Si apre il convegno internazionale sturziano

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Cattolico_Romano
00sabato 3 ottobre 2009 09:21

Si apre il convegno internazionale sturziano


"Don Luigi Sturzo, uomo dello Spirito" è il titolo del convegno internazionale che si svolge il 2 e il 3 ottobre presso il centro congressuale "Le ciminiere" di Catania, e il 4 ottobre presso la residenza estiva della famiglia Sturzo a Caltagirone.
Il convegno - organizzato in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del fondatore del Partito popolare italiano - viene inaugurato nel pomeriggio del 2 ottobre dai saluti dell'arcivescovo di Catania, Salvatore Gristina, dell'arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, e del vescovo Mariano Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana.
I lavori sono organizzati per sessioni che - attraverso la lettura di brani sturziani, relazioni e dibattiti - sono dedicate, in successione, all'analisi della concezione cristiana della politica, della cultura, dell'economia, della società e della giustizia.


(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2009)
Cattolico_Romano
00sabato 3 ottobre 2009 09:25
  L'Europa di fronte alle prospettive aperte dalla globalizzazione

Una volta conveniva sfidarsi ora è meglio collaborare


Pubblichiamo alcuni stralci di una delle prolusioni di apertura del convegno internazionale sturziano.

di Lech WaLEsa

Viviamo in tempi particolari e affascinanti. Quasi ogni giorno siamo testimoni della rivoluzione tecnologica. I nostri figli e i nostri nipoti vedono il mondo differentemente da noi e hanno la possibilità di spiccare il volo da un punto diverso rispetto alla nostra generazione, che consegna loro un'Europa e un mondo trasformati rispetto a come li ha ricevuti.
L'Europa, nella sua forma attuale, è stata edificata da oltre 50 anni. La rivoluzione pacifica operata da Solidarnosc ha permesso alle Nazioni centrorientali del continente di prendere parte a questo processo. Finora questa idea dell'Europa ha funzionato abbastanza bene perché è stata realizzata sullo sfondo di grandi progressi di civiltà e di uno sviluppo rapidissimo. Grazie ai processi della globalizzazione e anche alla reale integrazione dei Paesi e delle nazioni, siamo entrati in una nuova epoca che ha le sue leggi, un'epoca in cui la rivalità, la lotta per i beni della terra, l'allargamento dei propri confini dovrebbero essere superati dalla forza della collaborazione, perché non conviene combattere e le frontiere stanno scomparendo.
Tuttavia, bisogna dire chiaramente e con forza, che davanti all'odierno mondo globalizzato non c'è altra via che l'integrazione. Non solo in relazione agli obiettivi politici, ma soprattutto in vista della sicurezza e dell'interesse economico. Una volta conveniva sfidarsi, combattere, ma ora conviene collaborare. Viviamo nell'epoca dei vasi comunicanti:  il benessere di un Paese rappresenta un successo per il suo vicino, il suo fallimento è una sconfitta per gli altri.
Nei suoi presupposti la Comunità europea era ideata in questo modo. Si tratta di sviluppare il progetto in modo creativo e con coraggio. Naturalmente all'interno dell'Unione si scontrano interessi particolari. Ma questi complicati problemi quotidiani non devono offuscare le principali idee unificatrici. Bisogna cambiare il modo di pensare al mondo, si deve pensare in termini di cooperazione e di solidarietà. A volte ho l'impressione che ci vorranno intere generazioni. È chiaro che ai nostri figli e ai nostri nipoti riesce molto più facile pensare in questo modo. La nostra generazione purtroppo rimane in larga misura legata all'epoca precedente. Parliamo molto di globalizzazione e integrazione, ma dai nostri discorsi non emerge un pensiero strutturato al livello globale, né tantomeno un preciso programma per il mondo. Adottiamo vecchi metodi. Il nostro pensiero manca di solidarietà, quella solidarietà che aveva guidato verso la libertà noi polacchi e altre nazioni oppresse.
È stata proprio la solidarietà ad aprirci il mondo e le prospettive nel 1980 e nel 1989. Credo che questo atteggiamento, anche nell'epoca della globalizzazione, possa essere una via verso la pace e la felicità di molte generazioni nell'Europa e nel mondo. Oggi c'è bisogno di solidarietà a livello continentale e mondiale. Anche l'Europa deve essere solidale mentre cerca la propria via nella nuova epoca.
La solidarietà può risultare utile anche per trovare risposte a dilemmi e domande su come dovrebbero essere l'Europa e il mondo. In queste dispute abbiamo a che fare da molto tempo con due principali modi di vedere e di governare. Secondo il primo, che definisco di sinistra, tutto deve derivare dalla libertà. Non sono previste regolazioni e limiti, considerati superflui, c'è solo la libertà. Questo modo di pensare non funziona, per esempio, di fronte alle minacce interne alla civiltà o di fronte al terrorismo. Il secondo metodo, che chiamo genericamente di destra, fonda le azioni e la civiltà su valori, possibilmente, universali. È radicato nella tradizione. Questo modo mi è più congeniale.
L'Europa deve trovare una buona via di mezzo tra i due metodi. È importante pensare all'economia, ma non si può dimenticare il secondo importante polmone dell'Europa, quello spirituale. Bisogna pensare al denaro e al benessere, ma non si devono trascurare i valori eterni. Bisogna coltivare la libertà, ma pensare anche al suo giusto uso, a non abusare di questo beneficio. L'Europa ha ricevuto importanti lezioni in questo senso e possiede la saggezza delle nazioni che la compongono. Dobbiamo trarre le giuste conseguenze da queste lezioni e cogliere l'enorme possibilità che noi e le prossime generazioni abbiamo davanti. Davanti a noi e a loro ci saranno lunghi anni di pacifica convivenza nel benessere, a condizione che ci richiamiamo ai sicuri valori universali. Perché senza i valori non ci sarà nemmeno l'Europa!


(©L'Osservatore Romano - 3 ottobre 2009)
Cattolico_Romano
00sabato 3 ottobre 2009 17:02
Il Papa: don Sturzo, “modello di servizio al bene comune”

Nel messaggio al Convegno internazionale apertosi oggi a Catania


ROMA, venerdì, 2 ottobre 2009 (ZENIT.org).

