RIFLESSIONI CATTOLICHE PER LA QUARESIMA (e sempre!)

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Caterina63
00lunedì 15 febbraio 2010 20:09
Amici....
aiutiamoci in questa Quaresima (Mercoledì prossimo) per vivere questo Tempo in modo davvero nuovo!
Auguriamo a tutti voi copiose Grazie dal Signore Nostro Gesù Cristo e il dono costante della conversione continua per essere veri Testimoni del dono della Fede...

Proverò ad inserire ogni tanto brevi testi soprattutto di Santi, che ci possano aiutare in questo percorso...e troviamoci ogni giorno NELLA PREGHIERA e nell'Eucarestia!
Ricordiamoci anche di praticare la Via Crucis il Venerdì.... e di dire la Coroncina della Divina Misericordia...



LA MISERICORDIA DI DIO E' PER CHI LO TEME


ABUSO DELLA DIVINA MISERICORDIA


Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit? (Rom 2,4)

PUNTO I

Si ha nella parabola della zizania in S. Matteo (Matth 13) che essendo cresciuta in un campo la zizania insieme col grano, volevano i servi andare ad estirparla: "Vis, imus, et colligimus ea?". Ma il padrone rispose: No, lasciatela crescere, e poi si raccoglierà e si manderà al fuoco: "In tempore messis dicam messoribus, colligite primum zizania, et alligate ea in fasciculos ad comburendum". Da questa parabola si ricava per una parte la pazienza che il Signore usa co' peccatori; e per l'altra il rigore che usa cogli ostinati. Dice S. Agostino che in due modi il demonio inganna gli uomini: "Desperando, et sperando". Dopo che il peccatore ha peccato, lo tenta a disperarsi col terrore della divina giustizia; ma prima di peccare, l'anima al peccato colla speranza della divina misericordia. Perciò il santo avverte ad ognuno: "Post peccatum spera misericordiam; ante peccatum pertimesce iustitiam". Sì, perché non merita misericordia chi si serve della misericordia di Dio per offenderlo. La misericordia si usa con chi teme Dio, non con chi si avvale di quella per non temerlo. Chi offende la giustizia, dice l'Abulense, può ricorrere alla misericordia, ma chi offende la stessa misericordia, a chi ricorrerà?

Difficilmente si trova peccatore sì disperato, che voglia proprio dannarsi. I peccatori voglion peccare, senza perdere la speranza di salvarsi. Peccano e dicono: Dio è di misericordia; farò questo peccato, e poi me lo confesserò. "Bonus est Deus, faciam quod mihi placet", ecco come parlano i peccatori, scrive S. Agostino. Ma oh Dio così ancora dicevano tanti, che ora sono già dannati.

Non dire, dice il Signore: Son grandi le misericordie che usa Dio; per quanti peccati farò, con un atto di dolore sarò perdonato. "Et ne dicas: miseratio Domini magna est, multitudinis peccatorum meorum miserebitur" (Eccli 5,6). Nol dire, dice Dio; e perché? "Misericordia enim, et ira ab illo cito proximant, et in peccatores respicit ira illius"
 (Eccli 5,7). La misericordia di Dio è infinita, ma gli atti di questa misericordia (che son le miserazioni) son finiti.
 Dio è misericordioso ma è ancora giusto. "Ego sum iustus, et misericors", disse il Signore un giorno a S. Brigida; "peccatores tantum misericordem me existimant".
I peccatori, scrive S. Basilio, voglion considerare Dio solo per metà: "Bonus est Dominus, sed etiam iustus; nolite Deum ex dimidia parte cogitare".
Il sopportare chi si serve della misericordia di Dio per più offenderlo, diceva il P. M. Avila che non sarebbe misericordia, ma mancamento di giustizia. La misericordia sta promessa a chi teme Dio, non già a chi se ne abusa. "Et misericordia eius timentibus eum", come cantò la divina Madre.
Agli ostinati sta minacciata la giustizia; e siccome (dice S. Agostino) Dio non mentisce nelle promesse; così non mentisce ancora nelle minacce: "Qui verus est in promittendo, verus est in minando".

Guardati, dice S. Gio. Grisostomo, quando il demonio (ma non Dio) ti promette la divina misericordia, affinché pecchi; "Cave ne unquam canem illum suscipias, qui misericordiam Dei pollicetur". Guai, soggiunge S. Agostino, a chi spera per peccare: "Sperat, ut peccet; vae a perversa spe".
 Oh quanti ne ha ingannati e fatti perdere, dice il santo, questa vana speranza. "Dinumerari non possunt, quantos haec inanis spei umbra deceperit".
Povero chi s'abusa della pietà di Dio, per più oltraggiarlo! Dice S. Bernardo che Lucifero perciò fu così presto castigato da Dio, perché si ribellò sperando di non riceverne castigo.
Il re Manasse fu peccatore, poi si convertì, e Dio lo perdonò; Ammone suo figlio, vedendo il padre così facilmente perdonato, si diede alla mala vita colla speranza del perdono; ma per Ammone non vi fu misericordia.
Perciò ancora dice S. Gio. Grisostomo che Giuda si perdé, perché peccò fidato alla benignità di Gesù Cristo: "Fidit in lenitate magistri". In somma Dio, se sopporta, non sopporta sempre.
Se fosse che Dio sempre sopportasse, niuno si dannerebbe; ma la sentenza più comune è che la maggior parte anche de' cristiani (parlando degli adulti) si danna: "Lata porta et spatiosa via est, quae ducit ad perditionem, et multi intrant per eam" (Matth 7,13).

Chi offende Dio colla speranza del perdono, "irrisor est non poenitens", dice S. Agostino.
 Ma all'incontro dice S. Paolo che Dio non si fa burlare: "Deus non irridetur" (Galat 6,7).
Sarebbe un burlare Dio seguire ad offenderlo, sempre che si vuole, e poi andare al paradiso. "Quae enim seminaverit homo, haec et metet" (Galat 6,7).

 Chi semina peccati, non ha ragione di sperare altro che castigo ed inferno. La rete con cui il demonio strascina all'inferno quasi tutti quei cristiani che si dannano, è quest'inganno, col quale loro dice: Peccate liberamente, perché con tutt'i peccati vi salverete.

Ma Dio maledice chi pecca colla speranza del perdono. "Maledictus homo qui peccat in spe". La speranza del peccatore dopo il peccato, quando vi è pentimento, è cara a Dio, ma la speranza degli ostinati è l'abbominio di Dio: "Et spes illorum abominatio" (Iob 11,20). Una tale speranza irrita Dio a castigare, siccome irriterebbe il padrone quel servo che l'offendesse, perché il padrone è buono.

