazione il persistere di alcune situazioni di disagio diffuso di tante famiglie che hanno perso o stanno perdendo il lavoro. Questo è il disagio che noi registriamo, in un contesto dal quale cerchiamo in tutti i modi di venire fuori. Tra le diverse iniziative c'è appunto quella dei vescovi italiani, che abbiamo chiamato "prestito della speranza".

Si è parlato nel corso dell'assemblea generale dei due aspetti di un'unica diaconia, quello della carità e quello della verità sull'uomo. È solo un problema di contenuti o c'è anche un problema di comunicazione? Mi riferisco soprattutto a quanti ancora continuano a vedere la Chiesa come Chiesa dei "no".

Questa è una visione decisamente sbagliata e incompleta, perché come è stato detto più volte - a cominciare dal Convegno ecclesiale di Verona del 2006 - la fede "è il grande sì di Dio" - e quindi della Chiesa che continua nel mondo la grande opera di Cristo - "alla vita dell'uomo", cioè alla sua libertà, alla sua intelligenza, alla sua esigenza di amore. La Chiesa continua a essere amica dell'uomo in tutte le sue espressioni, come Cristo è stato ed è amico dell'uomo e della vita. Dentro a questo grande "sì" vi sono e vi devono essere dei "no" puntuali, come per un padre e una madre che vogliono infinitamente bene al proprio figlio e proprio in nome di questo bene e di questo amore dicono anche dei "no" su certi punti. Il "no" è anche un po' l'altra faccia del "sì". Del sì all'amore, alla vita e all'uomo. Bisogna che la comunità cristiana cerchi di spiegare sempre meglio questa dinamica ma anche che chi ascolta smetta ogni pregiudizio e accolga veramente le ragioni di questa prospettiva che è una prospettiva positiva, radicalmente amica del mondo e proprio per questo deve dire delle cose che possono suonare come dei limiti. Ma dentro certi limiti vi è l'affermazione e la realizzazione della verità e del bene. Per quanto riguarda il rapporto fra verità e carità, io ne ho parlato dicendo che sono i due volti di un unico servizio, di un'unica diaconia della Chiesa verso il mondo. La diaconia della carità certamente raccoglie tantissimi consensi. Ma la diaconia della verità è la base della carità stessa, perché riguarda la verità di Dio e la verità dell'uomo. Quindi non si possono scindere queste due diaconie. La Chiesa non può fare a meno di essere fedele al suo Signore e al mondo.

Nella prolusione ha fatto cenno anche alla situazione delle terre colpite dal terremoto dell'aprile scorso. Quali particolari necessità si ravvisano, in termini di ricostruzione del tessuto sociale e sotto l'aspetto pastorale?

Devo dire anzitutto che non è stata solo L'Aquila a essere colpita dal terremoto ma anche altri territori, altre diocesi. Certamente L'Aquila è stata devastata e questo suscita in tutti il sentimento di una grande vicinanza e di un grande dolore per le vittime e per coloro che in un colpo hanno perso affetti e cose, frutto di una vita. Noi come vescovi ci siamo fatti vivi con un contributo di cinque milioni, cui ha fatto seguito una colletta in tutte le parrocchie che sta dando un grande frutto. Questo contributo, attraverso la Caritas italiana e le Caritas diocesane, andrà per progetti mirati indicati sia dalla Caritas nazionale, che sarà presente in loco, sia dai vescovi e dai sacerdoti della diocesi. Ci auguriamo che la solidarietà per questi nostri fratelli e sorelle che sono stati colpiti dal terremoto possa essere occasione per tutta l'Italia di riscoprire i valori che contano veramente.


(©L'Osservatore Romano - 1-2 giugno 2009)
Cattolico_Romano
00domenica 14 giugno 2009 17:19
 

Che cos'è il matrimonio?

È quella speciale comunione di vita e d'amore tra un uomo e una donna, in cui si attuano particolari proprietà e finalità.



Quali sono le proprietà e finalità del matrimonio?

  • Sono varie e complementari:
    • la reciproca donazione personale, propria ed esclusiva del marito e della moglie;
    • l'etero-sessualità che porta alla complementarità interpersonale;
    • l'unità;
    • la fedeltà;
    • l'indissolubilità;
    • la fecondità;
    • il bene dei coniugi (mutuo aiuto, rispetto, assistenza…);
    • l'educazione dei figli;
    • l'apertura e l'impegno verso la comunità cristiana e sociale.
  • Tali proprietà e finalità sono rilevanti già sul piano umano, a maggior ragione lo sono nella vita cristiana, ove il matrimonio è Sacramento.



Quale relazione si instaura tra l'uomo e la donna nel matrimonio?

L'uomo e la donna sono uguali in quanto persone e complementari in quanto maschio e femmina. In tal modo si perfezionano a vicenda. La loro unione comprende anche la dimensione sessuale, dove corpo e spirito si uniscono, "così che non sono più due, ma una carne sola" (Mt 19,6), e nello stesso tempo collaborano con Dio alla generazione e alla educazione di nuove vite umane.
L'unione matrimoniale, secondo l'originario disegno divino, è indissolubile: "Quello che Dio ha congiunto, l'uomo non lo separi" (Mt  19,6).



