Scenario storico
Tra l’ultima decade del 15° secolo e la prima del 16°, si assisteva ad una grave e diffusa degenerazione morale tra le persone consacrate, gli alti prelati e i papi stessi errano i primi a darne il cattivo esempio. I buoni cattolici, scandalizzati protestavano. Nel 1491 San John Fisher, unico vescovo in Inghilterra che sarebbe morto piuttosto di rinunciare alla comunione con la Santa Sede, avvisò il Papa che, se non avesse riformato la sua corte, Dio l’avrebbe fatto al suo posto.
Il domenicano Girolamo Savonarola, come vedremo, protestò molto più duramente contro questa corruzione (1452-1498); la sua figura è stata animatamente discussa per secoli tra i teologi ed ora sembra possibile una sua competa riabilitazione.
Si era in tardo rinascimento, quel movimento di fioritura delle arti (che includevano tra l’altro una nuova concezione della bellezza del corpo umano), della letteratura e della riscoperta degli studi classici.
Ai suoi albori (13°secolo) il rinascimento era tutt’altro che contrario ai principi della Chiesa, che spesso commissionava i lavori agli artisti di allora. Basti solo pensare alla cappella Sistina di Michelangelo, alla cappella degli Scrovegni di Giotto e a Dante per quanto riguarda la letteratura. La deviazione dai principi dalla Santa Religione cominciarono a manifestarsi verso la fine del 15°secolo mediante la diffusione di pensieri naturalistici pagani e piaceri sensuali (si potrebbe fare un paragone con l’edonismo odierno).
A Firenze, luogo ove si svolsero i fatti principali, regnavano i Medici che supportavano tali idee devianti, e di cui Lorenzo de Medici (detto il magnifico) fu il principale patrocinatore. Durante il suo regno si potevano osservare nelle vie e nelle piazze le stravaganti scene di una gioventù persa nella sensualità, ed erano diffuse immagini e scritti dissoluti. Alcuni fiorentini aristocratici si opposero a tali degenerazioni, ma fu il domenicano Savonarola che ebbe i maggiori risultati.
Vita del giovane Girolamo Savonarola
Nacque a Ferrara il 21-9-1452, terzo di sette figli. La sua famiglia proveniva da Padova. Essendo intellettualmente dotato, il nonno lo fece studiare all’università di Ferrara. Era molto fervente negli studi e acquisì una completa formazione umanistica e studiò specialmente filosofia e medicina.
Nel 1474 una predica tenuta da un prete agostiniano sulla penitenza provocò in lui una drammatica conversione simile a quella di S. Francesco, si vide per la prima volta, immerso in una società depravata e la cultura rinascimentale gli apparve come la cultura di Satana. Decise allora di lasciare il mondo per dedicarsi completamente a Dio.
Nell’aprile del 1474 entrò nell’ordine domenicano a Bologna senza dire nulla ai suoi parenti, dedicandosi con fervore alla preghiera e alle pratiche ascetiche. Durante il suo primo anno scrisse i propri pensieri nel “Sul declino della Chiesa”; scrisse inoltre trattati filosofici basati su Aristotele e S. Tommaso d’Aquino.
Nella lettera che scrisse al nonno diceva:
“Con tutta la nostra conoscenza della scienza siamo sulla strada dell’inferno, e con tutta la nostra saggezza siamo caduti nella follia. Non vedi che il mondo è pieno di sporcizia? Scappiamo da Sodoma e Gomorra, dal Faraone e dall’Egitto. In questa società si può essere rispettati solo se si pronunciano orribili e terribili bestemmie, o se si uccide il proprio vicino, o se si spargono discordie e sedizioni nella società. Non c’è più nessuno che faccia il bene. Piogge torrenziali, terremoti, tifoni, e tempeste chiamano l’umanità a penitenza, ma essi rifiutano di prestar attenzione agli avvertimenti. Inondazioni, epidemie, febbri mortali e carestie invitano gli uomini a pentirsi, ma essi non se ne curano. Le sacrileghe invasioni dei Turchi insolenti li ammoniscono con voce possente, ma restano sordi. Le gentili prediche dei Servi di Dio risuonano nelle loro orecchie, ma essi tengono chiuso il loro cuore. Allora, perché ritardare o anima mia, alzati e vola”.
In un’altra lettera che scrisse al padre gli assicurava la sua filiale devozione, e gli diceva di non pensare che tale devozione fosse venuta meno per non avergli chiesto preventivamente il consenso di entrare nella vita religiosa, perché nessuna volontà di persona umana, per quanto venerabile fosse, poteva avere la precedenza sulla volontà di Dio.
Nella lettera proseguiva illustrando al padre le precise istruzioni che aveva ricevuto da Dio sul modo in cui suo fratello Alberto doveva essere educato.
Nel 1479 Savonarola ritornava a Ferrara per motivi di studio e divenne amico del celebre umanista Pico della Mirandola. Quest’ultimo descrisse Savonarola come “una speranza per la Chiesa”.