Don Luigi Sturzo è ancora oggi per sacerdoti e laici un “modello di servizio al bene comune”. E' quanto afferma il Papa, in una lettera a firma del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, inviata al Convegno internazionale che si è aperto questo venerdì a Catania, alla presenza di oltre 1000 partecipanti.
“Don Luigi Sturzo, uomo dello Spirito” è il titolo dell'incontro che si svolge il 2 e il 3 ottobre presso il centro congressuale “Le ciminiere” di Catania, e il 4 ottobre presso la residenza estiva della famiglia Sturzo a Caltagirone.
Il convegno – organizzato in occasione del cinquantesimo anniversario della morte del fondatore del Partito popolare italiano – è stato inaugurato dai saluti dell'Arcivescovo di Catania, mons. Salvatore Gristina, dall'Arcivescovo di Palermo, Paolo Romeo, e di mons Mariano Crociata, Segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana.
I lavori sono organizzati per sessioni che – attraverso la lettura di brani sturziani, relazioni e dibattiti – sono dedicate, in successione, all'analisi della concezione cristiana della politica, della cultura, dell'economia, della società e della giustizia.
“La presenza al simposio di eminenti rappresentanti della Chiesa e dello Stato – si legge nel messaggio del Cardinale Bertone – attesta che la figura di don Luigi Sturzo conserva tuta la sua attualità per i sacerdoti e per i fedeli laici”.
“Per tutti i cittadini, e in special modo per quanti rivestono responsabilità amministrative e di governo – continua il messaggio –, egli è modello di integerrimo, competente e appassionato servizio al bene comune, in modo tale da anticipare, per molti aspetti, quella ‘Caritas in veritate’ che Sua Santità ha scelto quale tema centrale della sua recente enciclica di tagli sociale”.
“La figura di Sturzo – ha dichiarato Salvatore Martinez, Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo e della Fondazione 'Mons. Francesco Di Vincenzo', che hanno organizzato il convegno – a 50 anni dalla sua morte, continua ancora a veicolare i grandi valori della tradizione democratica, al di là delle appartenenze ideologiche”.
Nel suo discorso di saluto, mons. Mariano Crociata ha ricordato di don Sturzo “l’amore indefesso per il sacerdozio, la completa dedizione all’Eucarestia come sacramento vivificante e all’Eucarestia come popolo da edificare [...] l’obbedienza alla Chiesa e ai superiori, la fortezza umana sposata ad una infinita umiltà, una salute che faceva penare, il coraggio di intraprendere cose nuove, il non fermare il proprio ministero sul sagrato dell’edificio di culto”
Don Sturzo, ha proseguito il Vescovo, “visse con una intensità resa possibile da un costante lavoro di distinzione del valore di questa azione sacramentale dal resto delle pratiche di devozione, che non disprezzò ma che seppe dimensionare orientando la propria vita di credente e di prete su ciò che noi oggi, grazie al Concilio, professiamo con rinnovata certezza quale fonte e culmine della vita cristiana”.
“Come ogni prete dovrebbe – ha proseguito –, si è speso per edificare il popolo, e per essere compagno degli uomini e delle donne di buona volontà”.
“Don Luigi ci ha insegnato quanto sia vero che nella Chiesa si può edificare senza primeggiare – ha ricordato –, si può fare molto con poco potere. Di quale magistero e di quale edificante testimonianza è stato capace permanendo nel servizio, quello vero e pesante, quello spesso incompreso, non quello che si menziona solo come fosse un soprannome dato a cariche, prestigio, o visibilità!”.
“Forse don Luigi non sarà un modello ripetibile – ha concluso –, ma di certo è testimone e sprone ad una misura elevatissima di intensità nella vita interiore, di intensità nell’obbedienza ecclesiale, di intensità nel coraggio dell’agonismo, e di intensità nel coraggio del rinnovamento”.
“La figura di Sturzo – ha dichiarato Salvatore Martinez Presidente RnS e fondazione “Mons. Di Vincenzo” – a 50 anni dalla sua morte, continua ancora a veicolare i grandi valori della tradizione democratica, al di là delle appartenenze ideologiche”.
“Questo Convegno – ha continuato – è dunque occasione di incontro tra anime diverse, ognuna chiamata a dare il proprio contributo per attualizzare il pensiero di Sturzo e dare risposte alla crisi morale ed economica che la nostra società sta attraversando”.

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Cattolico_Romano
00sabato 3 ottobre 2009 17:19

Introduzione di Salvatore Martinez al Convegno su don Luigi Sturzo

A 150 anni dalla morte del fondatore del Partito popolare italiano

ROMA, sabato, 3 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l'introduzione generale di Salvatore Martinez, Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo e della Fondazione 'Mons. Francesco Di Vincenzo', al Convegno internazionale dal titolo “Don Luigi Sturzo, uomo dello Spirito” che si è tenuto il 2 e il 3 ottobre presso il centro congressuale “Le ciminiere” di Catania, e che continuerà il 4 ottobre presso la residenza estiva della famiglia Sturzo a Caltagirone.




* * *

Carissime amiche e amici,

è un atto d’amore la nostra presenza qui.

Il sentimento di gratitudine che mi pervade è intenso, a motivo dell’affetto, dell’incoraggiamento, dell’amicizia che in tanti hanno testimoniato a questa intrapresa che si consumerà tra Catania e Caltagirone.

Il mio pensiero va alle decine e decine di amici e fratelli nella fede, al professionista come al giovane disoccupato, agli esperti sturziani come ai tecnici della Provincia, della Regione, di diversi Ministeri, che con dedizione e sacrificio da mesi preparano questo Convegno e tutte le opere che andremo ad annunziare nel segno di un’eredità sturziana ancora viva e finalmente vivibile nei luoghi storici di Caltagirone.

Non è stato facile e non lo sarà per il prosieguo. Credetemi, un lavoro enorme, sfidante, pieno di insidie e anche di malevoli disturbi, ma che sempre abbiamo avvertito e avvertiamo come uno speciale privilegio, per me un privilegio divino.

