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VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE A BRESCIA E CONCESIO (I COMMENTI)

Ultimo Aggiornamento: 14/11/2009 13:48
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Benedetto XVI
L'abbraccio dei dodicimila

IL PROGRAMMA. La diocesi e la prefettura pontificia hanno messo a punto i dettagli della visita papale dell'8 novembre. Le tappe di Botticino, Brescia e Concesio. Tanti saranno ammessi in piazza Paolo VI 2000 volontari di Ana, Agesci e oratori


Massimo Tedeschi

Brescia. Dodicimila bresciani in piazza Paolo VI per la messa papale dell'8 novembre. Molti di più, probabilmente, lungo le tappe del tracciato: all'uscita dalla base di Ghedi, durante l'attraversamento di Rezzato, la sosta a Botticino, gli spostamenti in città, la visita a Concesio.
Non meno di duemila volontari (ragazzi degli oratori e dell'Agesci, ma anche personale della Protezione civile ed alpini dell'Ana) saranno mobilitati per vigilare sul percorso del corteo papale: Benedetto XVI lo coprirà, avendo al fianco il vescovo di Brescia mons. Luciano Monari, a bordo della papamobile bianca.
Prende corpo il programma della visita di papa Ratzinger a Brescia il prossimo 8 novembre per rendere omaggio a Paolo VI. Manca ancora il visto della prefettura pontificia (atteso a giorni) ma ieri un briefing di don Adriano Bianchi (direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della diocesi) con la stampa locale ha chiarito numerosi aspetti. Una messe di notizie è peraltro offerta dal sito internet della diocesi (
www.diocesi.brescia.it).
L'attenzione mediatica sull'evento è alta. La Rai ha garantito la diretta tv della messa e dell'Angelus papale, le troupe locali e nazionali sono mobilitate.
La sala stampa sarà allestita nella saletta Sant'Agostino in Broletto. In occasione della visita di Giovanni Paolo II a Brescia nel '98 (durata però due giorni) vennero accreditati 500 fra giornalisti e fotografi. Un numero che potrebbe venire avvicinato anche in questa circostanza.
Se la visita di Giovanni Paolo II si svolse in spazi e con tempi larghi (atterraggio in elicottero a Campo Marte, cerimonia pomeridiana in piazza Paolo VI, pernottamento al Centro pastorale Paolo VI, messa domenicale di canonizzazione del beato Giuseppe Tovini allo stadio di Mompiano) stavolta gli spazi e i tempi sono serrati. L'arrivo all'aerobase militare di Ghedi è considerata «sosta tecnica»: il Papa saluterà alcuni rappresentanti della base ma non ci saranno cerimonie pubbliche. Poi di corsa a Botticino dove il Papa sosterà in preghiera nella parrocchiale-santuario di Sera e venererà il corpo di San Arcangelo Tadini. A seguire, sempre con un occhio al cronometro, la corsa attraverso Sant'Eufemia verso il centro della città.

IL CORTEO PAPALE entrerà in città lungo via San Faustino. La papamobile sfilerà in piazza Loggia: una sosta al monumento che ricorda le vittime della strage in questo momento non è prevista, ma non si escludono decisioni diverse. In piazza Paolo VI ci sarà tempo solo per due brevi saluti di accoglienza pronunciati dal vescovo, mons. Luciano Monari, e dal sindaco di Brescia Adriano Paroli. Il Papa poi entrerà in duomo dal portale di sinistra rispetto all'entrata principale, sfilerà davanti al monumento a Paolo VI, sosterà in preghiera davanti al Santissimo, incontrerà i seminaristi e una delegazione di ammalati, fra cui alcuni piccolissimi pazienti oncologici. Poi il corteo liturgico uscirà su via Querini per entrare in piazza Paolo VI.
Durante la cerimonia e la recita dell'Angelus faranno ala al pontefice 400 sacerdoti bresciani. In piazza ci saranno posti a sedere e in piedi. I pass di ingresso sono distribuiti dalle zone pastorali e dai movimenti ecclesiali. Un settore sarà riservato a 2.600 giovani (nella zona sud della piazza), un altro di fronte al sagrato alle autorità. Il governo dovrebbe essere rappresentato dal sottosegretario alla presidenza del consiglio Gianni Letta ma nessuno, in questo momento, si sente di escludere un blitz dell'ultima ora del premier in persona. Chi non riuscirà ad entrare in piazza potrà «consolarsi» con i maxischermi sistemati in Piazza Loggia, Largo Formentone, Corso Zanardelli angolo corso Palestro e Piazzetta S. Luca (ex cinema Crociera).

DOPO LA MESSA il Papa si recherà al centro Paolo VI dove pranzerà, riposerà, incontrerà privatamente alcune persone. Alle 16.15 la partenza alla volta di Concesio: lì visiterà la casa natale di papa Montini e la nuova sede dell'Istituto Paolo VI dove visiterà la biblioteca e la collezione Arte e spiritualità.
Nell'auditorium da 300 posti il Papa presenzierà alla consegna del premio Paolo VI, quest'anno dedicato a un'istituzione formativa. Pare che la scelta sia caduta sull'Istituto delle fonti cristiane «Sources Chrétiennes», collana inaugurata dai futuri cardinali Henri de Lubac e Jean Daniélou e giunta a 530 volumi, tutti dedicati a testi di padri della Chiesa e autori cristiani dal I al XV secolo. Una realtà culturale amatissima dal teologo Ratzinger. Dopo la cerimonia il Papa sosterà per una breve preghiera nella parrocchiale di Concesio infine, alle 18.15, la partenza verso la base di Ghedi. Stavolta su un'auto civile, per concludere le 11 ore trascorse in terra bresciana.

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Indispensabili i pass per entrare

L'accesso alla piazza Paolo VI per la messa presieduta dal Papa sarà consentito solo a coloro che avranno il pass gratuito. I pass disponibili (a sedere e in piedi) sono circa 8300. Verranno spediti (mezzo raccomandata) ai vicari zonali suddivisi per ciascuna parrocchia a seconda del numero degli abitanti. Ogni parrocchia avrà a disposizione posti a sedere e posti in piedi. I giovani avranno un settore loro riservato di 2.600 posti in piedi (oltre gli 8.300) gestiti direttamente dall'Ufficio oratori. I pass saranno contrassegnati da un colore che identifica i varchi di accesso (indicati sul pass stesso). Le piazze Loggia e Rovetta sono libere, non serve pass. Saranno attrezzate con maxi schermo, verrà distribuita l'eucaristia, il Papa vi transiterà con la papamobile. Chi non sarà in possesso del pass potrà trovare ampie zone lungo il passaggio del Papa.

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16/10/2009 18:14

Visita del Papa a Brescia: il sito della visita

Il sito dedicato alla visita del Papa dalla diocesi di Brescia.
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27/10/2009 16:42



Nel segno di Paolo VI, la visita di Benedetto XVI a Brescia il prossimo 8 novembre. Pubblicato il programma del viaggio

Pubblicato stamani dalla Sala Stampa vaticana il
programma della visita pastorale di Benedetto XVI a Brescia e Concesio, domenica 8 novembre. L’arrivo del Papa all’aeroporto bresciano di Ghedi è previsto alle 9.30. Di qui, il Papa si recherà in visita privata alla chiesa di Botticino Sera per la venerazione delle spoglie di Sant’Arcangelo Tadini.
Quindi, alle 10.30, celebrerà la Santa Messa e reciterà l’Angelus sul sagrato del Duomo di Brescia, in piazza Paolo VI. Nel pomeriggio, dopo la visita nel centro pastorale Paolo VI sempre a Brescia, visiterà la casa natale di Papa Montini e il nuovo Istituto Paolo VI a Concesio. La sede verrà inaugurata proprio dal Pontefice e, in tale occasione, verrà anche assegnato il VI Premio internazionale Paolo VI. Ultimo momento della giornata bresciana del Papa, sarà la visita, intorno alle ore 18, alla parrocchia Sant’Antonino a Concesio, in cui fu battezzato Giovanni Battista Montini.

© Copyright Radio Vaticana





VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI A BRESCIA E CONCESIO (8 NOVEMBRE 2009) - PROGRAMMA

08.00

Partenza in elicottero dall’eliporto del Vaticano.

08.30

Partenza in aereo dall’aeroporto di Ciampino (Roma) per Brescia.

09.30

Arrivo all’aeroporto militare "Tenente Alfredo Fusco", di Ghedi (Brescia).

Visita privata alla Chiesa parrocchiale di Botticino Sera e Venerazione delle spoglie di Sant’Arcangelo Tadini.

10.15

ACCOGLIENZA sul sagrato del Duomo di Brescia e breve visita al Duomo.

