Riportate alla luce nelle catacombe di Santa Tecla le più antiche rappresentazioni iconografiche devozionali di Andrea e Giovanni

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S_Daniele
00martedì 22 giugno 2010 20:59
Dopo quelle di Paolo e di Pietro vengono alla luce nelle catacombe di Santa Tecla le più antiche rappresentazioni iconografiche devozionali di Andrea e Giovanni

Il laser svela gli apostoli


Risalgono al IV secolo gli affreschi scoperti sulla via Ostiense grazie a moderne tecniche di indagine

Nella mattinata di martedì 22 giugno si è svolta a Roma, presso la basilica di San Paolo fuori le Mura, la conferenza stampa di presentazione delle ultime scoperte archeologiche emerse all'interno delle catacombe romane di Santa Tecla nel corso degli scavi e dei restauri curati dalla Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Pubblichiamo i contributi degli esperti che hanno partecipato all'incontro:  Fabrizio Bisconti, sovrintendente archeologico delle catacombe, Barbara Mazzei, responsabile del restauro, e Giovanni Carrù, segretario della commissione. È intervenuto anche l'arcivescovo presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che, nel testo seguente, illustra i dettagli della scoperta.

di Gianfranco Ravasi

Il delicato e meticoloso intervento di restauro, avviato due anni orsono, nel cubicolo dipinto delle catacombe romane di Santa Tecla sulla via Ostiense, offrì una importante sorpresa proprio lo scorso giugno, quando si concludevano le celebrazioni dell'anno paolino. In quell'occasione, attraverso le pagine de "L'Osservatore Romano", i responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, annunciavano la scoperta di una suggestiva raffigurazione di san Paolo, rappresentato in busto, in un clipeo aureo, databile agli ultimi anni del iv secolo o ai primi del seguente, assurgendo, così, agli onori della più antica icona di san Paolo.

L'immagine pensierosa dell'apostolo delle genti fece il giro del mondo, emozionando devoti e studiosi, che cercavano in quel volto il carattere, la sapienza, la psicologia del più raffinato pensatore del cristianesimo della prima ora. Gli occhi spalancati, le rughe di atteggiamento, le guance scavate, la calvizie, la lunga e scura barba appuntita assicurarono anche i più scettici che ci si trovava dinanzi al ritratto volitivo e graffiante di chi cambiò radicalmente il suo stile di vita, in nome di una folgorante conversione.

 E proprio mentre il laser, usato dai restauratori per la prima volta in un ambiente catacombale angusto ed estremamente umido, definiva, in tutti i suoi particolari, nel soffitto del cubicolo spuntò un altro clipeo campito dal busto di Pietro, riconoscibile dalle peculiarità fisionomiche tipiche dei più antichi ritratti dell'apostolo-pescatore:  la chioma e la barba bianca, il volto squadrato, le sembianze tipiche di un uomo anziano.
I responsabili della Commissione chiesero, a quel punto, alla stampa e agli specialisti il tempo utile per restaurare l'intero cubicolo, promettendo altre importanti scoperte, intuite dagli addetti ai lavori, ma bisognose di verifiche, di studi approfonditi, di ordine iconografico, storico artistico e stilistico.
I restauratori tornarono al lavoro con il prodigioso strumento nel silenzio e nel buio delle catacombe di Santa Tecla. Non è stato semplice, in questi mesi mantenere la tranquillità necessaria per procedere coerentemente nel lavoro di asportazione delle concrezioni scure che avevano obliterato quelle importanti pitture. E non è stato facile neppure mantenere segrete le scoperte che si succedevano, emozionando, prima, i restauratori e, poi, i responsabili scientifici del restauro che, come è evidente, comunicavano solo ai Superiori le novità, che provenivano da quel fortunato intervento conservativo.