Come non ringraziare il Santo Padre per l’affetto che ci ha mostrato. Nel salutarLo, al termine dell’udienza, presentavo il nostro Convegno. Il Papa commentava come “molto importante” il rilancio della figura di don Sturzo e “prezioso” il “metodo” che abbiamo voluto porre a base del Convegno. Poi, apprendendo dell’inaugurazione del Fondo rurale degli Sturzo, grazie al lavoro dei detenuti e degli ex detenuti, e della riapertura del Palazzo Sturzo nel centro storico di Caltagirone, il Papa con viva soddisfazione affermava: “così Sturzo ritorna vivo; è questo che bisogna fare”.

E noi, umilmente, vorrei dire, ci stiamo provando! Sì, nel 50° della morte, noi vogliamo che Don Luigi torni vivo; che tornino a parlare di lui non solo i libri o le pietre degli edifici che abbiamo restaurato, ma la sua eredità spirituale scritta nel cuore delle nuove generazioni e riscritta nella coscienza sociale addormentata del nostro Paese.

Ed è confortante sapere che lo vogliamo in tanti. Siamo qui per dire che è possibile farlo, al di là di ogni steccato culturale, al di là delle appartenze, al di là dell’autonomia della Chiesa e della laicità dello Stato.

E allora, intanto, grazie alla Regione Siciliana e alla Provincia Regionale di Catania. Si sono fatti nostri compagni di cammino, testimoniandomi lealtà e amicizia, disponibili ad accettare il motto di don Luigi Sturzo: “dall’ideale al fatto”, così da sostenere tangibilmente l’organizzazione di questi giorni e le opere che nel segno di don Luigi e di mons. Mario Sturzo qualificheranno il “Polo di Eccellenza di promozione umana e della solidarietà” loro dedicato e meglio presentato nella giornata di domenica a Caltagirone.

Grazie alle tre Istituzioni sturziane che hanno partecipato attivamente alla preparazione del nostro Convegno, al Comitato Scientifico, ai sub comitati tematici, alle nostre segreterie che si sono date cura di predisporre i materiali e l’organizzazione del Convegno.

Grazie ai sovrintendenti e agli allestitori che hanno predisposto le mostre degli itinerari sturziani esposte in questo complesso fieristico, come anche a Caltagirone, nonché agli architetti che hanno recuperato gli arredi e le memorie sturziane che torneranno fruibili.

Uno speciale grazie ai familiari eredi di don Sturzo – a Gaspare, Guglielmo, Emanuela – persone a me assai care, grazie alle quali molte delle cose che andremo a presentare si sono rese possibili, dai protocolli siglati alla creazione della Fondazione “Casa Museo Sturzo”.

Il mio affetto va poi al presidente onorario della Fondazione “Istituto di promozione umana «Mons. Francesco Di Vincenzo», il Vescovo Michele Pennisi, per la passione e l’impegno che continua a contagiarmi e per lo speciale rapporto di collaborazione che tiene in vita con noi.

Nella quarta di copertina del libretto del Convegno trovate tutti i patrocini e le collaborazioni istituzionali che questa iniziativa ha meritato. Credetemi, non si tratta di una parata di stemmi; con ognuna di queste istituzioni il rapporto è stato aperto, proficuo e significato in un aiuto concreto.

Guardando poi ai relatori, ai moderatori – che anticipatamente ringrazio – se dovessi raccontare di ciascuno, dovrei intrattenerVi per qualche ora. È davvero raro trovare tanta disponibilità a condividere un disegno unitario; in molti casi venire da molto lontano per prendere la parola anche solo per qualche minuto. È questo un regalo fatto alla memoria di don Luigi, quasi un debito che in tanti hanno voluto saldare in rappresentanza dei diversi mondi che questo Convegno proverà a rileggere, per ridire – con don Luigi Sturzo – che è possibile avere fiducia nel pensiero cristiano e che nel Vangelo l’uomo può trovare ispirazione, profezia, ideali, sentimenti, vita nuova.

Grazie a mons. Crociata, in cui vediamo rappresentati tutti i Vescovi d’Italia. È nostro desiderio che la tanto osteggiata laicità cristiana, in Italia e in Europa, possa trovare nel Polo di eccellenza dedicato ai fratelli Sturzo, nella terra degli Sturzo, un nuovo incubatore di prassi educative, a partire dalle famiglie disagiate, una nuova piattaforma di laicità vissuta, prepolitica, che segnali la possibilità di far interagire le tante istanze di rinnovamento presenti nel nostro tessuto sociale e ancora inespresse o condizionate da interessi particolari o da mafie locali.

E guardando al tavolo di questa sera, grazie a due speciali figure che testimonieranno cosa significa servire un “popolo”, essere solidali con i bisogni di un popolo, dare voce alle sofferenze di un popolo. Due figure amate, note in tutto il mondo, che hanno accolto il nostro invito ad essere i primi testimoni di questo nostro disegno: il card. Angelo Comastri; il Presidente Lech Walesa.

Onorare insieme il servo di Dio don Luigi Sturzo, significa che è ancora possibile far credito alla speranza, a quella speranza creatrice che irrorò gli ideali di libertà, di carità, di giustizia sociale di don Luigi Sturzo, fare credito a quella “speranza creatrice” che Giovanni Paolo consegnò ai siciliani nei suoi tre viaggi apostolici come risorsa vitale e di rinnovamento morale, sociale e politico.

Dal suo esilio londinese, nel giugno 1938, giudicando le rivoluzioni che la storia coeva aveva drammaticamente registrato (la socialista, la nazi-fascista, la messicana), così si esprimeva nel suo scritto “The preservation of the Faith”: “Per noi, la prima, vera, unica rivoluzione fu quella del cristianesimo. Cristo portò in terra un Vangelo che ripudia qualsiasi pervertimento e oppressione umana, qualsiasi predomino del mondo sullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. In pratica ciò procede lentamente, ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta e perciò stabile”.

Ecco perché il Rinnovamento nello Spirito recupera in don Luigi Sturzo uno straordinario testimone di quella “evangelizzazione del sociale” alla quale Benedetto XVI ci sta fortemente richiamando, fondata sulla riaffermazione ragionevole e vitale della nostra fede e della nostra identità cristiana. Rifare il tessuto spirituale della società umana è la nostra missione in un momento storico in cui sembra sempre più evidente lo smarrimento dell’originalità cristiana.

