Eredi di un modo di pensare
di Antonio Filipazzi
La figura di Nicolò Ormaneto consente di affrontare il tema dell'influsso che Giovanni Matteo Giberti, il suo stile pastorale, le norme che egli stabilì e le istituzioni da lui create, ebbero nei decenni successivi alla sua morte sia in Italia sia fuori, attraverso le persone che lo conobbero e con lui collaborarono. Infatti, anche grazie all'Ormaneto, lo spirito e le opere del pastore veronese ebbero un influsso nell'Inghilterra della regina Maria Tudor e del cardinal Pole, nella Milano di Carlo Borromeo, nella Roma di Pio v, nella diocesi di Padova e nella Spagna di Filippo ii.
Questo sacerdote veronese, nato fra il 1515 e il 1517, compì gli studi giuridici presso l'università di Padova, laureandosi in utroque iure nel 1538. Ascritto al collegio dei giureconsulti veronesi nel 1540, tre anni dopo venne nominato dal vescovo Giberti arciprete di Bovolone. Nel 1553 accompagnò il cardinale Reginald Pole nella sua missione in Inghilterra, collaborando con lui fino al 1558. Partecipò all'ultima fase del concilio di Trento (1563), dove lo aveva condotto il cardinale Bernardo Navagero, vescovo di Verona e legato al concilio stesso. Nel 1564 Carlo Borromeo lo volle come suo vicario generale a Milano, dove rimase per circa due anni, dopo i quali Pio v lo chiamò a Roma per collaborare all'opera di riforma della corte papale e dell'Urbe. Nel 1570 fu eletto vescovo di Padova, ma nel 1572 Gregorio xiii lo destinò come nunzio apostolico presso Filippo ii. La morte lo colse a Madrid nel 1577.
La familiaritas dell'Ormaneto col Giberti durò solo pochi anni, ma questo dato non basta da solo a misurare la profondità dell'impronta che quest'ultimo lasciò nella vita e nell'impostazione dell'azione del suo chierico. Nel 1554 l'Ormaneto accompagnò Pole, inviato da Giulio iii come legato sia presso Carlo v e Enrico ii di Francia in missione di pace sia presso la regina inglese Maria Tudor per restaurare il cattolicesimo in Inghilterra. Dal 1555 al 1557 Ormaneto fu a capo della cancelleria del legato pontificio e fu impegnato nel sinodo di Londra voluto da Pole, che fu la sua prima esperienza sinodale. È significativo che il decreto sulla visita pastorale sia stato ispirato, secondo quanto testimonia lo stesso Ormaneto, dal "Memoriale... che portava in mano il vescovo di Verona" nelle sue visite. Oltre a ciò, partecipò alla visita delle università di Oxford e Cambridge, che fu forse uno dei maggiori successi dell'opera riformatrice del Pole.
Fondamentale fu poi l'incontro con il giovane cardinale nipote di Pio iv: ne nacque infatti un rapporto che durò per oltre un decennio e che soprattutto si caratterizzò per la grande sintonia. Si potrebbe dire che l'Ormaneto è non meno un uomo del Borromeo di quanto non lo sia del Giberti.
Nei due anni nei quali egli fu il vicario generale dell'arcivescovo di Milano, emerge l'innegabile influsso della scuola pastorale del presule veronese sull'Ormaneto stesso e, per suo mezzo, su san Carlo e sull'impostazione da lui data alla sua vasta e importante diocesi. Egli, infatti, continuò a occuparsi delle vicende dell'arcidiocesi ambrosiana e ad avere intensi contatti con il cardinale Borromeo durante gli anni romani prima, e, poi, nello svolgimento della missione di nunzio in Spagna.
Le questioni principali che l'Ormaneto dovette trattare in Spagna furono: la lotta contro i turchi, le controversie giurisdizionali nei domini spagnoli in Italia, l'impresa per la riconquista dell'Inghilterra e la riforma degli ordini religiosi. Si pone però anche una questione: come si compone il duplice ruolo di vescovo di Padova e di nunzio con la visione della riforma ecclesiale propria del suo maestro e ispiratore, per il quale la scelta di risiedere nella propria diocesi fu l'inizio e il mezzo per realizzare l'opera di riforma a Verona? L'Ormaneto accettò gli incarichi fuori sede per obbedienza, ma manifestò sempre il desiderio di ritornare alla sua parrocchia e diocesi, percependosi in una situazione di disagio. Scriveva infatti a san Carlo: "Vi è da considerar lo scandalo che possono ricevere le genti vedendomi star tanto absente che non possono così saper l'intrinseco dell'animo mio; et quando io faccio officio et col Re et con qualche Prelato sopra la ressidentia, sempre temo che mi sia detto Medice cura te ipsum". A questa difficoltà rispose il Borromeo, osservando come Ormaneto fosse trattenuto "fuori della sua Chiesa particolare per servitio della universale". In queste parole i due livelli a cui si compie l'opera di riforma ecclesiale non sono visti come alternativi e contrapposti, come talvolta avviene a seguito di una lettura forse unilaterale e forzata, ma come fra loro complementari.
(©L'Osservatore Romano - 3 dicembre 2009)