Oggi i tempi sono maturi per svelare, nella sua interezza, la scoperta del programma decorativo del cubicolo, che si propone come una sontuosa e decorata tomba di una nobildonna, appartenente all'aristocrazia romana dell'ultimo scorcio del IV secolo, quando a Roma si consumavano gli ultimi tentativi del senato di arroccarsi nella difesa estrema di una religione pagana, che, proprio al tempo di Teodosio, proporrà le sue ultime manifestazioni.
 Ebbene, la Roma degli "ultimi pagani" era anche la Roma di una sistematica cristianizzazione, che, appunto, toccherà anche i più alti livelli della gerarchia dell'impero. San Girolamo è molto vicino a un gruppo di pie matrone, che iniziarono a praticare forme di "ascesi domestica", a cominciare da Marcella, che si rinchiuse in periferia nel suo palazzo dell'Aventino, dando avvio ad un tipo di vita religiosa riservata alle matrone della "Roma bene", che intrattenevano con Girolamo un fitto scambio di lettere e che, in qualche caso, la seguirono sino in Terra Santa, alla ricerca dei luoghi della memoria dei patriarchi, dei profeti, del Cristo e degli apostoli.
Le vedove, le vergini, le pie donne dell'aristocrazia romana promossero anche un culto nei confronti dei martiri romani, sulla scia del progetto politico-religioso di Papa Damaso, ma anche nei confronti degli apostoli. Le memorie di questi ultimi, d'altra parte, furono collocate al centro dell'Apostoleion costantinopolitano, voluto da Costantino nella nuova Roma per accogliere le sue stesse spoglie. E sant'Ambrogio, nella basilica apostolorum fatta costruire a Milano sulla via romana, fece sistemare al centro della basilica cruciforme le reliquie degli apostoli provenienti da Concordia, da Aquileia o da Roma.

 Il nostro percorso, che ha attraversato i luoghi salienti del culto per gli apostoli e che potrebbe anche toccare Antiochia, Gerasa, Aosta e infiniti altri centri dell'orbis christianus antiquus, ci riporta a Roma e al cubicolo di Santa Tecla. Su quel soffitto, che imitava un prezioso cassettonato, oltre alle immagini di Paolo e di Pietro, sono venute alla luce altri due clipei che accolgono due apostoli ben caratterizzati fisiognomicamente:  uno mostra l'irruenza e la potenza di Andrea, l'altro la delicatezza e l'aspetto giovanile di Giovanni. Queste ultime identificazioni, confortate dal confronto con monumenti musivi ravennati (Battistero degli ortodossi, Battistero degli ariani, Cappella arcivescovile, Basilica di San Vitale, Basilica di Sant'Apollinare Nuovo), ma anche orientali (Monastero di Santa Caterina al Sinai), che, spesso, mostravano le didascalie di definizione, ci permettono di considerare i due busti come e le più antiche rappresentazioni di Andrea e Giovanni.
Il laser ha continuato a svelare, in questi mesi, altre immagini, appena intraviste dagli studiosi del passato e, così, nell'ambiente antistante il cubicolo, modificato per l'apertura di un grande lucernario, accanto alle rappresentazioni del Cristo maestro, del paralitico, di Lazzaro, di Daniele tra i leoni è apparso un maestoso collegio apostolico dipinto su uno squillante fondo rosso definito da fasce azzurre e serti fioriti, mentre, ai piedi degli apostoli, è stata scoperta una teoria di sei ovini che si abbeverano, anticipando un tema caro ai grandi scenari musivi dei catini absidali romani, pronti ad accogliere le teofanie di ispirazione apocalittica.

 Il cubicolo presenta una semplice pianta quadrata con tre arcosoli ai lati, secondo l'organizzazione dei mausolei nobiliari, che si addensavano attorno ai grandi santuari martiriali del suburbio romano. Ebbene, in uno degli arcosoli è apparsa l'immagine di una nobildonna, sontuosamente abbigliata e ingioiellata, in compagnia della figlia orante, tra due santi che introducono le defunte nell'aldilà. Questa defunta va, presumibilmente identificata con una di quelle nobildonne di cui si diceva in apertura.
Il resto del cubicolo è costellato di scene bibliche (Giona, Daniele, Pietro che fa scaturire l'acqua nel carcere Tulliano, Maria con i Magi, Abramo e Isacco) rappresentate contro fondali neri incorniciati da fasce gialle e rosse, come per emulare l'opus sectile con cui si decoravano i più prestigiosi edifici della tarda antichità.
Il meticoloso intervento di restauro ha, quindi, recuperato uno dei monumenti sepolcrali più tardi e più decorati delle catacombe romane, quando queste stanno per esaurire la loro funzione funeraria, a favore di una stagione devozionale, allorquando i pellegrini dell'intero orbe cristiano si recano a visitare le tombe sante. In questo frangente, alcuni cubicoli monumentali fungono da "mausolei sotterranei", posizionati in una catacomba assai prossima al martyrium paolino, che al tempo dei tre imperatori Teodosio, Valentiniano ii e Arcadio, viene ampliato e decorato, come ricorda Prudenzio (Peristephanon, xii, 24-25), che si sofferma a descrivere proprio il prezioso soffitto, che può aver funzionato come prototipo per la volta del cubicolo di Santa Tecla. Anche i quattro clipei, con le raffigurazioni dei santi Pietro, Paolo e degli appena riscoperti Andrea e Giovanni, in questo senso possono rappresentare uno stralcio di una teoria apostolica o pontificia, di cui conosciamo la redazione leoniana, ma che poteva essere già prevista nell'impianto teodosiano della basilica.