Dove si fonda tale concezione?

Questa concezione del matrimonio:
  • è stata voluta da Dio Creatore, che, all'inizio del mondo, ha creato l'uomo "maschio e femmina" (Gn 1,27);
  • è evidenziata dalla retta ragione;
  • è riconosciuta come tale da tutte le grandi religioni;
  • è elevata da Cristo alla dignità di Sacramento;
  • ha come modello la Santa Famiglia di Nazareth, che è il prototipo e l'esemplare di tutte le famiglie cristiane.


Quale rapporto c'è tra matrimonio e famiglia?

La famiglia è la società naturale fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna. Pertanto un uomo e una donna, uniti in matrimonio, costituiscono insieme ai loro figli una famiglia. Ognuno di loro è persona uguale in dignità agli altri, pur avendo ciascuno proprie e complementari responsabilità.



Dove si fondano il matrimonio e la famiglia?

“Matrimonio e famiglia non sono una costruzione sociologica casuale, frutto di particolari situazioni storiche ed economiche. Al contrario, la questione del giusto rapporto tra l’uomo e la donna affonda le sue radici dentro l’essenza più profonda dell’essere umano e può trovare la sua risposta soltanto a partire da qui. (…) Il matrimonio come istituzione non è quindi una indebita ingerenza della società o dell’autorità, l’imposizione di una forma dal di fuori nella realtà più privata della vita; è invece esigenza intrinseca del patto dell’amore coniugale e della profondità della persona umana”.  (Benedetto XVI, Discorso al Convegno della Diocesi di Roma, 6 giugno 2006).



Qual è il ruolo della famiglia?

  • A livello sociale, essa è:
    • un'istituzione naturale insostituibile;
    • la cellula fondamentale e centrale della società, elemento fondamentale del bene comune di ogni società, vero pilastro portante per l'avvenire dell'umanità;
    • il primo ed essenziale livello del l'articolazione sociale;
    • la prima società naturale, «un’istituzione divina che sta a fondamento della vita delle persone, come prototipo di ogni ordinamento sociale» (Pont. Cons. Della Giustizia e della Pace, Compendio della dottrina sociale della Chiesa, 211);
    • il luogo primario dell’'umanizzazione della persona e della società;
    • la sorgente e la risorsa primaria della società e della solidarietà;
    • la fondamentale esperienza di comunione e responsabilità umana e sociale;
    • l'ambiente di promozione sociale della persona;
    • la portatrice di valore storici, sociali ed economici.
  • A livello della persona, la famiglia è:
    • l'ambiente della comunione di vita e d'amore della persona;
    • la  culla della vita e dell’amore;
    • il luogo naturale della trasmissione e continuità della vita, di crescita e tutela della persona;
    • il focolare nel quale la vita umana nasce e viene accolta generosamente e responsabilmente; l'ambito in cui la persona si educa per la vita, e in cui i genitori, amando con tenerezza i propri figli, li preparano a stabilire sane relazioni interpersonali che incarnino i valori morali e umani;
    • la titolare di diritti originari, significativamente riconosciuti, in genere, anche a livello civile;
    • la scuola delle virtù umane e cristiane;
    • la palestra di valori umani e civili;
    • la comunità di Fede, Speranza e Carità;
    • il luogo del primo annuncio e della crescita-testimonianza della Fede cristiana;
    • la Chiesa domestica, santuario della vita e della crescita cristiana della persona.
  • «La Santa Sede ha voluto riconoscere una speciale dignità giuridica alla famiglia pubblicando la Carta dei diritti della famiglia. Nel Preambolo si legge: «I diritti della persona, anche se espressi come diritti dell’individuo, hanno una fondamentale dimensione sociale, che trova nella famiglia la sua nativa e vitale espressione». I diritti enunciati nella Carta sono espressione ed esplicitazione della legge naturale, iscritta nel cuore dell’essere umano e a lui manifestata dalla ragione. La negazione o anche la restrizione dei diritti della famiglia, oscurando la verità sull’uomo, minaccia gli stessi fondamenti della pace» (Benedetto XVI, Messaggio per la giornata della pace, 1-1-2008).



Che cosa significa che il matrimonio è Sacramento?

Significa che il matrimonio, il quale affonda le sue radici nel Cuore di Dio Creatore, è segno efficace dell'alleanza di Cristo e della Chiesa (cfr. Ef  5,32). Il matrimonio cristiano cioè manifesta ed incarna l'amore sponsale di Cristo per la Chiesa: "Voi mariti amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa" (Ef  5,25), dando la propria vita per essa.
Questo significato cristiano non sminuisce, ma conferma e rafforza il valore umano del matrimonio.



Perché l'amore coniugale è indissolubile?

I motivi dell' indissolubilità dell' amore coniugale sono:
  • la natura stessa dell'amore coniugale che è totale e fedele
  • il progetto originario di Dio
  • il bene dei figli
  • l'essere 'segno sacramentale' dell'amore indissolubile di Cristo per la Chiesa.


Qual è il significato dell'atto sessuale coniugale?