Un profeta rigettato
Nel 1981 Savonarola fu mandato dai suoi superiori a predicare in quella Firenze, centro del rinascimento, che lui tanto disprezzava. La corte di Lorenzo de Medici era il simbolo dell’immoralità se non dell’assoluto paganesimo che caratterizzava vari strati della società. Le sue prediche non fecero nessuna impressione ai fiorentini che le consideravano talmente semplici da essere respinte da società acculturate. Allora assunse un professore di dizione, ma la predicazione era costituita da un’eloquenza meccanica che lasciava i suoi ascoltatori freddi se non ostili. Imperterrito, continuò a predicare in altre città dal 1485 al 1489. Iniziò col tempo a parlare al cuore degli auditori attingendo direttamente dal proprio con passione e sincerità; ciò lo fece diventare, dopo S. Bernardino da Siena, il più grande oratore del medio evo italiano.
Le sue prediche avevano come solo oggetto la salvezza di coloro che lo ascoltavano; erano caratterizzate da esatta e chiara scienza teologica, ripiene di perfezione oratoria tali che si dimostravano irresistibili.
Nel 1482 fu nominato lettore di teologia al priorato di S. Marco in Firenze.
Profezie
A Brescia nel 1486 Savonarola predicò sull’Apocalisse, la prima manifestazione su ciò che doveva diventare la sua ossessiva preoccupazione applicata alla propria era. Profetizzò che Dio avrebbe punito la società per la sua malvagità, e che dopo tale castigo la Chiesa sarebbe rinata.
Savonarola era facile alla profezia, ed il numero di profezie da lui fatte che si sono poi effettivamente avverate è impressionante:
- la punizione della società rinascimentale per mezzo della riforma protestante;
- la rigenerazione della Chiesa mediante la contro riforma dai papi a partire da Paolo IV;
- la morte entro breve tempo di Lorenzo de Medici e del Papa Innocenzo VIII;
- il rovesciamento della peccaminosa tirannia dei Medici da parte della Francia;
- l’occupazione della cattedra di Pietro da parte di un simoniaco;
- gli otto anni che dovevano passare prima che la sua missione si concludesse con la sua impiccagione, il suo corpo bruciato e le sua ceneri sparse nell’Arno;
- la separazione delle congregazioni domenicane di Lombardia e Toscana.
Fece però altre profezie che non si verificarono:
- i Turchi si sarebbero convertiti nel giro di 10 anni;
- Roma sarebbe stata presa, saccheggiata e riempita di desolazione;
- la repubblica di Firenze sarebbe scomparsa 32 anni dopo la sua morte.
Il Ritorno a Firenze
Qualsiasi siano le colpe di Savonarola, non si può negare che la forza che motivava la sua vita era la salvezza delle anime, era disposto a dare la sua vita – e più tardi lo dimostrò concretamente - per combattere il male e diffondere la santità. Nel 1489 tornò a Firenze per quelle che sarebbe stato il suo trionfo e la sua definitiva caduta. Iniziò a predicare ai novizi in San Marco; i suoi temi preferiti erano la corruzione della Chiesa e del mondo. L’eco di queste prediche si sparse in Firenze. I cittadini andavano a sentire i suoi sermoni e lo spazio nella stanza in cui li teneva divenne presto insufficiente, cosi iniziò a parlare nelle sere d’estate sotto i roseti del giardino del monastero.
I fedeli lo supplicavano di predicare in chiesa, e nell’agosto del 1490 tenne il suo primo sermone sull’Apocalisse dal pulpito della chiesa di S. Marco.
Il risultato fu in totale contrasto con i suoi fallimenti del 1481. Il suo successo fu completo.
Tutta Firenze veniva ad ascoltarlo e pendeva dalle sue labbra.
Nel 1491, secondo le stime dei suoi confratelli domenicani, fu nominato Superiore del monastero di S. Marco e delle fondazioni dipendenti.
Fu presto impegnato in dispute con altre congregazioni domenicane e nel riformare inflessibilmente tutte le case sotto il suo controllo. La sua prima preoccupazione fu l’educazione dei giovani frati; la formazione che diede loro fu notevole, in particolare per l’amore e la conoscenza delle Sacre Scritture che inculcava loro. La sua pietà era aliena da ogni falso misticismo o affettazione.
I giovani frati erano contenti, ma il regime era troppo austero e rigido. Erano nutriti poveramente e solo con ciò che si erano guadagnati col loro lavoro manuale. Ma tale era l’attrazione di questa personalità che la crema di Firenze cercava di entrare in monastero.
Il principale benefattore del monastero era Lorenzo de Medici, ma Savonarola non compromise i suoi principi al punto da incontrarlo quando venne al monastero. Lorenzo passeggiò su e giù aspettando invano di poter parlare col superiore. Il domenicano si rendeva perfettamente conto che i Medici erano la prima fonte dei peccati di Firenze e gli oppressori delle libertà.