PUNTO II

Dirà taluno, Dio m'ha usate tante misericordie per lo passato, così spero che me l'userà per l'avvenire. Ma io rispondo: E perché t'ha usate tante misericordie, per questo lo vuoi tornare ad offendere? Dunque (ti dice S. Paolo) così tu disprezzi la bontà e la pazienza di Dio? Nol sai che 'l Signore ti ha sopportato sinora; non già a fine che tu lo segui ad offendere, ma acciocché piangi il mal fatto? "An divitias bonitatis eius, et patientiae contemnis? Ignoras, quoniam benignitas Dei ad poenitentiam te adducit?" (Rom 2,4).
Quando tu fidato alla divina misericordia non vuoi finirla, la finirà il Signore. "Nisi conversi fueritis, arcum suum vibrabit" (Ps 7). "Mea est ultio et ego retribuam in tempore" (Deut 32,35).
Dio aspetta ma quando giunge il tempo della vendetta, non aspetta più e castiga.

"Propterea exspectat Dominus, ut misereatur vestri" (Is 30,18).
Dio aspetta il peccatore, acciocché si emendi: ma quando vede che quegli del tempo, che gli è dato per piangere i peccati, se ne serve per accrescerli, allora chiama lo stesso tempo a giudicarlo. "Vocavit adversum me tempus"
(Thren 1,15). S. Gregorio: "Ipsum tempus ad iudicandum vertit".
Sicché lo stesso tempo dato, le stesse misericordie usate serviranno per farlo castigare con più rigore e più presto abbandonare. "Curavimus Babylonem, et non est sanata, derelinquamus eam" (Ier 51,9).

E come Dio l'abbandona? O gli manda la morte, e lo fa morire in peccato; o pure lo priva delle grazie abbondanti, e lo lascia colla sola grazia sufficiente, colla quale il peccatore potrebbe sì bene salvarsi ma non si salverà. La mente accecata, il cuore indurito, il mal abito fatto renderanno la sua salvazione moralmente impossibile; e così resterà, se non assolutamente, almeno moralmente abbandonato.
"Auferam sepem eius, et erit in direptionem" (Is 5,5). Oh che castigo! Che segno è, quando il padrone scassa la siepe, e permette che nella vigna v'entri chi vuole, uomini e bestie? è segno che l'abbandona.
Così fa Dio, quando abbandona un'anima, le toglie la siepe del timore, del rimorso di coscienza, e la lascia nelle tenebre; ed allora entreranno in quell'anima tutti i mostri de' vizi. "Posuisti tenebras, et facta est nox, in ipsa pertransibunt omnes bestiae silvae" (Ps 103,20).
E 'l peccatore abbandonato che sarà in quell'oscurità, disprezzerà tutto, grazia di Dio, paradiso, ammonizioni, scomuniche; si burlerà della stessa sua dannazione. "Impius, cum in profundum peccatorum venerit, contemnit" (Prov 18,3).

Dio lo lascerà in questa vita senza castigarlo, ma il non castigarlo sarà il suo maggior castigo. "Misereamur impio, et non discet iustitiam" (Is 26,10).
Dice S. Bernardo su questo testo: "Misericordiam hanc ego nolo; super omnem iram miseratio ista". Oh qual castigo è quando Dio lascia il peccatore in mano del suo peccato, e par che non gliene domandi più conto! "Secundum multitudinem irae suae non quaeret" (Ps 9). E sembra che non sia con lui sdegnato. "Auferetur zelus meus a te, et quiescam, nec irascar amplius" (Ez 16,42).
E par che lo lasci a conseguir tutto ciò che desidera in questa terra. "Et dimisi eos secundum desideria cordis eorum" (Ps 80). Poveri peccatori, che in questa vita son prosperati! È segno che Dio aspetta a renderli vittime della sua giustizia nella vita eterna. Dimanda Geremia: "Quare via impiorum prosperatur?" (Ier 12,1).
E poi risponde: "Congregas eos quasi gregem ad victoriam".
Non v'è castigo maggiore, che quando Dio permette ad un peccatore che aggiunga peccati a peccati, secondo quel che dice Davide: "Appone iniquitatem super iniquitatem... deleantur de libro viventium" (Ps 66,28). Sul che dice il Bellarmino: "Nulla poena maior, quam cum peccatum est poena peccati". Meglio sarebbe stato per talun di quest'infelici, che il Signore l'avesse fatto morire dopo il primo peccato; perché, morendo appresso, avrà tanti inferni, quanti peccati ha commessi.

PUNTO III

Si narra nella vita del P. Luigi la Nusa che in Palermo v'erano due amici; andavano questi un giorno passeggiando, uno di costoro chiamato Cesare ch'era commediante, vedendo l'altro pensoso: Quanto va, gli disse, che tu sei andato a confessarti, e perciò ti sei inquietato?
Senti (poi gli soggiunse), sappi che un giorno mi disse il Padre la Nusa che Dio mi dava 12 anni di vita, e che se io non mi emendava tra questo tempo, avrei fatta una mala morte.
Io ho camminato per tante parti del mondo, ho avute infermità, specialmente una che mi ridusse all'ultimo, ma in questo mese in cui si compiscono i 12 anni mi sento meglio che in tutto il tempo della vita mia.
 Indi l'invitò di venire a sentire il sabato una nuova commedia da lui composta. Or che avvenne? nel sabato, che fu a' 24 di novembre del 1668, mentre stava egli per uscire in iscena, gli venne una goccia, e morì di subito, spirando tra le braccia d'una donna anche commediante, e così finì la commedia.
Or veniamo a noi. Fratello mio, quando il demonio vi tenta a peccare di nuovo, se volete dannarvi, sta in arbitrio vostro il peccare, ma non dite allora, che volete salvarvi; mentre volete peccare, tenetevi per dannato, e figuratevi che allora Dio scriva la vostra condanna, e vi dica: "Quid ultra debui facere vineae meae, et non feci?" (Is 5,4). Ingrato, che più io dovea fare per te, e non ho fatto? Or via, giacché vuoi dannarti, sii dannato, è colpa tua.

