Risalgono al XVI secolo le prime scuole della Custodia francescana in Terra Santa

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Cattolico_Romano
00giovedì 30 luglio 2009 08:19
Risalgono al XVI secolo le prime scuole della Custodia francescana in Terra Santa

Quando a Betlemme s'insegnava l'italiano


di Giuseppe Buffon



Le prime notizie di scuole aperte dalla Custodia di Terra Santa risalgono agli ultimi decenni del XVI secolo. Vennero istituite con la finalità di sovvenire alle esigenze dei pellegrini - in maggioranza europei - ed erano essenzialmente scuole di lingua italiana (era questa, infatti, la lingua della Terra Santa, secondo le testimonianze dei primi viaggiatori) e di latino col canto liturgico. L'animazione della liturgia era in realtà una delle principali prestazioni richieste alla popolazione cattolica che dimorava presso i santuari.
Le scuole sorsero preferibilmente accanto ai luoghi per eccellenza denominati santi, quali Gerusalemme e Betlemme:  in esse venivano impartite lezioni, oltre che di lingua parlata, anche di quella liturgica, il latino; né vi potevano poi mancare lezioni di musica e, in particolare, di canto gregoriano. Un gesuita, Michel Nau, autore del Voyage nouveau de Terre Sainte, nel 1674, descriveva così le attività praticate dai francescani nel santuario di Betlemme:  "Essi istruiscono per l'amor di Dio trenta o quaranta bambini dei cattolici di Betlemme, ai quali insegnano a parlare l'italiano e a leggere".

Le ragioni che avevano indotto ad avviare l'educazione scolastica erano varie:  l'esigenza di una lingua comune; il servizio di accoglienza ai pellegrini e la possibilità loro offerta di partecipare ai riti e alle liturgie; la gestione della vita pubblica, a contatto con le istituzioni islamiche.
Con l'istituzione della Congregazione di Propaganda Fide, a questi servizi si affiancò anche quello della catechesi. Associate così all'opera di evangelizzazione, le scuole si affermarono anche in quei conventi che non erano stati costituiti come sede di santuari. È il caso della comunità di Aleppo, alla quale, nel 1631, si ingiunse di comperare una casa situata fuori della città per allestirvi una scuola finalizzata in modo precipuo all'insegnamento della doctrina christiana.

La caratterizzazione missionaria data da Propaganda Fide all'insegnamento della dottrina cristiana potrebbe valutarsi quale uno degli incentivi alla diffusione delle scuole in ambito parrocchiale, e di conseguenza la ragione determinante del loro incremento numerico. Un aumento degli insediamenti scolastici si verificò di fatto, in modo sempre crescente, lungo tutto il corso del secolo XVII. Una statistica del 1699 elenca la presenza di 20 scuole così distribuite:  sei di esse erano in Palestina, due nell'isola di Cipro, cinque in Egitto; una a Costantinopoli, per un totale di 188 allievi.

La normativa statutaria prevedeva che in tutte le residenze francescane, a eccezione del convento del Santo Sepolcro e di quello di Tripoli di Siria, fossero istituite delle scuole, anche se, di fatto, non tutte potevano contare su una popolazione scolastica numericamente sufficiente a garantirne la regolare attività. L'istituzione scolastica poteva tuttavia considerarsi ormai, a pieno titolo, parte costitutiva della "morfologia conventuale".

Durante il corso del XVIII secolo, nonostante le pestilenze, le guerre e le frequenti rivoluzioni, si registrano degli interessanti sviluppi a proposito dell'offerta didattica. Nel 1730, per esempio, il custode di Terra Santa così scriveva a Propaganda Fide:  "Nell'Egitto si può fare gran bene, poiché li Greci, Copti ed Armeni hanno tutta la libertà d'abbracciare qual rito che vogliono e di portarsi a quelle Chiese che li piace, senza minimo timore di persecuzione (...) non così nella Siria e Palestina in cui se fosse la nominata libertà d'abbracciare qual rito voglino, a riserva de Turchi, tutti sarebbero nostri cattolici".