La scelta di sistemare il cubicolo in una catacomba non lontana dalla memoria paolina, che, tra l'altro, assumerà la denominazione di Santa Tecla - così come un piccolo ipogeo scavato nella roccia di san Paolo prenderà il nome significativo di San Timoteo, disegnando una "mappa paolina" attorno al ii miglio della via Ostiense - rappresenta un importante intervento devozionale nei confronti dell'apostolo delle genti che, sin dal pontificato di Papa Damaso (366-384), vedrà potenziato il suo ruolo, nell'ambito di quel progetto politico-religioso che verterà proprio sulla concordia apostolorum e sulla riabilitazione di Paolo, che verrà considerato il promotore della conversione degli ultimi pagani, di cui si diceva in apertura.


(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
S_Daniele
00martedì 22 giugno 2010 21:02
Cronaca di un restauro

E con una buona terapia i colori tornano a brillare


di Barbara Mazzei

La cronaca dell'eccezionale rinvenimento dei più antichi ritratti degli apostoli non può che prendere avvio dal momento in cui, durante la programmazione delle attività per l'anno 2008 della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si verificava la possibilità di potersi dedicare, senza essere pressati da "lavorazioni d'urgenza", ad un progetto di restauro di più ampio respiro. Si decise, quindi, di accogliere i numerosi appelli, giunti negli anni passati ripetutamente e da più parti ai responsabili della Commissione, riguardanti il desolante stato in cui versavano le pitture del cubicolo doppio delle catacombe romane di Santa Tecla.
L'ambiente decorato non presentava, fortunatamente, condizioni di precarietà strutturale, né si osservavano evidenti segnali di distacchi degli strati d'intonaco, in più, la scarsa frequentazione del singolare impianto ipogeo aveva preservato le superfici affrescate da nocivi attacchi biologici. Il danno più evidente era costituito, fondamentalmente, da uno spesso strato di incrostazione calcarea omogeneamente disteso sulle superfici, che offuscava pressoché totalmente le pitture del cubicolo.
La favorevole circostanza di poter intraprendere un intervento di restauro senza particolari "pressioni" ha determinato sin da subito l'impostazione sperimentale del cantiere, stabilendo di cogliere l'opportunità per procedere ad un approfondimento della tecnica esecutiva della pittura catacombale e ad una messa a punto delle metodologie di restauro più idonee per questa peculiare tipologia di monumenti.
 L'esperienza oramai ventennale che la Commissione di Archeologia Sacra ha acquisito nell'intervenire all'interno degli ambienti delicati e sensibili delle catacombe, ha portato alla consapevolezza di dover stilare un protocollo d'intervento autonomo e specifico per questi manufatti, selezionando dall'ampio panorama di esperienze conservative le operazioni più caute e le procedure più "innocue" per il fragile ambiente catacombale, condizionato da un incomparabile livello di umidità relativa. Per affrontare una tale impresa si è, quindi, stabilito di mettere in campo una équipe specificatamente preparata nell'affrontare le differenti problematiche, con consulenze proprie per i vari aspetti scientifici.
L'impostazione del lavoro, come anticipato, prevedeva l'acquisizione di maggiori informazioni riguardo la tecnica esecutiva impiegata dagli antichi artifices nella realizzazione delle pitture, argomento ampiamente dibattuto nel passato sia remoto che prossimo, ancora dominato da una oramai vetusta impostazione che relega l'arte catacombale in un limbo decadente della parabola evolutiva dell'arte classica.
Per scandagliare la materia pittorica ci si è quindi avvalsi della consulenza dell'Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali del Consiglio nazionale delle ricerche italiano di Sesto Fiorentino (Firenze); lo studio della chimica dei composti pittorici ha rilevato l'impiego di differenti tecniche, dalle più semplici, come una sottile scialbatura a calce con colori applicati a fresco, alle più raffinate e articolate, come stratificazioni di varie stesure di colore con progressivo aumento di legante, mai di natura organica, dimostrando la compresenza di diversificati livelli qualitativi dell'esecuzione.
In seguito si è passati alla redazione di un'ampia documentazione grafica, fotografica e macrofotografica (microscopio a contatto) attraverso cui sono state registrate le cause del degrado, registrate su una puntuale mappatura delle pareti redatta sfruttando il preciso rilievo scanner-laser dell'ambiente.
