Prediche d'Avvento a cura di padre Angelo del Favero

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
S_Daniele
00domenica 29 novembre 2009 15:59
Avvento: la vita è un Germoglio che chiede accoglienza

I Domenica di Avvento, anno C, 29 novembre 2009


di padre Angelo del Favero*

 ROMA, venerdì, 27 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
“Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle, e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti, mentre gli uomini moriranno per la paura e per l’attesa di ciò che dovrà accadere sulla terra. Le potenze dei cieli infatti, saranno sconvolte. Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria. Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina. State attenti a voi stessi, che i vostri cuori non si appesantiscano in dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita e che quel giorno non vi piombi addosso all’improvviso; come un laccio infatti esso si abbatterà sopra tutti coloro che abitano sulla faccia di tutta la terra. Vegliate in ogni momento pregando, perché abbiate la forza di sfuggire a tutto ciò che sta per accadere e di comparire davanti al Figlio dell’uomo” (Lc 21,25-28.34-36).

Avvento” è una parola che somiglia ad “avvenimento, evento” più che a “venuta”, così come “gravidanza” dice subito “bambino”, e solo in un secondo momento fa pensare al parto. L’Avvento è il tempo liturgico che celebra il fatto del concepimento di Dio, la sua incarnazione in un grembo femminile. Un fatto oggettivo, inaudito, un evento cosmico e personale: le viscere profonde di ogni essere umano, infatti, sono state create per concepire, per mezzo della fede, il “Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe” (Lc 20,37).

Questa definizione biblica annuncia la profonda, vitale appartenenza di ogni uomo al Padre che è nei cieli, fonte di ogni paternità e maternità. Abramo, Isacco e Giacobbe sono i nostri nomi: “Egli ci ha fatto, noi siamo suoi, suo popolo e gregge del suo pascolo” (Sal 100,3). Concepiti dal Padre nel Figlio “prima della creazione del mondo” (Ef 1,4), l’Avvento ci ricorda che da quando “venne la pienezza del tempo” (Gal 2,4) la dignità della persona umana è stata elevata ad una pienezza divina: quella non solamente di possedere una natura assunta da Dio stesso, ma addirittura di poter concepire, nello Spirito, Colui che l’ha creata: “Meraviglioso scambio! Il Creatore ha preso un’anima e un corpo, è nato da una vergine; fatto uomo senza opera d’uomo, ci dona la sua Divinità”(Antifona ai Vespri della solennità di Maria Ss.ma Madre di Dio).

E come un bambino nel grembo prende possesso del corpo della madre, trasformandolo gradualmente e realizzandone il significato sponsale, così la presenza viva dello Spirito Santo nell’anima, nella misura in cui viene accolto nella fede, trasforma e realizza la persona umana divinizzandola e conducendola alla pienezza di vita della santità. Tutto ciò è annuncio di gioia e di liberazione, nonostante le parole apocalittiche di Gesù: “...Vi saranno segni nel sole,..e sulla terra angoscia di popoli in ansia per il fragore del mare e dei flutti,..gli uomini moriranno di paura...” (Lc 21,25).

Il Signore si serve di questo genere letterario “spaventoso” per polarizzare totalmente l’attenzione di chi ascolta, e convincere così la sua libertà a seguirlo: un po’ come se uno del pubblico, anziché alzare timidamente la mano per chiedere il microfono, improvvisamente si mettesse a sparare in aria alcuni colpi di pistola, ammutolendo in tal modo l’assemblea ed ottenendo l’ascolto desiderato. Ma oggi, se facciamo nostro l’atteggiamento sincero del pubblicano in fondo al tempio (Lc 18,10s), svanisce ogni paura mentre ascoltiamo queste rassicuranti parole: “Quando cominceranno ad accadere queste cose, risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina(Lc 21,28).

A quali cose si riferisce Gesù? Sono tutti gli avvenimenti che gettano l’uomo nel panico per il presente, nell’ansia per il futuro, nell’angoscia per il passato. Paradigmatico, ad esempio, è l’evento di una gravidanza non solo non desiderata, ma fortemente temuta, notizia che in questi casi “piomba addosso all’improvviso, come un laccio che si abbatte” (Lc 21,34-35). La mamma, sola, si ritrova in un tale sconvolgimento emotivo da essere quasi irresistibilmente indotta nella tentazione dell’aborto, che si profila come unica via per salvarsi dagli “insormontabili” problemi legati alla nuova maternità. In realtà, sarà proprio il fatto dell’aborto a generare un turbamento di coscienza tanto profondo e duraturo da paragonarsi ad uno sconvolgimento apocalittico dell’anima, mentre, al contrario, ogni iniziale tribolazione sarà foriera di gioia e di vittoria se la mamma ascolta la voce della Vita che sale dal suo cuore e dal germoglio vivo che Dio le ha donato in seno.

L’evangelista Giovanni, nel Prologo, descrive l’Avvento nei termini di una fede che sceglie di accogliere la Vita: “In Lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; (…)Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,4.11-12). Posso tradurre così il suo annuncio: Dio era da sempre la nostra “Casa di Accoglienza”, e questa non doveva rimanere disabitata poiché tutti noi eravamo predestinati ad esservi accolti. Così il Padre, secondo il progetto originario della “Casa”, mandò il suo Figlio per rivelarcene l’esistenza ed indicarcene in Lui stesso la Via, come dice Gesù ai discepoli prima di tornare al Padre: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se no, vi avrei mai detto: “Vado a prepararvi un posto”? Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via..Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me”(Gv 14,1-6). Questo testo costituisce la verità “teologica” di ogni Casa di Accoglienza alla Vita.

Il profeta Geremia, nella prima lettura, annuncia la venuta di un “Germoglio giusto, che eserciterà il giudizio e la giustizia sulla terra” (33,15). Questa tenerissima parola “germoglio”, immediatamente fa pensare ad una piantina che spunta, ma quello intravisto dal profeta è un germoglio di carne, è il Bambino annunciato a Maria, e in Lui ogni bambino concepito, che nel grembo della madre sta sbocciando come un germoglio di stupefacente bellezza.Se esso sarà accolto e custodito, una volta nato sarà come un’icona vivente delle parole di Gesù che annunciano la liberazione umana operata dalla Redenzione: “...alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina” (Lc 21,28). Infatti, a tre mesi il neonato comincia a sollevare e reggere il capo, ma non è ancora in grado di “gattonare” per partire ed esplorare il mondo. Lo farà qualche mese dopo, quando sarà fisiologicamente compiuta la sua “liberazione” motoria ed egli potrà conquistare, sotto i tavole e le sedie, tutto lo spazio della casa.

La madre lo contemplerà benedicendo Dio che l’ha liberata dalla tentazione di non farlo nascere, tragedia che l’avrebbe imprigionata e come sepolta sotto le macerie della sua maternità violata. Questa verità è testimoniata giorno dopo giorno nelle Case di Accoglienza alla Vita, sparse in tutt’Italia e nel mondo intero.

Scriveva il monaco trappista T. Merton: “Il mistero dell’Avvento mette a fuoco la luce della fede sul vero significato della storia, dell’uomo, del mondo e della nostra esistenza. Nell’Avvento noi celebriamo la venuta e la presenza di Cristo nel mondo. Noi siamo testimoni della sua presenza anche in mezzo a tutti gli imperscrutabili problemi e le profonde tragedie. La nostra fede dell’Avvento non è una fuga dal mondo per rifugiarci in un regno nebuloso di slogan e di conforti che dichiari irreali i nostri problemi d’ogni giorno e inesistenti le nostre tragedie. Il nostro compito è di cercare e di trovare Cristo nel nostro mondo così com’è, e non come potrebbe essere. Il fatto che il mondo è diverso da come potrebbe essere non altera la verità che Cristo è presente in mezzo ad esso e che il suo piano non è andato frustrato, né ha subito modifiche: in verità, tutto si svolgerà secondo il suo volere. Il nostro Avvento è la celebrazione di tale speranza” (in “Tempo di celebrazione”, p. 76s).