Esso ha un duplice significato: unitivo (la complementare donazione d'amore, totale e definitiva, del marito e della moglie) e procreativo (l'apertura alla procreazione di una nuova vita).



È morale impedire la procreazione?

  • Qualsiasi rapporto sessuale coniugale deve rimanere aperto, di per se stesso, alla trasmissione della vita.
    Perciò è intrinsecamente disonesta ogni azione che, in previsione o nel compimento o nello sviluppo delle conseguenze naturali del rapporto coniugale, si proponga, come scopo o come mezzo, di rendere impossibile la procreazione.
  • La contraccezione:
    • si oppone gravemente alla castità matrimoniale;
    • è contraria al bene della trasmissione della vita (aspetto procreativo del matrimonio) e alla donazione reciproca dei coniugi (aspetto unitivo del matrimonio);
    • ferisce il vero amore e nega il ruolo sovrano di Dio nella trasmissione della vita umana.



Come possono gli sposi attuare moralmente la regolazione delle nascite?

Con la continenza periodica e il ricorso ai periodi infecondi della donna.
La testimonianza delle coppie che da anni vivono in armonia con il disegno del Creatore e lecitamente utilizzano, quando ve ne sia la ragione proporzionatamente seria, i metodi giustamente detti "naturali", conferma che gli sposi possono vivere integralmente, di comune accordo e con piena donazione le esigenze della castità e della vita coniugale.



Perché i divorziati risposati non possono accedere alla S. Comunione?

  • Essi non possono accedere alla S. Comunione, in quanto lo impedisce la loro stessa oggettiva situazione di divorziati risposati, essendo gravemente contraria all'insegnamento di Cristo. Non si tratta di nessuna discriminazione, ma soltanto di fedeltà assoluta alla volontà di Cristo che ci ha ridato e nuovamente affidato l'indissolubilità del matrimonio come dono del Creatore.
  • Per i divorziati risposati, l'accesso alla S. Comunione eucaristica è aperto unicamente dall'assoluzione sacramentale, che può essere data solo a quelli che, pentiti di aver violato l'insegnamento di Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più in contraddizione con l'indissolubilità del matrimonio. Ciò comporta, in concreto, che quando l'uomo e la donna, per seri motivi - quali, ad esempio, l'educazione dei figli - non possono soddisfare l'obbligo della separazione, assumano l'impegno di vivere in piena continenza, come fratello e sorella, astenendosi dagli atti sessuali coniugali. In tal caso essi possono accedere alla S.Comunione eucaristica, fermo restando tuttavia l'obbligo di evitare lo scandalo (ad esempio ricevendo la S. Comunione in una Chiesa, ove non sono conosciuti).


È facile per gli sposi vivere le esigenze della vita coniugale e familiare?

  • Facile non è, ma neppure impossibile. Dio non chiede cose impossibili.
    Soprattutto a chi glielo chiede, Egli dona la grazia dello Spirito Santo che, liberando gli sposi dalla durezza del cuore, li rende capaci di realizzare compiutamente, seppure gradualmente, le proprietà e le finalità della vita coniugale e familiare. Mediante il dono dello Spirito Santo, gli sposi sono resi partecipi della capacità di amare di Cristo (carità coniugale).
  • Nel cammino verso la santità, il cristiano sperimenta sia l'umana debolezza, sia la benevolenza e la misericordia del Signore. Perciò la chiave di volta dell'esercizio delle virtù cristiane, e perciò anche della castità coniugale, poggia sulla Fede che ci rende consapevoli della misericordia di Dio e sul pentimento che accoglie umilmente il perdono divino.
  • È indispensabile pertanto il frequente e perseverante ricorso alla preghiera, all'Eucaristia e al Sacramento della Riconciliazione.
    Il 'carico', proprio degli sposi, non è dolce e leggero in quanto piccolo o insignificante, ma diventa leggero perché il Signore, e insieme con Lui tutta la Chiesa, lo condivide.



Il matrimonio e la famiglia possono essere equiparate ad altro tipo di convivenza?

Assolutamente no. Attesa la natura del matrimonio e della famiglia, bisogna evitare di fare una equiparazione fra famiglia legittima e unioni di fatto, tra famiglia e forme di convivenza non matrimoniali, sia eterosessuali sia omosessuali. Una simile omologazione non trova oltretutto alcun fondamento in un buon ordinamento costituzionale civile.



Quali sono i compiti della società e dello Stato nei confronti della famiglia?