10.30

CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA in Piazza Paolo VI a Brescia. Omelia del Santo Padre.

RECITA DELL’ANGELUS DOMINI in Piazza Paolo VI. Parole del Santo Padre.

16.00

Saluto agli organizzatori della visita nel Centro Pastorale Paolo VI a Brescia.

16.45

VISITA ALLA CASA NATALE DI PAPA PAOLO VI e alla nuova sede dell’Istituto Paolo VI a Concesio.

17.30

INCONTRO UFFICIALE PER L’INAUGURAZIONE DELLA NUOVA SEDE e PER L’ASSEGNAZIONE DEL VI PREMIO INTERNAZIONALE PAOLO VI nell’Auditorium Vittorio Montini dell’Istituto Paolo VI a Concesio. Discorso del Santo Padre.

18.15

VISTA ALLA PARROCCHIA SANT’ANTONINO a Concesio, in cui fu battezzato Giovanni Battista Montini. Discorso del Santo Padre.

19.00

Partenza in aereo all’aeroporto militare "Tenente Alfredo Fusco" di Ghedi (Brescia) per Ciampino (Roma).

20.00

Arrivo all’aeroporto di Ciampino e trasferimento in elicottero in Vaticano.

Bollettino Ufficiale Santa Sede
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01/11/2009 10:55

Ratzinger torna dal suo amico Papa

Benedetto XVI rende omaggio a Paolo VI. Attese 12 mila persone sul sagrato


di ITALIA BRONTESI

BRESCIA
LA
VISITA ERA in programma già nel 2008 per i 30 anni dalla morte di papa Paolo VI. Ma il calendario degli impegni pontifici l'ha fatta slittare e papa Benedetto XVI sarà a Brescia domenica 8 novembre, nel segno del ricordo del papa bresciano Giovanni Battista Montini. Una decina di ore in tutto, dall'arrivo in elicottero il mattino alle 9,30 all'aeroporto militare di Ghedi, fino al ritorno a Roma. A Botticino sera, la prima tappa del viaggio. Nella chiesa parrocchiale il papa si raccoglierà in preghiera davanti al corpo di Sant'Arcangelo Tadini, fondatore all'inizio del secolo scorso della Congregazione delle suore operaie e canonizzato proprio da Benedetto XVI il 29 aprile del 2009.
ALLE DIECI e un quarto l'arrivo in città sul sagrato del Duomo, dove, davanti a una piazza capace di ospitare 12 mila persone, si terrà la celebrazione eucaristica con l'omelia del Santo Padre. Una pausa per il pranzo e un breve riposo al Centro pastorale Paolo VI, poi l'ultima tappa, a Concesio, il paese natale di Giovanni Battista Montini, che Benedetto XVI raggiungerà ancora a bordo della Papamobile, impegnata a percorrere in tutto una quarantina di chilometri, un numero insolitamente elevato per i viaggi del pontefice.
A Concesio il papa inaugurerà la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, presieduto da Giuseppe Camadini, un centro di studi e ricerche, scritti e opere di e su il papa bresciano, e conferirà il premio internazionale Paolo VI arrivato alla sesta edizione e destinato quest'anno all'ambito dell'educazione.
Accanto al Centro studi, ospitato in una moderna struttura, sorge la casa natale di Giovanni Battista Montini dove è conservata intatta la camera con il letto stile impero dove Giuditta, la madre, diede alla luce il futuro Paolo VI. RATZTINGER era già stato a Brescia il 22 marzo del 1986. L'allora cardinale aveva tenuto in palazzo Loggia una conferenza su "Teologia e Chiesa" promossa dalla rivista cattolica internazionale Communio. Ci torna tredici anni dopo come pontefice.
"Il significato della visita è chiaro - ha detto ieri il vescovo di Brescia Luciano Monari nella conferenza stampa che si è tenuta in Curia, presenti il sindaco Adriano Paroli e il presidente della Provincia Daniele Molgora - sono trascorsi 30 anni, in realtà ormai 31, dalla morte di Paolo VI. La visita è fondamentalmente un omaggio a lui, un ricordo del suo pontificato, del concilio vaticano,del legame che Benedetto XVI ha avuto con Paolo VI". E' stato papa Montini a nominare Ratzinger prima vescovo e poi cardinale. Ed "era una specie di scelta strategica per Paolo VI - ha continuato il vescovo Monari - un teologo", Ratzinger, "che potesse rappresentare il concilio in modo pieno e equilibrato, un teologo notevolmente aperto e nello stesso tempo con radici nella tradizione cristiana".
Il legame con Paolo VI, ma anche una visita di "comunione tra la chiesa di Roma e la Chiesa bresciana e un'occasione per riflettere e confrontarsi: il magistero di papa Ratzinger - ha ricordato il vescovo - è stato attentissimo alla modernità, alla vita dell'uomo di oggi e ha collocato davanti al nostro vissuto i valori fondamentali della fede e della tradizione cristiana, i valori dell'uomo , dell'esistenza umana, della collaborazione tra fede e ragione: chiunque abbia a cuore la sorte dell'uomo su questi argomenti deve riflettere e confrontarsi".

© Copyright Il Giorno, 31 ottobre 2009
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03/11/2009 19:22

 


In un'intervista al cardinale Giovanni Battista Re alla vigilia della visita del Papa a Brescia

Il profondo legame tra Montini e Ratzinger


di Mario Ponzi

L'8 novembre prossimo Benedetto XVI si recherà a Brescia e a Concesio per onorare Giovanni Battista Montini nella terra delle sue radici e inaugurare la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, costruita accanto alla casa natale del compianto Pontefice. Sarà l'ennesima manifestazione di quell'intimo e profondo legame con Papa Montini che, - come ha detto il vescovo diocesano, monsignor Luciano Monari, annunciandone l'arrivo - lo porterà a vivere una giornata intensa di preghiera e di ricordi. In realtà Joseph Ratzinger, creato cardinale proprio da Paolo VI, ha sempre avuto per il Papa bresciano ammirazione e amore sincero. "Due Pontefici accomunati dalla loro altissima spiritualità" dice il cardinale Giovanni Battista Re, prefetto della Congregazione per i Vescovi, altro bresciano doc. "A unirli - sottolinea ancora - è soprattutto una profonda vita interiore e una comune donazione a Cristo e alla Chiesa".

In questa intervista al nostro giornale, nell'imminenza della visita, il cardinale Re traccia un approfondito parallelismo tra Papa Montini e Papa Ratzinger, mostrando la continuità tra i due pontificati.

"Sovrumano":  così Benedetto XVI ha definito il 3 agosto dello scorso anno, "il merito di Paolo VI nel presiedere l'assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio". Dal canto suo Paolo VI definì Ratzinger "insigne maestro di teologia". Quando è nato questo feeling tra i due Pontefici?

Dopo il concilio Vaticano II. Infatti, anche se il professor Ratzinger fu presente al concilio come perito, non risulta che il Paolo VI lo abbia incontrato in quel periodo. I periti conciliari con i quali Montini ebbe diretti contatti furono soprattutto monsignor Carlo Colombo, il francescano Umberto Betti e i gesuiti William Bertrams e Sebastian Tromp.
Paolo VI cominciò soltanto dopo a seguire il lavoro teologico dell'allora professor Ratzinger. Nella biblioteca personale di Montini vi era, dal 1970, per esempio, il volume Introduzione al cristianesimo di Joseph Ratzinger. Ora tale volume è conservato proprio presso la biblioteca dell'Istituto Paolo VI di Brescia.
Il 25 marzo 1977, Paolo VI nominò il professor Ratzinger arcivescovo di Monaco e Frisinga e lo creò cardinale nel Concistoro del 27 giugno seguente, qualificandolo - nelle parole espresse in quell'occasione - come "insigne maestro di teologia". Questo a dimostrazione della sua profonda ammirazione.

Volendoci soffermare sul loro cammino pastorale, cosa hanno da condividere i due Pontefici?

Intanto l'inizio del loro ministero episcopale è stato quasi simile. Monsignor Montini, alla fine del 1954, si era trovato di colpo proiettato a guidare la più grande diocesi per numero di sacerdoti, di parrocchie e di istituzioni e ad affrontare i complessi problemi pastorali della città di Milano che, dal punto di vista economico e sociale, rappresentava, più che altre metropoli, la rapida crescita del nostro Paese dopo la ricostruzione post-bellica, ma in pari tempo era segnata, dal punto di vista religioso, dall'avanzare della secolarizzazione.
Altrettanto, monsignor Ratzinger, nel 1977, per volontà dello stesso Paolo VI, come detto, fu messo a capo della grande arcidiocesi di Monaco di Baviera, vedendosi così proiettato dal mondo accademico alla vita pastorale, in un contesto contrassegnato dalle notevoli sfide poste alla missione evangelizzatrice della Chiesa dai profondi mutamenti sociali allora in atto.