Paolo oggi, sinteticamente, afferma tutto questo così: “Fratelli, il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nell’amore fra voi e verso tutti, come sovrabbonda il nostro per voi, per rendere saldi i vostri cuori e irreprensibili nella santità, davanti a Dio e Padre nostro, alla venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi” (1Ts 3,12-4,2).

----------

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E' diventato carmelitano nel 1987. E' stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.
S_Daniele
00martedì 8 dicembre 2009 07:17
Avvento: la speranza della vita è una ruspa silenziosa

II Domenica di Avvento, anno C, 6 dicembre 2009



di padre Angelo del Favero*


ROMA, venerdì, 4 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

“Nell’anno quindicesimo dell’impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetrarca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetrarca dell’Iturea e della Traconitide, e Lisania tetrarca dell’Abilene, sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto.Egli percorse tutta la regione del Giordano, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati, com’è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaia: Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diventeranno diritte e quelle impervie, spianate. Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio! (Lc 3,1-6).

Il Vangelo di questa II Domenica di Avvento ci sorprende: perché tutte queste informazioni politico-religiose sulla Palestina? Che importa alla fede sapere quanti anni ha l’impero di Tiberio, l’elenco dei suoi ministri e il nome dei sommi sacerdoti? Il motivo non sta solo nell’esigenza di fornire accuratamente le coordinate storico-religiose della venuta del Salvatore, ma anche e soprattutto nel fatto che da tali informazioni ci giunge il messaggio che Gesù è vivo nella storia di oggi, sia quella personale di ognuno, sia quella sociale e politica del mondo intero. E’ perciò chiaro che il 27/28 a.C. è il 6 dicembre 2009, giorno in cui la Parola di Dio viene su ognuno di noi come allora venne su Giovanni.

Anno 2009 dunque, quando il Papa è Benedetto XVI, il presidente Silvio Berlusconi; mentre Berlino celebra il ventennale della caduta del muro e Oslo consegna a Obama il Nobel per la pace; anno delle Olimpiadi cinesi e del virus A1 N1; quando mezza Italia ha applaudito all’omicidio di Eluana e più di mezza considera libertà uccidere in grembo un figlio, e ucciderlo comodamente a casa propria; mentre i “grandi” del pianeta hanno deciso di non far nulla per salvare dalla morte di fame un sesto dell’umanità, e il presidente, gli assessori e i consiglieri dell’Emilia Romagna si apprestano ad equiparare sul piano giuridico qualsiasi tipo di convivenza civile...A questo quadro storico internazionale e nazionale va poi aggiunta la storia personale di ognuno, poiché la Parola di Dio non intende assolutamente...rispettare la privacy.

Luca ci presenta oggi uno dei grandi protagonisti dell’Avvento, Giovanni il Battista. Egli è l’unico (oltre a Maria) a conoscere l’identità divina del Messia che sta per venire. La sua investitura spirituale è solenne, ma avviene nel segreto e nel silenzio: la Parola di Dio venne su Giovanni, nel deserto. Davide M. Turoldo la descrive così: “Ma la Parola invece discese a volo d’aquila sopra la preda: lui era solo attesa e silenzio, sotto la tenda da anni in silenzio”. Un’aquila dall’aspetto di colomba, se cogliamo il riferimento allo Spirito Santo sceso su Maria a Nazaret. Parallelo, questo, richiamato anche dalle conseguenze simili del “raptus”: come Maria subito dopo “si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa”(Lc 1,39) da Elisabetta incinta al sesto mese, così Giovanni subito “percorse tutta la regione del Giordano” predicando la venuta del Signore.

Entrambi accolgono la Parola della Vita ed entrambi sono mossi ad annunciare e a servire la vita, poichè: “Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza aver irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germogliare, perché dia il seme a chi semina e il pane a chi mangia, così sarà della parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto, senza aver operato ciò che desidero e senza aver compiuto ciò per cui l’ho mandata”(Is 55,10-11).

In ogni luogo e in ogni tempo il Creatore di tutto ciò che esiste manda la sua Parola per far germogliare la vita, ma anzitutto la invia nel grembo umano. E’ qui che si rinnova quella “pienezza del tempo” (Gal 4,4) che celebriamo nel Tempo dell’Avvento: facendosi uomo, Dio, per così dire, si è fatto ogni uomo concepito sotto il cuore della madre. E’ una pienezza che significa totalità perfetta, e che va messa a fuoco nell’ “hic et nunc” della fecondazione, istante in cui si fondono la totalità presente della persona umana concepita e la perfezione del suo sviluppo biologico, autonomo, unitario ed irreversibile.

Ho accennato che Giovanni non è l’unico a conoscere l’identità di Colui che sta per venire: prima di lui c’è Maria, che con il “sì” a Gabriele ha permesso alla Parola di diventare carne sua, e ora attende in silenzio l’evento del parto. Ecco: come Maria sa bene Chi è e da dove viene il suo Bambino, così ogni donna incinta sa bene di portare in sé un figlio, e di portarlo sin dal concepimento. Ella infatti ricorda bene i particolari di tempo e di luogo (le “coordinate storiche”) di quel giorno fecondo in cui il Creatore, a sua insaputa, decideva di rinnovare e completare quello che mancava, in lei, all’incarnazione del suo Figlio divino (cfr Col 1,24).

Sì, poiché ogni figlio dell’uomo rinnova nel mondo la speranza della salvezza di Dio, che il Signore Gesù Cristo ha donato all’umanità di tutti i tempi e di tutti i luoghi. Osserva mons. Ravasi: “Raccogliendo l’eco dell’antica profezia, il Battista punta il suo indice sul senso che la storia sta ora prendendo. Una strada rettilinea sta per essere tracciata sopra i baratri dell’assurdo e i monti dell’orgoglio e dell’idolatria. E questa strada conduce alla salvezza offerta da Dio in Gesù. Infatti Luca, diversamente da Mc e Mt, che si limitano a citare il profeta Isaia in modo incompleto, continua aggiungendo anche l’ultima frase: “Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio”. Gli occhi di tutti si apriranno e potranno, sotto il vecchio ed immenso fluire del tempo, intuire la mano di Dio che opera e salva”.

E’ il grido gioioso che ascoltiamo oggi anche dal profeta Baruc: “Deponi, o Gerusalemme, la veste del lutto e dell’afflizione, rivestiti dello splendore della gloria che ti viene da Dio per sempre.(…) Sorgi, o Gerusalemme, sta in piedi sull’altura e guarda verso oriente; vedi i tuoi figli riuniti, dal tramonto del sole fino al suo sorgere, alla parola del Santo, esultanti per il ricordo di Dio.(…) Poiché Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio. (…) Poiché Dio ricondurrà Israele con gioia alla luce della sua gloria, con la misericordia e la giustizia che vengono da Lui” (Baruc 5,1-9).

All’Angelus della scorsa Domenica papa Benedetto ha lanciato lo stesso messaggio di fiducia e di speranza: “Il mondo contemporaneo ha bisogno soprattutto di speranza: ne hanno bisogno i popoli in via di sviluppo, ma anche quelli economicamente più evoluti.(…)La Vergine Maria incarna pienamente l’umanità che vive nella speranza basata sulla fede nel Dio vivente. Lei è la Vergine dell’Avvento: è ben piantata nel presente, nell’“oggi” della salvezza; nel suo cuore raccoglie tutte le promesse passate; ed è protesa al compimento futuro”.

Sì, la speranza di cui ha bisogno ogni uomo al mondo è Maria. Maria è la nostra speranza, poichè è la Madre che, in Gesù, porta in sé ogni uomo. Perciò, come per il bambino nel grembo la speranza della propria vita fisica è la mamma, così e molto di più la speranza della vittoria della vita è la Madonna.