Ben lo comprese don Luigi Sturzo, il quale individuò chiaramente le ragioni di una crisi, che allora come ora, hanno lo stesso comune denominatore: separare, contrapporre cristianesimo e umanesimo. Scriverà don Sturzo: «L'errore moderno è consistito nel separare e contrapporre Umanesimo e Cristianesimo: dell'Umanesimo si è fatto un'entità divina; della religione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche una setta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisogna ristabilire l'unione e la sintesi dell'umano e del cristiano; il cristiano è nel mondo secondo i valori religiosi; l'umano deve essere penetrato di Cri­stianesimo (Miscellanea londinese, vol. III).

Non c’è identità cristiana senza una fede umilmente confessata, vitalmente praticata, ma anche permanentemente perseguitata. La fede non è una teoria; è una via, quindi una prassi, meglio un insieme di buone prassi.

La nostra identità cristiana non può essere meticciata; le culture possono, ma non la fede. La fede salda la vita di un credente e la rende impenetrabile ad ogni negoziazione delle verità di Dio. Sono eterne, per questo non negoziabili. Sono divine, per questo non riducibili umanamente. Tra il nostro “essere cristiani in questo mondo” e “l’essere uomini di questo mondo” non potrà mai esserci coincidenza: ed ecco il nostro permanente soffrire, il disagio della coscienza, il prezzo del morire come cifra irriducibile dell’autenticità della fede.

Ricorre quest’anno il 90esimo dall’appello al Paese di don Luigi Sturzo, “a tutti gli uomini liberi e forti”, per la costituzione del Partito Popolare Italiano. L’appello era accompagnato da una programma in dodici punti. Vorrei qui ricordare l’ottavo:

Libertà e indipendenza della Chiesa nella piena esplicitazione del suo Magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo.

Sono parole che risuonano oggi come una profezia. Una grande tragedia del nostro tempo, che sottende alla cosiddetta “emergenza educativa”, trova un paradigma dominante nella separazione dell’etica dalla metafisica, dell’etica dallo spirituale. Ne consegue il cambiamento della visione del reale, della percezione delle relazioni, con il risultato che si separa il senso morale dal valore dell’esistere, si perde la tensione verso le virtù, si smarrisce la passione per la conversione personale e comunitaria, per il senso del dovere, del sacrificio.

Chi pone rimedio a questi squilibri? Se non ci sveglieremo dal torpore che è sceso sulle nostre responsabilità educative, tornando a vivere in armonia con noi stessi, con le nuove generazioni, con le differenti visioni del mondo, noi renderemo la nostra terra sempre meno riflesso del cielo e l’uomo e la donna sempre meno riflesso del divino.

Ora, guardando all’insegnamento di don Luigi Sturzo, e ai principi fondamentali che ispirarono i suoi scritti e le sue battaglie sociali e politiche, io ritengo che non ci sia pericolo peggiore, per la coscienza sociale di un popolo, che l’insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare dell’immoralità; è paradossale che l’insensibilità al male, l’assuefazione ai mali sociali che denigrano la dignità della persona, si vadano giustificando con l’idea che sia sinonimo di modernità una vita pubblica moralmente inquinata, in cui vera libertà è autonomia da ogni legge morale o da ogni verità, in cui vera libertà è l’affermarsi del bene individuale su ogni bene oggettivo, sul bene comune.

È bene ricordare che don Luigi Sturzo aggettivava “cristiana” la nostra democrazia nel senso che “delimitava”, arginava in nome di principi saldi, eticamente validi, il dilagare dell’immoralità pubblica e privata. Affermava don Luigi: “L’aggettivo “cristiano” non indica l’idea di uno stato confessionale, né di un regime teocratico. Indica invero un principio di moralità, la morale cristiana applicata alla vita pubblica di un Paese” (in L’Italia, 3 novembre 1951).

Per Sturzo, e anche per noi, è la morale cristiana il legame, il collante tra il cielo e la terra; è la morale cristiana che autentica i rapporti di fraternità fra gli uomini, fra i popoli; perché mancano della vera nozione di moralità coloro che la concepiscono solo in modo puramente individuale e individualista, mentre essa ha sempre un carattere pubblico, collettivo, sociale. Senza una morale religiosa, senza un rimando ai valori dello Spirito, la morale razionale rimarrà solo nell’ordine materiale, umano, e presto scadrà nel calcolo, nel vantaggio immediato, nell’egoismo.

La legge morale è anzitutto una legge interiore, è quell’intima convergenza dell’animo umano verso il bene in quanto vero bene e ripugnanza al male in quanto male; le leggi, i precetti religiosi, i costumi sono solo l’espressione esteriore e dipendono dai tempi, dalla natura sociale dell’uomo. Ma l’uomo non è scindibile: l’uomo che vive con gli altri è l’uomo che vive nella sua interiorità. La falsità, la malvagità non esistono nella natura, sono solo un disordinato rapporto tra noi e la natura, un’alterazione, un’inversione di valori, un disequilibrio tra noi e il mondo esterno, fra noi stessi. È impossibile che la falsità sia buona, né che il male sia bello.

È solo dall’adesione interiore, profonda, dell’intimo dell’uomo con il vero, con il bello, con il buono che le nostre azioni, la nostra attività pubblica produrrà beni duraturi e di vero progresso umano.

La sfida, dunque, è dare cittadinanza a livello culturale, educativo, formativo, sociale, politico ad una nuova dimensione interiore, spirituale dell'uomo. Se l'umanesimo cristiano – come Sturzo ampiamente documenta – è la cultura dell'uomo integrale, ci si accorge, a volte drammaticamente, come l'uomo contemporaneo sia "l'uomo ad una dimensione", secondo la definizione di Marcuse nel 1968, o dalle tante dimensioni frammentate, isolate, ripiegate su se stesse, immagine coerente dello sgretolamento di valori e di modelli.

Nell'uomo di oggi, la mancanza di una dimensione interiore e spirituale, trascurata perché ritenuta anacronistica ed inutile, si fa percepire con nuovi segnali, con fenomeni che vanno considerati attentamente. Urge una cultura dell'interiorità, che sia autentica ricerca della verità interiore, vissuta con lucidità, consapevolezza, e senso critico.

Tale cultura non può rimanere ambito esclusivo di pochi esperti, deve trasformarsi in educazione permanente al valore degli affetti, dei sentimenti, degli ideali, delle memorie, come abbiamo in animo di fare mediante il Polo di Eccellenza Sturzo, in cui “famiglia, chiesa, cultura e lavoro” tornino ad interagire, a completarsi a determinare autentici processi di redenzione umana, di liberazione dal male, di elevazione sociale.