Il piano progettato dal custode sembrò tuttavia rimanere lettera morta. Per la frequenza degli acattolici presso le scuole della Custodia, durante il corso del XVIII secolo, si trovano conferme solo per l'Egitto; per quanto riguarda gli altri territori, cioè Siria e Palestina, si posseggono dati certi solo a partire dall'inizio del xix secolo. Una delle novità più rilevanti di questo periodo risulta sicuramente il tentativo - il primo nel suo genere - di dar vita a dei laboratori di apprendistato (future scuole di arti e mestieri):  scuole di legnaioli, mugnai, stipettai, calzolai e così via. Il primo esperimento fu tentato presso il convento di San Salvatore, a Gerusalemme.

Da una relazione datata 1731 è possibile ricavare una ulteriore statistica sulle scuole della Custodia, il cui numero ammonterebbe a 11 unità, per un totale di 333 studenti. Rispetto ad appena trent'anni prima, la popolazione scolastica era dunque raddoppiata, e questo nonostante la diminuzione del numero degli insediamenti. Ciò potrebbe denotare una maggiore specializzazione nell'applicazione del progetto educativo:  meno dispersione, più qualità. Il motivo dell'incremento sembra potersi dedurre invece da una lettera del Custode, il quale, preoccupato per i traffici di uno "pseudo missionario inglese" che avrebbe distribuito opuscoli religiosi in lingua araba, "ingannando molti cattolici" e per le defezioni di alcuni cattolici, avversati dai propri connazionali, scrive:  "Havendo riconosciuta una debolezza non ordinaria in quei che si riconciliano alla fede, e che ad ogni minima occasione prevaricano, anche per timore di perdere la roba ed essere mandati in esilio, ho fatto aprire per tutti quei conventi e ospizi pubbliche scuole per educazione dei fanciulli, acciocché imbevuti della dottrina evangelica siano più costanti". La propaganda protestante e certa fragilità dei neo convertiti di fronte alla persecuzione avevano obbligato dunque la Custodia a intensificare le attività in campo educativo. Negli anni successivi, ed esattamente tra il 1764 e il 1840, furono in effetti assai numerosi i provvedimenti assunti a favore delle scuole. Nonostante gli sforzi, le iniziative dei francescani risultavano tuttavia ben al di sotto delle attese. Lo dimostra chiaramente un rimprovero mosso da Propaganda Fide nel 1836:  "Mentre i metodisti hanno le loro scuole, i religiosi o non le hanno o, se le hanno, sono per lo più mal regolate ed assistite".

A partire dal 1831, l'Egitto aveva imboccato la strada delle riforme, concedendo spazi relativamente ampi alla libertà religiosa; Roma nel frattempo seguiva con interesse e preoccupazione l'evolversi delle vicende. Il 2 marzo 1839, il prefetto di Propaganda Fide così replicava al Custode:  "Mi è giunta la lettera di v.p. in data 16 gennaio, e debbo molto lodare lo zelo da lei dimostrato per la visita in Egitto, segnatamente per ciò che riguarda le scuole, le quali non posso abbastanza raccomandarle, onde la gioventù non venga altrove imbevuta di perverse dottrine".



Quello che era accaduto in Egitto, anche se con inferiori risultati (la popolazione si era dimostrata maldisposta verso le aperture prospettate dagli interventi legislativi di Abdul Mejid), si estese ben presto anche in tutta la Palestina. I francescani salutarono i cambiamenti con un certo entusiasmo, cercando di trarne il massimo vantaggio. "Attualmente si può promuovere in questo Paese la cultura senza impedimenti", dichiarava con un certo entusiasmo l'ispettore delle scuole della Custodia. E un altro religioso scriveva:  "Gli stabilimenti letterari non solo non trovano opposizione presso la Sublime Porta, ma vengono anzi da lei approvati, e qualora influiscano beneficamente sulla coltura e l'incivilimento dei sudditi dal Gran sultano, presi perfino in protezione gransignorile senza riguardo alla nazionalità o alla religione".