Anche Paolo, oggi, invita a questa incrollabile fiducia. Ai Filippesi dice: “Sono persuaso che Colui che ha iniziato in voi questa opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù” (Fil 1,6). Paolo afferma anzitutto che l’opera buona dell’annuncio missionario del Vangelo è stata iniziativa di Dio: e ciò che Dio ha iniziato lo porterà certamente a compimento. Non è difficile capire dove l’apostolo ci fa arrivare.

La creazione del mondo è opera buona di Dio. Il libro della Genesi rivela che Egli ogni volta, contemplato quanto aveva fatto, “vide che era cosa buona” (Gen 1,10.12.18.25). Ma dopo aver creato l’uomo, Dio lo guarda, si compiace e pensa tra Sé che “era cosa molto buona” (Gen 1,31); “molto”, cioè incomparabilmente buona, tanto quanto è superiore la dignità umana rispetto alle creature che non hanno l’anima immortale. Ora, ciò che Dio contempla non è un Adamo “alla Michelangelo”, ma l’essere umano nell’istante del concepimento, perché è qui e così che ha origine il genere umano fatto a sua immagine e somiglianza (Gen 1,27).

Scriveva ventitré anni fa Benedetto XVI: “La vita umana sta sotto la particolare protezione di Dio, perché ogni uomo – povero o elevato che sia, malato, sofferente, inutile o importante, nato o non nato, inguaribilmente infermo o sprizzante salute ed energia – è una sua immagine, porta in sé il suo alito. Questo è il motivo più profondo dell’inviolabilità della dignità umana e su questo poggia, in fondo, ogni civiltà. Dove l’uomo non viene più considerato come colui che sta sotto la protezione di Dio e non viene più visto come colui che porta in sé l’alito di Dio, lì hanno inizio le riflessioni che lo valutano secondo il suo valore utilitaristico. Lì comincia la barbarie che ne calpesta la dignità”(J. Ratzinger, “Creazione e peccato”, cap. III).

Torniamo al Vangelo:“Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie spianate” (Lc 3,4-5). La voce di Giovanni il Battista è voce di uno che grida nel deserto, perciò è un grido silenzioso. Oggi, 6 dicembre 2009, questo grido inascoltato è anzitutto il grido del bambino non ancora nato che chiede accoglienza: ai suoi genitori, alla società, al Parlamento (perchè riconosca la piena capacità giuridica al concepito), alla coscienza del mondo intero.

Voce debolissima, fragile quanto la sua esistenza fisica, ma “quello che è debole per il mondo, Dio lo ha scelto per confondere i forti; quello che è ignobile e disprezzato per il mondo, quello che è nulla, Dio lo ha scelto per ridurre al nulla le cose che sono” (1 Cor 1,27-28).

Il concepito è la “ruspa” di Dio per abbassare i monti dell’orgoglio e i colli dell’autosufficienza, per raddrizzare i sentieri tortuosi della menzogna e dell’ideologia, per riempire i burroni dell’egoismo con l’amore accogliente, per colmare con la misericordia del perdono divino le voragini del peccato contro la vita.



 

S_Daniele
00domenica 13 dicembre 2009 12:06
La Vita è la gioia della vita

III Domenica di Avvento, anno C, 13 dicembre 2009

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

Rallegrati, figlia di Sion, grida di gioia, Israele, esulta ed acclama con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme! Il Signore ha revocato la tua condanna, ha disperso il tuo nemico. Re d’Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura. In quel giorno si dirà a Gerusalemme: “Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore, tuo Dio, in mezzo a te è un salvatore potente. Gioirà per te, ti rinnoverà con il suo amore, esulterà per te con grida di gioia” (Sof 3,14-17).

Fratelli, rallegratevi sempre nel Signore, ve lo ripeto: rallegratevi. La vostra amabilità sia nota a tutti. Il Signore è vicino! Non angustiatevi per nulla, ma in ogni circostanza fate presenti a Dio le vostre richieste con preghiere, suppliche, e ringraziamenti. E la pace di Dio che supera ogni intelligenza, custodirà i vostri cuori e le vostre menti in Cristo Gesù” (Fil 4,4-7).

Sofonia è un profeta del VII secolo a.C. il cui nome significa “il Signore protegge”. Egli si rivolge oggi agli “anawim” di Israele, i “poveri”, sia per condizione sociale sia perché appoggiano la loro speranza unicamente sul Signore. Si rivolge perciò ai miti e agli umili di cuore di tutti i tempi, a quei piccoli, affaticati ed oppressi dalla vita, che il “Dio-con-noi”, l’Emmanuele, è venuto e sempre viene a rincuorare con la sua persona in mezzo a noi.Come un bambino se ne sta desolato alla porta di casa aspettando il ritorno della mamma, e quando ella appare incontenibilmente comincia a saltellare, a battere le mani e a gridare di gioia, così il profeta vuole che esulti in anticipo “il bimbo” Israele, per la certezza dell’imminente manifestazione del Signore, suo liberatore.

Una certezza suscitata da un rumore e da una voce, come preciserà l’apostolo Giovanni secoli dopo: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).

E’ questo il messaggio che oggi anche Paolo ci invia: “Rallegratevi, il Signore è vicino!”. Ora, uno che bussa alla porta è già arrivato, anche se non è ancora entrato: cosa significa, concretamente, il fatto di alzarsi per aprirgli? Lo suggerisce il contesto dell’esortazione di Paolo. Due donne della comunità, Evodia e Sintiche, collaboratrici del Vangelo, sono in disaccordo. A causa dei loro continui battibecchi Paolo deve esortarle ad “andare d’accordo nel Signore”, (letteralmente “ad avere le stesse idee”- Fil 4,2), per non deturpare il volto fraterno della comunità.La correzione cade in quel punto dolente che così spesso fa soffrire anche noi e le nostre comunità:

l’incomprensione e il giudizio reciproco, veleni amari nella gioia cristiana e causa di quel profondo turbamento che impedisce di spalancare e tende a richiudere la porta del cuore contro ogni buona volontà, come il freno idraulico sull’uscio di casa. Turbamento che è particolarmente doloroso e paralizzante quando il conflitto a due si svolge nella singola coscienza, divenuta avversaria di se stessa: come si può ritrovare la gioia di vivere con il rimorso irreparabile dell’aborto? Magari fosse possibile obbedire al comando di essere felici!

Commentando l’esortazione di Paolo, E. Bianchi, infatti, scrive: “La gioia deve essere continua: ecco perché al comandamento di gioire e rallegrarsi si accompagnano gli avverbi “sempre, incessantemente”. Il dono diviene paradossalmente un impegno, e un impegno costante. Quindi la gioia, come la pace, va ricercata con tutte le proprie forze; ciò significa resistere alla tentazione della tristezza. Se il Signore è vicino, nulla può accaderci di tanto grave da contraddire la nostra vita cristiana, il nostro vivere il Vangelo”(E.B., “Vivere è Cristo”, p.111).

Non è impossibile resistere alla tentazione della tristezza riguardo al presente : nulla può accadere di male al bimbo che sta in braccio a sua madre (cf il Salmo 130). Ma se il dramma è ormai irrimediabilmente accaduto, come per l’aborto? Rispondo così: dal momento che il Signore è vicino, l’effetto “terapeutico” che porta alla completa remissione dei sintomi è sempre assicurato, anche se la piaga è cronica: essa può realmente guarire se viene immersa “sette volte” (cioè per mezzo di un percorso totale di conversione) nel bagno del perdono divino, credendo che nulla è impossibile a Dio (cfr la guarigione di Naaman, il lebbroso, dopo sette immersioni nel fiume Giordano: 2Re 5). Allora anche il cuore sperimenterà questa parola: “Su, venite e discutiamo. Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come neve. Se fossero rossi come porpora, diventeranno come lana” (Is 1,18). Il “venite e discutiamo” suggerisce, appunto, il necessario cammino di accompagnamento spirituale a fianco di una guida.