Don Luigi Sturzo vedeva nella superbia la radice di tutte le immoralità. Ed esortava ad un “riarmo morale” nel desiderio di spingere tutti, credenti e non credenti, a combattere tutte quelle passioni che dentro di noi causano odi, lotte, egoismi, violenze. Questo era per Sturzo il trionfo dell’amore.

Urge questo trionfo dell’amore, perché nessuno di noi è tanto alle strette, nel proprio cuore, da non potere assumere l’altro, il prossimo, il collega, il diverso come parte del proprio destino, come un’opportunità di vivere sinceramente l’umanità che ci accomuna, come una risorsa da cogliere e non come un problema da eliminare.

Nessuno di noi è tanto alle strette da non potere dare e ricevere amore!

Affermava don Luigi: “Si può essere di diverso partito, di diverso sentire, anche sostenere le proprie tesi sul terreno politico ed economico, e pure amarsi cristianamente. Perché l’amore è anzitutto giustizia ed equità, è anche eguaglianza, è anche libertà, è rispetto degli altrui diritti, è esercizio del proprio dovere, è tolleranza, è sacrificio. Tutto ciò è la sintesi della vita sociale, è la forza morale della propria abnegazione, è l’affermazione dell’interesse generale sugli interessi particolari” (Don Luigi Sturzo, Il Cittadino di Brescia, Brescia 30 agosto 1925).

Ecco cosa è e che cosa fa l’amore cristiano quando si accasa nella storia e non viene espulso come un intruso!

C’è, talvolta, tra noi, una sorta di complesso d’inferiorità dinanzi all’ineluttabile male che si accanisce sulla storia, un’inquietudine che ci assale dinanzi al tentativo corrente di privare il cristianesimo di ogni rilievo pubblico. Si vorrebbe una sorta di cristianesimo svilito, diluito, anonimo, una chiesuola in cui riparare per trovare protezione.

Ebbene, come ha scritto un celebre martire cristiano evangelico del Novecento, Dietrich Bonhoeffer, «noi cristiani dobbiamo tornare all’aria aperta; dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale con il mondo» (in “Resistenza e Resa”).

La fede offre indicazioni concrete per la vita umana; proprio attraverso la loro morale i cristiani si differenziavano dagli altri nel mondo antico; proprio in tal modo la loro fede divenne visibile come qualcosa di nuovo, una realtà inconfondibile, attraente, contagiosa.

Per un cristiano, il bene comune nasce dalla capacità di rendere socialmente visibile il contenuto morale della fede. Finché non sapremo rimpatriare questa verità, noi continueremo a permettere la canonizzazione del relativismo etico.

Occorre un sentimento più alto perché i motivi di interesse, di orgoglio e di dominio che disintegrano la vita sociale siano repressi e contenuti, per potere sviluppare quelli di amicizia, di collaborazione e di aiuto reciproco.

Teniamo a mente queste tre parole: amicizia, collaborazione e aiuto reciproco. Erano per don Luigi la “cifra” della nostra laicità cristiana, come egli sosteneva il “metodo cristiano” applicabile in ogni tempo e in ogni situazione.

Ebbene, se guardo a questa sala, a questo Convegno, mi pare di poter sostenere che questo “metodo” ritorni possibile. Qui sono rappresentate la Chiesa, la società civile e lo Stato. Tre baluardi della nostra Democrazia al cui servizio don Luigi si pose sino al martirio.

L’Italia può contare su una società civile ricca di fermenti ideali, culturali, economici, come in nessun altro Paese al mondo: movimenti, associazioni, reti sociali sono una straordinaria forza “prepolitica” capace di riaffermare ideali e valori in modo vitale e tradurli in buone prassi. Non è questa una ricchezza trascurabile, ieri promossa da don Sturzo e oggi ribadita da Benedetto XVI, anche al G8, quando con l’enciclica “Caritas in veritate” afferma: Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. È prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall'altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale”.

Nel tempo della crisi non è lecito rassegnarsi ad una sorta di “recessione dello spirito”. Non basta cercare di rimuovere le “diseguaglianze sociali” per creare una società più giusta. Nell’era della globalizzazione la sfida è non mortificare le differenze ma esaltarle nella fraternità, riconciliando gli opposti e dando nuova “soggettività sociale” a coloro che fino a ieri erano solo “oggetto” di politiche assistenziali o clientelari.

Bisogna dare slancio a nuove e concrete esperienze di “sussidiarietà orizzontale”, in cui i soggetti sociali radicati e diffusi sul territorio si aggreghino tra loro non per sostituirsi allo Stato, ma per ricucire le maglie di fiducia sociale sfibrate, provando ad occupare quegli spazi di dialogo e di sviluppo in cui lo Stato si mostra inadeguato. Sturzo proponeva il passaggio da una “economia socialista” ad una “economia sociale”, che al paternalismo centralista si sostituisse l’operosa efficienza delle reti intermedie, quei mondi vocati per talenti e missione alla costruzione del bene comune. Il suo proposito è anche il nostro.

Noi ci chiediamo come gli ideali cristiani possano determinare una cultura che ponga nel giusto equilibrio la giustizia, la misericordia, le leggi e i diritti umani, la solidarietà, in definitiva tutto ciò che ispira, fonda e rivela la nozione di “bene comune”.

E ribadiamo con don Luigi: la cifra perché questo avvenga è l’amicizia.

Ciascuno di noi è un testimone del dolore e delle speranze di un’epoca, se ne fa carico; vive su di sé l’angoscia di un mondo che non riesce più a trovare il rapporto tra le parole, i segni, le memorie, gli ideali per i quali vale la pena vivere ed essere uomini.

Serve un supplemento di passione, perché le grandi passioni sociali e civili che animavano la nostra tradizione occidentale stanno tramontando. È errato dire che ci sono negate; siamo noi che le stiamo lasciando tramontare! Ed ecco che l’amore si spegne, si scompone il dinamismo relazionale, i poveri divengono sempre più poveri, i lontani sempre più lontani. E agli uomini è tolta la possibilità stessa di esperimentare l’amore, nelle case, come nelle istituzioni; per le strade come nelle nostre chiese.