  • La Società e lo Stato hanno il diritto e il dovere di:
    • riconoscere i diritti della famiglia e adottare ogni misura idonea a favorire l'adempimento dei compiti che le competono. "La famiglia ha diritto a tutto il sostegno dello Stato per svolgere appieno la propria peculiare missione" (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace del 1994, 5);
    • garantire l'esercizio più ampio dei diritti e dei doveri familiari, anche promuovendo le responsabilità genitoriali;
    • favorire la pari dignità delle persone e il superamento degli ostacoli che ne impediscono l'effettiva realizzazione;
    • tutelare l'infanzia e i diritti dei minori e degli anziani, con adeguate misure di sostegno alle giovani coppie, ai nuclei familiari socialmente svantaggiati, a quelli numerosi, tenendo conto anche dei reali bisogni dei coniugi, degli anziani e delle nuove generazioni;
    • sostenere la famiglia nell'adempimento della sua funzione sociale ed economica;
    • orientare a tal fine le politiche sociali, economiche e finanziarie e di organizzazione dei servizi;
    • rispettare il principio di 'sussidiarietà', per cui lo Stato non deve sostituirsi alla famiglia nell' adempimento del suo ruolo e delle sue funzioni, ma semmai in caso di necessità deve aiutarla e sostenerla. Infatti il principio-guida di una vera politica familiare è il principio di sussidiarietà, il quale riconosce alla famiglia il suo protagonismo, la sua qualità di risorsa primaria per la società, un soggetto da promuove e non solo da assistere quando è in difficoltà;
    • dare adeguata informazione circa l'accesso alle procedure di adozione.
  • Lo Stato deve anche, con adeguata legislazione, affermare, tutelare e promuovere il matrimonio e la famiglia, riservando loro il posto fondamentale, unico ed esclusivo che spetta loro nella società e non equiparandoli a nessun altro tipo di unione o convivenza.
  • La stessa Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, in particolare l’articolo 16, sancisce:
    • Uomini e donne in età adatta hanno il diritto di sposarsi e di fondare una famiglia, senza alcuna limitazione di razza, cittadinanza o religione. Essi hanno eguali diritti riguardo al matrimonio, durante il matrimonio e all’atto del suo scioglimento;
    • il matrimonio potrà essere concluso soltanto con il libero e pieno consenso dei futuri coniugi;
    • la famiglia è il nucleo naturale e fondamentale della società e ha diritto ad essere protetta dalla società e dallo Stato.


Il Primicerio
della Basilica dei Santi Ambrogio e Carlo in Roma
Monsignor Raffaello Martinelli

 

NB: per approfondire l’argomento, ecco alcuni documenti pontifici:
  • CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA (CCC), nn. 1601-1666; 2331-2400; COMPENDIO del CCC, nn. 337-350; 487-502;
  • CONCILIO VATICANO II, Gaudium et spes, nn.47-50;
  • PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Carta dei diritti della famiglia, 22-10-1983;
  • PAOLO VI, Lettera Enciclica Humanae vitae, 1968;
  • GIOVANNI PAOLO II, Esor. Ap. Familiaris consortio,1982; Lettera Ap. Mulieris dignitatem, 1988;
  • CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Istr. Donum vitae, 1988; Lettera ai Vescovi della Chiesa Cattolica sulla collaborazione dell 'uomo e della donna nella Chiesa e nel mondo, 2004.

Cattolico_Romano
00giovedì 2 luglio 2009 08:14
Per una pastorale della famiglia

La priorità dell'educazione


di Inos Biffi

Uno dei segni più evidenti e sorprendenti della riuscita dell'evangelizzazione nell'ambito coniugale fu l'instaurazione del matrimonio indissolubile, secondo il progetto di Cristo. Si venne così istituendo una forma inedita nel modo di concepire l'amore dell'uomo e della donna, conforme all'esempio dell'"inizio" - così Cristo stesso lo aveva chiamato - che ebbe come conseguenza un nuovo modello di famiglia.

Tale modello non fu l'esito di un confronto con le esigenze e la sensibilità della cultura del tempo:  se l'evangelizzazione si fosse stemperata nel dialogo - che talvolta oggi viene prospettato non come mezzo ma come fine - essa non sarebbe affatto riuscita. Al contrario, il matrimonio indissolubile e la famiglia stabile furono la risultanza di una radicale e netta trasformazione della mentalità diffusa e del costume corrente. Trasformazione certamente laboriosa, progressiva e, si potrebbe dire, non mai definitiva, ma da cui sorse una cultura nuova:  la cultura cristiana, che si tradusse in una varietà di istituzioni che assunsero l'impronta del Vangelo.



Si sa che l'espressione e soprattutto il concetto di cultura cristiana oggi non ricevono cordiale e simpatica accoglienza. Sembrerebbe anzi che sia un progresso liberarsi dalla svolta costantiniana - per usare un'espressione, storicamente fondata e valida, ma in genere caricata di negatività, soprattutto negli ultimi decenni - per vivere finalmente la dimensione della cosiddetta laicità.

In realtà, è proprio il progressivo disgregarsi della cultura cristiana che maggiormente dovrebbe preoccupare i credenti e, in particolare, i pastori d'anime. Sarebbe confortante se, per esempio, si facesse largo la convinzione che senza cultura cristiana non c'è futuro. E, infatti, come si fa a non vedere che, con l'offuscarsi di quanto è sorto e si è costituito in forza del Vangelo, i credenti vengono esposti alla deriva? Che a motivo di questo clima di annebbiamento e di corrosione delle istituzioni, sorte grazie all'evangelizzazione, vengono a introdursi tacitamente e poi a imporsi ineluttabilmente nuovi modelli di vita e d'esperienza?