Come formazione i due Pontefici sembrano molto diversi l'uno dall'altro.

Effettivamente provengono da radici, da ambienti formativi, da tradizioni ed esperienze alquanto diverse. Sono due personalità molto differenti ma ambedue di eccezionale intelligenza e profonda spiritualità, impegnate nel confronto con la modernità. Il giovane prelato bresciano aveva esercitato a Roma il ministero sacerdotale negli ambienti universitari della Fuci, riuscendo in seguito a mantenere, nonostante il crescere delle responsabilità, una cerchia di amici appartenenti al mondo della cultura, con i quali condivideva un appassionato approfondimento della verità, in un costante sforzo di dialogo col mondo contemporaneo con un linguaggio aperto ai grandi interrogativi dell'umanità.
Così, il rapporto del professor Joseph Ratzinger con i suoi numerosi studenti universitari fu certamente ispirato dallo stesso amore per lo studio e dal medesimo desiderio di veder crescere nel cuore dei giovani allievi il germe della verità che rende liberi.
Sgorga da qui un tratto singolare comune a entrambi i Papi:  la loro cultura e la loro apertura al dialogo. Paolo VI apprezzò profondamente gli uomini di cultura e gli artisti e cercò di aprire il dialogo anche con quanti di essi erano lontani dalla fede cattolica. Egli ha amato intensamente il nostro mondo moderno, circa il quale nel testamento dirà:  "Non si creda di giovare al mondo assumendone i pensieri, i costumi e i gusti, ma studiandolo, amandolo, servendolo". La sua prima enciclica sarà proprio dedicata in ampia parte al dialogo; un dialogo ispirato da una profonda ansia pastorale.
Così è anche Benedetto XVI. È un uomo di cultura superiore, aperto al dialogo col mondo, che ha vissuto per anni nelle aule universitarie. In una conferenza del 1982 il teologo Ratzinger disse:  "Ma cos'è effettivamente il dialogo? Il dialogo non si realizza semplicemente per il fatto che si parla:  le mere chiacchiere rappresentano lo svilimento e il fallimento del dialogo. Il dialogo nasce soltanto dove non c'è solo il parlare, ma anche l'ascoltare e dove nell'ascoltare si compie l'incontro, nell'incontro la relazione e nella relazione la comprensione quale approfondimento e trasformazione dell'esistenza".

In che cosa si può identificare la continuità tra i loro due pontificati?

Ambedue i Pontefici spiccano per la fedeltà al concilio Vaticano II e per l'impegno nel difendere il vero spirito del concilio. Nell'allocuzione alla Curia romana, in occasione del Natale 2005, Benedetto XVI, affrontando il tema della recezione del concilio e parlando dell'ermeneutica della continuità e della discontinuità, confermava di fatto l'interpretazione del concilio Vaticano II data a suo tempo da Paolo VI:  continuità nel rinnovamento.
Questa sollecitudine per la giusta interpretazione del concilio mostra il grande amore dei due Papi per la Chiesa, chiamata a custodire e trasmettere il depositum fidei e ad essere comunità unita dall'amore. Paolo VI, nella sua prima enciclica Ecclesiam suam, presentando il volto della Chiesa, nella parte riguardante il suo rinnovamento, si soffermò sulla carità, ponendo la domanda:  "Non è forse la carità la scoperta sempre più luminosa e più gaudiosa che la teologia da un lato, la pietà dall'altro, vanno facendo nella incessante meditazione dei tesori scritturali e sacramentali, di cui la Chiesa è l'erede, la custode, la maestra e la dispensatrice?". E concludeva chiedendosi:  "Non è forse questa l'ora della carità?".

Una domanda che è stata ripresa da Benedetto XVI nella sua prima enciclica, Deus caritas est.

Sì, a tale domanda ha dato risposta nella seconda parte dell'enciclica, presentando la Chiesa come "comunità d'amore" e indicando alla comunità ecclesiale che il suo compito è la carità. Inoltre, ambedue i Papi, convinti della preziosità della fede, sono particolarmente impegnati nel servire la verità della fede e nell'offrire questa verità a quanti la cercano.

Anche la fede è un terreno d'incontro naturale per i due Pontefici.

Certamente. Fu grande lo sforzo di Paolo VI per ribadire i punti capitali della fede della Chiesa, in un momento in cui non mancavano prese di posizione a carattere dottrinale che sembravano scuotere le supreme certezze della fede. Basterà al riguardo ricordare tanti suoi discorsi, ma soprattutto il "Credo del Popolo di Dio".
Così oggi Benedetto XVI invita continuamente a ripensare che cosa vuol dire essere cristiani nel nostro tempo:  sia nella dimensione personale della fede e in quella ecclesiale dell'annuncio cristiano, sia nella dimensione etica, perché la fede plasma la qualità dei modi di agire. Proprio come diceva Paolo VI:  "L'uomo dei nostri giorni ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri è perché questi sono prima testimoni".
Poco più di un mese prima di morire, Papa Montini, tracciando un bilancio del suo pontificato nella basilica Vaticana il 29 giugno 1978, concludeva:  "Fidem servavi:  possiamo dire così con umile e ferma coscienza di non avere mai tradito il santo vero".
Anche del magistero di Papa Benedetto XVI è evidente proprio il grande impegno per la questione della verità della fede cristiana nell'attuale situazione storica e in rapporto alle forme di razionalità oggi prevalenti. Egli dedica grande attenzione al rapporto tra la fede e la ragione e chiede che gli spazi della ragione siano allargati. È infatti un sostenitore dell'armonia tra fede e ragione ed è convinto che la luce della ragione umana e quella della fede, quando camminano insieme, diventano sorgente di benedizione per la persona umana e per la società.

E per quanto riguarda il rapporto con le altre Chiese e confessioni cristiane?

Sia Papa Montini che Papa Ratzinger ritengono l'impegno per l'ecumenismo parte integrante del servizio petrino. Una svolta importante in questo ambito, com'è noto, si verificò alla chiusura del concilio Vaticano II, il 7 dicembre 1965, con l'eliminazione dalla memoria della Chiesa cattolica e di quella ortodossa delle scomuniche reciprocamente intercorse nel 1054. Fu un evento che diede inizio a una nuova stagione di rapporti fra le due Chiese, con sentimenti di vicendevole considerazione e di amicizia.
Rimane nella memoria di tutti l'incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e il Patriarca di Costantinopoli Atenagora. Di particolare significato ecumenico, nel Pontificato di Benedetto XVI, sono le parole con cui, proprio all'inizio del suo pontificato, disse che l'impegno ecumenico era per lui fra le finalità prioritarie. Di fatto, il nuovo Papa ha cercato subito di intensificare i contatti e i rapporti con i capi delle Chiese ortodosse e delle varie comunità ecclesiali. Basti al riguardo ricordare la presenza a Roma, per l'apertura dell'Anno paolino, del Patriarca Bartolomeo e i pellegrinaggi del Papa in Turchia, del novembre 2006, e in Terra Santa, del maggio scorso.
Un'altra circostanza indicativa del dialogo particolarmente intenso con le Chiese ortodosse è la presenza, dal pontificato di Paolo VI in poi, di una delegazione del Patriarcato ecumenico di Costantinopoli ogni anno nella basilica vaticana in occasione della solennità dei santi apostoli Pietro e Paolo. Nel 2008 fu presente lo stesso Patriarca Bartolomeo.

È possibile individuare questo spirito di continuità nell'ultima enciclica di Benedetto XVI, Caritas in veritate, rileggendola alla luce della grande enciclica montiniana Populorum progressio?

Direi che esaminando questi due grandi documenti magisteriali lo spirito di continuità appare con luminosa evidenza. In tutta l'enciclica sociale di Benedetto XVI è presente la prospettiva indicata da Paolo VI nella Populorum progressio. L'intero primo capitolo della Caritas in veritate è una ripresa ed un rilancio degli spunti della Populorum progressio. Al riguardo, Benedetto XVI scrive al numero 8:  "A oltre quarant'anni dalla pubblicazione dell'enciclica (Populorum progressio), intendo rendere omaggio e tributare onore alla memoria del grande Pontefice Paolo VI, riprendendo i suoi insegnamenti sullo sviluppo umano integrale e collocandomi nel percorso da essi tracciato, per attualizzarli nell'ora presente". Negli ultimi capitoli, la Caritas in veritate fa proprie tre prospettive dell'enciclica Populorum progressio.
La prima è l'idea che "il mondo soffre per la mancanza di pensiero". La Caritas in veritate svolge questa riflessione sottolineando il tema della verità dello sviluppo e rilevando l'esigenza di una interdisciplinarietà ordinata dei saperi e delle competenze a servizio del progresso umano.
La seconda è che "non vi è umanesimo vero se non aperto verso l'Assoluto". La Caritas in veritate è articolata nella prospettiva di un umanesimo veramente integrale, di ogni uomo e di tutto l'uomo, illuminato dalla luce che viene da Dio.
Infine, là dove Paolo VI faceva appello alla carità e alla verità ed esortava a operare col cuore e con l'intelligenza, la Caritas in veritate pone questo tema già nell'incipit e lo articola in vari passaggi, vedendo all'origine del sottosviluppo una mancanza di fraternità e di solidarietà.
Ambedue i Papi sono convinti che il primo contributo al bene di ogni uomo e di ogni donna e allo sviluppo integrale dei popoli sta nell'annuncio della verità di Cristo, che educa le coscienze e insegna l'autentica dignità delle persone, promuovendo la formazione di una cultura che risponda veramente a tutte le domande dell'uomo.