Il peccato di aborto ha il colore rosso del sangue innocente del bambino, indelebilmente intriso nella coscienza materna: come dimenticare il delitto? E’ impossibile, ma non è necessario: la grazia della conversione totale è in grado di purificare anche la memoria della mamma. Ecco, in questo Tempo d’Avvento, una meravigliosa Parola del Signore per lei: “Io sono il Signore, tuo Dio, che ti tengo per la destra e ti dico: non temere, io ti vengo in aiuto. (…)Tu gioirai nel Signore,..io non ti abbandonerò. Farò scaturire fiumi su brulle colline, fontane in mezzo alle valli; cambierò il deserto in un lago d’acqua, la terra arida in zone di sorgenti” (Is 41,13-20).

Non temere, Io sono con te”: sono le parole che Gesù rivolge all’apostolo Paolo, alle prese con difficoltà insormontabili e terribili angosce, in carcere, a un passo dalla morte. E’ questo che trasforma tutto, è questo che Dio viene ad assicurarci a Natale, è questo che ha fatto l’Emmanuele: “Essere con noi”. Essere-con è il desiderio più profondo dell’amore, è la sola cosa che conta: essere con colui che amiamo, essere con colui che ci ama. Tutto il resto è secondario; non è necessario che le situazioni cambino, purchè ci sia la presenza dell’amato. E’ proprio quello che il Signore ci promette e ci dona. Egli non cambia le cose, ma vi si mette dentro e allora, poiché c’è lui, interiormente tutto è cambiato”(A. Vanhoye, “Il pane quotidiano della parola”, p. 27).

L’inguaribile angoscia della mamma che ha abortito sta tutta nell’impossibilità di annullare l’evento tragico dell’aborto, l’impossibilità di “non averlo mai fatto”. Ma ecco l’annuncio per lei del Bambino che nasce: “non è necessario che tu non l’abbia fatto, perché “Io sono con te”! La mia Presenza è infinitamente di più dell’assenza del tuo bambino, e lui è in Me! Il vuoto del tuo cuore è solo lo spazio che ti separa dalla porta alla quale sto bussando: se tu mi apri Io entrerò, cenerò con te e tu con Me, e tu conoscerai la mia gioia, quella che ho promesso e donato ai miei amici discepoli durante quell’ultima Cena in cui c’eri anche tu: il mio Corpo e il mio Sangue, come ogni giorno sull’altare”.

Sì, solo Gesù può rigenerare questa gioia perduta, perché essa è specificamente la sua gioia.

Quale caratteristica, infatti, ha la gioia propria di Gesù? Questa: essa è essenzialmente gioia filiale. C. M. Martini la spiega così: “Una gioia che è in Gesù per il suo mistero trinitario, è in Gesù per il suo essere Figlio, è in Gesù che ama il Padre e che dal Padre è infinitamente amato. Senza tale gioia non c’è vera vita cristiana. E’ la gioia della perla preziosa, del tesoro nascosto; la gioia che da’ vitalità alla Chiesa, che ci sostiene nella fatica quotidiana”.

Proseguendo afferma: “E Gesù non si accontenta che la gioia ci sia, ma aggiunge: e la vostra gioia sia piena, abbondante, sovrabbondante, traboccante. Come può avvenire? Gli Atti degli Apostoli ci mostrano che nella comunità cristiana primitiva la gioia cresceva mano a mano che essa conosceva il mistero della croce”. Questa gioia evangelica, a forma di croce, è pura partecipazione di quella propria di Gesù, la sua gioia divina e materna di donare la vita, la Vita divina dello Spirito d’amore, la quale è intrinsecamente gioiosa come la vivacità del fuoco : “Sono venuto a gettare fuoco sulla terra e come vorrei che fosse già acceso! Ho un battesimo nel quale sarò battezzato, e come sono angosciato finchè non sia compiuto!” (Lc 12,49-50).

Per questo, continua Martini..“..per entrare nel segreto della pienezza di questa gioia, noi dobbiamo avere il coraggio di fissare gli occhi nel Crocifisso. Allora potremo essere collaboratori della gioia degli altri.”(C.M.M., “Dizionario spirituale”, p.73).

Chi fissa veramente lo sguardo sul Crocifisso-risorto, può vedere sopra il Suo corpo piagato il proprio peccato, e se intende aprirsi al perdono divino, lo sentirà dissolversi nella fornace ardente del suo Cuore squarciato, fuoco di amore misericordioso sempre acceso e divorante ogni male.

Ciò vale specialmente per la mamma che ha abortito, la quale si sente come “abortita” da se stessa a causa di ciò che ha fatto; ma meditando giorno e notte la Parola della Vita, perseverando nella preghiera, nel digiuno e nelle buone opere, a poco a poco ella sarà sollevata dal peso immane del suo peccato, ed anche la sua memoria se ne distaccherà, come il detersivo stacca lo sporco da un vestito. Infine, continuando a fissare lo sguardo sul volto radioso del Signore che la fissa con specialissimo amore, sentirà riaffiorare la gioia nella sua anima, tornata definitivamente candida come la neve.

Fissare gli occhi sul Crocifisso, non è un semplice atto di devozione, ma è conoscenza e ascolto della sua Parola che purifica. Il testo odierno di Sofonia, al riguardo, è una fonte zampillante di luce. La prima parte proclama anzitutto la gioia messianica: Rallegrati! E’ questa anche la prima parola che l’Angelo Gabriele rivolge a Maria, eco degli annunci di gioia messianica rivolti dai profeti alla città santa, in particolare proprio Sof 3,14-17.

Vediamo come tale gioia ha a che fare..con il grembo materno violato. Il motivo di quest’imperativo alla gioia era, infatti, che il Signore stava per ritornare in mezzo a Israele: “Re di Israele è il Signore in mezzo a te, tu non temerai più alcuna sventura” (v.15). Il termine “in mezzo”, traduce l’ebraico “nelle viscere”, molto più pregnante che orienta già al grembo di Maria. E’ lei “la Figlia di Sion che ricapitola Israele in quest’ora decisiva. La presenza del Signore nel seno di Israele, questa presenza nuova e misteriosa annunciata per gli ultimi tempi, diventa per lei concezione e parto” (Renè Laurentin, “Breve trattato sulla Vergine Maria”, p. 34-35).

Veniamo infine al Vangelo, per collegare e concludere ogni cosa. “Le folle lo interrogavano: “Che cosa dobbiamo fare?”. Rispondeva loro: “Chi ha due tuniche, ne dia a chi non ne ha, e chi ha da mangiare, faccia altrettanto”. Vennero anche dei pubblicani a farsi battezzare e gli chiesero: “Maestro, che cosa dobbiamo fare?”. Ed egli disse loro: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato”. Lo interrogavano anche alcuni soldati: “E noi, che cosa dobbiamo fare?”. Rispose loro: “Non maltrattate e non estorcete niente a nessuno; accontentatevi delle vostre paghe” (Lc 3,10-14).

Cosa deve fare uno che sente bussare alla porta? Alzarsi e andare ad aprire! Ma è solo l’inizio. Subito dopo, c’è Lui, Gesù, c’è la gioia della sua Cena. 
S_Daniele
00sabato 19 dicembre 2009 07:16
La Vita si prepara un corpo

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 11 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

“In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto” (Lc 1,39-45).