Ma dirai: E la misericordia di Dio dov'è? Ahi misero, e non ti pare misericordia di Dio l'averti sopportato per tanti anni con tanti peccati? Tu dovresti startene sempre colla faccia a terra ringraziandolo e dicendo: "Misericordiae Domini, quia non sumus consumti" (Thren 3).
 Tu facendo un solo peccato mortale, hai commesso un delitto più grande, che se ti avessi posto sotto i piedi il primo monarca della terra; tu n'hai commessi tanti, che se l'ingiurie ch'hai fatte a Dio, l'avessi fatte ad un tuo fratello carnale, neppure ti avrebbe sopportato;
Dio non solo ti ha aspettato, ma ti ha chiamato tante volte, e ti ha invitato al perdono. "Quid ultra debui facere?". Se Dio avesse avuto bisogno di te, o se tu gli avessi fatto qualche gran favore, poteva egli usarti maggior pietà? Posto ciò, se tu di nuovo tornerai ad offenderlo, farai che tutta la sua pietà si muti in furore e castigo.

Se quella pianta di fico trovata dal padrone senza frutto, dopo l'anno concesso a coltivarla, neppure avesse renduto alcun frutto, chi mai avrebbe sperato che il Signore l'avesse dato più tempo e perdonato il taglio?
Senti dunque ciò che ti avverte S. Agostino: "O arbor infructuosa, dilata est securis, noli esse secura, amputaberis". Il castigo (dice il santo) ti è stato differito, ma non già tolto, se più ti abuserai della divina misericordia, "amputaberis", finalmente ti taglierà.
 Che vuoi aspettare, che proprio Dio ti mandi all'inferno? Ma se ti ci manda, già lo sai che non vi sarà poi più rimedio per te. Il Signore tace, ma non tace sempre; quando giunge il tempo della vendetta, non tace più. "Haec fecisti, et tacui. Existimasti inique, quod ero tui similis?
 Arguam te, et statuam contra faciem tuam" (Ps 49,21).

Ti metterà avanti le misericordie che ti ha usate, e farà ch'elle stesse ti giudichino e ti condannino.




Sant'Alfonso Maria dè Liguori
Caterina63
00martedì 16 febbraio 2010 23:43
La Quaresima nella tradizione siro-occidentale

Beati i tuoi invitati
bella città di Cana


di Manuel Nin

La Quaresima nella tradizione liturgica siro-occidentale è preceduta da un tempo prequaresimale che inizia con il Digiuno dei niniviti, che ha come riferimento e modello il popolo di Ninive, che si convertì dopo la predicazione del profeta Giona. In questi giorni di digiuno vengono commemorati i defunti - sacerdoti, forestieri e fedeli - e questo indica che la Chiesa e la tradizione liturgica siro-occidentale sono molto vincolate al passaggio di pellegrini verso i Luoghi santi e le tombe dei martiri.

La liturgia della Quaresima inizia con il cosiddetto Lunedì dell'olio e uno degli inni di sant'Efrem ne dà la chiave di lettura:  "Con l'olio santificato vengono unti in vista dell'espiazione i corpi macchiati. Purificati ma non distrutti. Scendono macchiati dal peccato, e risalgono puri come un bambino". Si tratta all'origine di un rito di unzione catecumenale, che poi si è allargato a tutti i fedeli; la liturgia lo collega anche all'unzione di Betania:  "Quanto è dolce la voce della peccatrice, quando dice al profumiere:  Dammi dell'olio e dimmi il suo prezzo; dammi dell'olio di qualità superiore e vi mescolerò il dolore del mio pianto, per poter ungere il Primogenito dell'Altissimo; ho fiducia nel Signore che per mezzo di quest'olio mi saranno perdonati i peccati. Il Signore vide la sua fede e la perdonò".

Le sei domeniche quaresimali prendono il nome del brano evangelico letto:  il miracolo di Cana; la guarigione del lebbroso; quella del paralitico; la guarigione del servo del centurione; la risurrezione del figlio della vedova di Naim; la guarigione del cieco Bartimeo. La liturgia siriaca vuole mettere in luce e sottolineare in Cristo l'aspetto di taumaturgo e di giudice.



Il miracolo di Cana di Galilea inizia la serie di prodigi contemplati lungo la Quaresima, per indicare la misericordia, il perdono, la salvezza e la vita che ci vengono dati da Cristo, medico degli uomini. Nel vespro della prima domenica questo aspetto viene a lungo sviluppato:  "Medico buono che tutto guarisci per il pentimento, Signore, sovranamente buono e principe dei medici, fonte di vita e principio di guarigione, che guarisci le nostre anime per mezzo delle malattie corporali. Tu che sei stato chiamato nostro vero samaritano e che per liberarci dalle piaghe dei nostri peccati hai versato su di esse olio e vino misteriosi. Tu, medico dei cuori e guaritore delle sofferenze ci hai segnati col segno della croce, sigillato col sigillo del santo olio, alimentato col tuo Corpo e il tuo Sangue; abbellisci le nostre anime con lo splendore della tua santità; proteggici da ogni caduta e da ogni macchia e facci arrivare all'eredità beata riservata a coloro che hanno fatto opere di penitenza".

La tradizione siriaca, inoltre, vede nel miracolo di Cana l'unione sponsale di Cristo con la sua Chiesa, con l'umanità intera; a Cana il vero sposo è Cristo stesso che invita l'umanità sofferente e peccatrice a unirsi a lui per portarla alla vera stanza nuziale che è il giardino dell'Eden. Sant'Efrem canta:  "Beati i tuoi invitati, bella città di Cana! Essi godono della tua benedizione e le giare riempite dalla sua parola annunciano che in te si trovano i doni celesti che rallegrano il pasto del paradiso".

Il vino nuovo che unisce i commensali è simbolo del Sangue prezioso che unisce a Cristo stesso:  "Tu che, come promesso sposo redimi la Chiesa col tuo Sangue, tu che rallegri i commensali di Cana, rallegra la tua Chiesa col tuo Corpo". La liturgia siriaca vede ancora le giare come modello dell'anima che diventa luogo di una mirabile trasformazione, dove Cristo stesso rinnova tutto quello che è vecchio.

Lungo le domeniche della Quaresima, la tradizione siro-occidentale, prima della celebrazione della passione, morte e risurrezione del Signore, vuole celebrare i miracoli con cui il Salvatore ha voluto manifestare la sua missione divina tra gli uomini. L'ufficiatura del mattutino di tutte le domeniche quaresimali contiene questa preghiera:  "Signore misericordioso, che sei disceso nella tua compassione verso la natura umana, tu che hai purificato il lebbroso, aperto gli occhi ai ciechi, risuscitato i morti, fa che le nostre anime siano purificate e i nostri corpi santificati; che si aprano gli occhi del nostro cuore per capire i tuoi insegnamenti affinché, con i peccatori pentiti, innalziamo la lode".