Pensando a un santo, chi, secondo lei, ha ispirato di più la vita dei due Pontefici?

Credo che, dovendone indicare uno che li accomuni e che sia stato per entrambi fonte di ispirazione, si possa pensare  a  san  Benedetto.  In Joseph Ratzinger ciò appare evidente anche nella scelta del nome preso da Pontefice e, soprattutto, nella sua assidua pratica dell'ora et labora, assunta a regola quotidiana di azione e costantemente proposta ai sacerdoti e ai fedeli come itinerario di formazione cristiana.
Per parte sua, Paolo VI ha sempre nutrito simpatia per i benedettini con i quali ha avuto numerosi rapporti fin dalla giovinezza. Negli anni dell'adolescenza il giovane Montini ha frequentato l'abbazia benedettina che allora esisteva presso Chiari. Il 24 ottobre 1964 Paolo VI fu a Montecassino per consacrare la chiesa ricostruita dell'abbazia e, in quell'occasione, proclamò san Benedetto patrono d'Europa, additandolo come uno dei principali artefici delle radici cristiane del vecchio continente alla cui spiritualità occorre attingere ancora oggi. Per certi aspetti, lo è ancor più sant'Agostino, profondamente studiato da ambedue.

Se dovesse indicare un elemento solo per esprimere la continuità di questi due grandi pontificati?

Direi l'amore per Cristo e per la sua Chiesa. Un amore che diventa anche coraggiosa chiarezza nel denunciarne difficoltà ed errori:  amore nella verità, Caritas in veritate. Fortissimo fu il grido di denuncia pronunciato da Paolo VI, il 29 giugno del 1972:  "Si credeva che dopo il concilio sarebbe venuta una giornata di sole per la storia della Chiesa. È venuta invece una giornata di nuvole, di tempesta, di buio... Da qualche fessura è entrato il fumo di Satana nel Tempio di Dio".
Quasi  eco  di  queste parole suonano le meditazioni scritte dal cardinale Ratzinger per la Via crucis al Colosseo del 2005, in quell'indimenticabile venerdì santo quando Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente "icona" di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suo successore sulla cattedra di Pietro poche settimane dopo. "Non dobbiamo pensare anche - è stato il suo vibrante invito nella meditazione della nona stazione - a quanto Cristo debba soffrire per la sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c'è in tante teorie, quante parole vuote!". E questo amore vibrante per la Chiesa richiama ancora alla mente le parole di Paolo VI, lasciateci nel suo "Pensiero alla morte".


(©L'Osservatore Romano - 4 novembre 2009)
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PAPA

L’8 NOVEMBRE LA VISITA DI RATZINGER

BRESCIA NEL NOME DI MONTINI

Benedetto XVI e Paolo VI hanno molto in comune, dice il vescovo Monari. «Questo viaggio aiuterà a riscoprirne l’attualità».

Alberto Bobbio

È una città fiera del "suo" Papa, anche se a Brescia Paolo VI, Giovanni Battista Montini, visse poco. Ma qui, nella "Leonessa d’Italia", maturò la vocazione e qui la sua famiglia ha legato alla storia della città riflessioni e impegno. Brescia ha intrecciato le sue vicende con quelle di Paolo VI. C’è l’Istituto culturale a lui dedicato, c’è il premio annuale a lui intitolato che l’Osservatore Romano ha recentemente definito un "Nobel cattolico", e soprattutto c’è una comunione con la Chiesa di Roma che Brescia sente in modo speciale.

Dice il vescovo di Brescia monsignor Luciano Monari: «Per la mia gente Paolo VI rimane bresciano, anche se ha praticamente sempre vissuto a Roma. Il fatto che Benedetto XVI ha scelto di venire qui a rendergli omaggio per noi è un motivo di orgoglio in più».

Perché, eccellenza?

«È un omaggio alla fierezza della città per quel grande Papa, che mai i bresciani hanno ostentato ma che è conficcata nel cuore di ogni cittadino. Paolo VI appartiene alla città, su di lui e sui suoi insegnamenti questa città si è costruita e ritrovata in tempi recenti».

Che cosa Brescia ha imparato da Paolo VI e dai Montini?

«L’impegno sociale, culturale e politico. E la passione per il dialogo con il Vangelo in mano».

Ciò significa che Brescia senza Paolo VI sarebbe diversa?

«Non dico questo. Osservo che le parole e il magistero di Paolo VI qui hanno lasciato un segno potente, una memoria che non sbiadisce. Per Brescia Paolo VI non è un mito, ma una presenza vicina, un compagno di viaggio, un punto fondamentale dell’identità».

Benedetto XVI arriva nel 30° anniversario della morte di Paolo VI. Qual è l’attualità della figura di Montini?

«Sapeva cogliere ciò che unisce gli uomini, contemperava anche gli aspetti controversi attraverso il dialogo. Ha insegnato ad avere stima di tutti, attenzione per ognuno, a mettere da parte ogni rancore. Sono cose di cui oggi abbiamo urgente bisogno. La lezione di Paolo VI va ripresa e studiata a fondo».

È stato definito un Papa intellettuale, un po’ triste, un po’ lontano…

«Chi lo dice non comprende la complessità e la grandezza di Montini. Non era un Papa intellettuale, piuttosto era un Papa attento alla cultura, come somma attività dell’uomo. La cultura dà dignità all’uomo. Paolo VI era uomo appassionato. Perché triste? Aveva energia, forza, attenzioni alle attività dell’uomo non comuni. Era preoccupato, come tutti coloro che vivono con il Vangelo in mano, per le vicende dell’uomo. Potessimo noi essere capaci di testimoniare la fede come ha fatto Paolo VI!».

È questo che connota il legame tra Paolo VI e Benedetto XVI?

«Montini ha fatto vescovo e poi cardinale Joseph Ratzinger. Lo stimava moltissimo. Aveva grandi speranze e grandi attese sulla testimonianza e sull’insegnamento teologico di Ratzinger. Karol Wojtyla lo aveva capito quando scelse il vescovo di Monaco come prefetto della Congregazione della dottrina della fede. Il legame tra Ratzinger e Montini è fortissimo. Credo che la città senta la grande responsabilità di aver dato alla Chiesa un uomo come Giovanni Battista Montini. Ci aiuterà a scoprire quello che siamo, compresa la nostra gioia e la nostra fierezza, e spero che servirà anche ad arricchire la coscienza missionaria di una Chiesa locale già molto attiva e consapevole del proprio impegno».

Per la Chiesa italiana cosa rappresenta questo viaggio?

«La possibilità di tornare a riflettere su Paolo VI, un grande Papa e anche, mi lasci dire, un grande italiano. Uno che riteneva che l’uomo è più grande di sé stesso. Oggi bisognerebbe evitare di considerare e giudicare una persona soltanto per una parola che ha detto o per un gesto che ha fatto. Questo è il maggior lascito di Paolo VI: la consapevolezza circa la dignità e la vocazione dell’uomo, oltre gli errori. Il discorso di Montini alla chiusura del Concilio è un atto di amore e misericordia verso il mondo. Ma è anche una precisa assunzione di responsabilità per l’annuncio dell’amore di Dio, che richiede a volte sofferenza e sempre sacrificio».

La visita segue di pochi mesi l’enciclica Caritas in veritate, nella quale Benedetto XVI conferma la Populorum progressio di Paolo VI come uno dei nodi centrali dell’insegnamento sociale della Chiesa: un altro riconoscimento per Brescia?

