di Inos Biffi
Étienne Gilson, il celebre storico del pensiero medievale, le cui grandi opere stanno apparendo in italiano e sono tuttora esemplari per ampiezza di documentazione e acutezza di esegesi, parlava di "cattedrali di idee" e "cattedrali di pietra". E precisava: "L'Italia offre il meglio del suo pensiero nelle ampie teologie di un Tommaso d'Aquino o di un san Bonaventura, o, come nel capolavoro di Dante, essa eleva fino al livello del genio il senso dell'ordine e dell'ordinamento architettonico delle idee: le cattedrali di pietra sono francesi, ma le cattedrali di idee sono italiane".
Una cattedrale di "idee" è, così, la Summa Theologiae dell'Angelico, dove il mistero cristiano si trova espresso come "intelligenza della fede" (intellectus fidei); una cattedrale di pietra è per esempio, la cattedrale di Laon o quella di Chartres, e altre cattedrali di svariato stile, dove, tramite l'ars, la fede è "rappresentata" e resa visibile e ammirabile.
Ma la fede può passare anche in altre forme: quella che, per esempio, ne rileva e ne esalta la profonda drammaticità e l'intima bellezza; e allora non si può non pensare alla Commedia di Dante, che rende poetico e "fantastico" il mistero, elevandolo al più alto e inarrivato vertice lirico, specialmente nel Paradiso, che possiamo denominare una "cattedrale di luce", poiché è la luce, quella fisica e quella spirituale, che lo plasma e lo pervade.
Nella stessa linea, possiamo evocare l'innologia o gli oratori cristiani, dove la Rivelazione si fa "canora"; è sant'Ambrogio a parlare di "professione canora", di "sonora confessione della voce fedele (...) per annunziare il mistero di Cristo".
Torniamo alla "cattedrale di idee" che è la "Somma di Teologia" di Tommaso, dove in risalto si trova la "verità" della Parola di Dio, indagata con la sottile trama delle questioni e degli articoli che sorgono a profusione dal desiderio dell'intelletto di conoscere e di sapere. Chi resti all'esterno del suo piano e della sua costruzione potrebbe avere l'impressione dell'aridità e dell'astrattezza; chi la percorra interiormente, e ne percepisca l'intenzione e l'ispirazione, alla fine prova la "gioia della verità", che viene dalla partecipazione della "scienza di Dio e dei beati" che si riflette e dà sostanza alla teologia. Si accorge, cioè, che i concetti e le loro connessioni non mirano a "possedere" il mistero, o a ridurlo delimitandolo a misura umana; grazie alle definizioni l'"eccesso" di verità, come lo chiama san Tommaso, diventa umanamente disponibile, d'altronde nella consapevolezza che Dio "sfugge" (subterfugit) e sta sempre oltre.
Allora la "Somma" diviene un'iniziativa di amore; non un'arrogan- te pretesa di esaurire l'insondabilità di Dio, ma il riconoscimento della sua trascendenza, che tuttavia si è per grazia realmente comunicata all'uomo.
Per amare si desidera sapere, e nulla è più amabile di Dio. Ed è questo amore e questa passione che si sentono circolare negli infiniti e sorprendenti intrecci delle parti, delle questioni e degli interminabili articoli della Summa Theologiae di Tommaso, che fu tra i più alti mistici della Chiesa, e che chiamava la "presunzione (praesumptio) madre dell'errore" (Summa contra Gentiles, i, 5, 4). Giunto alla fine della sua vita tutta consumata nella ricerca di Dio egli non esiterà a chiamare "paglia" tutto quello che aveva scritto: non perché ritenesse che fosse stata inutile la "ricerca della sapienza (studium sapientiae)", cui si era dedicato, ma perché si stava avvicinando alla "realtà (res)", inevitabilmente fino allora mediata dalle "enunciazioni (enuntiabilia)".
La nostra stagione culturale e anche teologica si distingue largamente per l'incomprensione e il rigetto dei concetti, che inaridirebbero la fede, e si preferiscono loro l'affetto e il desiderio. Anzi, al principio starebbe non il "verbo", ma "l'azione"; non la conoscenza, ma l'esperienza, non il "vero", ma il "buono", tra loro sovvertiti e dissociati. Ed ecco fluire da questo tutto un fiume di parole, per lo più prese a prestito e mirabili per la loro oscurità barattata per scientificità, con le quali non si evita l'arbitrio teoretico né il soggettivismo pratico, con cui non ha nulla a che fare il primato della coscienza.
Per ricorrere ancora a san Tommaso: egli parlava perspicacemente della conoscenza che "prorompe in amore (in affectum amoris)" (Summa Theologiae, i, 43, 2m), e dell'"operazione dell'intelletto che si perfeziona ed è portata a compimento attraverso la quiete dell'affetto" (Super secundam epistolam ad Corinthios lectura, c. 13, lect. 3). La crisi di oggi viene dal sospetto nei confronti dell'intelligenza, ma sempre l'Angelico non esitava ad affermare: "Il sapiente ama e onora l'intelletto, che, tra le realtà umane, è quella a cui Dio riserva l'amore più intenso" (Sententia Libri Ethicorum, x, lectio 13, 9).
Ci sono, secondo Gilson, poi le "cattedrali di pietra": anch'esse sono una forma di teologia, che illustra il mistero cristiano non con i concetti, ma rendendolo visibile e quindi aprendolo alle diverse risorse dei sensi, che lo percepiscono nel suo vario trasparire e delinearsi mediante il linguaggio dell'immagine.
Questo linguaggio difficilmente potrebbe svelare il suo segreto a chi non abbia la fede in quel mistero o non lo condivida. Il credente, al contrario, vi si ritrova. Egli sa leggere esattamente in quelle pietre la storia della salvezza, di cui recano l'impronta e la narrazione. La "ragione" di quella storia la rintraccia nella "cattedrale di idee", la loro luminosità e bellezza la scopre e la ammira nello spazio, nelle figure, nei simboli, nelle vetrate e nei colori.
Oggi si può parlare anche di una crisi delle "cattedrali di pietra", non perché non sono imitate le cattedrali del medioevo, che sono inimitabili e non sono da copiare, ma perché il linguaggio del mistero e le immagini della fede faticano a rendersi visibili nello spazio cristiano.
Abbiamo accennato a un'altra cattedrale, assolutamente italiana, oltre quella delle idee: la Commedia di Dante, cattedrale poetica, opera fatta tutta di teologia (e filosofia) cristiana, ma dove le idee teologiche ricevono la forma estetica del "poema sacro" - come Dante stesso chiama la sua opera (Paradiso, xxv, 1) -.
Della Commedia simile a una cattedrale hanno parlato sia Romano Guardini sia Hans Urs von Balthasar. "L'opera di Dante - scrive il primo - come le cattedrali del medioevo e le Somme dei filosofi scolastici, si prefigge il gigantesco compito di costruire quel mondo strutturato, in cui la ricchezza dell'esistenza perviene all'unità".
E il secondo: "(Dante) sembra farsi posto fra i grandi costruttori di cattedrali medievali nei quali, per un'ultima volta, estetica ed etica coabitano in modo così indivisibile, si postulano e si promuovono a vicenda".