E’ impossibile infatti che il sangue di tori e di capri elimini i peccati. Per questo, entrando nel mondo Cristo dice: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta, un corpo invece mi hai preparato. (…). Allora ho detto: “Ecco, io vengo – poiché di me sta scritto nel rotolo del libro – per fare, o Dio, la tua volontà”.(…). Così egli abolisce il primo sacrificio per costituire quello nuovo. Mediante quella volontà siamo stati santificati per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, una volta per sempre” (Eb 10,4-10).

E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i villaggi di Giuda, da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele; le sue origini sono dall’antichità, dai giorni più remoti. Perciò Dio li metterà in potere altrui fino a quando partorirà colei che deve partorire; e il resto dei tuoi fratelli ritornerà ai figli di Israele. Egli stesso sarà la pace!” (Mi 5,1-4a).

Il cuore pulsante di questa IV Domenica d’Avvento, mentre ormai “colei che deve partorire” è prossima alle doglie (il profeta Michea si rivolge a Betlemme come ad una donna incinta dalla quale sta per uscire il Messia), batte dentro queste parole: “Tu non hai voluto né sacrificio né offerta..un corpo invece mi hai preparato. Allora ho detto: ecco io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,5-7).

Questo è il messaggio del Natale: il culto gradito a Dio non può accontentarsi di devote liturgie e generose offerte, ma in primo luogo deve consistere nell’accoglienza nella fede del Verbo fatto carne nostra: Lui, Gesù, il Dio-con-noi; Lui, un “corpo”, cioè una persona che da nove mesi in Maria si sta preparando ad uscire alla luce; Lui, figlio “dell’uomo” come tutti i nati da donna, con ognuno dei quali si è identificato (Mt 25,40). L’espressione “un corpo mi hai preparato” si riferisce a molte preparazioni remote, rivelate dalla Scrittura.

Luca fa risalire la nascita di Gesù ad Adamo, capostipite del genere umano (Lc 3,38); Matteo ad Abramo, il padre dei credenti (Mt 1,1). Tutta la serie delle generazioni citate serve per dimostrare che “il piano di Dio non è improvviso: Dio dall’inizio prepara la venuta di Cristo e lo da’ nella pienezza del tempo. Una pienezza che, dal punto di vista umano è perlomeno sconcertante: il tempo non faceva sperare nulla, il luogo della nascita è un paese molto piccolo, Giuseppe è sì della stirpe di Davide, ma sconosciuto, con un lavoro modestissimo…Dio è padrone dell’impossibile e attua i suoi piani quando tutto invita a non pensarci più: lasciamolo fare anche nella nostra vita, non solo con rassegnazione, ma con fiducia piena” (A. Vanhoye, “Il pane quotidiano della Parola”, p. 40).

Queste preparazioni remote approdano e si compiono nell’ultima e decisiva preparazione: il corpo della persona della Immacolata Vergine Maria, preparazione meravigliosa operata dal suo stesso Figlio divino quando la preservò dal peccato originale per poter essere degnamente accolto nel suo grembo e diventare corpo come noi.

Certamente, perciò, il corpo preparato per l’incarnazione del Verbo è il corpo biologico del Signore: le sue mani, la sua bocca, il suo cuore, il corpo che ha vagito, che ha sorriso, che ha sudato sudore e sangue, il corpo dell’Uomo della Sindone. Ma la parola “corpo” dice molto più della biologia, dice la “persona”, una totalità costituita da “spirito, anima e corpo” (1 Ts 5,23), tre elementi che non possono essere pensati come qualcosa che l’essere umano ha o possiede. Il corpo è unità esistenziale: la realtà e verità del corpo è la persona stessa.

Perciò, riguardo a Gesù, non c’era prima il corpo biologico, preparato come un materiale in attesa e nel quale poi il Verbo si è incarnato. E nemmeno, naturalmente, il Verbo era corpo prima della sua incarnazione, quando sussisteva “in principio” (Gv 1,1) come persona divina.

Il Verbo eterno, pur attendendo un corpo “storico”, attendeva di essere corpo, attendeva il corpo come evento personale: l’assunzione della natura umana da parte della propria natura divina (Fil 2, 6-7). Il Padre, dal fondo interminabile dei secoli aveva preparato questo evento per il suo Figlio diletto e per noi. Il profeta infatti, voce di Dio e voce dell’umanità intera, annuncia l’incarnazione di Cristo con un “per me” (Mi 5,1) che orienta il nostro sguardo da Betlemme al Cenacolo: “Questo è il mio corpo, offerto in sacrificio per voi”.

Tutto ciò non è troppo lontano da ognuno di noi, anzi: ha a che fare con la nostra stessa origine. E’ nell’istante della fecondazione, infatti, che il corpo-persona, comincia ad esistere, e ad esistere dal nulla: un istante prima esisteva solo la cellula dell’ovulo femminile, non ancora fecondato. La fecondazione è perciò l’evento della creazione di ogni uomo da parte di Dio.

Nel caso unico del concepimento verginale di Gesù, tale evento fu miracolosamente operato dallo Spirito Santo, dopo il consenso di Maria. Il suo “eccomi” fu l’incipit dell’Incarnazione, evento che è descritto oggi da queste parole del Figlio di Dio: “Allora ho detto: ecco, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà” (Eb 10,7).

La parola “allora...” indica che la decisione di incarnarsi presa dal Verbo eterno, fu conseguenza della risposta positiva di Maria all’angelo, il quale, raccoltala dalla sua bocca, “si allontanò da lei” (Lc 1,38b), per tornare al Padre e riferirla. Una decisione che è stata un sì alla vita umana e un sì alla vita di ogni uomo, in obbedienza al disegno del Padre. Ci accorgiamo allora, che l’inciso che troviamo in tale assenso di Cristo (“poiché di me sta scritto nel rotolo del libro”), corrisponde a “secondo la tua parola” (Lc 1,38a) nella risposta di Maria. Infatti il “rotolo del libro” è la Parola stessa di Dio, la Parola udita dalla Vergine con perfetta obbedienza di fede, tale da concepirla nel suo grembo.

Infine un’ultima osservazione. In quale momento sono state pronunciate le parole dell’assenso di Cristo alla propria incarnazione? Dice: “entrando nel mondo” (Eb 10,5). Non dunque prima di entrare, ma entrando, mentre entrava. E in quale mondo stava entrando il Creatore del mondo se non nel grembo della creatura Maria, che gliene apriva la porta con il suo “sì alla Vita” (Ap 3,20)?

Perciò le parole di Maria: “Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola” (Lc 1,38) furono la voce, e le parole di Cristo: “Allora ho detto: ecco, io vengo per fare o Dio la tua volontà” (Eb 10,7) furono l’eco di tale voce. Similmente a ciò che accadrà alcuni giorni dopo, quando la voce di Maria, raggiunte le orecchie di Elisabetta, risuonerà anche nel grembo dell’anziana parente, facendo sussultare di gioia il piccolo Giovanni Battista.

S_Daniele
00mercoledì 23 dicembre 2009 08:09
Natale: il Decreto che salva la vita

di padre Angelo del Favero


ROMA, martedì, 22 dicembre 2009 (ZENIT.org).-

“In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.(…). Anche Giuseppe…salì in Giudea alla città di Davide chiamata Betlemme. Doveva farsi censire insieme a Maria, sua sposa, che era incinta. Mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto. Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio. C’erano in quella regione alcuni pastori che , pernottando all’aperto, vegliavano tutta la notte facendo la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore si presentò a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande timore, ma l’angelo disse loro: 'Non temete: ecco, vi annuncio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore, che è Cristo Signore. Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia'. E subito apparve con l’angelo una moltitudine dell’esercito celeste, che lodava Dio e diceva: 'Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama'” (Lc 2,1-14).

Il 25 giugno 2008 un decreto della Corte d’appello di Milano ha autorizzato il padre di Eluana a far morire la figlia di fame e di sete. Di mese in mese, di giorno in giorno si arrivò agli inizi di febbraio 2009, e, in quei giorni, un decreto legge del governo che avrebbe salvato Eluana, non fu firmato dal Presidente della Repubblica. Così Eluana fu uccisa per denutrizione forzata.