Il fenomeno più macroscopico si è rivelato essere una variegata e tenace incrostazione calcarea, caratteristico degrado degli ambienti catacombali, che si manifesta sotto forma di uno strato carbonatico di colore scuro, più o meno sottile, particolarmente presente sulle volte e sulle zone alte delle pareti dei cubicoli. Ulteriori approfondite indagini hanno permesso di riconoscere la genesi del fenomeno, definito "del carsismo", che, con una alternanza di fasi, dissolutiva e costruttiva, provoca il sovrapporsi degli strati all'interno dei quali rimangono inglobate particelle di nerofumo. Del degrado, frequentemente incontrato in altri cantieri in ambienti ipogei, si era in precedenza giunti a determinare l'impossibilità della completa rimozione, vista l'eccessiva adesione sulla pellicola pittorica.
Comunque, una volta acquisiti tutti i dati necessari per la conoscenza del manufatto su cui intervenire, si è dato avvio al lavoro secondo le modalità stabilite inizialmente, che prevedevano, principalmente, l'asportazione meccanica delle tenacissime croste calcaree. Il lavoro procedeva con lentezza e particolare difficoltà, le potenzialità di asportazione di bisturi, trapanini e frese erano, considerato anche il pericolo di danneggiare l'opera, assai limitate. Ma, sebbene scarsi, i risultati così ottenuti iniziavano a far intravvedere brani di pittura estremamente interessanti, accrescendo il desiderio di pervenire a risultati di maggiore soddisfazione.
L'aggiornamento costante sulle novità apportate nel campo della conservazione, ha suggerito, a questo punto, la possibilità di sperimentare una recente tecnologia introdotta nel restauro delle pitture murali:  l'ablazione laser. Ampiamente applicata su manufatti lapidei e metallici, questa tecnica era stata da poco tempo testata, con ottimi risultati, anche su intonaci scialbati, ma la perplessità maggiore rimaneva nell'efficacia della tecnica applicata in ambiente ipogeo, avendo avuto esperienze pregresse in cui sistemi impiegati in monumenti subaerei si erano rivelati inefficaci, quando non dannosi, all'interno delle catacombe.
Una seppure vaga speranza di addivenire ad una soluzione positiva ha portato alla esecuzione di un test di prova. L'aspettativa è stata ampiamente ripagata:  il laser agiva risolutamente sulle incrostazioni calcaree, lasciando inalterata la pellicola pittorica che, finalmente, poteva mostrare tutta la sua vasta gamma di cromie e brillantezza.
A seguito di questo primo eclatante risultato, lo spirito di cautela ha portato al coinvolgimento dell'Istituto di Fisica applicata "Nello Carrara" (Cnr, Sesto Fiorentino) per ottenere un sostegno scientifico all'impresa che si stava per intraprendere. I risultati dei test, ampiamente documentati, hanno assicurato l'effettiva efficacia del procedimento di pulitura laser, accertando, di contro, l'innocuità dell'azione ablativa. La sperimentazione è risultata doppiamente soddisfacente visto che il particolare caso di Santa Tecla ha fornito un contributo interessante anche per lo sviluppo della ricerca scientifica sulla tecnica esecutiva dell'ablazione laser.
Il laser non si è comunque rivelato uno strumento "miracoloso"; il lavoro è proceduto per gradi e con non poche difficoltà. Sono stati impiegati macchinari con differenti caratteristiche a secondo del grado di spessore e tenacità della concrezione, fattore che ha comportato un diverso approccio al lavoro rispetto alle procedure standard, seguendo il percorso degli strati concrezionali piuttosto che affrontando omogeneamente porzioni di pareti. È doverosa anche una piccola nota sulle difficoltà di ordine prettamente pratico costituite dalla non agevole operazione di trasporto dei macchinari all'interno delle gallerie catacombali e dalla nociva influenza della condensa; per questo sono stati concepiti dalla El.En. di Calenzano (Firenze), ditta che ha fornito i laser, numerosi accorgimenti ad hoc per adattare la strumentazione alle particolari condizioni microclimatiche in cui si doveva operare.
La felice conclusione dell'intervento di restauro conservativo ha restituito leggibilità al partito decorativo, rivelando particolarità iconografiche e iconologiche particolarmente avvincenti per gli studiosi dell'arte tardoantica, che con entusiasmo si sono avvicinati alle "nuove" pitture per indagarne le peculiarità esecutive e per apprezzarne le suggestioni, al fine di ricucire le linee evolutive che hanno portato al concepimento di un così articolato e complesso programma iconografico, che si pone quale testimonianza tangibile del pensiero storico-religioso dello scorcio del iv secolo.
Coerentemente alla linea intrapresa della massima condivisione, parallelamente alla pubblicazione del presente volume ci si è rivolti alla dottoressa Laura Pecchioli (Ruprecht-Karls-Universität, Heidelberg) che ha ideato un sistema informatico grazie al quale, all'interno di una ricostruzione tridimensionale virtuale degli ambienti, è possibile inserire e visualizzare, anche automaticamente durante l'esplorazione, un'ampia mole di informazioni di natura eterogenea come foto, filmati, testi. Le informazioni acquisite - sia storico-artistiche che tecnico-scientifiche - sono state inserite nell'applicazione informatica Isee, ideata a questo scopo.