I favori promessi sulla carta nella realtà concreta non trovavano rispondenza. Ogni qualvolta, infatti, i religiosi volevano stipulare i debiti contratti per l'acquisto di terreni da adibirsi a scuola, sorgevano all'improvviso ostacoli insormontabili. Nel 1845 la Custodia istituiva inoltre la figura di un prefetto degli studi. Neppure queste iniziative, tuttavia, apparvero sufficienti:  lo confermerebbe il fatto che Pio ix, nel 1846, con un decreto invitò a migliorare il lavoro compiuto con l'apertura di nuovi insediamenti.

D'altro verso, nel 1847, il vescovo anglicano, monsignor Gobat, in visita alla Palestina, riscontrò la presenza a Gerusalemme di una sola scuola, frequentata da appena 20 alunni. Negli anni successivi, la Custodia pensò di rafforzare il settore femminile, chiamando in soccorso le suore di San Giuseppe dell'Apparizione, alle quali, nel 1848, affidò la direzione della scuola di Gerusalemme e Giaffa e, nel 1853, di quella di Betlemme. Nel 1854 venne promossa la fondazione di un grande collegio ad Alessandria, che fin dall'inizio contava circa 400 studenti, la cui direzione era stata affidata ai Fratelli delle Scuole Cristiane. Le statistiche riguardanti gli anni 1856-62 mostrano chiaramente l'incremento delle strutture scolastiche create in quegli anni.

A determinare lo sviluppo degli insediamenti scolastici in Medioriente, come accennato, furono i cambiamenti dettati dalle Tanzimat, le riforme partite dall'Egitto nel 1831 e continuate fino ai provvedimenti del 1856, nelle quali si riaffermava il principio di eguaglianza tra musulmani e non musulmani, giungendo, almeno sulla carta, ad abolire il sistema della dhimma.

I maggiori successi in campo scolastico furono ottenuti dalla Custodia negli ultimi decenni del xix secolo; nel 1889 i 3.258 alunni delle 32 scuole maschili venivano istruiti da 30 maestri religiosi e da 47 secolari; nelle 12 scuole femminili, le 1.259 alunne venivano istruite da 28 maestre religiose e 9 secolari.



(©L'Osservatore Romano - 30 luglio 2009)
Cattolico_Romano
00martedì 11 agosto 2009 14:29
L'attività della Custodia di Terra Santa tra Ottocento e Novecento

Un'isola latina nel bel mezzo del mare islamico


di Giuseppe Buffon



Sin dalla prima metà del secolo xix si registra una notevole ripresa del pellegrinaggio in Terra Santa:  i visitatori nel corso di questo secolo raggiungono infatti il milione. Nella sola Inghilterra, tra il 1840 e il 1880, le pubblicazioni divulgate sui pellegrinaggi, tra libri e opuscoli, ammontano a 1600 esemplari. Risulta inoltre impossibile enumerare le xilografie, le litografie e i lavori di diversi paesaggisti diffusi nello stesso periodo.

La mobilitazione dei pellegrini era stata facilitata da un notevole miglioramento degli aspetti logistici e dei mezzi di trasporto. Il tragitto da Napoli a Porto Said, a bordo dei nuovi piroscafi, era diventato assai agevole, sicuro e veloce:  la distanza poteva essere coperta nel giro di cinque o sei giorni. I pellegrinaggi erano composti da devoti anglicani, luterani, battisti e, naturalmente, cattolici, rivelandosi tutti ispirati da un analogo desiderio, sia pure religioso, di "conquista". Pellegrino si ritenne, in qualche modo, anche il generale Allenby, il quale, entrando a Gerusalemme nel 1917, trovò del tutto naturale proclamare il ristabilimento del dominio dei crociati, dopo un intervallo lungo 730 anni.