La sua morte moltiplicò la tristezza nel cuore di molti, poiché sembrò la vittoria delle forze del Male sulla vita e sul suo Creatore, il quale non aveva ascoltato le suppliche insistenti dei fratelli di Eluana, affinchè le fosse risparmiata la vita.

In quei giorni ed oggi in particolare, se l’apostolo Paolo fosse stato invitato a dire una parola di fede sui fatti di Eluana, avrebbe potuto rispondere così: “Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con Lui?” (Rm 8,32).

Un’annuncio davvero natalizio! Dio viene ad esaudirci con Se stesso, Lui, l’Emmanuele, il Dio con noi e per noi. Viene a colmare la nostra solitudine con la sua infinita amicizia; Dio viene a donarci Dio, ed “Egli è il tutto!” (Sir 43,27). Viene a donare tutto ciò che fa felice l’uomo e ne realizza in pienezza la vita: “Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio.(…)..Principe della pace” (Is 9, 5).

Pensando al messaggio di Eluana: questo Bambino è il vero cibo e la vera bevanda per ogni uomo, nutrimento essenziale che sazia e ristora totalmente ogni persona, poiché l’uomo non è né ciò che mangia, né ciò che beve, e la sua vita stessa “non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo” (Rm 14,17).

Il Natale ci dice che la vita trascende la vita fin dal suo primissimo inizio, poiché è predestinata in se stessa al dono di “ogni cosa insieme con Lui”. E il dono di ogni dono, presupposto per ogni altro dono, è la vita umana, creata nell’istante del concepimento per vivere sempre. La vita, infatti, non è mai realmente “tolta”, cioè abolita dalla morte, come non è tolta la luce dal sole quando calano le tenebre. La morte pone fine solamente all’esistenza terrena della vita, trasferendola per sempre nella sua patria celeste.

Perciò il dono della vita non è distrutto mai, qualunque sia l’arma di cui l’uomo si serve per ucciderla. Uccidere la vita non significa annientarla, abolirne l’esistenza: significa solo toglierla da questo mondo terreno. La morte libera la vita dal laccio della carne, come un uccello dal laccio del cacciatore. Per questo, se noi pensassimo che sarebbe assai meglio per tutti i bambini abortiti nella storia dell’umanità che non fossero mai stati concepiti, saremmo in un grande errore, poiché essi godono ora la vita eterna. Così pure se affermassimo che per le centinaia di migliaia di piccolissimi bambini congelati nei frigoriferi biologici, o distrutti nella ricerca criminale, o fatti a pezzi nel grembo materno, finiti nelle fognature o nell’inceneritore, sarebbe stato meglio che non fossero mai stati concepiti, non avremmo compreso il vero valore della vita, il suo principio e fondamento, il suo destino eterno e beato da Dio inscritto nel DNA di ogni uomo, sin dal concepimento.

E’ tutto questo che noi celebriamo a Natale. Secondo la tradizione, molti partecipano oggi alla santa Messa di mezzanotte. Ma quanti ne comprendono il vero significato? E’ nella Messa che noi possiamo comprendere il senso della nascita di Gesù. Essa è tutta orientata verso il dono totale di sè, destinato a compiersi sulla croce: “Sono venuto perchè abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Ed è grazie alla Messa che noi possiamo celebrare il Natale in “diretta” con la stalla di Betlemme. Questo miracolo di contemporaneità è misteriosamente ma realmente operato dalla liturgia, che trasforma la memoria in “memoriale” grazie al potere della Parola e dello Spirito Eterno di Dio, che attualizzano i fatti di allora per li vivano i presenti di oggi.

Così il Bambino di Betlemme, adagiato su di una mangiatoia (segno che proprio quella sua carne sulla paglia sarebbe stata mangiata dai credenti), viene veramente in mezzo a noi, oggi, grazie all’Eucaristia: “Questo è il mio corpo offerto in sacrificio per voi”. Corpo non solo sacrificato, ma anche risuscitato, cioè pieno di forza nuova. Il Figlio di Dio, infatti, nato proprio a Betlemme di Efrata per un decreto di Cesare Augusto, ha voluto sottoporsi al decreto di morte di Ponzio Pilato al fine di moltiplicare la gioia e la vita in tutti gli angoli della Terra, mediante il dono del suo Corpo vivificato dallo Spirito Santo e moltiplicato ogni giorno come Eucaristia.

Allora: “Noi diciamo grazie perché dalla linfa vitale, che mediante l’Eucaristia continuamente ci rinvigorisce, noi riceviamo anche di essere autenticamente e integralmente uomini: uomini al quali è consentito di ragionare, in un mondo che si fa sempre più irragionevole; ai quali è possibile gioire nella speranza, in una umanità sempre più intristita e sfiduciata” (G. Biffi).

Per restituire speranza e gioia a questa umanità, Dio non ha mandato solo suo Figlio in mezzo a noi, ma anche sua Madre. Ovunque, infatti, nasca un bambino, là c’è sempre la madre. Ascoltiamo:“Il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce; su coloro che abitavano in terra tenebrosa una luce rifulse. Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia. Perché un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio” (Is 9,1-6).

Le apparizioni della Madonna iniziano tutte con il fulgore di una luce sconosciuta che avvolge i veggenti, ed anche Paolo, senza volerlo, sembra orientarci alle apparizioni di Maria santissima con queste parole:“Figlio mio, è apparsa la grazia di Dio, che porta salvezza a tutti gli uomini e ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” (Tt 2,11-14).

Osserva mons. G. Ravasi: “Questo brano è una specie di catechismo cristiano dei primi decenni della Chiesa. Esso si apre con l’epifania del Cristo che è la manifestazione suprema della grazia salvifica di Dio e si chiude con la Pasqua, che è la pienezza di quest’opera di salvezza. La liturgia orientale connette costantemente il Natale, “apparizione” del Cristo nella carne, alla Pasqua del Signore, suprema e perfetta “apparizione”. A quest’irruzione deve rispondere l’accoglienza del credente, un’accoglienza che ha dimensioni morali, come ci ricorda questo “catechismo” attraverso una lista di impegni negativi e positivi: lotta all’empietà e alle passioni, vita secondo sobrietà, giustizia e pietà, tensione nella speranza.

Se è “apparsa la grazia” lo dobbiamo alla “piena di grazia”, le cui apparizioni e i cui messaggi corrispondono perfettamente all’annuncio del Vangelo.

Mi sia consentita una testimonianza a titolo puramente personale: Molti mi chiedono se credo che la Madonna appare a Medjugorie. Rispondo sempre con un “sì” gioioso e convinto. Il motivo sta nell’esperienza fatta quando vi andai per la prima volta nel 1984, assieme ad alcuni amici del Centro Aiuto alla Vita di Trento. Arrivammo poco prima dell’inizio della santa Messa. La chiesa traboccava di fedeli, era estate, senz’aria condizionata: un caldo insopportabile e irrespirabile. Rimasi seduto per terra tra molte gambe intorno.

Fossi stato nel mio ambulatorio di un tempo, in poltrona e in tali condizioni, dopo un quarto d’ora avrei preso due Cibalgine per la cefalea. Ma lì, invece del cerchio alla testa, mi venne subito un profondo ed inspiegabile raccoglimento. Dopo tre ore uscimmo e più tardi tornammo alla chiesa. Ci sedemmo fuori, schiena contro muro, a contemplare le stelle in silenzio per un paio d’ore. Allora il raccoglimento divenne tanto intenso e la gioia si moltiplicò a tal punto che non ebbi alcun dubbio: era l’annuncio della Presenza amata, quella della Regina del Cielo che teneva in braccio il suo Principe della Pace.