(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
S_Daniele
00martedì 22 giugno 2010 21:04
Quando il culto approdò nelle famiglie aristocratiche della città

Una pia donna della Roma "bene" di allora


di Fabrizio Bisconti

Ancora prima del sacco del 410, che, per la popolazione romana, e per tutto il mondo antico, rappresentò un poco il corrispettivo del trauma violento, che, ai nostri giorni, ha provocato nell'immaginario collettivo l'episodio delle "torri gemelle", le catacombe romane avevano subito un progressivo fenomeno di abbandono; nel senso che il suburbio non rappresentò più l'unica sede preposta ai sepolcreti cristiani, che, in parte, furono sistemati all'interno della cinta muraria aureliana e, in parte, comunque, lasciarono i siti ipogei, per insediarsi e addensarsi all'interno e nei dintorni immediati dei più importanti santuari martiriali:  inaugurando una consuetudine, che si diffonderà in tutto l'orbis christianus antiquus.
Il declino della funzione funeraria delle catacombe, comunque, non si consuma in maniera traumatica e anzi, in corrispondenza delle tombe dei martiri, si assiste, nell'ultimo scorcio del iv secolo, in corrispondenza con il pontificato di Papa Damaso (366-384),  a una densissima concentrazione di sepolture intorno ai sepolcri di quei primi "testimoni" della fede cristiana, che documentano concretamente un improvviso incremento della devozione.
Alcune di queste sepolture denunciano, per sistemazione, decoro e arredo una committenza estremamente elevata, vuoi per quanto riguarda il rango attinente alla più alta gerarchia ecclesiastica e/o aristocratica, vuoi per il cospicuo potenziale economico. Questo intenso sfruttamento degli spazi funerari a ridosso delle "tombe eccellenti" dà luogo a speciali aree funerarie, definite eloquentemente retrosanctos.
 Come si diceva, il fenomeno si verifica anche attorno ai santuari martiriali del sopraterra e, specialmente, in corrispondenza delle basiliche circiformi, che spuntarono al tempo dei Costantinidi, presso le tombe di san Lorenzo, di sant'Agnese, dei santi Pietro e Marcellino, di Papa Marco e nella memoria apostolorum sulla via Appia Antica. Alcune di queste tombe assumono le proporzioni e le caratteristiche  del  mausoleo imperiale, come nei casi celebri dei grandi sepolcri a pianta  centrale dove furono sepolte rispettivamente Costanza, sulla via Nomentana, ed Elena, sulla via Labicana.
Accanto a queste tombe imperiali, che presentano sontuose decorazioni in opus sectile e in mosaico, dobbiamo segnalare tutta una serie di mausolei meno impegnativi per dimensioni e arredo, ma ugualmente rappresentativi di una tensione, che dimostra il desiderio di emulare i sepolcri dei potentiores.
Anche nelle catacombe, nell'ultimo segmento della loro vita funeraria, sorgono importanti cubicoli dipinti, che, pur rinunciando alla vicinanza con le tombe dei martiri e anche al privilegio di sistemarsi nelle sedi visibili del sopraterra, sviluppano "architetture negative" complesse e programmi decorativi di elevato impegno artistico e devozionale. Così, nelle catacombe di Domitilla, viene realizzato il sontuoso cubicolo della corporazione dei pistores; così, nelle catacombe di Commodilla, viene scavato nel tufo e decorato con un apparato pittorico estremamente sofisticato il cubicolo dell'officiale dell'annona Leone. Ancora più significativo risulta l'ipogeo di diritto privato rinvenuto lungo la via Latina, i cui committenti, appartenenti alla più elevata aristocrazia senatoriale, fanno capo a un gruppo di famiglie, in parte pagane, in parte già convertite al cristianesimo, dando luogo a una curiosa forma di sincresi religiosa. Questo monumento, pure collocato nella seconda metà del quarto secolo, dimostra il travaglio della conversione al cristianesimo degli ultimi pagani, arroccati, come è noto, nell'entourage senatoriale dell'Urbe.