Inutile affermare che Lorenzo era contrario al nuovo priore, ma nonostante ciò non ridusse i suoi generosi aiuti.
Nel 1493 l’ordine dei Domenicani di Toscana fu separato da quello della Lombardia con approvazione papale e Savonarola fu eletto Vicario Generale. Egli riformò la vita monastica dandone l’esempio: la sua cella era piccola e povera, gli abiti grossolani e il cibo semplice e scarso. I fratelli laici furono obbligati ad imparare un mestiere ed i chierici impegnati costantemente agli studi. Le vocazioni fiorirono e il numero dei monaci passo da 50 a 238, molti dei quali venivano dalle più aristocratiche famiglie di Firenze.
Nel frattempo continuava a predicare con infuocato zelo e divenne presto la persona più influente della città e molti lo consideravano un profeta. I suoi sermoni e la potente personalità facevano una grossa impressione su chi lo ascoltava. Incurante delle conseguenze possibili castigava i fiorentini immorali, vanagloriosi e ricercatori del piacere e molti di loro, spaventati, ritornavano all’osservanza delle virtù cristiane. Una città famosa per la sua licenziosità era diventata un convento, dichiaravano i suoi cinici vicini.
Savonarola non esitò ad attaccare direttamente Lorenzo de Medici in quanto promotore dell’arte pagana, dalla vita immorale e tiranno di Firenze; ciò non impedì a Lorenzo, sul letto di morte, di chiamare proprio Savonarola affinché gli impartisse gli ultimi sacramenti, ed è falsa la storia che gli rifiutò l’assoluzione.
Giovanni, figlio di Lorenzo de Medici, fu fatto cardinale a 13 anni e divenne Papa nel 1513 [col nome di Leone X, aveva 37 anni]; il suo papato fu disastroso e mirava principalmente a rafforzare la sua famiglia:
“ Se avesse ricordato il suo ufficio piuttosto che la sua famiglia, e preso sul serio la riforma della Chiesa più che la politica, si sarebbe potuto assistere alla rinascita della Chiesa piuttosto che a un terribile scisma. Così fu perduta una delle ultime occasioni di riformare la vera cattolicità” E. John, The Popes (Roman Catholic Nooks, 1994), p.328
Corruzione nella Chiesa
Dopo il 1493 le prediche di Savonarola si indirizzarono sempre più violentemente verso i mali che stavano minando la Chiesa: gli abusi della vita ecclesiastica, l’immoralità di gran parte del clero e di molti membri della Curia romana e soprattutto dello stesso Papa Alessandro VI. Parlando con termini profetici annunciava la prossima vendetta di Dio che avrebbe iniziato a riformare la vita della Chiesa. Commise l’errore fatale di scegliere come vendicatore Carlo VIII, Re di Francia, che aveva invaso l’Italia ed era considerato un implacabile nemico dal Papa, dalle città e dagli stati italiano.
Savonarola considerò Carlo VIII il “gladio domini”, il “nuovo Ciro”, e il suo appoggio al Re dal regno dello spirituale a quello politico, ma egli non era un politico. Inoltre, l’immorale vita di Carlo VIII, le sue idee ed il suo stravagante modo di vivere difficilmente lo qualificavano come strumento di Dio.
Firenze riformata
Carlo VIII entrò in Italia e mosse verso Firenze, Pietro de Medici, figlio di Lorenzo, a causa della sua immoralità e tirannia, fu cacciato da Firenze con la sua famiglia per le prediche di Savonarola. Il re entrò in Firenze pacificamente e, prima di partire la consegnò a Savonarola, il quale stilò una costituzione della città, dandogli un ordinamento che si può definire una “democrazia teocratica” basata sulle teorie e sociali di Savonarola: Cristo doveva essere considerato il Re di Firenze e protettore delle sue libertà. Fu costituito un gran concilio in rappresentanza di tutti i cittadini per il governo della repubblica, e la legge di Cristo doveva essere la base della vita sociale e politica. Savonarola non interferiva direttamente nelle decisioni politiche, ma le sue idee erano autorevoli perché si presentava come nientemeno che l’oracolo di Dio, e questo fatto poneva i suoi insegnamenti in una posizione di fatale debolezza.
La sua ortodossia era al di fuori d’ogni sospetto, ma chiedeva che i suoi insegnamenti fossero accettati senza discutere, non in base alla dottrina cattolica, ma perché direttamente ispirato da Dio nel dire ciò che diceva e nel dirigere le azioni altrui.
Ci fu un’innegabile rigenerazione nella vita morale della città e molti portavano a S. Marco per essere bruciati pubblicamente articoli di lussuria, carte da gioco, ornamenti, dipinti di belle donne, e scritti pagani e immorali.
E’ fuor di dubbio che furono molte le belle e preziose opere d’arte, patrimonio di Firenze e dell’umanità, distrutte in questi roghi. Si afferma che Savonarola era biasimato per questo, ma non se curava. E’ stato detto, ed era vero senza dubbio, che mancava di senso artistico e che non sapeva distinguere la vera bellezza dalla rozza sensualità.