Così, nel campo del matrimonio, sembrò a non pochi cattolici che la legislazione della possibilità del divorzio fosse un atteggiamento di liberazione civile, a cui potevano ricorrere i non cristiani, mentre i cristiani avrebbero potuto proseguire tranquillamente nella loro scelta del matrimonio indissolubile. Il ragionamento aveva tutta l'apparenza d'essere avveduto e intelligente, ma non lo era, poiché dimenticava che, con la legislazione sul divorzio, mentre via via si demoliva la cultura cristiana in merito, s'insinuava progressivamente e fatalmente nei credenti stessi - e in particolare nelle nuove generazioni - un altro modello di matrimonio, oltre quello dell'amore coniugale indissolubile, e cioè il modello coniugale divorzista. Ed è quanto sta ormai avvenendo.

Ma qui vorremmo riflettere sulla nuova figura di famiglia che si sta diffondendo nella mentalità comune e che non può non toccare gli stessi cristiani:  una figura anche naturalmente distorta, che appare come l'inevitabile ricaduta del frantumarsi del matrimonio indissolubile.
La pastorale è attenta giustamente alla condizione ecclesiale dei divorziati, dibatte sulla loro possibilità di ricevere l'Eucaristia, e discute sui loro diritti nella comunità cristiana. Credo, però, che la prima preoccupazione della Chiesa debba riguardare l'immagine della famiglia alterata col divorzio, e quindi il diritto dei figli, che per questo motivo si sono trovati privi di quella "pace familiare" (pax familiae) - così la chiama Tommaso d'Aquino - senza la quale non può avvenire una normale educazione.

E proprio a proposito dell'educazione è molto interessante quanto esattamente insegna san Tommaso. Egli ripete che il fine compiuto del matrimonio non è semplicemente quello di generare dei figli, dal momento che tale generazione può avvenire anche fuori del matrimonio, ma è l'educazione dei figli stessi, che invece fuori dal matrimonio sarebbe precaria e incerta.

Ciò a cui mira per natura il matrimonio "non è puramente la generazione della prole, ma è la trasmissione della vita e insieme la sua promozione (promotio) fino al raggiungimento di uno stato umano perfetto". E aggiunge Tommaso d'Aquino che "il figlio non potrebbe essere istruito ed educato", se fosse privo di riferimenti estremamente precisi e concreti, cioè "se non avesse dei genitori determinati e certi (determinati et certi)", che in modo diverso concorrono all'educazione. Così, l'atteggiamento della madre si distingue rispetto a quello del padre per il suo stile di maggiore tenerezza e premurosità - circa prolem mater est magis officiosa - peraltro tenendo presente che tale impegno educativo non si esaurisce in breve:  "Il figlio ha bisogno della cura dei genitori per lungo tempo (usque ad longum tempus)".

Ancora san Tommaso, nel Commento alle Sentenze riportate nel Supplementum della Summa Theologiae, afferma che "quando si parla di prole si deve intendere non solo la sua procreazione, ma anche la sua educazione, alla quale è ordinato tutto il lavoro che insieme compiono l'uomo e la donna uniti in matrimonio". La procreazione come tale si limita a conferire l'esistenza, mentre l'intento dell'educazione è quello della "disciplina", consistente nell'"educazione e istruzione" (educatio et instructio), che esigono una "comunione indivisa" e "un assiduo stare insieme (diuturna commansio)" dei genitori. Tommaso d'Aquino non ignora certamente che sia possibile un'opera formativa fuori dal contesto fisico familiare; d'altronde, lui stesso dall'infanzia fino all'adolescenza fu oblato a Montecassino.

Sappiamo poi tutti sia che per diverse circostanze ci può essere una provvida e talora necessaria supplenza dei genitori nell'educazione, sia che a questa stessa educazione concorrono, oltre a quelli del padre e della madre, altri formativi e positivi riferimenti nell'ambito della medesima famiglia o in un ambito extrafamiliare, e sia che l'"assiduo stare insieme" non è sempre agevolmente e uniformemente attuabile. Senza dire che neppure a questo è in modo sicuro garantito il successo educativo.

Aggiungiamo che l'unità familiare educativa non può certo essere intesa né chiusa in se stessa né autosufficiente in vista della formazione. Rimane però il principio - che non ci appare affatto sorpassato - della famiglia, e quindi dei genitori stabilmente uniti, come contesto e risorsa naturale e normale per l'educazione, che segue la generazione.

Ed è quanto la pratica del divorzio sta minando e compromettendo con la cosiddetta famiglia allargata e mobile, che moltiplica i "padri" e le "madri" e fa sì che oggi gli "orfani" siano non quelli che ne sono privi, ma quelli che ne hanno troppi e in eccedenza, che li abbiano diversi a giorni o a tempi alterni, e che essi siano considerati come degli oggetti facilmente trasferibili.

Non è astratto il rischio che proprio questa sovrabbondanza di genitori a intermittenza e queste inevitabili interferenze e intrecci di rapporti, mentre generano interne conflittualità, smarrimenti e confusioni, contribuiscano a loro volta a creare e a imprimere nei figli stessi una tipologia alterata di famiglia, alla quale va in qualche modo assimilata la stessa convivenza, a causa della sua precarietà. Di solito ci si appella al "diritto" dei coniugi alla propria felicità affettiva e quindi alla loro "libertà" di divorziare. Senonché, su questo diritto, se così lo si vuole chiamare, dei genitori, deve prevalere il diritto dei figli, che si trovano a subire una situazione per loro innaturale.