S_Daniele
00domenica 3 gennaio 2010 17:20
Capodanno: non separare la pace dalla vita!
Solennità della Madre di Dio, 1 gennaio 2010

di padre Angelo del Favero*


ROMA, venerdì, 1 gennaio 2010 (ZENIT.org).-
 
“Appena gli angeli si furono allontanati da loro, verso il cielo, i pastori dicevano l’un l’altro: 'Andiamo dunque fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere'. Andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro. Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall’angelo prima che fosse concepito nel grembo(Lc 2,15-21).

Il Signore parlò a Mosè e disse: 'Parla ad Aronne e ai suoi figli dicendo: “Così benedirete gli Israeliti: direte loro: Ti benedica il Signore e ti custodisca. Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace”. Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò'” (Nm 6,22-27).

(Così anche noi, quando eravamo fanciulli, eravamo schiavi degli elementi del mondo). Ma quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: “Abbà! Padre!”. Quindi non sei più schiavo, ma figlio, e se sei figlio, sei anche erede per grazia di Dio” (Gal 4,3-7).

Il notissimo testo biblico “...quando venne la pienezza del tempo...” (Gal 4,4), inizia con un importante “Ma”, che collega l’evento dell’incarnazione di Cristo, annunciato da Paolo, a quanto precede. Nel versetto precedente, Paolo aveva affermato che l’umanità era schiava degli “elementi del mondo” (Gal 4,3); perciò il suo “ma” significa: noi eravamo schiavi, ma ora siamo stati liberati grazie alla venuta del Signore Gesù.

Per comprendere a fondo, ci chiediamo: che cosa sono gli “elementi del mondo”?

La Bibbia “Via, Verità e Vita” annota al riguardo: ““Gli elementi del mondo” indicano le cose materiali di cui si occupa gran parte della legislazione mosaica. L’espressione abitualmente include gli elementi dell’universo (aria, acqua, terra, fuoco), e le potenze celesti che, secondo certe teorie, vi erano preposte”.

Queste “cose materiali” non sono solo le norme vincolanti della legge di Mosè, ma anche quelle realtà cosmiche, di origine divina, che erano ritenute esercitare un influsso negativo nei confronti degli uomini. Superata oggi ogni forma di superstizione, noi sappiamo che queste “cose materiali cosmiche” sono gli elementi naturali: tutto ciò che riguarda il clima e l’equilibrio delle forze della natura, equilibrio che non sono gli dei a sconvolgere, nè la volontà di Colui che le ha create, ma solamente l’egoismo e l’incuria dell’uomo.

Ho premesso questa spiegazione per collegare il testo di Paolo al Messaggio di Benedetto XVI per l’odierna Giornata Mondiale della Pace intitolato: Se vuoi coltivare la pace, custodisci il creato”.

Il creato è la casa dell’uomo, potrei dire: è la sua “stanza”, nel senso che ovunque nel mondo giunge il raggio dell’azione umana là viene custodita o perturbata la mirabile armonia e lo stupefacente equilibrio di tutto ciò che Dio ha fatto, allo stesso modo in cui l’ordine o il disordine di una stanza dipendono da chi la occupa.

L’esortazione del Papa a custodire il mondo creato, tuttavia, non riguarda semplicemente e solamente la natura, come se bastasse trasformarla in un curatissimo e perfetto giardino, indipendentemente…dalla cura del giardiniere.

In realtà la cura del creato dipende dall’ordine morale che c’è nel cuore dell’uomo, il cui equilibrio interiore è frutto e segno dell’armonia del suo rapporto con Dio e con i fratelli. Al centro della creazione, infatti, come la vetta sta al monte, sta l’uomo stesso, che del Creatore è figlio, e del creato è compendio e vertice, ragione e fine.

Ogni uomo lo è, e lo è non solo fin dal primo istante della sua esistenza creata, quello del concepimento, ma da “prima che fosse concepito nel grembo” (Lc 2,21), visto che Dio lo ha chiamato per nome “prima della creazione del mondo”, come esplicitamente ricorda Paolo altrove (Ef 1,4).

Perciò è il disordine morale e spirituale dell’uomo, cioè il peccato con le sue strutture, ad essere la causa “originale” della violazione e dell’inquinamento del creato. Il peccato, poi, non è una categoria morale-spirituale astratta, ma riguarda sempre il rapporto personale con Dio, Creatore e nostro Padre, è sempre disobbedienza alla sua volontà e infedeltà alla dolce amicizia con Cristo.

Tra i peccati più gravi, l’aborto è detto “abominevole” soprattutto per le conseguenze di “separazione” profonda dell’uomo da se stesso e dalla sua dignità di figlio (ab-homine), oltre che per esprimere un massimo di oggettivo disgusto morale.

Ora, come la beata Teresa di Calcutta affermò davanti al mondo e alla storia in occasione del Nobel per la pace del 1979, è proprio l’abortoil più grande distruttore della pacee del creato, dal momento che sopprimere la vita nel grembo vuol dire distruggere l’uomo, il quale non solamente ricapitola in sé tutto ciò che esiste, ma rappresenta lo stesso Creatore.

Perciò il conclamato, perverso “diritto” all’aborto (la legale licenza di uccidere l’uomo nel grembo, dal concepimento in poi), è quel principio di distruzione del creato che estingue nel mondo la fonte della pace.

E’ pura illusione e tragico programma ritenere che la pace si possa separare dalla vita!

Questa precisazione mi sembra anche il senso più vero e profondo del Messaggio di Benedetto XVI.

Eccone, infatti, alcuni passaggi significativi: “La Chiesa ha una responsabilità per il creato e sente di doverla esercitare..anzitutto per proteggere l’uomo contro il pericolo della distruzione di se stesso. Il degrado della natura è, infatti, strettamente connesso alla cultura che modella la convivenza umana, per cui quando l’”ecologia umana” è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio”.

Ciò richiede, precisa poi il Papa, “che si affermi con rinnovata convinzione l’inviolabilità della vita umana in ogni sua fase e in ogni sua condizione, la dignità della persona e l’insostituibile missione della famiglia, nella quale si educa all’amore per il prossimo e al rispetto della natura” (n.12).

Tale messa a fuoco sull’inviolabilità della vita umana (termine che per il suo implicito richiamo alla necessaria difesa ne sottintende soprattutto i più fragili albori nel grembo), è suggerita anche dalla coincidenza della Giornata Mondiale della Pace con la Solennità di Maria Santissima, Madre di Dio.

La verità del fatto della maternità divina di Maria, infatti, ribadisce che Cristo, il “Principe della pace” (Is 9,5) è Figlio di Dio e insieme vero uomo. Perciò com’è vero che chi nega la realtà pienamente umana del Signore va qualificato come “anticristo” (1Gv 4,3), così va considerato avversario e nemico della vera pace chiunque ideologicamente non riconosce il valore assoluto ed inviolabile della vita umana sin dal concepimento, istante in cui “uomo” vuol dire figlio e “figlio” vuol dire uomo.

La solenne benedizione sacerdotale che conclude la santa Messa di oggi è tratta dalla prima Lettura: “Ti benedica il Signore e ti custodisca, il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace” (Nm 6,22-27).

Per la Bibbia il figlio è il segno più grande della benedizione divina, in se stessa apportatrice di pace. Un segno ed una benedizione che non è stata solo la nascita del bambino Gesù a diffondere nel mondo, ma che si rinnovano ogni volta che la vita umana è creata nel grembo: “Gloria a Dio nel più alto dei cieli e sulla terra pace agli uomini, che egli ama” (Lc 2,14).

Il Dio della Pace e il Dio della Vita sono l’unico Dio, il Dio Bambino veduto dai pastori nella stalla di Betlemme e creduto da tutti quelli che ne udirono la testimonianza. Il mondo promette la pace, ma non la da’ perché come ha separato la procreazione dall’amore, così separa la pace dalla vita.