«Montini è nato in una Chiesa dove la tradizione di impegno sociale e culturale era molto forte. Negli ultimi 150 anni i laici bresciani si sono impegnati moltissimo nella scuola, nella sanità, nell’amministrazione pubblica. Paolo VI, e adesso Benedetto XVI, nelle loro encicliche hanno indicato un modello, la via di uno sviluppo che chiede all’uomo di gestire gli strumenti che ha a disposizione secondo giustizia e amore. Le sfide a questo progetto sono tante e tra esse c’è il grande confronto con la cultura contemporanea, una questione che stava a cuore a Paolo VI come oggi a Benedetto XVI. È il tema della rilevanza pubblica della fede, come annunciare il Vangelo e i suoi valori, come mettere il Vangelo al centro di quella che oggi si chiama la questione antropologica, come far capire che se l’uomo perde il rapporto con Dio e il trascendente, ciò è una perdita secca anche dal punto di vista umano. Se comprendiamo che questa è la sfida più grande possiamo migliorare la società del futuro, cioè la nostra capacità di pensiero e di giudizio. E anche di serenità».

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06/11/2009 08:52

Paolo VI, una figura da non dimenticare

FRANCESCO ANTONIO GRANA

Nel 2005 i porporati di Wojtyla
fecero Papa l’ultimo cardinale di Paolo VI.
E non è certo ignota la grande ammirazione che Benedetto XVI nutre per il Pontefice che guidò il Concilio Vaticano II nel momento più delicato, quando l’intuizione di Giovanni XXIII rischiava di non prendere forma.
“Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole -
ha affermato Ratzinger -, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l’Assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post Concilio.
Potremmo veramente dire, con l’apostolo Paolo, che la grazia di Dio in lui “non è stata vana”: ha valorizzato le sue spiccate doti di intelligenza e il suo amore appassionato alla Chiesa e all’uomo”.
Domenica prossima, Benedetto XVI
sarà nei luoghi dove il futuro Paolo VI mosse i suoi primi passi. A Concesio il Papa visiterà la casa natale di Giovanni Battista Montini e la nuova sede dell’Istituto a lui dedicato.
A Brescia, dopo una breve visita nella cattedrale dove Montini ricevette l’ordinazione sacerdotale il 29 maggio 1920, Benedetto XVI celebrerà la Messa nella piazza intitolata al Papa dalle cui mani nel 1977 ricevette la berretta cardinalizia.
Durante il rapimento di Aldo Moro, Paolo VI si rivolse direttamente agli uomini delle Brigate Rosse, con una
lettera diffusa su tutti i quotidiani nazionali, chiedendo la liberazione senza condizioni dello statista italiano.
Quando il 13 maggio 1978, nella Basilica di San Giovanni in Laterano si celebrò un rito funebre in suffragio dell’onorevole democristiano, Paolo VI vi prese parte incurante delle critiche della Curia, per la quale non rientrava nella tradizione che un Papa partecipasse alla messa esequiale, soprattutto se di un politico. In quell’occasione Montini, provato dall’omicidio di Moro, pronunciò un’omelia quasi poetica, che rientra nel suo stile personale, tormentato e colto.
“Ora che la giornata tramonta -
scrisse nel suo testamento -, e tutto finisce e si scioglie di questa stupenda e drammatica scena temporale e terrena, come ancora ringraziare Te, o Signore, dopo quello della vita naturale, del dono, anche superiore, della fede e della grazia, in cui alla fine unicamente si rifugia il mio essere superstite? Come celebrare degnamente la tua bontà, o Signore, per essere io stato inserito, appena entrato in questo mondo, nel mondo ineffabile della Chiesa cattolica? Come per essere stato chiamato ed iniziato al Sacerdozio di Cristo? Come per aver avuto il gaudio e la missione di servire le anime, i fratelli, i giovani, i poveri, il popolo di Dio, e d’aver avuto l’immeritato onore d’essere ministro della santa Chiesa, a Roma specialmente, accanto al Papa, poi a Milano, come arcivescovo, sulla cattedra, per me troppo alta, e venerabilissima dei santi Ambrogio e Carlo, e finalmente su questa suprema e formidabile e santissima di San Pietro?”.
La visita di Benedetto XVI nella terra di Paolo VI contribuirà notevolmente alla riscoperta di questo Papa della modernità, troppo spesso dimenticato e soffocato dalla caricatura di un uomo chiuso nelle sue colte speculazioni. Montini, che ha inaugurato sia con il suo magistero, sia con i viaggi apostolici la stagione missionaria della Chiesa che ha visto come grande protagonista Giovanni Paolo II, è un uomo che il nostro tempo ha bisogno di riscoprire e di rileggere, per comprendere che la modernità della Chiesa passa attraverso l’umiltà del servizio.

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06/11/2009 21:05

L'attesa del Papa a Brescia e Concesio sulle orme di Paolo VI e Sant'Arcangelo Tadini

Sulle orme dell’amato Paolo VI, domenica prossima il Papa sarà in
visita pastorale a Brescia e a Concesio luoghi che hanno visto la nascita e la formazione di Giovanni Battista Montini. La prima tappa del percorso verso la città lombarda, sarà una sosta al Santuario di Botticino Sera, comune della Valverde, che custodisce l’urna con le spoglie di Sant’Arcangelo Tadini. Le strade sono già vestite a festa con stendardi e bandierine dai colori vaticani, spiccano i manifesti di Tadini e del Papa che viene a venerare il sacerdote, canonizzato ad aprile, e che, a fine ‘800, nel perfetto spirito della Rerum Novarum, unì all’opera pastorale un’intensa attività sociale a tutela del lavoro e della famiglia. L’attesa della comunità nelle parole del parroco Don Raffaele Licini, al microfono della nostra inviata Gabriella Ceraso:

R. – Accogliere il Papa in questa nostra parrocchia è sicuramente qualcosa di irripetibile. Il Papa ci insegna come lui si fa pellegrino presso Sant’Arcangelo Tadini, anche noi dobbiamo camminare continuamente nella direzione di lui, perché il grande desiderio che aveva Tadini era che tutte le anime fossero portate in cielo.

D. – La presenza del Papa è anche per omaggiare nell’Anno Sacerdotale il sacerdote Arcangelo Tadini. Che modello di sacerdozio ha incarnato?

R. – Sant’Arcangelo è un uomo del tutto in armonia con la Chiesa: dal punto di vista della fede, della disciplina, dell’obbedienza … anzi, si dice che fosse anche abbastanza aggrappato alla tradizione. Un uomo così capace di essere in rapporto con il Signore da vedere in questo rapporto il bisogno di tutte le persone e in modo particolare di chi a quel tempo faceva fatica nella vita, organizzando quello che è stato l’impegno anche dal punto di vista lavorativo, nella costruzione della filanda e anche nel mettere accanto a queste persone che lavoravano delle suore operaie perché il lavoro fosse colto nel suo insieme nell’aspetto grande del suo valore. Non più solamente come una fucina di visioni atee verso la Chiesa, ma invece un ambiente bisognoso del fermento del Vangelo, un mondo – quindi – da incontrare più che da contrastare.

D. – Il messaggio che lascia questa figura, secondo lei, quello più forte …

R. – Lui diceva: la mia scienza è la croce. La mia forza è la stola. C’è dentro tutta la sua caratteristica di prete, ma anche di un uomo che veramente voleva far sì che l’azione del Vangelo riuscisse davvero ad entrare nel cuore di tutte le persone.

Allo scopo di evangelizzare il mondo del lavoro attraverso la condivisione della fatica, Sant’Arcangelo Tadini, nel 1900, fondò la Congregazione delle Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth, oggi presenti in Europa, America e Africa. Saranno loro, domenica, a presentare al Papa il progetto di un nuovo centro di formazione per i ragazzi del Burundi. Sentiamo suor Emma Ghidoni, madre generale della Casa di Brescia, sempre al microfono di Gabriella Ceraso:

R. – Ci ha chiamate lui “Suore Operaie della Santa Casa di Nazareth”, quindi donne consacrate ma operaie tra le operaie, e ci ha affidato il compito di educare le lavoratrici, cioè formarle non con grandi discorsi ma dando soprattutto l’esempio nel guadagnarci il pane.

D. – Quindi, educazione ma anche evangelizzazione dei luoghi di lavoro …

R. – Dare a queste persone che lavorano il senso del lavoro cristiano, che è un modo per realizzarsi e per essere collaboratori anche nella creazione di Dio.

D. – Certo, oggi c’è anche il problema di un lavoro che manca

R. – Questo è un problema davvero molto grande che condividiamo anche noi, perché anche noi siamo precarie: passiamo attraverso le agenzie interinali. Noi non abbiamo grandi redditi! Le nostre comunità scelgono abitazioni in quartieri popolari: facciamo pastorale giovanile, facciamo pastorale per la catechesi, eccetera. Però, la nostra specificità è quella di condividere la vita semplice delle persone.