I miracoli narrati e celebrati in queste domeniche ci portano a contemplare i prodigi della grazia divina nelle anime degli uomini; così molti dei testi liturgici della Quaresima finiscono sempre con lo stesso ritornello conclusivo:  "Anche noi, Signore, ti preghiamo:  tocca il nostro spirito e purificalo da ogni macchia e da ogni impurità del peccato, e abbi pietà di noi".


(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2010)
Caterina63
00mercoledì 17 febbraio 2010 10:47

Il Rosario di san Padre Pio


di Anna Villani, giornalista

 Questo Rosario con l’immagine della Rosa Mistica, è appartenuto a Padre Pio e la sottoscritta ha avuto la gioia di poterlo recitare, avendolo avuto in prestito anche per una sola giornata, dal sacerdote che in quel di Pagani, lo ha in custodia.

Ha una storia molto bella.
Un arcivescovo Argentino se non sbaglio comunque America Latina, si recava spesso dal frate stimmatino.
 Ma, avanti negli anni, chiese al santo pugliese, di fargli un dono speciale che lo facesse sentire più vicino a lui.
 Padre Pio non esitò, prese la propria corona e la porse come un grande regalo, che come tale fu accolto, e del resto lo stesso padre Pio aveva insegnato più volte di come la corona del Rosario fosse per lui l'oggetto più prezioso che possedesse.

 L’Arcivescovo in punto di morte la consegnò ad un nipote, con l’intenzione che coloro che l’avrebbero posseduta avrebbero dovuto recitare rosari per i sacerdoti, che tanto hanno bisogno di preghiere per svolgere degnamente il proprio compito.
 Si sa che Dio chiama, fa maturare vocazioni, ma non può imporre al sacerdote, di farsi santo.

Questo nipote, incontrò questo sacerdote salernitano e avendone ricevuto messe per trenta giorni consecutivi come era desiderio dello zio, non sapendo come ricambiare, date le scarse possibilità economiche, pensò allora di sdebitarsi offrendogli il dono da parte, più prezioso: la corona di Padre Pio.
 "Padre -disse- ho a casa una corona che le farà senz’altro piacere di ricevere, apparteneva a Padre Pio" e giù col raccontare la storia.
 "Valla a prendere prima che cambi idea" rispose il santo sacerdote che conosco.

 E così fu fatto. La corona viene fatta girare nelle case dove ci sono casi drammatici da poterli trasformare in speranza. Ma, non è la corona in sè che può portare prodigi, quanto la fede che si ripone nel recitarla. La Madonna, nelle apparizioni, a Fatima come a Lourdes e in altre occasioni, ha sempre raccomandanto la recita della "catena dolce che ci rannodi a Dio", come la chiamava il beato Bartolo Longo, fondatore del Santuario di Pompei.



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Ribadendo il concetto che NON sono gli oggetti in se a salvare...e che questi non devono diventare oggetti di superstizione, va sottolineato che è la PREGHIERA E LA FEDE IN ESSI CONTENUTI  a suscitare dal Cristo elargizioni di grazie....
San Padre Pio raccomandava il Rosario in Quaresima quale strumento di aiuto PER ESERCITARE IL SILENZIO... ossia, pregare piuttosto che dire parole vane, specialmente in questo Tempo di grande austerità soprattutto INTERIORE...


SANTA QUARESIMA A TUTTI







S_Daniele
00mercoledì 17 febbraio 2010 11:48
Inni del tempo quaresimale

Quella sana osservanza antica e misteriosa


di Inos Biffi

L'anno liturgico è tra le creazioni più originali e più felici della Chiesa:  sorge dalla percezione che, a motivo dell'assunzione della carne da parte del Verbo, è nata una storia sacra, dove i giorni scorrono ricchi di grazia. Secondo sant'Ambrogio dalla Pasqua di Cristo è incominciato un tempo colmo di beatitudine - beata tempora.
Si sono venuti, così, formando i due grandi cicli liturgici:  quello pasquale, con al cuore la passione, la morte e la risurrezione del Signore e che si compie con la solennità di Pentecoste; e quello che irraggia dall'apparizione del Signore - il ciclo natalizio - concluso dalla memoria del Battesimo di Gesù. L'altro è un tempo in cui si succedono e prendono risalto le domeniche:  inventare e organizzare, dopo il ciclo pasquale e natalizio, un tempo centrato sul mistero di Pentecoste rivelerebbe una singolare incompetenza e un'insipienza degna di nota.
La Quaresima fa parte della "ghirlanda" pasquale. È una porzione di tempo tutto volto alla Pasqua; e, come avviene per gli altri periodi del suo corso liturgico, la Chiesa lo ha costellato di inni, che cantano i temi e i significati di questa attesa pasquale. Ecco un primo inno:  l'Ex more docti mystico, in dimetri giambici, dubitativamente attribuito a Gregorio Magno.
Si apre con la definizione della Quaresima:  un tempo di astinenza intrapresa per quaranta giorni, a imitazione di un'osservanza antica e misteriosa (ex more docti mystico) - l'arcano numero quadragenario percorre misteriosamente la Scrittura.
Già Mosè e i Profeti (Lex et Prophetae) hanno, per primi, annunziato e osservato questa astinenza, e dopo di loro Cristo stesso l'ha santificata, "il Creatore e Signore della storia (rex atque factor temporum)".
È un tempo dal programma austero, destinato ad avvolgere e a toccare tutta la condotta. Lo distinguono la sobrietà della parola; la temperanza nel cibo; la moderazione nel sonno; il controllo nello svago; la custodia dei sensi (Utamur ergo parcius / verbis, cibis et potibus, / somno, iocis et arctius / perstemus in custodia).
E, ancora, è un tempo segnato dalla vittoria sulle inclinazioni maligne, che turbano e dissipano le menti (Vitemus autem pessima / quae subruunt mentes vagas), e dalla sconfitta inflessibile dell'astuto tiranno, il demonio (Nullumque demus callido / hosti locum tyrannidis).
A questo stile di vita il discepolo del Signore è impegnato ad attenersi ogni giorno dell'anno; ma esso dovrà trasparire con verità più lucida e forza più ferma durante la Quaresima. L'anno liturgico, infatti, si svolge e raggiunge il suo fine, con questa varia intensità di accenti, improntando, così, l'esperienza cristiana dei mirabili eventi del Signore.
"Ogni azione di Cristo è nostra istruzione (omnis Christi actio nostra est instructio), ripete san Tommaso. E tuttavia, oltre che un atto, ogni azione  di  Cristo è un "mistero" o un "sacramento", che chiede di essere non solo imitata, ma proseguita e rivissuta.