In questo contesto si inserisce un cubicolo dipinto nelle catacombe romane di Sant Tecla sulla via Ostiense, noto già dal Settecento, ma sottoposto a un intervento di restauro estremamente sofisticato, che ha restituito un complesso programma decorativo, commissionato alla fine del quarto secolo da un'abbiente e aristocratica famiglia romana che fece creare, nelle propaggini di un cimitero comunitario, il sontuoso cubicolo duplex, nel senso che il vero e proprio ambiente sepolcrale è fornito di un avancorpo, che reimpiega un più antico cubicolo di età costantiniana.
Ebbene, il primo ambiente, viene riconcepito e fornito di un grande lucernario, che enfatizza il nostro ambiente con una maestosa rappresentazione di quel collegio apostolico, arricchito da un gregge di ovini, che vuole esprimere la solidarietà della Chiesa e la sua potente coesione nei confronti delle eresie e, specialmente, dell'affaire ariano, che aveva messo in dubbio la consustanzialità del Padre e del Figlio.
Il cubicolo vero e proprio, dopo il fortunato restauro, ha rivelato, nel soffitto, che imita un cassettonato, assai simile a quello che doveva decorare la basilica di San Paolo fuori le Mura, voluta dai tre imperatori Teodosio, Valentiniano ii e Arcadio, nell'ultimo scorcio del quarto secolo, cinque suggestivi clipei figurati. Al centro è l'immagine del buon pastore, ai quattro angoli si riconoscono i busti di san Paolo - di cui si ragionò nelle pagine di questo giornale proprio lo scorso anno - quello di san Pietro, quello di sant'Andrea e quello di san Giovanni. I quattro apostoli sono riconoscibili dai tratti fisionomici:  Paolo mostra le sembianze intimidenti del pensatore pneumatico; Pietro quelle del concreto e sicuro punto di riferimento della Chiesa romana; Andrea quelle dell'irruenza scomposta e rude; Giovanni quelle della dolcezza e dell'amabilità.
Se le immagini di Pietro e Paolo rappresentano il manifesto di quella concordia apostolorum, che, dai tempi di Papa Damaso, era diventata lo slogan di una politica religiosa, che vede nella riabilitazione dell'apostolo delle genti, un tentativo di riequilibrare le partes della Chiesa e dell'Impero, le effigi di Andrea e Giovanni, che qui affiorano per la prima volta, sorprendendo tutti coloro che rimandavano quest'apparizione all'avanzato quinto secolo se non alla stagione bizantina, ci parlano di un culto allargato nei confronti degli apostoli.
Tale culto doveva essere alimentato dalla circolazione delle reliquie degli apostoli e da una devozione proveniente dai pellegrinaggi praticati nei memoriali apostolici in Terra Santa. Per quanto riguarda il primo punto, non possiamo dimenticare che Costantino fece erigere nella capitale d'Oriente una basilica apostolorum a pianta cruciforme - che sarebbe diventata anche la sua tomba - al centro della quale, nei pressi di una sorta di grande ciborio, erano sistemate delle stele, che ricordavano proprio i dodici apostoli. Ambrogio, per quanto attiene il secondo punto, fece edificare a Milano una basilica apostolorum, pure a pianta cruciforme, laddove depose le reliquie degli apostoli - forse provenienti da Aquileia, da Concordia o da Roma - in un prezioso cofanetto argenteo.
È questo il tempo dei grandi viaggi in Terra Santa, finalizzati a frequentare le sedi delle memorie bibliche, dalle quali venivano riportate in patria i ricordi dei grandi prodigi del Vecchio Testamento e dei miracoli operati dal Cristo e dagli Apostoli. Se, nella maggior parte dei casi, i pellegrini riportarono dai santuari piccole ampolle in metallo o in ceramica colme d'acqua e di sabbia o medagliette devozionali, in altri casi recano nella loro memoria l'immagine dei protagonisti della storia della salvezza. Il viaggio di Egeria è celebre, ma altre nobildonne, rimaste anonime, o menzionate