Torre degli specchi e dei tesori nascosti

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S_Daniele
00lunedì 23 novembre 2009 19:53

 

Torre degli specchi e dei tesori nascosti


di Silvia Guidi

Un energumeno corrucciato che brandisce una spada, circondato da spesse nuvole temporalesche sottolineate da larghe pennellate scure e figure femminili tanto ricalcate, ridipinte e chiaroscurate da diventare quasi illeggibili. Di tutto questo non c'è più traccia nell'affresco che copre a Roma il catino absidale della cappella del coro dell'Annunziata a Tor de' Specchi; è tutto sparito sotto le spugne dei restauratori.
 
La ripulitura della decorazione seicentesca ha svelato un altro dipinto; il san Michele aggressivo e marziale nascondeva un giovane angelo sorridente con il volto illuminato dalla serena certezza della vittoria finale, reso con colori liquidi e chiari. Un capolavoro del barocco - forse proveniente dall'entourage del marchese Giovanni Battista Crescenzi, art director di uno stile che non vuole ripetere i moduli espressivi caravaggeschi ma cerca di rendere l'olimpica compostezza della pace celeste con colori trasparenti e luminosi - che i partecipanti al convegno "La canonizzazione di santa Francesca romana. Santità, cultura e istituzioni a Roma tra medioevo ed età moderna" hanno potuto apprezzare in tutta la sua bellezza.

Per tre giorni, dal 19 al 21 novembre scorso, si è parlato di "Ceccolella" - una santa "che Roma, da secoli, non riesce a dimenticare" come ha detto Claudio Leonardi, presidente onorario della Fondazione Franceschini, nel suo intervento conclusivo - e della sontuosa cerimonia di canonizzazione, avvenuta nel 1608; della sua affinità spirituale con i monaci olivetani e della sua fondazione, le oblate di Tor de' specchi, laiche che vivono la dedicazione a Dio senza essere delle claustrali.

Moglie, madre e vedova, Francesca sa per esperienza personale che si può vivere nel mondo senza appartenergli; nel sostenere la vocazione delle consorelle punta tutto sulla loro libertà e sulla consapevolezza che in ogni momento ci si può rifugiare nella "cella del cuore", anche mentre si lavora in ospedale o si distribuisce il pane ai poveri. Per questo il suo "non-monastero" ha reso obsoleto già alla fine del Trecento l'assunto aut murus, aut maritus; l'originalità della fondazione è provata e contrario proprio dai molti tentativi di normalizzazione che ha subito nella sua lunghissima storia.

Il complesso, che sorge a un passo dal Campidoglio,  è tanto dimesso all'esterno quanto ricco di tesori all'interno; i recenti restauri hanno reso di nuovo pienamente leggibili anche i celebri affreschi quattrocenteschi dell'Oratorio, svelando cieli dipinti con un'azzurrite molto chiara (e fragile, perché  venne  applicata  senza  preparazione) e  paesaggi ariosi e pieni di luce, accentuando il contrasto con gli affreschi a monocromo verde che  raffigurano le tentazioni e i momenti di desolazione della santa, in cui tutto perde (letteralmente) colore. Tra i tesori più preziosi il vasto archivio, ancora solo parzialmente esplorato; dagli interventi di Anna Esposito - che ne ha esaminato i documenti incrociandoli con le fonti notarili  -  e  Lucetta  Scaraffia  -  che  ha  lavorato sulla trascrizione del libro di memorie interno - sono emersi ritratti di oblate celebri come Olimpia Ludovisi, principessa di Piombino nel novembre del 1700, o note solo per la santità di vita, come Marianna Del Drago, descritta dalle consorelle come instancabile nell'opera di apostolato, contese patrimoniali con le famiglie di origine, e altri "frammenti di vita" di vivacità sorprendente. Tra le carte, c'è ancora traccia di una disputa con un affittuario che trasformò un orto di proprietà delle oblate in una sorta di bocciofila, con relativi schiamazzi e imprecazioni blasfeme.


(©L'Osservatore Romano - 23-24 novembre 2009)
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