È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!
Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Fede e scienza, due ali per volare verso la verità

Ultimo Aggiornamento: 30/11/2008 18:29
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
27/11/2008 09:52

Fede e scienza, due ali per volare verso la verità


Il Cardinale Bertone al Convegno su "La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei"

ROMA, mercoledì, 26 novembre 2008 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito parte dell'intervento pronunciato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano, intervenendo al Convegno di studi che si è aperto questo mercoledì presso il complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, a Roma, e dal titolo: “La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei”.




* * *

di Tarcisio Bertone

La circostanza che motiva la presente iniziativa è duplice: da una parte il fatto che l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha proclamato il 2009 Anno Internazionale dell'Astronomia, a memoria dei 400 anni (1609) dell'utilizzo da parte di Galileo Galilei del cannocchiale astronomico; dall'altra, il desiderio di Finmeccanica di commemorare il suo sessantesimo anniversario con un evento internazionale di alta valenza culturale, che solennizzi appunto l'Anno dell'Astronomia.

La mia presenza vuole essere un incoraggiamento a valorizzare appieno queste ricorrenze, per allargare la comune riflessione sui sorprendenti sviluppi della scienza contemporanea, riflessione che trae vantaggio non solo dai progressi scientifici e tecnici in senso stretto, bensì anche dall'apporto della riflessione filosofica e dall'attenzione ai risvolti e alle implicanze etico-morali, religiose, politiche e sociali che la ricerca comporta.

Questa esigenza diviene sempre più avvertita nella nostra epoca, date le enormi potenzialità che la tecnica offre agli scienziati: si pensi, ad esempio, alle scoperte e agli esperimenti nel campo della bioingegneria genetica, ai risultati ottenuti nel settore della telematica applicata alla bio-meccanica, all'economia, alla finanza, all'esplorazione dello spazio; si pensi alle enormi capacità degli strumenti della comunicazione che permettono di raggiungere obbiettivi sino a poco tempo fa inimmaginabili.

Questo convegno focalizza la sua attenzione in particolare su Galileo Galilei, considerato uno dei padri della scienza moderna. È anche a lui che molti attribuiscono quella trasformazione della natura del conoscere, nota come rivoluzione scientifica, dove la ragione si costituisce su nuove basi e viene concepita come un modo di pensare matematico; la scienza della natura cessa di essere un'opera di contemplazione, come per secoli era stata concepita, e diventa un attento lavoro di decifrazione; la ragione, come dicevo, si struttura su basi matematiche sostituendo al mondo reale dell'esperienza quotidiana un mondo geometrico astratto. Si tratta di un sapere fondato sulla verità sperimentale, che va a scontrarsi con la concezione della verità basata sulle certezze della tradizione. Da ciò scaturisce una nuova mentalità, una nuova logica e un mutamento dell'atteggiamento dell'uomo nei confronti della natura e del modo di interpretarla, descriverla e comprenderla.

Tutto questo ha portato agli sviluppi della scienza contemporanea, accompagnati da non pochi e spesso complessi interrogativi e problemi di diversa natura: con la ricerca tecno-scientifica sono apparse problematiche di carattere etico e filosofico a motivo del suo crescente impatto antropologico e sociale. Ecco perché si impone oggi un'attenta e profonda riflessione sulla natura, sulle finalità e sui limiti della ricerca tecnica e scientifica.

Il dibattito è quanto mai aperto e a più riprese il magistero della Chiesa è intervenuto e interviene per offrire una parola illuminante, facendo appello alla missione, che le è propria, di servire il bene vero dell'uomo, essendo «esperta in umanità», come ebbe a dire Paolo vi nel memorabile discorso alle Nazioni Unite del 4 ottobre 1965.

Il tema dei limiti della scienza non può essere affrontato che considerando il sapere scientifico nel contesto dei saperi elaborati dall'uomo, in senso operativo, valutandone le motivazioni e le implicazioni etico-sociali. Mi viene in mente quanto Giovanni Paolo ii, 25 anni fa, ricordava a un gruppo di scienziati e di ricercatori: «Si impone un rinnovamento morale — egli disse — se si vuole che le risorse scientifiche e tecniche di cui il mondo dispone attualmente siano messe al servizio dell'uomo». E proseguiva: «Si avvicina il momento in cui si dovranno ridefinire le priorità» (Insegnamenti vi, 1 1983, p.1197, testo in francese).