Anche, se pur non soprattutto, su questo tema dell'immagine della famiglia devono essere attenti i pastori, con il richiamare la stretta connessione tra il matrimonio indissolubile e l'educazione dei figli; tra il matrimonio secondo il Vangelo e l'azione educativa della famiglia. La questione della comunione ai divorziati e del loro statuto nella comunità cristiana viene dopo.

Il declinare dunque - in nome di una pretesa e liberante laicità - della cultura cristiana, di cui fanno parte tanto il matrimonio indissolubile quanto la famiglia chiara e consistente che ne deriva, non solo altera l'identità e lo stile coniugale di un discepolo di Cristo, ma con le sue dissociazioni pregiudica e compromette l'equilibrio educativo che la famiglia è chiamata a fornire secondo il diritto naturale, fermo restando che la stessa natura è risanata e perfezionata dalla grazia.


(©L'Osservatore Romano - 2 luglio 2009)
S_Daniele
00mercoledì 27 gennaio 2010 11:47
Consenso coniugale e requisito della fede

Il matrimonio fra contratto e sacramento


di Giuseppe Sciacca

Prelato uditore della Rota Romana


Con dovizia di ragionamento e di puntuali e abbondanti riferimenti vuoi alla dottrina, vuoi alla giurisprudenza della Romana Rota, vuoi al Magistero, Giacomo Bertolini, giovane ma già apprezzato e maturo canonista, formatosi alla scuola di riconosciuti maestri, quali Paolo Moneta e Sandro Gherro, ha consegnato a due cospicui volumi dal titolo Intenzione coniugale e sacramentalità del Matrimonio (Padova, Cedam, 2008, pagine 296, euro 27)le sue riflessioni su un argomento salebroso, si direbbe con latineggiante parola, ma non certamente astratto, nell'odierna temperie socio-culturale che non manca, naturalmente, di investire la vita e i comportamenti pratici, le scelte esistenziali dei credenti, seppur trattasi di questione che taluno potrebbe considerare come di scuola, per essere essa paradigmatica e per le molteplici rifrazioni che su di essa si proiettano, di natura canonistico-teologica e pastorale
.
 
È la vexata quaestio del rapporto che intercorre tra il consenso coniugale, da cui germina il matrimonio, sacramento e contratto, e la dignità sacramentale che eo ipso sorge dal matrimonio celebrato tra battezzati, come avverte lapidariamente il canone 1055 2 Codex Iuris Canonici.

Occorre da subito rilevare che, senza nulla sottrarre al valore dell'opera che presentiamo, il sottoscritto sarebbe indotto a ritenere conclusa la questione, e cioè che sacramento e contratto, per il battezzato, fan tutt'uno, secondo l'espressione sancita nella celeberrima sentenza rotale, risalente ai primordi della ricostituzione del Tribunale Apostolico, coram monsignor Persiani, del 27 agosto 1910, che definisce proximum fidei il principio dell'inseparabilità tra contratto e sacramento.

E siffatta conclusione si fonda sul Magistero Pontificio più recente, laddove il servo di Dio Giovanni Paolo ii, facendosi eco consapevole dell'insegnamento costante dei predecessori, rivolgendosi ai prelati uditori nell'udienza del 30 gennaio 2003, così ebbe inequivocabilmente ad esprimersi:  "È decisivo tener presente che un atteggiamento dei nubendi che non tenga conto della dimensione soprannaturale del matrimonio, può renderlo nullo solo se ne intacca la validità sul piano naturale nel quale è posto lo stesso segno sacramentale", ribadendo quanto egli stesso aveva affermato nell'udienza del 1° febbraio 2001:  "A partire dal concilio Vaticano ii è stato frequente il tentativo di rivitalizzare l'aspetto soprannaturale del matrimonio anche mediante proposte teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla teologiche, pastorali e canonistiche estranee alla tradizione, come quella di richiedere la fede quale requisito per sposarsi".

Nel primo volume dell'opera che qui si recensisce, il quale reca come sottotitolo Il dibattito contemporaneo, l'autore indaga le fonti, la dottrina e la giurisprudenza contemporanee.
Le fonti vengono studiate sia nei documenti del Magistero, sia nel lungo lavoro di revisione del Codice latino e in quello di redazione del Codice orientale. Quanto alla dottrina, vien proposto un excursus critico inerente alle possibili configurazioni del rapporto tra intenzione soggettiva, sostanza naturale e sacramentalità del vincolo, attraverso il quale è colta un'evoluzione che, muovendo da talune istanze pastoraliste degli anni Settanta - che non mancarono, talora, di affiorare anche in qualche orientamento giurisprudenziale, fattosi subalterno a un mal filosofato esistenzialismo - tendevano a scardinare i fondamenti della tradizionale teoria dell'inseparabilità, nel matrimonio, tra contratto e sacramento, e prospettavano, quale capo autonomo di nullità, la positiva esclusione della dignità sacramentale dal consenso matrimoniale.