Le nostre società stanno perdendo la capacità di essere misericordiose e benevole. Abbiamo il compito di ricondurre la società ai valori morali eterni, cioè il compito di sviluppare nuovamente nel cuore degli uomini l’udito spirituale, ormai quasi spento, per risentire interiormente la voce di Dio che infonde coraggio e speranza.

Il pensiero di don Luigi Sturzo costituisce oggi la migliore via d’uscita alle continue rimozioni storiche che stanno pesantemente segnando la vita civile, sociale e morale insieme del nostro Paese, in special modo del nostro Sud d’Italia. Non è un caso che Sturzo sia stato così a lungo trascurato, archiviato anzitempo dal pensiero dominante in modo ingiustificato.

Noi crediamo che si possa, si debba ripartire da don Luigi Sturzo, da quella nozione a lui cara di “autentico umanesimo integrale”, un umanesimo che sappia coniugare e valorizzare quei “beni spirituali e sociali” ancora ampiamente disponibili alle nostre comunità, per dare dignità e soggettività all’uomo, ad ogni uomo.

Nell’enciclica “Caritas in veritate” il Santo Padre ha ribadito con forza che non sarà vero sviluppo dei popoli senza un autentico umanesimo integrale, senza un’umanità a misura d’uomo. Afferma il Papa: “Senza Dio l'uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. L'umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all'Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell'ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell'ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento… Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l'amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede” (nn.78-79).

Nel tempo della crisi non è in crisi la responsabilità per il futuro dell’uomo. Il Papa è chirao: non ci saranno sviluppo plenario e bene comune e universale senza l’elevazione spirituale dell’uomo, senza un impegno per il rinnovamento dei cuori, delle menti, delle volontà, dell’agire umano nella direzione di una nuova fraternità.

Istituzioni, strutture sociali, culture hanno bisogno di un nuovo ethós, di un’etica delle virtù che segni una profonda stagione di conversione degli stili di vita sociali. Noi non vogliamo sfuggire a questa responsabilità, ecco perché siamo qui e perché da qui proseguiremo il nostro impegno.

Alla vigilia della sua morte, a tre mesi dal compimento degli 88 anni, don Luigi componeva una “Appello ai Siciliani”, una sorta di testamento spirituale di un siciliano ai siciliani. Vorrei concludere con le stesse parole che don Luigi usa alla fine di questo ultimo Appello ai Siciliani: “È vero sono un ottimista impenitente, anche di fronte ad una situazione oscura… Ma voglio andare all’altro mondo, quando Dio vorrà, con il mio ottimismo. Che potrei dire di più?”.

Voglia il Cielo che questo ottimismo della speranza contagi anche noi e continui ad ispirare i nostri lavori.

Cattolico_Romano
00sabato 3 ottobre 2009 19:02


Convegno a cinquant'anni dalla morte

Don Sturzo scelse sempre di essere un prete


"Don Luigi Sturzo uomo dello Spirito" è il tema del convegno internazionale che si tiene dal 2 al 4 ottobre a Catania e a Caltagirone per i cinquant'anni dalla morte del sacerdote calatino fondatore del Partito popolare italiano. Pubblichiamo ampi stralci dell'intervento del vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana.

di Mariano Crociata

Sono stato colpito dall'opportunità che ci viene data di riflettere sulla figura di don Luigi Sturzo, sulla sua vita, il suo pensiero, le sue opere, mentre è in pieno svolgimento l'Anno sacerdotale voluto dal Santo Padre Benedetto XVI, a 150 anni dalla morte di san Giovanni Maria Vianney. A uno sguardo non superficiale, infatti, appare un numero imprevisto di analogie tra il cammino del prete di Caltagirone e quello del curato d'Ars. Davvero una sorpresa:  l'amore indefesso per il sacerdozio, la completa dedizione all'eucarestia come sacramento vivificante, l'obbedienza alla Chiesa e ai superiori, la fortezza umana sposata a una infinita umiltà, una salute che faceva penare, il coraggio d'intraprendere cose nuove, il non fermare il proprio ministero sul sagrato dell'edificio di culto... Ma forse stiamo parlando della verità più profonda del ministero ordinato, la stessa verità che troveremmo in ogni prete vero, che dovremmo poter trovare in ogni prete. Una verità, quella del servizio presbiterale, che don Sturzo ha illustrato e che in parte non piccola ha contribuito con la sua vita a scoprire, o almeno a rivelare a una porzione significativa di popolo di Dio. Ci accorgiamo di ciò facilmente se proviamo a guardare al prete con l'aiuto dei documenti del Concilio. Fin dall'inizio della Presbyterorum Ordinis il prete è definito per il suo dedicarsi al servizio della celebrazione, all'annuncio della parola di Dio, al servizio per l'edificazione del popolo santo.

Tutto quello che sappiamo della vita di don Luigi Sturzo si snoda come una trama dal principio alla fine unificata dal costante primato accordato alla celebrazione della messa. Egli la visse con una intensità resa possibile da un costante lavoro di distinzione del valore di questa azione sacramentale dal resto delle pratiche di devozione, che non disprezzò ma che seppe dimensionare orientando la propria vita di credente e di prete su ciò che noi oggi, grazie al Concilio, professiamo con rinnovata certezza quale fonte e culmine della vita cristiana. Quando fu posto di fronte all'alternativa tra servizio ministeriale e altri pur meritevoli e preziosi impegni, don Luigi Sturzo fece ciò che richiedeva il restare ciò che era divenuto:  un prete. Ci insegnò una strada per far crescere la Chiesa e la fede attraverso il provvidenziale crogiolo della modernità e ci insegnò un sentiero di testimonianza della fede nella polis fino ad allora ignorato, se non ritenuto impossibile o addirittura sbagliato. Se la nostra fede e la nostra Chiesa respirano, se sanno respirare a pieni polmoni della libertà che questi tempi ci consentono e a cui quasi ci obbligano, se la fede non è impaurita dalla coscienza, questo è ancora merito suo. Come Rosmini, come Manzoni, come Montini, don Luigi ci ha aiutato a sondare nuove dimensioni di quella misura alta di umanità che è la santità, come spesso ci ha ricordato Giovanni Paolo II.
Ed in più, don Luigi ci ha insegnato quanto sia vero che nella Chiesa si può edificare senza primeggiare, si può fare molto con poco potere. Di quale magistero e di quale edificante testimonianza è stato capace permanendo nel servizio, quello vero e pesante, quello spesso incompreso, non quello che si menziona solo come fosse un soprannome dato a cariche, prestigio, o visibilità!
Possiamo chiederci se don Sturzo è stato un modello di prete. È difficile dirlo. Certo non credo sia immaginabile né tanto meno auspicabile nelle odierne circostanze un prete segretario di partito. Ma forse questa domanda non è di particolare utilità. Posto che fu testimone credibile, e che è ancora, e forse più di allora, testimone credibile, che importa se possa essere o meno anche un modello? Non abbiamo, forse oggi più che mai, bisogno di credenti, e di preti, che sappiano vivere la fedeltà nell'immaginazione, nella scelta, piuttosto che nella mera ripetizione? E se ci poniamo in questa prospettiva, ecco che la memoria di don Luigi si rivela feconda per la vita; ecco che l'istanza di fedeltà al vangelo e alla Chiesa, che sta di fronte a ogni battezzato e a ogni prete, si fa più bella.
Quella di don Luigi è una testimonianza feconda e di grande ammaestramento non per il grado di ripetibilità della sua esperienza, ma per l'intensità che essa raggiunse in alcune dimensioni, e che raggiunse sempre cercando nella vita soprannaturale la verità e la radice di ogni trama e di ogni istante della nostra vita terrena.