Si sostiene che furono bruciati anche dipinti del Botticelli che ritraevano donne svestite. Fu fondata una confraternita di giovani che si incoraggiavano tra loro a vivere cristianamente. Alla domenica andavano di casa in casa e tra le strade a portare via dadi e carte da gioco dai cittadini, ed esortavano le donne veste in modo lussuoso a rinunciare agli ornamenti frivoli. Questa confraternita si sviluppò in una sorta di Polizia contro l’immoralità. Usava metodi discutibili quali lo spionaggio e la denuncia per raggiungere gli obiettivi, incoraggiando i bambini a riportare i peccati dei loro genitori. I severi principi morali di Savonarola furono imposti ai fiorentini in modo estremo.
Esaltato dai successi ottenuti, i suoi sermoni si facevano sempre più arditi e appassionati; vedeva nella sua azione la possibilità di rigenerare moralmente l’Italia intera e l’intera Chiesa.
Lo strumento per raggiungere i suoi scopi doveva essere Carlo VIII, e questo lo portò in aperto contrasto con Alessandro VI. Il Papa e tutte le città italiane tranne Firenze si opposero al Re francese, come fece l’Imperatore Massimiliano I, così Alessandro VI non ebbe difficoltà a fa apparire il conflitto come politico anziché religioso. La questione sembrava non essere quella di un santo monaco che denunciava la depravazione del Papa e di molti uomini di Chiesa, ma come quella di un’arrogante monaco inclinato alla politica che si era alleato con un invasore straniero.
Conflitto col Papa
Savonarola predicava con sempre maggior violenza contro il Papa e la Curia. Il 25-7-1495 il Papa gli inviò una lettera che gli comandava di presentarsi a Roma per difendersi a riguardo delle sempre più sensazionali profezie che gli erano attribuite, ma con l’intento di indurlo a cessare le sue denunce contro di lui. Savonarola gli replicava che accettava pienamente l’obbligo di obbedire ad un comando papale, ma che non poteva partire per la sua salute malferma, per i pericoli del viaggio, perché la sua presenza a Firenze era necessaria. “Non è volontà di Dio che io parta adesso”. Riguardo alle profezie gli comunicava che gli avrebbe inviato un suo recente libro “Compendium revelationum” nel quale avrebbe potuto trovare tutte le informazioni necessarie.
Nella successiva lettera del 8-9-1495, il Papa gli proibiva di predicare e rimetteva il monastero di S. Marco sotto la giurisdizione lombarda.
Savonarola replicò il 29 settembre tentando di giustificarsi dichiarando che, sebbene fosse sottomesso agli insegnamenti e ai giudizi della Chiesa, doveva sottomettersi alla voce di Dio piuttosto che a quella del Papa.
Il 16 ottobre il Papa, nella “Licet uberius”, fece considerevoli concessioni; abrogò il passaggio di S.Marco alla Lombardia e considerò in modo mite la condotta del frate, ma gli mantenne la proibizione di parlare in pubblico.
Savonarola, infatti, aveva ricominciato a predicare l’11 ottobre per svegliare ancor di più i fiorentini contro Pietro de Medici. Il 11-2-1496, la Signoria gli comandò di predicare ancora, cosa che lui fece il 17 di febbraio, permettendo così ad Alessandro VI di poterlo denunciare per disobbedienza all’autorità ecclesiastica.
E’ significativo il fatto che Savonarola volle chiarire che non aveva smesso di predicare in obbedienza al Papa, ma solo per esaminare la sua coscienza sui suoi motivi e modi di predicare. In una serie di sermoni quaresimali denunciò in termini sempre più violenti la corruzione di Roma, esaltando i fiorentini in uno stato di appassionata eccitazione. Insisteva dal pulpito che, se il Papa comandava qualcosa di sbagliato, egli doveva disobbedirgli, ciò risuonava come un insegnamento tomistico, che però difficilmente sarebbe potuto piacere al Papa.
Il Papa temeva uno scisma e il 7-11-1496 agì: unì i monasteri domenicani di Roma e Toscana e pose come Vicario Generale il cardinale Caraffa, il futuro Paolo IV.
Savonarola rifiutò di obbedire e, durante la quaresima del 1497, predicò contro il male che era in Roma con nuova violenza. Lo stato della Chiesa era ora quello dell’infamia, insisteva, e incalzava la sua congregazione sull’urgenza di ascoltare la vera parola di Dio trasmessa loro per mezzo suo.
Indirizzandosi direttamente al Papa dichiarò bruscamente: “Hai eretto una casa di depravazione, hai piazzato una prostituta sul trono di Salomone. La Chiesa ha esposto un segnale ai passanti per invitare tutti quelli che possono pagare ad entrare e fare qualsiasi cosa piacesse loro. Coloro che cercano la volontà di Dio sono gettati fuori. Oh, Chiesa prostituita, che esponi dappertutto agli uomini la tua impudicizia”.