Al riguardo Bertolini non manca opportunamente di avvertire che esistono soluzioni pratiche, quali il ricorso a istituti come quello della simulazione totale o dell'error iuris. Talune posizioni danno per scontato che l'assenza di fede necessariamente si riverberi a livello intenzionale sulla dignità sacramentale e sulla capacità di celebrare o ricevere il sacramento, così dimenticando che la sacramentalità del matrimonio non dipende dall'intenzione soggettiva e non è nella disponibilità dei nubenti e non può pertanto esser fatta oggetto di volontà escludente, ulteriore a quella necessaria e sufficiente per costituire un vincolo valido secondo il diritto naturale.

L'analisi della giurisprudenza, poi, presentata in chiusura del primo volume, può risultare di interesse per gli operatori del diritto, poiché offre attento commento delle sentenze rotali in materia non ancora edite. Sono, infatti, lette con attenzione le sentenze circa l'esclusione o l'errore relative alla sacramentalità, con disamina non solo delle parti in diritto, ma anche della storia concreta della fattispecie sottoposte al giudizio del Tribunale Apostolico, tentando, in tal modo, di cogliere eventuali filoni giurisprudenziali relativi ai capi di nullità interessati. È da rilevare come il Bertolini sottolinei che in talune recenti decisioni i Turni Rotali, superando una tendenza per altro minoritaria, hanno rimesso in discussione l'autonomia dei citati capi di nullità, ribadendo l'irrilevanza della fede nella formazione di una retta intenzione coniugale, così statuendo la parificazione tra l'intenzione naturale e quella sacramentale, e aderendo infine a una interpretazione coerente del principio di identità contratto-sacramento.

La ricerca svolta nel primo volume permette, dunque, all'autore di fissare i punti che egli ritiene bisognosi di un chiarimento dottrinale, e cioè:  cosa la struttura essenzialmente relazionale del matrimonio giuridicamente imponga come contenuto suo proprio; quale sia l'oggetto del consenso in quanto res iusta dovuta nel rapporto di giustizia che insorge tra i nubenti; se detto contenuto sia sufficiente anche in ragione della dignità sacramentale; se nello scambio dell'oggetto materiale del consenso abbiano un ruolo l'atto di fede e l'intenzione sacramentale interna e/o esterna; se infine la Chiesa possegga la facoltà di dichiarare nulli tali matrimoni rettamente posti quanto alla loro sostanza naturale, ma con avversione alla dimensione esclusivamente sacra, ammesso - e, diciamo noi, non concesso - che questa possa essere esclusa dai contraenti.

Nel secondo volume, dal titolo Approfondimenti e riflessioni, l'autore rappresenta poderoso ed esteso studio storico-giuridico-teologico, nel quale si riflette sul momento peculiarissimo e provvidenziale in cui le enunciate tematiche si appalesarono nella loro complessità, vale a dire il concilio di Trento.

Fu in quella sede che, emerse funditus il problema dell'inseparabilità contratto-sacramento, della intenzione, della ministerialità, e anche dei limiti del potere della Chiesa di irritare ex ante, o dichiarare nulli ex post, matrimoni che possiedono l'essenza minimale, così restringendo, di fatto, lo ius connubii, che è di diritto naturale.

Tale analisi ha consentito a Bertolini di rinvenire in quei dibattiti chiara traccia di quella distinzione teologica tra "natura" e "sopranatura" del matrimonio; vera scissione concettuale che - avverte l'autore - originatasi già in epoca tardo scolastica, divenuta poi doctrina recepta almeno sino alla sua messa in discussione nel xx secolo, è risultata essere gravida di negative conseguenze giuridiche, profondamente incidenti sia sul dibattito creatosi nella canonistica contemporanea relativamente alla dignità sacramentale del matrimonio, sia derivatamente sulla interpretazione stessa di molti ambiti del diritto sostantivo matrimoniale e di taluni capi di nullità.

Giunto a tal punto, l'autore procede in una delle parti più complesse e di maggior pregio dell'opera, ove egli, recuperando l'unitarietà della dottrina teologica, filosofica e giuridica, immediatamente precedente alla scissione "natura-sopranatura", vale a dire l'unitarietà del sistema agostiniano-tomista, del quale si mostra sicuro conoscitore, tenta di espungere le conseguenze della teologia del duplice fine dalla teoria del consenso matrimoniale.

Viene in tal modo recuperata la stretta pertinenza del matrimonio al diritto naturale, non quale "pura natura", ma quale istituto al quale la natura inclina, per far nostra la celebre espressione tomista (cfr. In iv Sententiarum., D. 26, q. 2, a.1).

Il sacramento è dunque il matrimonio di diritto naturale, poiché in esso risiede la simbologia mistica e la causalità anche della grazia, ex Christi voluntate assicurata tra battezzati, senza che si dia scissione alcuna tra la dimensione naturale e quella soprannaturale. L'intenzione sacramentale altro quindi non è che la semplice intenzione matrimoniale di due battezzati, creature razionali.