D. – Suor Emma, Sant’Arcangelo Tadini vi ha dato come modello di vita quello della famiglia di Nazareth: perché?

R. – Perché questa bella icona ci sembra il modello più vero della vita nella sua quotidianità, come è stato per Gesù, Maria e Giuseppe per 30 anni, nel silenzio e nella semplicità.

D. – Suore Emma, voi siete presenti anche nel resto del mondo: in Inghilterra, in Brasile, molto e soprattutto in Africa, in Burundi. Ed è lì che nasce un centro di formazione nuovo il cui progetto voi volete presentare proprio al Papa. Come nasce questa idea?

R. – In Burundi la nostra comunità è stata un dono che la diocesi di Brescia aveva offerto a Paolo VI dopo il decreto sull’attività missionaria della Chiesa “ad gentes”. E lì adesso noi Suore Operaie siamo presenti: nelle piantagioni, nella lavorazione del thè … Abbiamo voluto quasi come continuità presentare al Santo Padre il dono di una nuova missione: vorremmo portare comunque avanti il nostro carisma di aiutare i giovani non solo a trovare un lavoro, ma a viverlo proprio in modo cristiano.

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06/11/2009 21:11

Benedetto XVI a Brescia per onorare la memoria di Paolo VI
Nel 30° anniversario della morte di Papa Montini

ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).-

L'8 novembre prossimo Benedetto XVI sarà a Brescia e a Concesio per onorare la memoria di Giovanni Battista Montini nella terra che lo vide nascere e inaugurare la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, costruita accanto alla casa natale del Pontefice defunto.

“Due Pontefici accomunati dalla loro altissima spiritualità”, ha detto il Cardinale Giovanni Battista Re, Prefetto della Congregazione per i Vescovi, anche lui di Brescia, parlando a L'Osservatore Romano dei legami tra Joseph Ratzinger e Papa Montini, che lo creò Cardinale nel 1977.

“A unirli – ha sottolineato il porporato – è soprattutto una profonda vita interiore e una comune donazione a Cristo e alla Chiesa”, così come “la fedeltà al Concilio Vaticano II” e “l'impegno nel difendere il vero spirito del Concilio” attraverso un'ermeneutica della “continuità nel rinnovamento”.

Per entrambi, ha aggiunto, la Chiesa è “chiamata a custodire e trasmettere il depositum fidei e ad essere comunità unita dall'amore”.

Benedetto XVI era già stato a Brescia quando era ancora Cardinale il 22 marzo del 1986, per tenere una lunga conferenza sul tema “Teologia e Chiesa”, durante un incontro organizzato dalla redazione italiana della rivista cattolica internazionale “Communio”.

Il Papa arriverà intorno alle 9.30 all'aeroporto di Ghedi. Si recherà poi nella Chiesa di S. Maria Assunta, a Botticino, per una visita privata e per raccogliersi in preghiera davanti all’urna che contiene i resti di Sant'Arcangelo Tadini, il parroco bresciano che nel ‘900 fondò la Congregazione delle Suore operaie e che il 26 aprile scorso lo stesso Pontefice ha indicato a tutta la Chiesa come intercessore e modello, dichiarandolo santo.

Il Pontefice si trasferirà quindi a Brescia dove presiederà la concelebrazione eucaristica in piazza Duomo, cui seguirà la recita dell'Angelus. Nel pomeriggio farà tappa a Concesio per la visita alla casa che diede i natali a Papa Montini, l'incontro con alcuni familiari del Pontefice defunto e l'inaugurazione dell'elegante complesso architettonico – con l’archivio, la biblioteca, la Collezione Paolo VI di arte moderna e contemporanea, l’auditorium, le sale di studio e i laboratori didattici – che ospiterà la nuova sede dell'Istituto Paolo VI, un tempo a Brescia.

L'allora Cardinale Ratzinger presiedette proprio il primo dei Colloqui internazionali promossi dall'Istituto, che si tenne nel 1980 a Roma sulla prima enciclica di Paolo VI, "Ecclesiam suam".

Lo stesso giorno Benedetto XVI conferirà il “Premio internazionale Paolo VI”, definito dal suo predecessore il “Nobel cattolico” e giunto alla sua sesta edizione, che verrà attribuito alla collana di fonti cristiane antiche “Sources Chrétiennes”.

In una intervista a Famiglia Cristiana, il Vescovo di Brescia, monsignor Luciano Monari, ha detto che il viaggio del Santo Padre “è un omaggio alla fierezza della città per quel grande Papa, che mai i bresciani hanno ostentato ma che è conficcata nel cuore di ogni cittadino”, e alla sua “passione per il dialogo con il Vangelo in mano”.

"Quello che ci aspettiamo dal Papa – ha detto invece mons. Monari in un'intervista apparsa sul magazine allegato al settimanale diocesano 'La Voce del Popolo' - è che compia anche a Brescia quella che è la sua missione, ossia l'annuncio del Vangelo".

La visita del Papa, ha sottolineato, deve essere vista anche come “una conferma che il cammino che la nostra Chiesa ha fatto e ancora sta facendo è corretto, vissuto in comunione, riconosciuto come autentico dal Vescovo di Roma”.

Riflettendo poi sull'esempio di Sant’Arcangelo Tadini, il sacerdote che si battè per dare dignità al lavoro e ai lavoratori, il Vescovo si è quindi detto convinto che la cosa fondamentale che la Chiesa può fare è “quella di custodire il senso vero del lavoro”, e richiamare costantemente a “un’economia rispettosa della dignità umana, a reale servizio dell’uomo”.

Alla domanda se la presenza di Benedetto XVI potrà essere di qualche beneficio alla causa di beatificazione di Paolo VI, mons. Molinari ha risposto: “Lo spero, non tanto per la beatificazione in quanto tale, ma perché sono convinto che ci sia un tesoro di spiritualità originale nella vita di Paolo VI e che la diffusione di questo tesoro possa aiutare e arricchire la Chiesa di oggi”.

In occasione della visita, mons. Luciano Monari consegnerà a Benedetto XVI il dono della diocesi che consiste in un’offerta per le iniziative di carità del Papa, “perché – si legge in una lettera diffusa in tutta la diocesi – egli ne possa disporre a favore dei bisogni delle Chiese più povere, soprattutto le Chiese tribolate dell’Africa”.

L’omaggio di Papa Ratzinger al grande Pontefice bresciano

di Renzo Allegri

ROMA, venerdì, 6 novembre 2009 (ZENIT.org).-
 
La visita di Papa Ratzinger a Brescia è indicata con il termine di “pastorale”, che ha vari significati religiosi, ma è impossibile dissociarla da ciò che la città lombarda richiama subito alla mente e cioè Papa Montini, Papa Paolo VI, bresciano e che alla sua città fu sempre molto legato.

Papa Montini ha governato la Chiesa dal 1963 al 1978: quindici anni, molto tormentati per l’Italia e nel mondo, ma anche molto significativi. Sul soglio di Pietro, è succeduto a Giovanni XXIII ed ha preceduto Giovanni Paolo II: due giganti nella storia del Papato. E lui, in mezzo, non è stato da meno.

E’ difficile dare un giudizio sintetico ed emblematico di questo Papa. Molti, ingannati dalla sua riservatezza, lo hanno descritto come una persona timida, riservata, chiusa in se stessa, restia a comunicare con gli altri e qualcuno lo chiamava ironicamente “Paolo mesto”. Ma attraverso le testimonianze delle persone che lo conobbero a fondo e che vissero accanto a lui si ricava un ritratto del tutto diverso.

Secondo gli storici è ancora poco conosciuto, ma tutti ritengono che la sua importanza sia stata gigantesca e lo definiscono “Papa della Chiesa”, “Papa dell’umanità”, “Papa della Pace”. E’ stato lui a inaugurare il “ministero itinerante”, esaltato poi da Karol Wojtyla. Paolo VI ha compiuto, infatti, nove pellegrinaggi fuori d’Italia, tra i quali spicca il viaggio in Terra Santa nel 1964. Nessun Pontefice, escluso San Pietro, era mai stato, prima di lui, nella terra dove nacque Gesù.

Apparteneva a un’antica famiglia lombarda: i Montini. Nacque a Concesio, in provincia di Brescia, nel 1897 e gli venne imposto il nome di Giovanni Battista. Suo padre, Giorgio, era avvocato e giornalista, e diresse per anni il battagliero giornale cattolico “Il cittadino di Brescia”. La madre, Giuditta Alghisi, si dedicò esclusivamente all’educazione dei tre figli.

Da giornalista mi sono interessato in varie occasioni di Papa Montini e lungo gli anni ho raccolto testimonianze molto significative. Eccone alcune, che certamente pochi conoscono.