Diversi pellegrini e viaggiatori provenienti dalla Francia - che a partire dalla seconda metà dell'Ottocento giungevano in Terra Santa sempre più numerosi - al loro ritorno raccontavano, scandalizzati, dell'"inciviltà" di quelle lontane contrade:  sporcizia, incuria, intolleranza, corruzione... Simili critiche riecheggiarono, più tardi, per bocca dei tedeschi al seguito di Guglielmo ii (1898) e quindi degli inglesi guidati dal generale Allenby (1917).

Sotto accusa non era soltanto l'arretratezza del governo ottomano ma, indirettamente, anche le insufficienze dei concorrenti europei presenti sul territorio:  gli ultimi arrivati si arrogavano in genere la prerogativa di incriminare i loro immediati predecessori. Se la catena degli accusatori trovava, dunque, negli inglesi uno dei suoi ultimi anelli, i primi a essere portati sul banco degli imputati furono, a quanto pare, proprio i francescani, accusati dai pellegrini francesi di essere arretrati e fuori del tempo, soprattutto riguardo alla loro proposta educativa.

I protestanti, nell'antiquato Oriente, furono i primi a farsi paladini della "civiltà". Così i cattolici cominciarono ad accusare di inerzia i frati loro correligionari, proprio alla luce di quanto i protestanti avevano operato, soprattutto in campo scolastico (la scuola era ritenuta, infatti, il fulcro sul quale far leva per la diffusione della cosiddetta "civiltà"). I più critici si dimostrarono proprio i figli dell'ultramontanismo gallicano:  i lettori de "L'Univers" e i sostenitori delle Pie Opere Missionarie.

Rivolgendosi all'Opera della Propagazione della Fede, nel 1844, il console francese a Gerusalemme scrisse una lettera di accuse nei confronti delle scuole dei francescani. Il loro superiore fu costretto a difendersi, tentando di far comprendere que Paris ne se trouve pas en Terre Sainte. Le sue tesi sostenevano che:  l'educazione delle giovani generazioni era stata interdetta per lunghi secoli, o meglio, assoggettata alla legge coranica; solo le riforme iniziate da Mohamed Ali, e continuate da suo figlio Ibrahim Pascià (1830), avevano permesso qualche apertura, limitata però al solo Egitto; un sistema di scuola pubblica, simile a quello europeo, era diventato possibile in Terra Santa solo grazie alle misure adottate dal sultano Abdul Medjid (1839-61), con il proclama solenne della pianura di Gul Hane, una località nei pressi del palazzo imperiale di Top-Kapu. L'apologetica però non contava agli occhi del vincitore, il quale aveva la ragione sempre dalla sua parte.

Se gli ultimi arrivati avevano espresso la tendenza a occultare l'opera altrui o, peggio, a denigrarla, quale poteva essere allora la situazione reale oltre la propaganda e quali gli elementi positivi al di là dell'apologetica?

L'universo francescano della Custodia era complesso e multiforme. Il primo posto era stato riservato al lavoro dei missionari impegnati nelle parrocchie - venti, in tutto, tra Siria, Palestina ed Egitto - dedicato non solo all'evangelizzazione, ma anche all'animazione sociale, culturale, civile, con i religiosi che fungevano da mediatori tra la popolazione cattolica - la cosiddetta nazione latina, tale per professione di fede, non per etnia - e il resto del mondo islamico, le autorità governative e i loro delegati in ambito amministrativo e giudiziario, il piccolo mondo degli intrighi economici e giuridici che gravitava attorno ai tribunali locali.

La nazione latina si configurava come un vero popolo che doveva essere soccorso in tutti i suoi bisogni e che non poteva essere abbandonato. La Custodia ne aveva sempre condiviso le sorti, in tempo di rivoluzioni, persecuzioni o epidemie, assai frequenti nel periodo a cavallo tra Settecento e Ottocento.
A quanto ammontava questa comunità cattolica nella seconda metà del secolo xix? I cattolici di rito latino erano 21.500, 1700 quelli appartenenti ad altri riti, tra i quali si contavano greci, armeni, caldei, siriani, maroniti, copti e altri:  tutti dimoravano presso le parrocchie francescane, anche coloro che non erano di rito latino, perché sprovvisti di clero appartenente al loro rito.