Partendo da alcuni spunti del Magistero di Giovanni Paolo ii e da talune sue allocuzioni alla Rota, l'autore conclude l'argomentazione tratteggiando una teoria generale del matrimonio il cui valore è dato dall'abbandono delle categorie della dottrina della "natura pura". Bertolini afferma la necessità di non dovere più pensare la sacramentalità del matrimonio quale oggetto di separata e razionalista intellezione-volizione, come avviene per gli altri elementi o proprietà essenziali, ma approfondisce l'indagine relativa alla relazione coniugale creaturale. L'autore sostiene infatti che l'essenza coniugale va ricercata non già in modelli culturali, giuridici, o teologici estrinseci al rapporto tra le due persone, bensì, e con realismo giuridico e autentico personalismo, essa va individuata in quella interna inclinazione che connota il matrimonio di una peculiare indole naturale e interpersonale
.
In altri termini, vi è una trascendenza costitutiva della relazionalità coniugale che consente ai coniugi di porre la vera e unica materia sacramentale in quella mutua traditio et acceptatio, in forza della quale essi diventano una caro.

Con ferma convinzione Bertolini ribadisce che non dandosi tra battezzati un vero matrimonio che non sia sacramento, l'esclusione della dignità sacramentale risulta irrealizzabile e, pertanto, giuridicamente impossibile, così da poter concludere che non si possa configurare come autonomo capo di nullità quello della simulazione della dignità sacramentale.

Solo una forzatura, infatti, permetterebbe di applicare alla dimensione esclusivamente sacra le medesime categorie che si applicano ai bona augustiniana (fedeltà, indissolubilità, prole).

Affermava al riguardo il cardinale Mario Francesco Pompedda, rivolgendosi all'Arcisodalizio della Curia Romana nel 2003, nella piena maturità della sua lunga e prestigiosa riflessione canonistica, che era "più corretto parlare non già di intenzione sacramentale, bensì, semplicemente, di intenzione matrimoniale tout court (...) Se infatti fosse possibile distinguere l'intenzione matrimoniale naturale da quella matrimoniale sacramentale - e sovente si preme perché ciò avvenga - si finirebbe con l'operare un'ultima frattura, irreversibile questa e gravissima e sarebbe conferita all'uomo la facoltà di scardinare e riformare lo statuto ontologico dato da Dio alle realtà create e redente".

Pertanto, "l'esclusione della sacramentalis dignitas - concludeva autorevolmente il compianto Porporato - non potrà essere considerata capo autonomo di nullità, essendone completamente assenti i presupposti. E l'indagine medesima circa l'intenzione dei nubenti ammetterà un'inquisizione limitata alla mera realtà naturale, costituendo quest'ultima l'unico oggetto intenzionale, recte ponendus, così come voluto dall'arcano disegno creatore di Dio".

Quanto alla necessità della fede dei nubenti, il discorso muta se si procede alla doverosa distinzione fra validità del matrimonio e sua fruttuosità, donde l'urgenza, da parte di tutti gli operatori pastorali, di uno strenuo impegno per una adeguata preparazione dei nubenti, che faccia pure tesoro, per la ratio dialectica oppositorum, anche di quanto può emergere da quella cartina di tornasole che sono le cause di nullità, per evitare che errori si ripetano. E d'altra parte, ciò era già stato avvertito dalla Commissione Teologica Internazionale nel 1977:  Fides est praesuppositum et causa dispositiva effectus fructuosi, sed validitas non necessario implicat fructuositatem matrimonii.
Lo ius connubii non si può negare, infatti, a quei battezzati cattolici che, pur avendo perso il dono della fede, tuttavia hanno la capacità naturale di volere e di contrarre un matrimonio legittimo, unico, fecondo, indissolubile.

E infine, è proprio per ribadire "la necessità di mostrare con coerenza l'identità "matrimonio-sacramento"" (Francesco Coccopalmerio), che, con il Motu proprio Omnium in mentem del 26 ottobre 2009, Benedetto XVI ha deciso la soppressione dai canoni 1086 1, 1117 e 1124, della clausola actus formalis defectionis ab Ecclesia catholica, per cui, anche chi avesse operato - e spesso ciò avviene per concrete contingenze che poco hanno a che fare con autentici problemi di fede - siffatta defezione, è tenuto, ad validitatem, alla forma canonica, e pertanto contrae valido matrimonio.

Tale disposizione si rivela coerente con le inequivocabili parole rivolte dal Papa alla Rota, nell'allocuzione del 29 gennaio 2009:  "Occorre anzitutto riscoprire in positivo la capacità che in principio ogni persona umana ha di sposarsi in virtù della sua stessa natura di uomo o di donna. (...) Anzi, la riaffermazione della innata capacità umana al matrimonio è proprio il punto di partenza per aiutare le coppie a scoprire la realtà naturale del matrimonio e il rilievo che ha sul piano della salvezza. Ciò che in definitiva è in gioco è la stessa verità sul matrimonio e sulla sua intrinseca natura giuridica".



(©L'Osservatore Romano - 27 gennaio 2010)
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