La scomunica
Il 12-5-1497 Savonarola fu scomunicato con la bolla “Cum saepenumero”. Il frate, ritenendosi direttamente incaricato da Dio e quindi autorizzato a disobbedire all’autorità ecclesiastica, non si curò della scomunica.
Il 19-6-1497 rispose al Papa con la lettera “Contro la scomunica” nella quale asseriva che la scomunica era stata ottenuta falsamente e perciò nulla e invalida. Dichiarò: “Colui che scomunica me scomunica Dio”. La sua missione, continuava. era divina, e quindi la scomunica era invalida di fronte a Dio.
“Possa Dio scagliarmi nel più profondo dell’inferno se chiederò l’assoluzione dalla scomunica, perché avrei commesso un peccato mortale”. Dichiarò che chiunque credesse valida la scomunica era un eretico. Affermò che chiunque poteva a quei tempi, in cambio di una piccola somma, far scomunicare chi voleva.
Savonarola non perse l’opportunità di mostrare il suo disprezzo per la Santa Sede, fece coniare una medaglia con la sua immagine da un lato e su retro Roma sotto una spada sospesa, con le parole: “Che la spada di Dio cada subito e velocemente sulla terra”.
Egli era ora in uno stato di esaltazione permanente tale da estendere i vizi di alcuni chierici a tutto il clero proclamando dal pulpito: “Preti, andate liberamente in S. Pietro, ognuno con la propria concubina: ed non mostrano in minimo imbarazzo nel mostrare la loro vergogna in pubblico. Il veleno è così sparso in Roma che ha infettato Francia, Germania e il mondo intero. Voi, maligni! Questo monaco vi combatte con la stessa energia che impiega contro i Turchi e gli infedeli. Ho ricevuto una lettera da Roma che dichiara che sono figlio di perdizione, io non lo nego. Questo è quanto gli ho risposto: il prete che così voi descrivete non ha con sé concubine né giovani ragazzi. Egli predica il Vangelo di Cristo”.
Vani furono i tentativi d’intercessione dell’ambasciatore fiorentino presso la Santa Sede, Alessandro VI gli rispose: “ Non condanno questo monaco per le sue dottrine, ma perché rifiuta di chiedere il ritiro della scomunica e la dichiara priva di valore, e continua a predicare sfidando la nostra espressa volontà, Tutto ciò costituisce un aperto disprezzo della nostra autorità di quella della Santa Sede, e un pericoloso esempio del più alto grado. Non chiediamo altro che riconosca la nostra suprema autorità”.
Lo scandalo di simonia
Savonarola non metteva in discussione l’autorità del Papa e della curia di per sé, ma solo delle persone che erano indegne a ricoprire tali cariche. Vedeva gli umanisti della curia privi di fede e incuranti della legge. Il Papa aveva perso la sua reputazione e i cardinali erano, chi più chi meno, simoniaci. Propose quindi di convocare un Concilio Generale per giudicarli. Scrisse perciò ai governanti della cristianità incitandoli ad attuare questo disegno, in forza anche dell’alleanza di Firenze con Carlo VIII, non era impossibile da attuarsi.
Tale concilio avrebbe dovuto intimare ad Alessandro VI di dimettersi e iniziare a riformare almeno parzialmente la curia, cosa che avrebbe potuto prevenire la riforma.
Dichiarava che Alessandro VI aveva comprato il papato, e su questo aveva quasi certamente ragione. Questo, dichiarava, significa che Alessandro VI non aveva il diritto di essere Papa. Il crime di simonia era stato premesso come un esempio classico per giustificare la deposizione di un Papa dubbio.
Nel 1513, dieci anni dopo la morte di Alessandro VI, il Papa Giulio II denunciò la simonia nella sua bolla “Cum tam divino”, dichiarando che invalidava l’elezione di chiunque se ne fosse macchiato, anche del Papa stesso.
Il caso di Alessandro VI fece sì che molti teologi dell’epoca presero le stesse severe posizioni dell’impetuoso Savonarola riguardo alla simonia.
Ludwig Pastor, nel sua classico “Storia dei papi”, dopo aver elencato i cardinali corrotti commenta:
“Per un misterioso decreto della Provvidenza, si è venuti a sapere che un uomo e stato investito della suprema dignità della Chiesa, un uomo che in altri tempi non sarebbe stato ammesso neppure al più basso gradino del clero per la sua morale dissoluta. Allora cominciò per la Chiesa un periodo di ignominia e scandalo”.
Gli ultimi giorni
Nonostante fosse scomunicato, Savonarola celebrò la S. Messa di Natale e distribuiva la Comunione.
Il 11-2-1498 predicò spiegando perché considerava i provvedimenti presi contro di lui nulli e invalidi. Di fronte al male che affliggeva il papato non aveva nessun dubbio di essere il nuovo Amos incaricato di correggere il Gran Sacerdote. Da parecchio tempo si stava costituendo un’opposizione al domenicano e nello stesso mese la Signoria si allarmò di fronte alla minaccia del Papa di mettere Firenze sotto interdetto (cessazione dell’amministrazione dei sacramenti).