nell'epistolario di san Girolamo, viaggiano alla volta di quei suggestivi santuari. Anche i presbiteri, i diaconi e i cristiani ordinari - sull'esempio illustre di Elena - si posero alla ricerca di reliquie da sistemare nei monumenti dell'ecumene cristiano, all'interno di contenitori preziosi, come la celebre lipsanoteca eburnea di Brescia, pure della fine del quarto secolo, che riproduce, tra l'altro, i clipei del Cristo e degli apostoli o l'ancor più famosa capsella eburnea di Samagher, riferibile, però, già al quinto secolo e decorata con spaccati di santuari presumibilmente romani. e, dunque, collegabile a un pellegrinaggio alla "città santa" d'Occidente.
La decorazione del cubicolo di Santa Tecla, quindi, si inquadra proprio in questo spirito, che si inserisce in quel filone del "culto apostolico", inventato da Ambrogio e approdato a Roma, presso le famiglie aristocratiche della città. Sono presumibilmente le matrone, per prime, a venerare i martiri, ma anche gli apostoli, in quell'incipiente forma di monachesimo inaugurato - come si diceva - da san Girolamo, che promosse una sorta di "ascetismo domestico", che si sviluppò attorno al palazzo della vedova Marcella all'Aventino.
È sintomatico che nel cubicolo di Santa Tecla sia rappresentata l'immagine di una nobile matrona, sontuosamente vestita con tunica, palla, acconciatura raffinata e preziosi gioielli, mentre mostra il rotolo della Legge, che ben conosceva, dal momento che - secondo quanto ricorda Girolamo - alcune vedove e vergini del "circolo dell'Aventino" conoscevano i Sacri Testi in greco e in latino. La nobildonna è rappresentata assieme alla figlioletta, che si atteggia nel gesto della preghiera, mentre due santi (ancora Pietro e Paolo ?) le accolgono nell'aldilà, dimostrando una sorprendente confidenza con gli apostoli e i martiri, rompendo ogni forma di tabù e inaugurando una religio amicitiae tra questi cristiani eccellenti e privilegiati e i santi.
Se il resto del cubicolo accoglie altre scene bibliche (Daniele tra i leoni, Pietro che percuote la roccia, l'adorazione dei Magi, il sacrificio di Isacco), lo sguardo del visitatore si ferma su quelle prime immagini degli apostoli, che la defunta e/o la sua famiglia scelgono come protettori, facendo assurgere quei busti al rango di vere e proprie icone che rivelano, per la prima volta, i caratteri, le peculiarità, la psicologia dei primi seguaci di Cristo.
Ma questa non è l'unica scoperta! Non ci dobbiamo tanto meravigliare dell'apparizione dei busti degli apostoli nel buio di una catacomba pressoché sconosciuta, in un tempo, che si considera, al solito, di passaggio, di congedo della prima grande stagione cristiana, in attesa della civiltà bizantina che, più in Oriente che in Occidente, inventa il tipo e il culto delle icone. Dobbiamo sicuramente salutare l'antichità inaspettata di queste effigi, così caratterizzate, così riconoscibili, pronte a donare le sembianze degli apostoli all'arte ravennate, con quasi un secolo di anticipo. Ma, poi, dopo il momento della meraviglia e della sorpresa, dobbiamo calare l'importantissima scoperta nell'atmosfera storica e devozionale di un frangente che conosce la conversione degli "ultimi pagani, delle aristocrazie, del senato, all'insegna di un dialogo internazionale, che vede protagonisti gli "aristocratici" Padri della Chiesa Damaso, Ambrogio, Paolino di Nola e Girolamo veri promotori e "direttori d'orchestra" di quel culto dei santi, che inciderà, connoterà e segnerà profondamente l'ultima antichità e l'alto medioevo, con la creazione dei grandi martyria romani, con la dislocazione strategica dei santuari milanesi, la caratterizzazione monastica del grande centro della venerazione per il confessore Felice a Cimitile, con la frequentazione "guidata" dei pellegrini presso le memorie bibliche in Terra Santa.