(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2010)

 

Ex more docti mystico


Ex more docti mystico
servemus abstinentiam,
deno dierum circulo
ducto quater notissimo.
Lex et prophetae primitus
hanc praetulerunt, postmodum
Christus sacravit, omnium
rex atque factor temporum.
Utamur ergo parcius
verbis, cibis et potibus,
somno, iocis et arctius
perstemus in custodia.
Vitemus autem pessima
quae subruunt mentes vagas,
nullumque demus callido
hosti locum tyrannidis.



(©L'Osservatore Romano - 17 febbraio 2010)
Caterina63
00sabato 20 febbraio 2010 11:56
Amici.....i tanti problemi che ci affliggono non solo nel mondo, nelle famiglie, ma anche all'interno della Chiesa, mi fanno riflettere ulteriormente e molto, forse perchè siamo entrati anche in Quaresima, mi fanno riflettere anche su un altro aspetto: la TENTAZIONE che spesso ci anima: dello scoraggiamento.... Imbarazzato

diciamoci la verità, spesso le nostre reazioni si fondano più sullo scoraggiamento che non sull'attesa di una atto di Misericordia divina che conduce alla conversione ed alla risoluzione dei problemi...

C'è in questi giorni di Quaresima una immagine che amo molto meditare ogni anno: LO SGUARDO DI GESU' A PIETRO QUANDO LO RINNEGA....
ogni anno di questo Tempo mi soffermo su questo punto del Vangelo e desidero penetrare anch'io, inabissarmi, dentro quello sguardo FERITO di un Dio che mi dice, come fece capire a Pietro: " ma che fai, mi rinneghi? NON SPERI PIU'? NON CREDI PIU? MI ABBANDONI ANCHE TU?...."
Sono domande e aspetti che mi ripropongo ogni volta che NON comprendo questa grave apostasia nella Chiesa... Pietro stesso fu così in un certo senso il primo apostata dal momento che aveva prima professato la fede in Cristo tanto da ricevere la lode da Dio....poi al momento del dramma, al momento della prova la rinnega...rinnegare la professione di fede è fare apostasia...e come reagisce Gesù?

Guarda negli occhi Pietro fino a raggiungerlo nel cuore e farlo sciogliere definitivamente in un gran pianto di pentimento....

Quante vole mi sono chiesta: come mai siamo pronti a piangere per i drammi umani ma MAI pronti a piangere per le piccole o grandi apostasie che facciamo nella Chiesa? Imbarazzato
Dove sta questo pianto liberatorio?
Non è forse questo (anche questo) l'indurimento del cuore?
Un cuore che non prova nulla quando incontra quello SGUARDO che tocca la nostra coscienza, è un cuore indurito...e questo non è solo per chi fa apostasia, ma anche per chi, continuando a credere tuttavia DISPERA NELLA CHIESA, nella sua santità inattaccabile (e le porte degli inferi non prevarranno), crede che tutto sia perduto....se non erro questo è anche uno dei peccati contro lo Spirito Santo...

Ecco che confido a voi e in questo Cammino quaresimale, di riscoprire questo SGUARDO DEL CRISTO non solo a Pietro, ma anche a me stessa, ad ognuno di noi ed auguro a me stessa e a tutti voi di riscoprire un santo pianto liberatorio, magari davanti al Tabernacolo.... per tornare nuovamente a sperare che nulla è perduto fino al ritorno di Cristo... e che noi crediamo nel BENE e non nel Male che ci affligge...

Sto meditando in questi giorni sul Santo Curato d'Ars e vi condivido queste perle:

- "Signor Curato, dove avete fatto il corso di teologia?" - gli chiese un giorno un sacerdote. Il Santo curato Vianney senza parlare gli indicò il suo inginocchiatoio posto davanti ad un Crocefisso....

- Un giorno un protestante chiese al santo Curato cosa pensasse del Paradiso e se ci fosse stata la possibilità di condividerlo con i protestanti, risposte il Santo Vianney: " Ahimè amico mio! Noi NON saremo uniti lassù se non in quanto avremo incominciato ad essere uniti sulla terra. La morte non cambierà nulla. Dove cade l'albero, lì rimane. A meno che non venga rinnescato  nella Chiesa..."

- Un giovane fedele gli chiese come si potesse riconoscere l'azione dello Spirito Santo, risposte il Santo Curato d'Ars: " E' semplice: quando ci vengono i pensieri buoni, quando speriamo, quando il nome stesso di Dio in Gesù ci commuove fino alle lacrime, quando non possiamo fare a meno di amare la Chiesa nostra madre, allora stai tranquillo che è lo Spirito Santo che ci visita"...
Buon Cammino Quaresimale a tutti....

Caterina63
00martedì 23 febbraio 2010 20:51
                                   Jesus san Padre Pio



Candet nudatum pectus, rubet cruentum latus, tensa arent viscera, decora languent lumina, regia pallent ora, procera rigent brachia, crura pendent marmorea, rigat terebratos pedes beati sanguinis unda.

Bianco è il suo nudo petto. Rosso di sangue il fianco. Le viscere tese inaridiscono. Gli occhi stupendi languono. Il volto regale impallidisce. Le nobili braccia si irrigidiscono. Le gambe pendono come di marmo. E l'onda del sangue beato riga i piedi trafitti.
San Giovanni di Fecamp, X secolo


Tota die expando in cruce manus meas ad te homo ut te amplexer, capud meum inclino ut amplexatum deosculer, latus meum aperio ut osculatum introducam ad cor meum, et simus duo in carne una.

Per tutto il giorno, o uomo, tendo verso di te le mie mani dalla croce per abbracciarti, e dopo averti abbracciato, piego il mio capo per baciarti, e quando ti ho baciato, ti apro il fianco per condurti fino al mio cuore così da essere due in una sola carne
.
John Whiterig, XIV secolo



Nostro Signore trattenne la sua potenza, ed essi lo afferrarono,

così che attraverso la sua morte vivente potesse dare vita ad Adamo.