I francescani erano contro di lui, e il Padre Francois de Pouille, membro di quell’ordine, lo sfidò a un’ordalia di fuoco. Il 7 aprile 1498 si radunò una gran folla e fu acceso il fuoco, il rappresentante dei francescani si aspettava di essere bruciato passando attraverso il fuoco, ma era sicuro che anche il rappresentante dei domenicani avrebbe subito la stessa sorte smascherandolo così il Savonarola come impostore; in questo caso avrebbe dovuto lasciare Firenze entro 3 ore. Sennonché iniziarono a disputare
sulle modalità fin quando venne un temporale improvviso a significare che le condizioni erano inadatte per un’ordalia di fuoco per cui abbandonarono tutto senza che nessuno venisse bruciato provocando il risentimento della folla. Dopo quel fatto Savonarola perse la stima di molti, altri covavano già da tempo il risentimento per quella dittatura morale che aveva imposto da anni a Firenze. Monsignor Philips Hughes descrive questa dittatura come “pazza severità”. Ci furono delle rivolte in città; S. Marco fu attaccato e Savonarola arrestato con altri due domenicani. Alessandro VI chiese che gli fosse consegnato ma la repubblica rifiutò, acconsentendo però che il Papa potesse emettere la sentenza finale. Il Papa inviò allora il Domenicano Generale e il cardinale di Iierda per il processo. Esistono tuttora le procedure ufficiali, ma furono falsificate dal notaio. Savonarola fu imprigionato; le torture, le umiliazioni e le derisioni che subì non gli impedirono però di scrivere il “Commento sulla pietà”, uno delle più toccanti opere nella storia delle Chiesa.
Il 22 marzo, in base alle confessioni estorte sotto tortura autorizzata dal Papa, Savonarola e gli altri due domenicani furono condannati a morte “per gli enormi crimini di cui erano stati trovati colpevoli”. Savonarola confessò sotto tortura che aveva agito non per divina ispirazione ma per motivi personali, ma ritrattò la confessione prima della sua esecuzione.
Il 23 maggio 1489 i tre frati furono impiccati in piazza della Signoria, i commissari dichiararono che gli imputati furono trovati colpevoli di scisma ed eresia e che il Papa, nella sua misericordia, gli concedeva la sua indulgenza plenaria. Dopo la confessione e la comunione i tre furono degradati dal rango sacerdotale e dallo stato religioso dal il vescovo di Vaison, Benedetto Paganozzi, che dichiarò: “Io vi separo dalla Chiesa militante e dalla Chiesa trionfante”, al che Savonarola corresse la povera teologia del vescovo dicendo: “dalla Chiesa militante, non dalla Chiesa trionfante. Questo non è in tuo potere”. Dopo l’impiccagione i cadaveri furono bruciati e le loro ceneri sparse nell’Arno per impedire che i seguaci potessero raccogliere delle reliquie.
Monsignor Philip Hughes scrive:
“Fu una terribile punizione per il selvaggio e smisurato linguaggio col quale il domenicano aveva attaccato la cattiva vita di quell’uomo mostruosamente cattivo che disonorava il seggio di Pietro, e per gli sforzi che aveva fatto per farvelo sloggiare .... scegliere in processo di eresia come strumento conveniente per la distruzione del frate fu una scandalosa perversione della giustizia, come nel caso dei Templari e di Santa Giovanna d’Arco, ma in questo caso fu lo stesso Papa l’agente della malvagità”
Dopo la sua morte solo pochi fedeli tennero stretti i suoi insegnamenti, mentre la grande città commerciale continuò per la sua strada, corrotta e contenta per molti anni, come fece quella curia papale dei cui scandali il grande domenicano era stato testimone.
Ortodossia impeccabile
Gli scritti del Savonarola furono esaminati da una commissione teologica durante il pontificato di Paolo IV (1555-1559) che li trovarono privi di errori dottrinali. Il suo libro “Il trionfo della Croce” rimane un superbo esempio di apologia della Chiesa; le dettagliate descrizioni del sacramento rispecchiano nel modo più perfetto l’ortodossia tomistica. Tutti i documenti della tradizione sono spiegati e lodati come “corrispondenti al più alto livello della ragione”. Savonarola scrisse con fervore anche della Madonna e dei Santi.
Per lui la bellezza delle chiese, i loro campanili, altari e campane proclamavano la gloria di Dio. Egli amava guardare la croce, le candele, l’acquasantiera col suo contenuto che definiva: “fontana di lacrime che lava le colpe dei peccatori”, che, senza nessuna eccezione, che “tutte le istituzioni della Chiesa sono ammirabili. E se qualcuno vuole conoscere di più sulla Chiesa legga attentamente gli scritti dei suoi dottori, studi attentamente questi lavori e riconosceranno che l’adoraione della Chiesa non viene dagli uomini ma da Dio”
Gli scritti di Savonarola sono ripieni della più viva chiarezza e carità, rasentando la lirica e a volte l’esaltazione.