Cattolico_Romano
00giovedì 7 gennaio 2010 08:02
Epifania: la vita nel grembo è luce del mondo
Solennità della Epifania del Signore, 6 gennaio 2010


di padre Angelo del Favero*

ROMA, mercoledì, 6 gennaio 2010 (ZENIT.org).-
 
Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: 'Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo' (…). Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: 'Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l’avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch’io venga ad adorarlo'. Udito il re, essi partirono. Ed ecco, la stella, che avevano visto spuntare, li precedeva, finchè giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,1-12).

Esattamente quaranta giorni dopo aver guidato i Magi fino a Betlemme, accadde come una seconda epifania, e la stella “riapparve” per guidare un altro personaggio all’incontro con il bambino Gesù. Questa volta si fermò sopra la Città santa, Gerusalemme; si fermò sul tempio, proprio nel punto e nel momento in cui Maria e Giuseppe stavano entrando con il Bambino. Fu allora che il vecchio Simeone, sopraggiunto in quell’istante, lo prese tra le braccia radioso di gioia e si mise a benedire Dio che gli aveva finalmente concesso di riconoscere ed incontrare il Messia tanto atteso: “Luce per illuminare le genti e gloria di Israele” (Lc 2,32).

Fantasia evangelica? Sì, ma con verosimile contenuto. Chi era stato, infatti, il regista nascosto dell’incontro del laico Simeone con il bambino Gesù al tempio? L’evangelista Luca narra che lo Spirito già da tempo aveva acceso la stella del Messia nel cuore di Simeone, ma essa, per così dire, era rimasta immobile nel suo cielo interiore, fino al giorno della presentazione al tempio di Gesù, quando “mosso dallo Spirito” Simeone, ignaro, decise di andarvi anche lui (Lc 2,26-27).

E’ verosimile che l’eco della manifestazione celeste ai pastori di Betlemme fosse giunta alle orecchie di Simeone, il quale, conoscendo la legge di Mosè (che prescriveva la rituale purificazione al tempio della puerpera quaranta giorni dopo il parto), sentì come un’imminenza meravigliosa della grazia attesa da tutta la sua vita. Fu così che la stella dello Spirito nel cielo interiore di Simeone, si mosse e lo mosse con infallibile tempismo all’incontro con il santo Bambino, mentre Egli varcava la soglia del tempio tra le braccia di Maria.

Ho voluto collegare l’epifania dei Magi con quella del giusto Simeone per giungere più facilmente alla terza epifania da contemplare oggi, duemila e dieci anni dopo i fatti descritti dall’evangelista Matteo.

La corrispondenza si fa davvero chiara se guardiamo al comune sfondo morale/ spirituale di allora e di oggi: “Nell’interno del racconto e in contrappunto si oppongono luce e tenebre, rappresentazione del bene e del male, dei due campi della storia. Sul bimbo Gesù e sua madre si proietta il grande duello della vicenda umana, tipizzato in Erode e nei Magi. A Betlemme, la città di Davide, si oppone Gerusalemme, la città di Erode; alla ricerca omicida di Erode si contrappone quella amorosa dei Magi; alla paura succede la gioia; all’interrogativo: “Dov’è il re dei Giudei?” subentra il gioioso: “Videro il bambino e sua madre”; alla notte si sovrappone la stella che illumina l’oscurità; la stella indica, ma anche scompare; i sommi sacerdoti egli scribi conoscono la verità sul Messia, ma non lo sanno riconoscere. Emerge, allora, accanto all’accoglienza, il rifiuto, incarnato in Erode, nei sacerdoti e in “tutta Gerusalemme” (G.Ravasi, “I volti di Maria nella Bibbia”, p. 211s).

Ma ora dobbiamo chiederci: “Dov’è - oggi - colui che è nato?” (Mt 2,2). Prima di rispondere esplicitamente ascoltiamo, al riguardo, l’annuncio dell’evangelista Giovanni: la stella della sua parola ci guiderà con certezza. “Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo. Era nel mondo e il mondo è stato fatto per mezzo di lui; eppure il mondo non lo ha riconosciuto. Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto. A quanti però l’hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,9-12). L’ultimo versetto del vangelo odierno di Matteo mette a fuoco storicamente questo rifiuto omicida di Cristo: “Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un’altra strada fecero ritorno al loro paese” (Mt 2,12).

Avvertimento che ha salvato Gesù e tutti noi dalla morte! Erode, infatti, stava congiurando contro il Bambino e l’informazione dei Magi avrebbe guidato la sua spada dentro la stalla di Betlemme, vanificando l’opera divina della nostra salvezza.

A duemila anni di distanza, anche a noi è dato un avvertimento riguardante il Bambino, non certo per tornarcene a casa, ma per rimanere a difenderne la vita. Eccolo: “Al di là delle intenzioni, che possono essere varie e magari assumere forme suadenti persino in nome della solidarietà, siamo in realtà di fronte a una oggettiva “congiura contro la vita” che vede implicate anche Istituzioni internazionali, impegnate a incoraggiare e programmare vere e proprie campagne per diffondere la contraccezione, la sterilizzazione e l’aborto” (Enciclica “Evangelium vitae”, anno1995, n. 17).

Avvertimento chiaro, ma a congiurare contro la vita del bambino non sono solamente gli Organismi internazionali, le Multinazionali farmaceutiche, gli Stati (in Italia, legge 194: diritto d’aborto; legge 40: fecondazione omicida assistita; RU486: ruspa sul bambino; pillola dei giorni dopo: morte per asfissia; ecc.). Stanno congiurando anche: Ospedali, Cliniche, Consultori, Servizi sociali, medici, personale e strutture sanitarie, internet, televisione, stampa, insegnanti, catechisti, famiglie, sacerdoti, laici,..: si congiura, infatti, sia direttamente, con la spada in mano, sia indirettamente dando ad Erode l’informazione desiderata.

Ma forse è ancora più estesa, subdola ed efficace la congiura per omissione, quando non si fa nulla o troppo poco per consentire ai bimbi di nascere, aiutando con ogni mezzo ogni gravidanza inattesa o indesiderata, e annunciando con franchezza e amore agli uomini del nostro tempo il Vangelo della vita.

Un Vangelo per tutti che Giovanni annuncia in un solo versetto: “A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome” (Gv 1,12).

Commenta infatti Giovanni Paolo II, a conclusione della sua enciclica: “Con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni uomo. Proprio nella “carne” di ogni uomo, Cristo continua a rivelarsi – (epifania!) – e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5); “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me” (Mt 25,40) (E.V. 104).

Queste parole permettono di affermare che la gravidanza umana, pur se all’inizio nascosta alla stessa madre, fin dal concepimento è epifania della Vita davanti al mondo intero.

Ogni volta che è concepito un uomo si rinnova sulla terra la venuta del Salvatore e risuona per tutti l’annuncio sfolgorante dato oggi dal profeta Isaia: “Alzati, rivestiti di luce, perché viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te. Poiché, ecco, la tenebra ricopre la terra, nebbia fitta avvolge i popoli; ma su di te risplende il Signore, la sua gloria appare su di te. Cammineranno le genti alla tua luce, i re allo splendore del tuo sorgere. Alza gli occhi intorno e guarda: tutti costoro si sono radunati, vengono a te. I tuoi figli vengono da lontano, le tue figlie sono portate in braccio. Allora guarderai e sarai raggiante, palpiterà e si dilaterà il tuo cuore, perché l’abbondanza del mare si riverserà su di te, verrà a te la ricchezza della genti. Uno stuolo di cammelli ti invaderà, dromedari di Madia e di Efa, tutti verranno da Saba, portando oro e incenso e proclamando le glorie del Signore” (Is 60,1-6).

Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 05:39.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com