Egli dette le sue mani per essere forate dai chiodi

per rimediare alla mano che aveva colto il frutto:

Egli fu colpito sulla guancia nella camera del giudizio

per rimediare alla bocca che aveva mangiato nell'Eden;

e mentre il piede di Adamo era libero

i suoi piedi furono trafitti;

nostro Signore fu spogliato perché noi possiamo essere vestiti;

con il fiele e l'aceto Egli addolcì

il veleno del serpente che aveva morso l'uomo.

(S. Efrem il Siro da "L'arpa dello Spirito")





Rifletti, anima, all'esame

che il Giudice farà della tua vita.

Ricordati dei gemiti del Pubblicano, dei lamenti della peccatrice,

e grida tu in pentimento:

“Per le preghiere dei Santi,

concedi il perdono,

tu, che vuoi salvare tutti gli uomini”.
(Romano il Melode)


Dal cielo è sceso come la luce,

da Maria è nato come un germe divino,

dalla croce è caduto come un frutto,

al cielo è salito come una primizia.

Benedetta sia la tua volontà!

Tu sei l'offerta del cielo e della terra,

ora immolato e ora adorato.

Sei disceso in terra per essere vittima,

sei salito come offerta unica,

sei salito portando il tuo sacrificio,

o Signore.

(Efrem il siro)



Caterina63
00giovedì 25 marzo 2010 18:36

HANNO PORTATO VIA GESU' !

Qualche tempo fa alcuni ladri sacrileghi entrarono nella Chiesa di Bardello, scassinarono la piccola porta del Tabernacolo e, estrattine i vasi sacri, fuggirono.
Quando, al mattino, il buon popolo rientrò nella chiesa, e il sacerdote, piangendo, disse dell'orribile sacrilegio avvenuto e, mostrando il Tabernacolo vuoto: "Hanno portato via Gesù!",
un fremito di sdegno e di sgomento passò attraverso la folla: tutti piangevano.
Di mezzo all'assemblea addolorata si fecero innanzi due giovani che dissero:
- Andremo noi a cercare Gesù. -

Il sacerdote commosso li benedisse, e andarono per tutta la giornata; vagarono per le strade e sui colli, lungo la spiaggia del lago... a ricercar Gesù.
Finalmente verso sera lo trovarono, gettato a terra.
Con animo commosso e pietoso, s'inchinarono verso quei resti, che adagiarono sopra due pietre candide e riportarono Gesù a Bardello, tra le lacrime ed i cantici di giubilo del popolo devoto che venne loro incontro; e riconsegnarono Gesù al Sacerdote che lo pose sull'altare, tra una festa di fiori, inni e lodi!

- Hanno portato via Gesù!
E' questa una straziante constatazione: lo hanno portato via non soltanto dai Tabernacoli delle Chiese, ma anche dall'altare e più gravemente lo stanno portando via da mille Cuori.
Andiamo noi alla ricerca di Gesù, ma non di un Gesù qualunque, noi vogliamo il Gesù Eucarestia, Ostia Santa e riportiamolo ai fratelli doloranti!

A VOI DIFENDERE GESU'

Racconta il cardinale Maffi che in una delle ultime persecuzioni della Polonia, si voleva un giorno profanare Gesù nel santo Tabernacolo, toglierne la Sacra Pisside.
Si gettò, implorante, il sacerdote davanti ai crudeli per fermarli ed impedire loro di macchiarsi di un così grave peccato.
Vana fu ogni preghiera!
Allora corse il misero all'Altare e con supremo dolore le due mani puntò contro la porticina, che gli serbava il suo Tesoro, con quanta energia gli rimaneva, così tentando, fra lacrime e suppliche, la difesa estrema.
Ma un cosacco gli si accostò, e su quelle pietose e mirabili mani consacrate, battè con tutta la rabbia un colpo della sua spada e fece cader tronche le mani.
Il Sacerdote martire, levando e protesi i moncherini sanguinanti verso il popolo, al popolo diede il suo ultimo grido: A VOI, ORA, DIFENDERE GESU' NON ABBANDONATELO!
Molti martiri, in quel giorno, si unirono alle schiere dei Beati in cielo.

A voi giovani è importante rammentare quali siano i veri ideali, quale sia la sana condotta da tenere in queste afflizioni perchè, questa scena pietosa, non è isolata: troppe volte noi sacerdoti sentiamo come d'aver tronche le mani e, con umiltà, a voi protendiamo i moncherini e diciamo: Ora tocca anche a voi, difendete Gesù!

Non sono storie inventate quel che ti racconto, ascolta cosa avvenne al fronte!
Presso un grosso Borgo vicino al nostro fronte era saltato in aria un deposito di munizioni e da un momento all'altro si temevano nuove esplosioni.
Naturalmente tutto il paese era stato fatto sgombrare dalla popolazione: ma Gesù nel Santissimo Sacramento dell'Eucarestia, era rimasto al suo posto, là nella chiesa parrocchiale.

Allora un cappellano militare e due ufficiali decisero di salvare da quelle rovine il Sacramentato Signore.
Si accostano alla chiesa che per metà stava bruciando, ma in un attimo il cappellano, colpito da alcuni rottami, cade a sua volta ferito presso la porta.
Uno dei due ufficiali, dopo sforzi inauditi, riesce ad entrare nella chiesa e, superando con coraggio il bagliore e il calore dell'incendio che minaccia di far crollare la chiesa da un momento all'altro, arriva davanti al Tabernacolo ma, ahimè, manca la chiave!
Avrebbe potuto sfondare quella porticina, ma non se la sente e corre verso la sacrestia, sa dove potrebbe trovarsi l'oggetto importante, ma il tempo stringe, la chiesa comincia a tremare.
L'ufficiale non si perde d'animo, raddoppia i suoi sforzi e abbraccia tutto l'intero Tabernacolo, e nell'urlare l'immane fatica supplica Gesù di aiutarlo, la sua fede è grande! ed ecco che strappa tutto il Tabernacolo e se lo mette sulle spalle dicendo contento: "coraggio Signore, siamo quasi fuori!"
Non appena è uscito dalla Chiesa, questa all'istante cade rovinosamente su stessa diventando un cumulo di rovine.

Il Tabernacolo, con somma riverenza, venne portato sulle spalle dell'eroico ufficiale, mentre il malandato cappellano ferito, intonava le sante litanie e l'altro ufficiale faceva da battistrada, come si fa quando sta passando una Persona importante. Dopo un chilometro giunsero stanchi ma felici nella chiesa del paese vicino e subito con la popolazione in preghiera, il Tabernacolo venne posto sull'altare vicino all'altro in attesa di trovare una soluzione per la porticina.