Non contengono nuove visioni della mistica ma seguono da vicino gli insegnamenti di S. Bonaventura.
La sua filosofia era strettamente tomista, ma espressa con un’ammirabile ed eccezionale chiarezza. Esistono tuttora 90 suoi scritti che variano da semplici lettere a enormi volumi.
E’ semplicemente ridicolo che la sua statua sia stata posta ai piedi del monumento a Lutero a Worms, volendolo così rappresentare un antesignano della riforma!
Egli è stato venerato quasi come un santo da S. Filippo Neri, S.ta Caterina Ricci, S. Jahn Fisher, S. Pio V e S. Pio X.
Durante l’esame degli scritti di Savonarola alcuni domenicani chiesero a S. Filippo Neri di pregare assieme a loro affinché tali scritti non fossero condannati; durante l’adorazione delle 40 ore nella Chiesa della Minerva a Roma cadde in estasi con gli occhi fissi al SS Sacramento, al suo risveglio S Filippo disse: “ La nostra preghiera è stata ascoltata”.
Beatificazione?
“Dentro il Vaticano” del maggio 1996 riportava che si stava lavorando non solo per scagionare Savonarola ma per beatificarlo. Il postulatore domenicano e teologo Innocenzo Venchi sosteneva che la sua scomunica era invalida; essa infatti non riguardava l’infallibilità papale e nella storia c’erano state altre scomuniche invalide. Sosteneva inoltre che Savonarola non era invischiato con la politica e i suoi rapporti con Carlo VIII erano tutt’altro che politici (il minimo indizio di coinvolgimento politico pregiudica infatti la beatificazione). Padre Venchi nega che Savonarola disobbedì al Papa, ma questo non è vero in quanto rifiutò di andare a Roma e di smettere di predicare ecc. Disobbedire al Papa non è però necessariamente un peccato, anzi può essere un merito se fatto per giuste ragioni. Ma Savonarola andò oltre la disobbedienza, nella lettera inviata all’imperatore per convocare un concilio che deponesse il Papa non lo considerava un vero Papa, in fatti scrisse:
“Ogni abominazione, ogni infamia si diffonde senza vergogna in tutto il mondo e tu veneri quella pestilenza che siede nella cattedra di Pietro. Questo è il motivo per cui Nostro Signore, oltraggiato da questa intollerabile corruzione, ha permesso che la Chiesa restasse senza pastore per molto tempo. Perciò io ti assicuro nel nome di Dio, in verbo Domini, che Alessandro VI non può essere considerato Papa per quanto si possa stiracchiare la ragione, e non potrà mai essere Papa. Tralasciamo pure l’esecrabile crimine di simonia che ha usato per rubare la tiara, e il fatto che ogni giorno vende al miglior offerente i benefici ecclesiastici. Tralasciamo anche i suoi vizi conosciuti da tutti e che passerò sotto silenzio, questo è ciò che dichiaro in primo luogo, hoc primo assero, e che affermo con assoluta certezza: quest’uomo non è un cristiano, non crede neppure che esista un Dio, egli è andato oltre il più lontano limite d’infedeltà ed empietà”.
Cosa dobbiamo noi pensare di questo domenicano? Non era certamente eretico né scismatico e la sua scomunica fu certamente invalida perché ingiusta e non fondata sulla verità. Savonarola fu un fervente cattolico. Anche secondo Mons. Hughes Alessandro VI fu un “uomo mostruosamente cattivo che disonorava il seggio di Pietro”. Savonarola mostrava un istinto cattolico di gran lunga superiore a quello dei suoi contemporanei, e insisteva nel dire che, nonostante le profondità nelle quali la Chiesa era caduta, per il solo fatto di essere stata fondata divinamente, sarebbe nuovamente risorta alla Gloria di un tempo, e lo provò il fatto del Concilio di Trento e della Contro Riforma. La vergogna di Alessandro VI e degli altri papi rinascimentali sarebbe stata eclissata in meno che un secolo dai santi gesuiti Ignazio, Francesco Saverio e, non ultimo, un Borgia, S. Francesco Borgia, terzo Generale dell’ordine e diretto discendente di Alessandro VI. Si ricordano anche gli ordini dei teatini, fondato da S. Caietano, i barnabiti di S. Antonio Maria Zaccaria e l’oratorio di S, Filippo Neri. Savonarola manifestò contemporaneamente i tratti della santità eroica e un orgoglio che confinava con l’arroganza. Egli rifiutò certamente l’obbedienza a Alessandro VI in quanto non gli comandò nulla di intrinsecamente cattivo. Ma è il motivo della sua disobbedienza, ossia il fatto che dichiarava di essere direttamente ispirato da Dio che pone il maggior ostacolo alla sua canonizzazione. La “Nuova enciclopedia cattolica” dice che la sua colpa più grande fu quella di aver invocato il potere civile per indire un concilio che deponesse Alessandro VI e dice che:
“Savonarola fu certamente un grande cattolico, e in qualche senso, anche un martire. La correttezza della sua posizione su Alessandro VI è fuori discussione, e solo la questione della sua colpa oggettiva, dipendente dal giudizio legale di questi giorni, aspetta ancora ulteriori investigazioni. Sta di fatto che dal 1499 Savonarola fu venerato localmente come un santo.