Nel 1968 conobbi a Camignone, in provincia di Brescia, un signor di 89 anni che si chiamava Ezechiele Malizia. Era stato il primo maestro elementare di Paolo VI. “Avevo 24 anni quando la mamma di Giambattista Montini mi portò il suo ragazzo perché doveva cominciare la prima classe elementare”, mi raccontò. “Ero maestro al Collegio Arici, a Brescia. Conoscevo la famiglia Montini perché avevo già avuto come scolaro il fratello maggiore del Papa, Ludovico Montini. Giambattista fece con me la prima e la seconda elementare e alcuni mesi della quarta. Non l'ho mai dimenticato. Si distingueva fra tutti, e non perché fosse tranquillo: era piuttosto. come si suoi dire, una piccola peste. Il motoperpetuo. Magrolino, sparuto, sembrava avesse l’argento vivo addosso. La mamma, quando lo portò a scuola, venne a raccomandarmelo. Temeva che nessuno riuscisse a tenerlo a freno. Devo dire che faticai un po’ anch’io tanto è vero che per tenerlo a freno e perchè stesse attento alla lezioni fui costretto a farlo sedere nel primo banco, proprio davanti alla cattedra, così era continuamente sotto controllo”.

Discolo ed emotivo. Molto emotivo, al punto che l’emotività gli procurava forti disturbi di stomaco e di intestino. Dopo le elementari non potè più andare a scuola. Il ginnasio e il liceo li fece da privatista. Andava solo a dare gli esami ed era sempre il primo della classe. Nella primavera del 1969, ci fu un grave attentato terroristico alla Chiesa di Concesio, dove Montini era stato battezzato. Un attentato proprio contro di lui, come dimostrava il contenuto farneticante dei volantini lasciati dagli attentatori. Il Papa, informato dell’attentato, pianse di dolore.

In quell’occasione conobbi monsignor Francesco Galloni, che nel 1914, giovane sacerdote, era vice-parroco in quella chiesa. "La casa dei Montini distava settecento metri dalla chiesa", mi raccontò. "Tutte le sere, Giovambattista, insieme alla madre e ai fratelli, veniva in chiesa per una preghiera. Era la sua abituale passeggiata serale. Diventammo subito amici. Apparentemente, Battista era un giovane come tutti gli altri, amava stare in compagnia, ridere, scherzare ma in lui si avvertiva qualche cosa che lo rendeva diverso”.

"Credo di essere stato la prima persona cui confidò che voleva diventare sacerdote. Fu alla fine del liceo. Sapeva che io andavo ogni anno sul colle di San Genesio, sopra Lecco, in un eremo di religiosi Camaldolesi, per pregare e meditare, e chiese di venire con me. Mi pareva che stesse riflettendo per prendere una importante decisione. Arrivati, bussammo alla porta dell'eremo. Venne ad aprirci padre Matteo che io conoscevo. Chiesi ospitalità per alcuni giorni di ritiro. Padre Matteo disse che per me il posto c’era ma che la regola proibiva di far entrare nel monastero un laico, quindi niente posto per Battista. Insistetti, venne consultato anche il Superiore, niente da fare. 'Se il giovanotto vuole restare', disse il Padre Superiore, 'deve adattarsi a dormire nel ripostiglio della legna, dietro il convento; gli presteremo un pagliericcio'. 'Molto volentieri', disse Giambattista tutto felice. Ci fermammo una settimana e per tutto quel tempo, Montini, abituato a vivere in una casa signorile e con una salute delicatissima, dormì per terra, in un ripostiglio per la legna. E fu in quel ripostiglio che prese la decisione di diventare sacerdote".

Montini venne ordinato sacerdote nella cattedrale di Brescia il 29 maggio del 1920. A novembre si trasferì a Roma per studiare al “Seminario Lombardo” e alla “Pontificia Accademia dei Nobili Ecclesiastici” per prepararsi alla carriera diplomatica. Tra il 1922 e il 1924 conseguì tre lauree: in Filosofia, in Diritto Canonico e in Diritto Civile. Nel 1925 venne nominato Assistente ecclesiastico nazionale della FUCI (Federazione Universitaria Cattolica Italiana).

A Bergamo conobbi il dottor Ugo Galli, medico chirurgo, che a metà degli anni Venti era studente universitario a Roma e apparteneva alla FUCI. "Era un brutto periodo per noi universitari cattolici", mi racconto il dottor Galli. "Il fascismo ci aveva dichiarato guerra. Montini aveva portato nella Fuci entusiasmo giovanile e passione. Creò un gruppo misto di giovani e ragazze che lavoravano insieme nell’aiuto ai poveri. Tutte le settimane andava con loro nei quartieri di periferia, tra la gente più misera. Ma allora, nell’ambito cattolico, era impensabile che ragazzi e ragazze lavorassero insieme. Infatti, arrivarono disposizioni dall’alto e Montini dovette sciogliere il gruppo. Lo fece con dolore, ma senza alcun commento”.

"Un fucino, studente di musica, molto bravo, soffriva di esaurimento e aveva una malattia agli occhi che stava per renderlo cieco. Preso dallo sconforto, si uccise. Fu un grave dolore per tutti ma soprattutto per Montini. Appariva sconvolto ma non perse la sua calma. Informò i parenti, organizzò il funerale. Tanto fece che riuscì a ottenere il funerale religioso anche se, allora, la Chiesa negava ai suicidi le esequie religiose. Queste due iniziative fanno capire quanto grande fosse l’umanità e la sensibilità di Giambattista Montini e quanto aperta la sua visione del mondo e della vita".

Vari e straordinari episodi su Giovanni Battista Montini me li raccontò Laura Montini, prima cugina di Paolo VI, che incontrai a Brescia nel 1998. Aveva allora 79 anni ed è ancora sulla breccia. "Battista", mi disse "aveva un cuore tenerissimo, una capacità affettiva grandissima, era amante della musica, della poesia, della letteratura, della bellezza. Sempre desideroso di rendere felici gli altri. Quando veniva a cena da noi, prima di andarsene si recava sempre in cucina per ringraziare la cuoca e la cameriera”.

"Nel novembre del 1953 persi mio padre e a Natale, per dimenticare il dolore, decisi di andare a Roma. Battista era allora Segretario di Stato di Pio XII. Temevo che fosse occupatissimo, invece si mostrò felice di vedermi e volle che restassi sua ospite per diversi giorni. Furono giorni che non ho mai dimenticato. Si prese cura del mio dolore con una tenerezza paterna. Nonostante gli impegni, trascorse con me molto tempo. Nel pomeriggio di Capodanno volle accompagnarmi con la sua automobile a Ostia, per una passeggiata lungo il mare. Verso il tramonto, la luce si fece soffusa e le onde avevano colori fantastici. Di fronte a quello spettacolo della natura, vidi Battista commuoversi. Anch’io era incantata. Ma lui era rapito, emozionato tanto da non riuscire a parlare”.

"Quando ripartii per Brescia, mi consegnò una busta con dentro molti soldi e un biglietto in cui diceva: 'Questi soldi sono per i tuoi poveri'. L’amore per i poveri è un aspetto della sua vita che pochi conoscono. Fin da quando era un ragazzo aveva per i poveri un amore sconfinato. Li aiutava in tutti i modi. Regalava loro tutto quello che poteva, e lo faceva sempre di nascosto".

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07/11/2009 14:36

Mons. Monari: Brescia, città tra forte tradizione cristiana e secolarismo. Interviste col sindaco e i giovani

Una colletta per le Chiese più povere soprattutto dell’Africa. E’ il dono che la diocesi di Brescia ha preparato per il Papa e che gli consegnerà per mano del vescovo Luciano Monari all’arrivo in Piazza Paolo VI. “Un gesto concreto di carità collettiva” ha spiegato il presule, “per ricambiare il momento di grazia che Benedetto XVI ci concede con la sua presenza”. Ma quali i significati attribuiti a questa giornata dalla Chiesa bresciana? Gabriella Ceraso lo ha chiesto allo stesso mons. Monàri:


R. – Il primo è naturalmente quello della comunione che ci lega con la Chiesa di Roma. Che venga il Papa di Roma a parlare a noi vuol dire il riconoscimento del cammino della Chiesa bresciana come autentica Chiesa cattolica e vuol dire anche accogliere, dalla voce del Successore di Pietro, l’annuncio del Vangelo con un’energia ed una luminosità particolare. Questo è il primo, grande significato. Il secondo è la memoria di Paolo VI, al quale siamo particolarmente affezionati. Vorremmo riuscire a dare una testimonianza di fede, che sia in qualche modo degna del Papa che abbiamo avuto.

D. – Qual è il clima che si è creato ed anche le attese di tutta la comunità?

R. – Il clima è quello dell’ospitalità gioiosa e semplice per poter riconoscere nel Papa una persona che sta vivendo con impegno e con una grande fedeltà il Vangelo nel confronto con le sfide che la cultura di oggi pone.