Don Luigi ci dà misure d'intensità che ci spronano e ci confortano insieme. Pensiamo alla intensità della sua vita interiore. Soprattutto i giovani dovrebbero essere informati sul regime, sul realismo e sulla qualità evangelica della sua vita di preghiera, per la maggior parte nascosta, non spettacolarizzata. A noi può a volte persino spaventare la durata e la profondità dell'immergersi di don Luigi nel mistero di Dio a partire dalla parola di Dio. Ma non solo a partire dalle Scritture. Come potremmo infatti comprendere don Sturzo se separassimo la sua passione militante per lo studio dalla sua vita di preghiera? Forse proprio questa è una delle grandi sfide che ci troviamo dinanzi nell'atto d'accingerci ad affrontare l'emergenza educativa. Giova alla preghiera cristiana una contrapposizione allo studio? Giova forse allo studio dei credenti una sua contrapposizione alla preghiera? Come per san Tommaso, anche per don Luigi questa contrapposizione non aveva alcuna legittimità, mentre noi, tante volte, ci ostiniamo a costruire tanto devozionalismo e anti-intellettualismo su questa nefasta e fuorviante opposizione!
Pensiamo all'intensità con cui don Luigi ha saputo vivere l'obbedienza. Quante carriere, quanta mondanità d'ogni genere don Sturzo ha saputo evitare o lasciare anche per obbedienza! Un'obbedienza non cieca, un'obbedienza non passiva, un'obbedienza forte, un'obbedienza senza adulazione o abiure. Quanto conflitto gli ha generato dentro quella obbedienza. Con la sua vita di libertà mai rinnegata, don Sturzo ci offre una misura d'obbedienza che ci aiuta rendendoci innanzitutto molto, molto umili.
Pensiamo ancora alla intensità con cui don Luigi ha vissuto la lotta, l'agonia del sano agonismo. Una lotta interiore e pubblica. Quanta poca ricerca di pace e di consenso a ogni costo nella sua vita spirituale, quale altissima e non infantile idea della comunione ecclesiale, comunione tra persone diverse e libere.
Pensiamo - ed è l'ultimo cenno, che però non posso non fare - alla intensità con cui don Luigi ha sempre cercato la via del rinnovamento, personale, ecclesiale, civile. Pensiamo a come è riuscito a farsi aprire la mente e il cuore dagli studi romani, a come è riuscito a farsi mutare dall'esperienza pastorale e socio-politica dei primi anni dopo il ritorno in Sicilia, infine a come ha saputo farsi cambiare dall'esperienza durissima dell'esilio - come non attenerci ancora oggi saldamente alla sua dura denuncia delle tre "male bestie":  statalismo assistenzialista, cultura della spesa pubblica, partitocrazia?
Forse don Luigi non sarà un modello ripetibile, ma di certo è testimone e sprone a una misura elevatissima d'intensità nella vita interiore, d'intensità nell'obbedienza ecclesiale, di intensità nel coraggio dell'agonismo, e d'intensità nel coraggio del rinnovamento.


(©L'Osservatore Romano - 4 ottobre 2009)
S_Daniele
00lunedì 12 ottobre 2009 19:03
 

Grazia e natura secondo Luigi Sturzo

Il realismo del soprannaturale


Pubblichiamo un estratto della relazione tenuta al convegno internazionale sturziano di Catania dal vescovo di Piazza Armerina, che presiede la commissione storica per la causa di canonizzazione di don Luigi Sturzo.

di Michele Pennisi

È impossibile capire profondamente don Luigi Sturzo se si prescinde dalla sua concezione  della  cultura  e  dalla sua visione teologica, basata sul realismo del soprannaturale. Egli cercò di stabilire un equilibrio non facile, ma necessario, tra fede e storia, fra il temporale e l'eterno, fra grazia e natura per realizzare una ortoprassi cristiana della politica che escludesse sia un assorbimento del naturale nel soprannaturale di marca integrista, sia una separazione fra i due ordini di impronta laicista.

Quest'impostazione del rapporto tra grazia e natura si ritrova tanto nella sua concezione della cultura come "lo svolgimento del pensiero e dell'attività degli uomini realizzato nei secoli", quanto nell'elaborazione del progetto di un partito laico di ispirazione cristiana; come pure nella sua sociologia storicista definita "cristiana nella radice anche se laica nelle foglie". 

Il rapporto fra naturale e soprannaturale è affrontato sistematicamente da Sturzo nell'opera, pubblicata durante l'esilio - in inglese nel 1943 e in spagnolo nel 1944 - La Vera Vita:  sociologia del soprannaturale, in cui egli, partendo da un'analisi della società, considerata nella sua concretezza storica, afferma che uno studio globale di essa non può trascurare l'inserimento della realtà nell'ordine soprannaturale.