(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
S_Daniele
00martedì 22 giugno 2010 21:05
Istituita il 6 gennaio 1852 per volontà di Pio IX

Le attività della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra


di Giovanni Carrù

Il restauro del cubicolo doppio di Santa Tecla sulla via Ostiense si inquadra in un progetto, oramai ventennale, inaugurato dai responsabili della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra per recuperare il ricco patrimonio pittorico - oltre quattrocento manifestazioni - conservato nelle catacombe romane.
Oltre tre quarti delle decorazioni ad affresco sono state meticolosamente restaurate, sotto la guida attenta dei curatori della Commissione, che hanno acquisito esperienza attraverso un lungo percorso di esperimenti, utili ad affrontare un tipo di degrado estremamente complesso, dovuto all'alto tasso di umidità degli ambienti catacombali. Queste operazioni, lente e onerose, hanno riconsegnato agli esperti e ai visitatori un patrimonio iconografico molto importante per ricostruire la storia della comunità cristiana di Roma.
Il restauro delle pitture catacombali si inserisce coerentemente nell'attività della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra che, come è noto, fu istituita a partire da un'idea di Giovanni Battista de Rossi, l'archeologo romano che gettò le basi scientifiche dell'archeologia cristiana, studiando e scavando le catacombe romane secondo un moderno metodo topografico, che tiene simultaneamente in considerazione fonti storiche e monumenti.
Tale istituzione fu suggerita a Papa Pio IX per meglio organizzare scavi, restauri e tutela del grande complesso catacombale che stava tornando alla luce sulla Via Appia. La notizia si diffuse il 7 febbraio del 1852, anche se l'istituzione vera e propria va riferita al 6 gennaio. Nel 1925 la Commissione fu dichiarata "Pontificia" da Pio xi e ne vennero particolarmente definite le competenze, ribadite, ancora di recente, nelle convenzioni tra la Santa Sede e lo Stato Italiano.
Durante l'ultimo ventennio, la Pontificia Commissione di Archeologia Sacra ha ricevuto un grande impulso, sia per quanto riguarda le attività archeologiche e conservative, eseguite secondo i più moderni criteri di scavo e di restauro, sia per quanto attiene l'organizzazione tecnica, documentaria e operativa, che vede impegnata una équipe molto giovane, ma estremamente efficiente.
I responsabili della Commissione, durante questi ultimi anni, hanno intensificato le loro attività per adeguare i monumenti e le strutture di accoglienza al cospicuo incremento di visitatori. Nell'ambito di questi interventi, si sono stabiliti proficui rapporti con le istituzioni preposte alla salvaguardia dei monumenti dello Stato Italiano, prima tra tutte la Soprintendenza Archeologica di Roma. Ma altri contatti, sempre estremamente positivi, sono stati istituiti con il Comune di Roma, con l'Istituto Centrale del Restauro, con il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, con il Consiglio Europeo per il Patrimonio, con i Comuni e le Diocesi d'Italia.
Importanti indagini archeologiche, si sono svolte anche nel sopratterra delle catacombe, con la concessione del Ministero italiano per i Beni e le attività culturali. Secondo questa prassi, sono state indagate la basilica di Papa Marco nel comprensorio callistiano, la basilica di Santa Mustiola a Chiusi, la basilica di Villa San Faustino a Chiusi, la basilica di San Ilario a Valmontone. Altre importanti indagini archeologiche si sono svolte nelle catacombe romane. Sono stati inoltre scavati, studiati e restaurati molti monumenti del Lazio, tra cui le catacombe di Zotico sulla via Labicana, di Santa Vittoria a Monteleone Sabino, di Santa Cristina a Bolsena, di Santa Teodora a Rignano Flaminio, di San Senatore ad Albano Laziale, di Roma Vecchia agli Acquedotti di Paliano. Alcuni scavi sistematici si sono svolti, infine, nelle catacombe di Pianosa e in quelle di Porta d'Ossuna a Palermo.
Ma le attività della Commissione si sono concentrate in modo particolare nel settore del restauro degli affreschi. Gli interventi hanno interessato specialmente le catacombe romane e, segnatamente, quelle di Priscilla; dei Santi Pietro e Marcellino; di via Dino Compagni; di Ponziano; di Generosa; di Pretestato; di San Callisto; di San Sebastiano; dell'Ardeatina; di Domitilla; di Chiaraviglio; nell'ipogeo degli Aureli e nelle catacombe dei Giordani.
Tutte queste attività hanno contribuito a recuperare e a conoscere in maniera più approfondita le catacombe cristiane d'Italia, ma, nello stesso tempo, hanno permesso di valorizzare un patrimonio culturale e religioso che, rappresenta una testimonianza eloquente e significativa del cristianesimo delle origini.


(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)
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