Come non pensare a quale premio il Signore donerà al giovane ufficiale per il suo atto eroico?

 Sorriso

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ne potrete trovare altre che sto trascrivendo da un libretto antico....

S_Daniele
00lunedì 29 marzo 2010 20:41
Inni della Settimana Santa:  "Vexilla regis prodeunt"

In trono sul patibolo


di Inos Biffi


Incominciano con la Settimana Santa i giorni della prolungata e appassionata contemplazione della Croce. Vi risuona, in particolare, il grande inno del Vexilla Regis. L'autore, Venanzio Fortunato - nato a Valdobbiadene (530/540) e morto vescovo di Poitiers (600/610) -, viene considerato come "il creatore della mistica simbolica della Croce, di cui più tardi si faranno cantori ispirati san Bonaventura o Iacopone da Todi" (Henry Spitzmuller).

La composizione, in dimetri giambici acatalettici, fu cantata la prima volta a Poitiers, nel 568, in occasione della deposizione di un frammento della Santa Croce nella chiesa del monastero a essa dedicata, retto dall'abbadessa Radegonda, che aveva ricevuto quel frammento dall'imperatore Giustino II.

I versi, pur non privi di qualche enfasi e retorica, sono animati da una fede ardente e pervasi da una profonda ispirazione. E a emergere subito con chiarezza è il senso salvifico della Croce, insieme dolorosa e gloriosa.

 Al nostro giudizio terreno, la croce appare un ignominioso strumento di morte, un orrendo marchio di infamia, un segno di insensatezza e di impotenza. Qui, invece, la Croce è esaltata come "il vessillo del Re" (vexilla Regis), come "un luminoso mistero" (fulget Crucis mysterium).
Il pensiero va alla "Parola della Croce", di cui parla Paolo, la quale è "stoltezza per quelli che si perdono", ma "potenza di Dio" "per quelli che si salvano". "I Giudei chiedono segni e i Greci cercano sapienza - dichiara l'apostolo - noi invece annunciamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani" (cfr. 1 Corinzi, 1, 18ss). La Croce, dal profilo umano, è quanto di più debole e ignobile si possa pensare; e, pure, Dio l'ha scelta per manifestare la sua sapienza e la sua potenza. Dio ha scelto quel legno funesto come il trono della regalità del suo Figlio.

Pilato credeva di irridere Gesù, presentandolo con una "corona di spine" e con addosso "un mantello di porpora" (Giovanni, 19, 5); in realtà, non faceva che esprimere il sorprendente disegno di Dio, che dall'eternità aveva predestinato come Re dell'universo il Crocifisso risorto e come esemplare dell'uomo l'umanità gloriosa del Figlio morto sulla Croce.

Sorprendentemente, sulla Croce non falliva, ma al contrario, di là da ogni ragionevole attesa, si compiva e aveva successo esattamente la scelta divina, presente da sempre nel cuore della Trinità. A Dante, che contemplava estatico la "luce eterna", parve di intravvedere dipinta nel "lume riflesso", il Verbo, la "nostra effigie" (Paradiso, 33, 131):  ossia il mistero dell'Incarnazione. Potremmo precisare:  in quel "lume riflesso", era impresso il mistero della passione e della risurrezione del Signore, o il Crocifisso glorioso.

La regalità del Risorto da morte - per il quale tutto era stato ed era voluto - non si giustappose, infatti, a riparare un imprevisto divino, dovuto all'uomo, ma era la ragione per la quale tutto da principio era stato creato. Per questo Venanzio Fortunato può avviare felicemente il suo inno, cantando la luce che risiede e promana dal mistero della Croce.

Al patibolo - prosegue il poeta, fissando il suo sguardo pietoso sui particolari di quella crocifissione - è appeso il corpo del "Creatore del mondo":  "Straziato nelle carni / con le mani e i piedi trapassati dai chiodi / vi si è immolato come vittima del nostro riscatto" (redemptionis gratia / hic immolata est hostia).

Poi viene "il colpo di lancia crudele", che "squarcia il suo fianco" (Quo vulneratus insuper / mucrone diræ lanceæ):  ne "fluisce sangue e acqua", come da fonte "che lava ogni crimine" (ut nos lavaret crimine / manavit unda, sanguine). Sul fatto si era soffermata l'attenzione dell'evangelista Giovanni, che lo attesta con speciale autorevolezza:  la tradizione cristiana vi lesse un evento ricco di simboli:  dal Crocifisso, vero Agnello pasquale, scaturisce lo Spirito, e sgorgano i sacramenti, in particolare il lavacro battesimale e il sangue eucaristico.

Lo sguardo è quindi rivolto all'albero della Croce, di cui è elogiata, con profusione un po' barocca di immagini, la luminosità, il pregio, il profumo, la dolcezza e la fecondità.

In apparenza è uno squallido legno; in realtà è un "albero rivestito di bellezza e di fulgore", "adorno del sangue come di porpora regale" (Arbor decora et fulgida / ornata regis purpura), "scelto tra tutti per essere il tronco degno / di portare membra tanto sante" (electa, digno stipite / tam sancta membra tangere!). Un "albero beato, sulle cui braccia aperte / fu sospeso il prezzo della redenzione del mondo" (Beata, cuius bracchiis / pretium pependit sæculi!), simile a "bilancia", su cui venne pesato il corpo di Cristo, e che strappò la preda all'inferno. Un albero che emana un profumo soave, e stilla una dolcezza più gustosa del miele, e su cui maturano frutti copiosi.

Segue, a conclusione, il solenne saluto alla Croce, e alla Vittima su di essa sacrificata come sopra un altare:  luogo dove la Vita sopporta la morte, e la morte elargisce la vita:  "Salve,  Croce adorabile! / Su questo altare muore / la Vita e morendo ridona / agli uomini la vita" (Salve ara, salve victima / de passionis gloria / qua Vita mortem pertulit / et morte vitam reddidit).

È il paradosso del progetto salvifico:  sperimentata dal Figlio di Dio, la morte diviene sorgente di vita:  l'onnipotenza divina mirabilmente trasforma uno strumento di rovina in mezzo di redenzione.
"Salve, Croce adorabile - ripete con slancio rinnovato il poeta - sola nostra speranza!" (O crux, ave spes unica); "Concedi perdono ai colpevoli / accresci nei giusti la grazia" (piis adauge gratiam / reisque dona veniam).