Il vasto campo nel quale si situa il tema del presente convegno ha bisogno di essere esplorato con coraggio e prudenza, con apertura di mente e rispetto delle competenze di ogni ramo dello scibile umano. Lo avvertiamo tutti: siamo in presenza di un'intrinseca complessità che caratterizza l'impresa tecno-scientifica contemporanea e il ruolo che essa svolge nell'ambito delle attese, delle speranze e delle angosce umane.

C'è un dilemma a cui non si può sfuggire: da un lato si avverte l'insorgere di problematiche etiche, complesse e inedite, in ragione di un divario che va allargandosi tra i rapidi sviluppi della ricerca scientifica e la disponibilità di strumenti e metodi di valutazione etica adeguati; dall'altro lato, si è costretti a registrare lo smarrimento del senso delle leggi morali ereditate dalla tradizione, e questo facilmente degenera in assenza di leggi. Torna qui il rapporto tra fede e scienza, rapporto inscindibile e necessario, come già ricordava Giovanni Paolo ii nell'enciclica Fides et ratio, presentando la ragione e la fede, la scienza e la religione come le due ali che permettono all'uomo di raggiungere la verità senza eliminarsi e senza combattersi.

Il concilio Vaticano ii afferma che l'uomo «coll'aiuto della scienza e della tecnica, ha dilatato e continuamente dilata il suo dominio su quasi tutta intera la natura e molti beni che un tempo l'uomo si aspettava dalle forze superiori, oggi ormai se li procura con la sua iniziativa e con le sue forze» (Gaudium et spes, 33). Ma Benedetto XVI, citando il suo predecessore Giovanni Paolo ii, osserva che proprio perché «gli scienziati sanno di più, devono servire di più. Poiché la libertà di cui godono nella ricerca dà loro accesso al sapere specializzato, hanno la responsabilità di utilizzare quest'ultimo saggiamente per il bene di tutta la famiglia umana» (Discorso di Sua Santità Benedetto XVI ai partecipanti alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, in Insegnamenti, ii, 2 2006, p.568, testo in inglese).

In conclusione il pensiero torna ancora a Galileo Galilei. Non è qui il luogo di riprendere questioni che hanno accompagnato la figura di questo grande scienziato nei suoi rapporti con la Chiesa. In questi ultimi anni ci sono stati interventi chiarificatori che, se hanno con grande sincerità posto in luce lacune di uomini di Chiesa legati alla mentalità dell'epoca, hanno permesso al tempo stesso di far risaltare la ricca personalità di questo scienziato che con il cannocchiale astronomico scoprì che la Terra non è il centro di tutti i movimenti celesti. Quel che mi pare debba essere sottolineato è che Galileo, uomo di scienza, ha pure coltivato con amore la sua fede e le sue profonde convinzioni religiose. Galileo Galilei è un uomo di fede che vedeva la natura come un libro il cui autore è Dio.

Vorrei leggere due sue affermazioni che mi sembrano molto belle e sapienti, scritte a Cristina di Lorena: «Mi par che nelle dispute di problemi naturali non si dovrebbe cominciare dalle autorità di luoghi delle Scritture, ma dalle sensate esperienze e dalle dimostrazioni necessarie, (...) procedendo di pari dal Verbo divino la Scrittura Sacra e la natura, quella come dettatura dello Spirito Santo, e questa come osservantissima esecutrice de gli ordini di Dio». «Io qui direi quello che intesi da persona ecclesiastica costituita in eminentissimo grado, ciò è l'intenzione dello Spirito Santo essere d'insegnarci come si vada al cielo, e non come vada il cielo».


__________________________________________________

OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
30/11/2008 18:29

La verità non richiede salti di frontiera


ROMA, venerdì, 28 novembre 2008 (ZENIT.org).- Pubblichiamo il discorso pronunciato dall'Arcivescovo Gianfranco Ravasi, Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura, intervenendo il 26 novembre al Convegno di studi dal titolo “La scienza 400 anni dopo Galileo Galilei. Il valore e la complessità etica della ricerca tecno-scientifica contemporanea”, organizzato dalla Finmeccanica in occasione del 60 ° anniversario della sua fondazione presso il complesso monumentale di Santo Spirito in Sassia, a Roma.