Fin dai primordi, la Custodia di Terra Santa era stata concepita secondo i canoni di un sistema autarchico, autonomo; i suoi conventi, come isole in mezzo a un universo islamico, dovevano dimostrare una indipendenza quasi assoluta.

Proprio a garanzia della loro sussistenza, accadeva spesso che alcuni nuclei di famiglie "latine" venissero trapiantati da una zona all'altra, in modo da costituire attorno ai conventi una sorta di microcosmo cattolico. Lo scopo di tutto ciò era naturalmente la salvaguardia delle "testimonianze della fede" nei luoghi santi:  un patrimonio non solo da tutelare, ma da rendere fruibile ai pellegrini.

Vi era poi l'impegno dei cosiddetti "visitanti", religiosi non impegnati nella pastorale missionaria, il cui compito principale era il custodire i santuari:  la cura delle pratiche liturgiche e devozionali, l'accoglienza dei pellegrini e soprattutto la gestione della difficile coabitazione con il clero delle altre confessioni.

La convivenza con la popolazione dell'impero turco imponeva ai frati, inoltre, l'impegno per la preparazione di interpreti, i cosiddetti dragomanni o turcimanni, dai quali solamente potevano essere aiutati i religiosi nella gestione dell'economia conventuale e nelle operazioni, ben più complesse, richieste dalla normativa civile per la tutela dei diritti sui luoghi santi. Raramente, però, i futuri dragomanni ricevevano in loco una preparazione adeguata al loro incarico; per questo, a partire dal 1729, i candidati a questa delicata professione venivano inviati a Costantinopoli.

Il quadro della Custodia va completato con quanto veniva operato dai religiosi laici:  con il proprio lavoro assicuravano la sussistenza materiale della Custodia, facendo sì che fosse realmente un popolo nel popolo, dotato, come tale, di tutte quelle componenti necessarie a garantirne l'autonomia e l'integrità. Era un reticolo organizzativo che si distendeva accuratamente sulla geografia socio culturale dell'Oriente.

Il numero considerevole di fratelli costituiva oggetto di incomprensione per l'Occidente, approdato in Terra Santa nel corso del xix secolo con l'ambizioso obiettivo di esportare la sua civilizzazione europea. Alla concezione del pellegrino occidentale sfuggiva proprio la costituzione della Custodia come "popolo nel popolo" e di conseguenza non poteva comprenderne l'utilità effettiva. Interessante al riguardo ci pare il brano seguente, elaborato nel 1858 dal custode, padre Bonaventura da Solero, in risposta ai dubbi avanzati da una della più attive agenzie per la raccolta di fondi, la Propagazione della fede di Lyon:  "Io sono dell'opinione di non avervi delineato del tutto la condizione del personale delle comunità di Terra Santa, avendovi parlato soltanto dei padri (...) Non sono meno importanti però i laici, dei quali in questo Paese c'è bisogno quanto dei padri. Poiché dal momento che in queste contrade la popolazione ha sofferto a lungo sotto la dominazione musulmana, è stata privata di molte cose che risultano di prima necessità per la vita; per questo i nostri frati hanno cercato di supplire a tali urgenze. È questo il motivo per cui si trovano nei nostri conventi i fratelli laici, i quali esercitano il mestiere di muratore, fabbro, falegname, di sarto, fornaio, calzolaio... Essi non si preoccupano soltanto di provvedere ai bisogni immediati della Custodia, ma si sforzano piuttosto di insegnare ai giovani una professione, così da consentire loro di uscire dalla scuola con un lavoro corrispondente alle loro attitudini e alla loro vocazione, così da avere la garanzia di potersi guadagnare il pane per il resto dei loro giorni".



(©L'Osservatore Romano - 10-11 agosto 2009)
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