Quando apparve il contenuto del "mistero nascosto da secoli e da generazioni" (Colossesi, 1, 26), si rivelò come la gloria del Crocifisso, e come la regalità di Cristo sul trono della Croce. Gesù stesso aveva dichiarato che, una volta innalzato, avrebbe tratto tutto a sé (cfr. Giovanni, 12, 32). E, infatti, tutte le creature, quelle del cielo e quelle della terra, portano l'impronta di Gesù risuscitato da morte, essendo state progettate dal Padre fin dall'origine a sua immagine. "Sul legno avviene la regalità di Dio", canta un verso splendido di Venanzio (Regnavit a ligno Deus).

Non stupisce, allora, che san Massimo di Torino, con esegesi fantasiosa e, pure, acuta e suggestiva, abbia ricercato e rinvenuto "il sacramento della Croce" e la presenza del suo segno nell'intero universo:  nella "vela sospesa del marinaio all'albero", nella "struttura dell'aratro, con il suo dentale, i suoi orecchi e il manico", nella disposizione "del cielo in quattro parti", nella "posizione dell'uomo quando innalza le mani":  "Da questo segno del Signore è solcato il mare, è coltivata la terra, è governato il cielo, sono salvati gli uomini".

Tutto il mistero che ci avvolge è racchiuso nel Crocifisso glorioso. Tutta la nostra aspirazione è di poterlo comprendere, per poter vivere.

Il testo dell'inno


Vexilla regis prodeunt fulget crucis mysterium quo carne carnis Conditor suspensus est patibulo Confixa clavis viscera tendens manus, vestigia; redemptionis gratia hic immolata est hostia Quo vulneratus insuper mucrone diræ lanceæ; ut nos lavaret crimine, manavit unda, sanguine Impleta sunt quae concinit David fideli carmine dicendo nationibus:  "Regnavit a ligno Deus". Arbor decora et fulgida ornata Regis purpura $\electa, digno stipite tam sancta membra tangere! Beata, cuius bracchiis pretium pependit sæculi! Statera facta est corporis praedam tulitque Tartari Fundis aroma cortice vincis sapore nectare iucunda fructu fertili plaudis triumpho nobili Salve ara, salve victima de passionis gloria qua Vita mortem pertulit et morte vitam reddidit O Crux, ave, spes unica! hoc passionis tempore piis adauge gratiam reisque dona veniam


(©L'Osservatore Romano - 29-30 marzo 2010)
Caterina63
00martedì 30 marzo 2010 12:28
MARTEDI SANTO

Ricorda Anima Devota:

La Chiesa canta nel Martedì Santo il Passio di san Marco (*) e vuole, come dice san Girolamo: "leggere e rileggere il Crocifisso".
Infatti è per questo che le Croci vengono velate, ma l'anima amante si introduce sotto quel velo e bacia piangendo le piaghe del Redentore.

Gli ultimi giorni di sua vita Gesù andò a cercare ospitalità ove sapeva di essere amato: e nei viaggi che fece il Lunedì e il Martedì al Tempio gittò tesori di luce nelle parabole, si studiò di ritrarci come in tanti quadri la fine del mondo e il secolo immortale, ove le anime che lo amano quaggiù lo incontreranno per star sempre con Lui.
Anime Amanti, invitate Gesù a fissare in questi giorni presso di voi la sua dimora; seguitelo oggi al Tempio, e ascoltate da quel divino labbro gli oracoli di vita, gli ammaestramenti di salute.
Egli parlò con veri accenti di fiamma, e la parabola delle Vergini e delle lampade, pressochè alla vigilia del tradimento e della morte, gli uscì da un cuore profondamente innamorato.

Era già avviata la Sua passione, nel predicare vagheggiava la Croce, quale talamo di sanguinose nozze, per la Sua dolce Sposa Chiesa pensò in dote i Divini Sacramenti. Parlava dell'olio della Carità , esortava a non lasciar spegnere le lampade e parlando della morte sotto forma di sonno, immediatamente indicava il cielo.
Considerate Anime Devote che l'altare vostre nozze è la santissima Croce.
E' la ch'Egli sposa a sè le Anime e le veste di sangue; e alla croce, come ad altare, portate le vostre lampade, ossia i vostri cuori accesi di fiamma d'amore ardente perchè qui dovete rifornirli dell'olio che sgorga dalle piaghe adorate.

Meditate con serena pacatezza tutti i tratti sanguinosi della Passione e, andando sotto il velo che ricopre le Croci, baciate con altrettanta passione ardente quella eterna bellezza impallidita in morte, e fate da cotale meditazione intima e penetrante spuntar fiori di sentimenti pietosi, di virili propositi, di struggimenti beati.

La Vittima Divina vi apra il tesoro immenso dè suoi dolori.
Mesta fino alla morte, vi faccia meste con sè. Vi narri come il Padre lo diede a morte per giustizia, i Giudei e Giuda per odio. Ma ancor più Egli stesso si diede, vi si offerse qual pio pellicano solo per amore, come al dire di Paolo: " Cristo amò me, e diede se stesso a morte per me, ero ancora nella corruzione del peccato e già Cristo aveva pensato a me, morì così per me "...

L'anima vostra si empia fin da oggi delle rimembranze del Golgota; salutatelo fin da ora, preparandovi con ampiezza di desideri alle scene sublimi della Passione che vi attendono, e cominciate a seppellirvi nel Cuore del vostro Sposo, perchè solamente là dentro si può capire qualcosa dei Misteri della Settimana Santa.
In quel Cuor fremente, pieno di misericordia, vicino a versar sangue ed a rompersi per abbondanza d'affetto, bisogna squagliarsi, fondersi, perdere ogni idea umana per rivestirsi di Cristo, odiare il peccato come Lui lo odiò perchè tanto lo fece soffrire, ma amare come Lui ci amò tutte le anime, creature di Dio.




Nota

(*) si tratta del Rito detto san Pio V, la Messa nella Forma Straordinaria liberalizzata da Benedetto XVI nel Summorum Pontificum con Motu Proprio del luglio 2007 dopo anni di incomprensibili divieti. Tutti i riferimenti alla Messa sono dunque da intendersi nella Forma, detta oggi, Straordinaria che fino al Concilio Vaticano II era Ordinaria.

Per seguire la serie delle meditazioni:

L'Anima Devota nei giorni Santi/1
Devozione e meditazioni nella Settimana Santa.



DOMENICA DELLE PALME

LUNEDì SANTO


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