La questione della canonizzazione di Savonarola appartiene alla Santa Sede. Sarebbe possibile anche che la Santa Sede lo riabilitasse solamente ammettendo invalida ed ingiusta la sua scomunica ed esecuzione, ed è difficile vedere come questa potrebbe essere negata.
Altre informazioni su Savonarola
[tratte dal libro “Semplicità della vita cristiana” ed. Paoline 1976]
Prefazione “Ritratto del Savonarola” (tratta da “Vita di Girolamo Savonarola” di R. Ridolfi – Quarta edizione - Sansoni editore – Firenze 1974
Savonarola viveva poverissimamente in ogni cosa:
- nel vestire (le sue vesti erano le più vecchie e rattoppate del convento come pure le scarpe)
- nel cibo (a mensa scambiava il pane bianco che gli porgevano con il peggiore a disposizione),
- nell’arredamento della sua cella, )dormiva su un tavolaccio con un sacco di paglia per materasso e un telo ri euvida lava per lenzuolo)
- nel possesso anche dei libri religiosi (quando si accorgeva di attaccarvisi troppo li donava ai suoi prelati o discepoli).
Fu ispiratore della riforma del Camaldolesi del Monastero degli Angeli.
Fu molto umile, non disdegnava lui, capo del convento, a pulire i bagni.
Dal pulpito predicava con estrema violenza ma, quando scendeva da quel “luogo terribile” (ove odiava con tutte le sue forze il peccato) i peccatori si stupivano che parlando con loro diventasse così mansueto e mite. Non si alterava mai per quasiasi cosa gli venisse fatta o detta. Un giorno due francescani incontrandolo per strada gli sputarono addosso molte brutte parole (per le dispute che aveva con loro); senza alterarsi minimamente rispose: “la pace sia con voi”.
Esistono altri esempi che dimostrano la sua grande pazienza.
Si dice che fece molti miracoli, in una delle tre diverse raccolte presiedé la beata Maria Bagnesi, ma queste son cose da trattarsi dove si canonizzano i santi.
Vi furono testimonianze della sua santità da parte di: S. Filippo Neri, S.ta Caterina de Ricci, beata Colomba da Rieti, beata Maria Bagnesi, beata Maria Racconigi e di S.ta Maddalena de Pazzi. Questi ne ebbero dei miracoli e lo videro circonfuso della gloria dei beati.
Il suo culto durò oltre cento anni con Officci propri appositamente composti dai domenicani.
Per le sue profezie bisogna distinguere quelle vere da quelle ma interpretate o attribuitegli dai i suoi devoti, ad esempio previde 10 anni prima la conversione degli infedeli (turchi per antonomasia), e anche questa si avverò nelle americhe recentemente scoperte. E’ dal suo essere riformatore, che ancora fanciullo “non potea patire la grande malizia de’ ceccati populi de Italia”, che nacque il predicatore, il profeta e lo statista; non viceversa.
Sulla costituzione del Consiglio grande a Firenze, il Giannotti scrisse che fu più savio di Giano della Bella; perchè questi pensò di abbassare i grandi mentre l’altro cercò di assicurare la libertà a tutti.
Non gli interessavano le cariche, né ecclesiastiche né tanto meno politiche.
Quando gli fu offerto il cardinalato per farlo tacere disse “Non voglio cappelli o mitre grandi né piccole; non voglio che quello che (tu, SIgnore) hai dato ai tuoi santi: la morte. Un cappello rosso, un cappello di sangue, questo desidero”.
Al processo disse “Di farmi cardinale o papa non pensava molto, perchè quando avessi condutta questa opera senza essere papa sarei stato di autorità e reverenzia il primo uomo al mondo”, e aggiungeva: “maggiore cosa di essere capo di detta opera che essere papa, perché un uomo senza virtù può essere papa, ma tale opera si richiede a un uomo di eccellente virtù”.
A differenza di Lutero non volle mai profanare un altare per costruirne uno suo, si ritrasse spontaneamente dal sollecitare il concilio e, raffrenando il suo giustissimo sdegno, volle accettare da chi occupava la cattedra di Pietro (non già da Cesare Borgia) l’ultima benedizione, non per debolezza di carattere ma in forza della sua fede cattolica.
Il suo fascino misterioso e potente non fu riconosciuto solo dai “piagnoni” (erano così detti i suoi seguaci), ma anche da tutti quelli che per 5 secoli ne hanno studiata la storia, non di quelli che si preoccupano di una disobbedienza che non vi fu, i fanatici dell’umanesimo; gli stessi che gli rimproverano di non aver rivendicato la libertà di pensiero.