* * *

di Gianfranco Ravasi

Tanti sono i sentieri che intercorrono tra le due cittadelle, non opposte ma distinte, della scienza e della teologia. Ne vogliamo ora imboccare uno solo che ruota attorno a una questione imponente a livello ideale e pratico, quella del rapporto con la verità. Il filosofo greco Protagora (v secolo prima dell'era cristiana) aveva proclamato la convinzione che «l'uomo è la misura di tutte le cose», in pratica è al tempo stesso il giocatore e l'arbitro nella partita della vita: non c'è una verità assoluta che ci precede, ma è il singolo o il gruppo a determinarla nelle situazioni concrete e mutevoli e secondo gli interessi o i vantaggi contingenti. È quello che potremmo classificare come «soggettivismo» o, per usare un termine caro a Papa Benedetto xvi, come «relativismo».

L'impostazione classica del rapporto con la verità è, però, stata molto differente. La potremmo formulare con un aforisma dei Minima moralia (1951) di Theodor Adorno: «La verità non la si ha, ma vi si è, come per la felicità». Già nell'Uomo senza qualità (1930-43) Robert Musil affermava: «La verità non è un cristallo che si può mettere in tasca, bensì un mare sconfinato in cui ci si immerge». Il vero è visto, dunque, come un primum assoluto che ci precede e verso il quale la ricerca dell'uomo tende. La ragione ha intrinsecamente bisogno di questo nutrimento per il suo stesso esercizio, come in modo altamente simbolico ricordava il Fedro platonico: «Il motivo per cui le anime mettono tanto impegno per poter vedere la Pianura della Verità è questo: il nutrimento adatto alla parte migliore dell'anima proviene dal prato che è là e la natura dell'ala con cui l'anima può volare si nutre proprio di questo» (248 b-c).

Nella concezione filosofica greca, infatti, come l'eunomía, cioè la legge buona e giusta, è la stella polare che incarna il riferimento capitale della giustizia «oggettiva» in sé stante, fonte della norma etica, così l'alètheia antecede come meta di orientamento l'attività dell'intelletto, rendendo la filosofia nella sua intima essenza ricerca e servizio della verità che la trascende e ne costituisce l'oggetto. Potremmo, perciò, affermare che nella concezione classica l'amore per la verità è il paradigma stesso della ricerca filosofica ed è quindi anche il metro della stessa scientificità. La nuda veritas — per usare la famosa espressione delle Odi di Orazio (i, 24, 7) — è l'unica autorità che va rispettata e accolta.

Questa interpretazione ha retto per secoli non solo il pensiero cristiano ma anche l'investigazione di ogni disciplina, sulla scia del famoso appello agostiniano: Intellectum valde ama (Epistulae, 120, 3, 13), ama molto l'intelligenza la cui missione radicale è appunto quella di conoscere la verità. E «la ricerca della verità — come ricordava Giovanni Paolo ii nel suo discorso per il centenario della nascita di Einstein (1979) — è il compito fondamentale della scienza» stessa, proprio perché, continuava il Papa nell'enciclica Fides et ratio (n. 25), riprendendo il celebre passo d'apertura della Metafisica di Aristotele, «tutti gli uomini desiderano sapere e oggetto proprio di questo desiderio è la verità».

La modernità, però, ha impresso a questa concezione una netta torsione proponendo una visione quasi totalmente alternativa. Il percorso ha avuto i suoi prodromi ideali con Thomas Hobbes allorché nel suo Leviatano (c. xxvi) aveva formulato uno dei principi decisivi del positivismo legislativo: auctoritas non veritas facit legem. Per quanto riguardava il diritto, quindi, alla verità intrinseca dell'eunomía si opponeva l'autorità civile o religiosa che poteva sancire norme e progetti prescindendo dalla verità superiore. In sintesi, secondo il filosofo inglese del Seicento, «la pretesa di possedere la verità e il diritto di imporla, deve essere esclusa dalla politica e lo stabilire leggi e regole che governano i comportamenti, dovrebbe essere riservato non a coloro che conoscono la "verità", soggetta alle interpretazioni individuali o collettive, ma all'autorità indipendente e incontestabile» (così Davis Gress nel saggio Peace and Survival del 1985).

Questa prospettiva si è allargata progressivamente alla stessa filosofia e alla scienza ed è dilagata ai nostri giorni, mettendo profondamente in crisi la funzione della verità. Anzi, si è divenuti sempre più convinti che la verità non solo non va ricercata né obbedita ma che deve essere accantonata e relegata ai margini di una corretta epistemologia. Illuminante è l'asserto che Patricia Smith Churchland in un articolo apparso nel 1987 sul The Journal of Philosophy ha imposto alla sua concezione della scientificità: Truth, whatever that is, definitely takes the hindmost, la verità, qualunque essa sia, deve occupare chiaramente non più il primo posto di riferimento, ma dev'essere relegata nelle retrovie, come retroguardia e zavorra del pensiero.