Del progetto di quest'opera si trovano tracce nel carteggio col fratello Mario. Il primo accenno è in una lettera del 10 ottobre 1936 dove scrive di progettare un libro "mezzo ascetico e mezzo filosofico sulla vita interiore". Il 16 marzo 1937 precisa il titolo della nuova opera in preparazione che dovrebbe essere la terza di una trilogia dopo il Saggio di Sociologia e Chiesa e Stato:  "Il mio punto di partenza è dato dalle conclusioni dei libri precedenti. Il Saggio di Sociologia finisce con l'appello che la vita sociale fa della trascendenza; Chiesa e Stato con la constatazione che umanesimo e cristianesimo sono storicamente inseparabili come natura e sopra-natura. Il terzo lavoro partirà (...) dal principio che non si dà in concreto una natura completa, perfetta, valevole ai fini dell'uomo; ma che elevata all'ordine soprannaturale, decaduta e restaurata, la natura è talmente legata al soprannaturale da non essere più autonoma. Fuori della sintesi natura - sopra natura si avrà di qua la decadenza, di là l'annichilazione". Tale sintesi è individuale e sociale. E il 6 aprile scrive:  "Ponendo mente solo al titolo del mio lavoro:  Vita soprannaturale, deve intendersi che tale vita è messa sul piano soprannaturale della Grazia. Il mio è e deve essere uno studio basato sulla teologia. La società storica cristiana non è divisa in due società, una naturale e l'altra soprannaturale, ma forma un'unica società naturale-soprannaturale. Si fa bene a mettere in rilievo l'una e l'altra natura, i caratteri, i limiti; ma nel concreto individuale ed in quello sociale, le due nature formano un'unica entità psicologica, morale e storica. Il separatismo intellettuale ci ha portato al naturalismo razionalista o al supernaturalismo fideista; quello pratico ci ha portati al laicismo di stato e alla religione della sagrestia e della chiesuola".

L'opera di Sturzo può essere considerata un trattato sintetico di introduzione alla concezione cristiana della vita e della società. Egli partendo dal primato della grazia tuttavia salvaguarda l'autonomia delle realtà terrene. Egli espone in modo sistematico la tematizzazione intellettuale della propria esperienza spirituale e del proprio impegno sociale e politico.

Per lui la "vera vita" è quella soprannaturale", "quella dello spirito", "alla quale siamo predestinati da Dio, non  per  esigenza  della  natura  ma per dono di  benevolenza", che non nega anzi perfeziona la vita naturale. Il primato del soprannaturale comporta anche il primato della grazia che si collega al mistero dell'incarnazione e della redenzione operata da Gesù Cristo con il mistero pasquale e il dono dello Spirito.
Si tratta di una prospettiva pervasa dalla speranza cristiana per la quale la ragione è una dimensione umana destinata a lasciarsi incontrare dalla grazia divina e illuminare dalla fede. Così don Sturzo arriva ad ammettere la possibilità della salvezza per tutti gli uomini, anche per i non cristiani, che anche se non conoscono il compimento della rivelazione divina "nell'incarnazione del Verbo e nell'effusione dello Spirito Santo, non per questo sono da riguardarsi fuori dal ritmo della vita soprannaturale". I non cristiani se moralmente retti "nell'intimo della loro coscienza", "sono chiamati per la fede alla grazia di Dio", "sono anch'essi, senza saperlo, figli di Abramo" e, soprattutto, "implicitamente partecipi della grazia ottenutaci da Gesù Cristo (...) non vivono semplicemente della vita naturale, sono già anch'essi nel ritmo della vita soprannaturale".

La necessità della predicazione del Vangelo, dell'opera missionaria della Chiesa e dei sacramenti deriva dal fatto che senza questi elementi i non cristiani non arriverebbero alla grazia.
L'universalità della grazia ha un fondamento cristologico. Scrive Sturzo:  "Come il sole, nel centro del sistema solare, arriva dove più dove meno secondo le distanze, l'orientamento e gli ostacoli frapposti; ma la sua azione è necessaria anche per quelle parti che non arrivano ad averne l'influsso diretto, perché il sole è forza gerarchizzante, unificante, vivificante; così Gesù Cristo - in quanto egli è stato o doveva essere - è al centro del mondo, per tutti ha meritato la grazia redentrice, ed ha fatto potenzialmente tutti partecipi della vita soprannaturale".

La radicalità dell'affermazione secondo cui tutto è grazia riesce a dare un significato spirituale alla vita individuale e sociale dell'uomo che diventa "collaboratore di Dio" in tutti gli aspetti della sua esistenza dal lavoro alla ricerca culturale, dall'impegno politico all'esperienza religiosa.
In un messaggio a un circolo di cultura don Luigi scrive:  "La missione del cattolico in ogni attività umana, politica, economica, scientifica, artistica, tecnica, è tutta impregnata di ideali superiori perché in tutto ci si riflette il divino. Se questo senso del divino manca, tutto si deturpa:  la politica diviene mezzo di arricchimento, l'economia arriva al furto e alla truffa, la scienza si applica ai forni di Dachau, la filosofia al materialismo e al marxismo; l'arte decade nel meretricio". E aggiunge:  "Non sembri strano:  anche in tali decadenze  potrà mostrarsi qualche barlume di verità, qualche sollecitazione alla speranza; qualche soffio di amore; perché l'uomo anche il più depravato o il più insensibile ai valori spirituali, ha  un'anima  che  può  rivelarsi  tale se  arriva a contatto con un'altra anima che porta il soffio della verità e dell'amore".

Scrivendo nell'agosto del 1945, da New York, a Igino Giordani, Sturzo, per rispondere a quanti ritenevano che la morale cristiana fosse eteronoma rispetto alla ragione e alla natura umana, affermava:  "Dio che ci ha creato e fatto partecipi alla sua natura per la grazia; egli è la nostra felicità e la consumazione della nostra vita. Dio che è la verità e l'amore per essenza partecipa a noi la verità e l'amore, cioè se stesso. Come si può dire che questo Dio sia estraneo a noi, che costituisca per noi un principio eteronomo che alteri la nostra personalità, che disturbi la nostra autonomia, che inquieti la nostra coscienza? In eo vivimus, movemur et sumus; sì da poter dire con san Paolo (...):  "vivo io, non sono io, ma vive in me Cristo"".


(©L'Osservatore Romano - 12-13 ottobre 2009)
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