Non è mancato il passo successivo di chi ha esorcizzato il concetto stesso di verità ritenendolo persino nocivo. Sappiamo che il famoso detto di Cristo «La verità vi farà liberi» (Giovanni, 8, 32) ha di per sé come soggetto una particolare accezione di «verità», cioè la rivelazione divina offerta dal Figlio; tuttavia la frase è stata assunta nella storia della tradizione come un'esaltazione della funzione liberatoria e liberatrice della verità. Ebbene, ammiccando proprio alla frase giovannea, Sandra Harding in un suo scritto del 1991 (Whose Science? Whose Knowledge? Thinking from Women's Lives) giunge invece alla sua negazione assoluta, dichiarando che «la verità, qualunque essa sia, non ci farà liberi». Ma è noto che già Michel Foucault a più riprese nei suoi scritti aveva percepito la verità come un grave pericolo dell'intelletto e non certo come una dotazione positiva, incline com'è a essere esclusiva, impositiva, schiavizzante.

È in questo particolare e inedito contesto che si colloca non solo l'affermazione di Benedetto xvi secondo cui «l'èthos della scientificità è volontà di obbedienza alla verità», ma anche l'intera impostazione del suo discorso di Ratisbona, così come non pochi spunti del discorso del 17 gennaio 2008 per l'università «La Sapienza» di Roma. La sua è la proposta di restituire alla verità la propria missione intrinseca, formativa e normativa, il suo primato che non è di dominio ma di liberazione, la sua presenza che non è tirannica ma illuminante. Naturalmente questo è possibile solo con un'inversione di tendenza, come già era suggerito da Giovanni Paolo ii nella Fides et ratio (n. 83): «È necessaria una filosofia di portata autenticamente metafisica, capace di trascendere i dati empirici per giungere, nella sua ricerca della verità, a qualcosa di assoluto, di ultimo, di fondante».

E già nel 1984, in occasione della consegna del «Premio Internazionale Paolo vi» a Hans Urs von Balthasar, lo stesso Pontefice aveva ribadito che «amare la verità vuol dire non servirsene, ma servirla; cercarla per se stessa, non piegarla alle proprie utilità e convenienze». Ovviamente questo atteggiamento è indispensabile alla teologia, ma deve ritornare a insediarsi anche nella scienza, superando quella concezione riduttiva secondo la quale essa tende a comprimersi nel perimetro della tecnica, amputando qualsiasi domanda ultima, evitando gli orizzonti teorici fondanti, accontentandosi della mera applicabilità o delle ridondanze esclusivamente etico-sociali. È, al riguardo, significativo quanto già lo stesso Giovanni Paolo ii aveva indicato nel discorso tenuto a scienziati e studenti nella cattedrale di Colonia nel 1980 in un passo che ben rifletteva e registrava l'attuale temperie scientifica.

«Se la scienza è intesa essenzialmente come "un fatto tecnico", allora la si può concepire come ricerca di quei processi che conducono ad un successo di tipo tecnico. Come "conoscenza" ha valore quindi ciò che conduce al successo. Il mondo, a livello di dato scientifico, diviene un semplice complesso di fenomeni manipolabili, l'oggetto della scienza una connessione funzionale, che viene analizzata soltanto in riferimento alla sua funzionalità. Una tale scienza può concepirsi soltanto come pura funzione. Il concetto di verità diventa quindi superfluo, anzi talvolta viene esplicitamente rifiutato. La stessa ragione appare, in definitiva, come semplice funzione o come strumento di un essere che trova il senso della sua esistenza fuori della conoscenza e della scienza, nel migliore dei casi nella vita soltanto».

Benedetto xvi procede ulteriormente ricordando che il concetto stesso di verità deve essere assunto nella sua massima espansione, superando «la limitazione autodecretata della ragione a ciò che è verificabile nell'esperimento» e dischiudendosi alla verità tutta intera: «In questo senso la teologia, non soltanto come disciplina storica e umano-scientifica, ma come teologia vera e propria, cioè come interrogativo sulla ragione della fede, deve avere il suo posto nell'università e nel vasto dialogo delle scienze». Una visione più piena che non impone salti di frontiera, confondendo i modi specifici e gli statuti propri di ogni disciplina ma ne costituisce il dialogo fecondo e gli incroci positivi, essendo tutte le autentiche ricerche in cammino verso la verità che rende autenticamente liberi.


__________________________________________________

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 19:06. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com