D. – Qual è la comunità che troverà il Papa, quali le peculiarità ma anche le sfide?

R. – Il Papa trova una Chiesa che ha una tradizione cristiana molto forte e soprattutto una tradizione d’impegno anche laicale nella società, nella scuola, nella sanità. Trova una città che ha i problemi del confronto con la pluralità delle culture, perché da noi ci sono tantissimi immigrati. C’è poi il problema fondamentale della secolarizzazione che è proprio del nostro mondo contemporaneo.

D. – La terra bresciana è anche terra di forti attività economiche, di lavoro. In tal senso la stessa “Caritas in veritate” ha dato forte peso allo sviluppo umano integrale. Sotto questo profilo, cosa si augura che possa anche lasciare il Papa?

R. – Che ci aiuti a comprendere lo sviluppo umano in tutta la sua ricchezza, perché è uno sviluppo che comporta sviluppo economico e tecnologico, ma è uno sviluppo che richiede soprattutto una crescita di umanità, quindi di capacità dell’uomo di gestire gli strumenti che ha a disposizione, avendo degli scopi, creando dei legami di comunione e di fraternità con gli altri, sviluppando un senso di responsabilità.

D. – Chi ci sarà in Piazza Paolo VI ad accogliere il Papa?

R. – Abbiamo tentato di far entrare i rappresentanti di tutte le realtà che ci sono nella diocesi. Speriamo che questo sia percepito proprio per quello che vuole essere, cioè il segno di una comunione che lega tutti.

Anche la società civile e le sue istituzioni lavorano da mesi alla preparazione di questa visita. Festoso e rinnovato appare il volto del centro storico lungo il percorso della papamobile. ”Attendiamo un Pontefice il cui magistero ci richiama alla centralità delle radici cristiane” ha detto il sindaco Adriano Paròli, non nascondendo che la preparazione non riguarda solo i lavori pubblici. Sentiamolo al microfono della nostra inviata Gabriella Ceraso.

R. – Ci sono una serie di opere che si stanno affrontando, perché l’accoglienza sia fatta con la massima sicurezza. E’ chiaro che la preparazione anche spirituale è un evento per la città e richiama certamente il Papa bresciano, Paolo VI. Però l’insegnamento e il magistero di Papa Ratzinger saranno al centro di questa visita, di tutti coloro che parteciperanno e che si aspettano molto. E’ certamente uno di quei momenti che lascia il segno, che dà la possibilità di fare quei passi che la città e la comunità chiedono.

D. – C’è una gloriosa tradizione che ha Brescia, in cui si intreccia l’impegno civico, l’impegno culturale, ma anche l’ardore della fede. E’ rimasta questa eredità?

R. – Brescia ha questa grande capacità, da un lato di accoglienza, dall’altro di condivisione. Il volontariato, come terzo settore, è una presenza fatta di grande coscienza. Alla fine l’uomo non è solo e non può costruire da sé il proprio futuro e il proprio presente. Con questa coscienza stiamo guardando alla venuta del Papa e speriamo di poter davvero far tesoro della presenza del Pontefice.

Ad attendere il Papa in Piazza Duomo a Brescia ci saranno anche i giovani. 2500 circa troveranno posto nel settore vicino al passaggio della papa mobile, in 130 invece dagli Oratori e dalla parrocchie della provincia si occuperanno dell’accoglienza dei pellegrini. Sentiamo le loro emozioni al microfono di Gabriella Ceraso.

R. – Noi cerchiamo di esserci, a prescindere dal fatto che sia una cosa fatta apposta per noi. Anche alla luce di quello che diceva prima Giovanni Paolo II delle sentinelle del mattino e di quello che dice adesso Benedetto XVI, è implicito che comunque noi ci siamo.

D. – Le emozioni, le sensazioni, i sentimenti in questo momento?

R. – Chi viene è una persona carismatica. E’ un’attesa di parole di conforto, parole di fratellanza, soprattutto in un periodo un poco grigio come quello che stiamo vivendo, di crisi economica e di insicurezza sociale. Per cui è speranza in parole di aiuto, di conforto allo spirito.

D. – C’è qualcosa in particolare, una parola proprio per voi, qualcosa che vi può aiutare anche ad andare avanti?

R. – Una parola di fiducia nei confronti dei giovani, perché penso che quando uno sente che qualcuno ha fiducia in lui tira fuori anche le qualità nascoste e con coraggio affronta le situazioni, i momenti difficili.

D. – Perché avete scelto di vivere insieme queste ultime ore?

R. – Noi, facendo un servizio di accoglienza all’interno della piazza, durante la celebrazione, abbiamo deciso di trovarci insieme in modo tale da potere rappresentare il volto giovane e comunque festante della diocesi a chi arriva in piazza per sentire la voce del Papa.

D. – Le tue sensazioni oggi...in attesa di...

R. – ...di aspettare il momento, di aspettare la domenica e cercare di vivere questo giorno con gli altri volontari nel migliore dei modi, per accrescere ancora la mia fede, la mia speranza e donare il mio sorriso ai pellegrini che arriveranno in piazza.

D. – Questa visita si svolge nel segno di Paolo VI. Che cosa rappresenta per voi questa figura?

R. – La figura di Paolo VI, specialmente per i giovanissimi, al di là di un retaggio storico, è difficile da inquadrare. Però, proprio alla luce di quello che è stato il magistero di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI, si sta scoprendo, o meglio riscoprendo, la figura di questo Papa, come sicuramente un precursore dei tempi, un Papa con uno sguardo sul futuro, attento a problematiche che oggi la Chiesa si sta trovando effettivamente ad affrontare.

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07/11/2009 14:43

PAOLO VI/ Benedetto XVI nelle terre di Montini, il papa “grato di essere bresciano”

Giselda Adornato

Sabato 7 novembre 2009

L’8 novembre Benedetto XVI compirà una visita a Brescia: al mattino celebrerà la messa in piazza Paolo VI e nel pomeriggio si porterà a Concesio, paese natale di Paolo VI, in Valtrompia, a 8 km. dal capoluogo, dove inaugurerà la sede dell’Istituto internazionale di studi e documentazione Paolo VI che, dall’anno della sua fondazione, il 1979, si trovava presso il Centro pastorale di Brescia e adesso risiederà in un modernissimo complesso posto accanto alla casa della famiglia Montini. La visita del papa sarà quindi segnata dalla memoria del predecessore; vale la pena, allora, per meglio comprendere la ricchezza di questa occasione pastorale, ricordare i molteplici legami di Paolo VI con il suo territorio.

L’attaccamento alla famiglia, alle radici del mondo cattolico bresciano, agli educatori di quella terra, è un elemento fondamentale lungo tutta l’esperienza di Giovanni Battista Montini. Da pontefice, nelle diverse occasioni in cui incontra in Vaticano i bresciani, ammette con dispiacere e rimpianto di essere da troppo tempo lontano dalla sua città, tanto da sentirsi, dice nel 1970, come «un dormiente per lunghi anni, il quale, ridestatosi, s’accorge che tutto è cambiato d’intorno a lui, crede di ritrovarsi nella scena di quando il sonno lo prese e si meraviglia di non riconoscere più né le persone, né l’aspetto delle cose da cui si vede circondato; si sente forestiero in casa propria, e avverte l’opera divoratrice e generatrice del tempo. Labuntur anni. Manchiamo da Brescia, si può dire, da cinquant’anni. La Nostra memoria si è fermata al periodo della giovinezza[…]».

Giovanni Battista Montini nasce a Concesio il 26 settembre 1897; il padre, avvocato Giorgio (1860-1943), è uno tra i più importanti esponenti del movimento cattolico bresciano dell’epoca; a soli 21 anni diviene direttore de «Il cittadino di Brescia»; è uno dei fondatori del Partito Popolare e deputato aventiniano. La mamma, Giuditta Alghisi (1874-1943) - anch’ella impegnata in opere di carità e presidente delle Donne Cattoliche del capoluogo - è nativa della frazione di Verolavecchia; le vacanze della famiglia trascorrono tra quest’ultimo paese e Concesio, nella casa di campagna della famiglia Montini. Battista, come viene sempre chiamato dai familiari, è cagionevole di salute per uno scompenso cardiaco, poi superato, e trascorre nel clima salubre di Concesio anche lunghi periodi negli anni della prima guerra mondiale, quando frequenta da esterno il Seminario bresciano. Così si intende il significato della lapide che si legge sul muro della casa di Concesio: «II 26 settembre dell’anno 1897 in questa casa nacque Giovanni Battista Montini elevato al sommo pontificato con il nome di Paolo VI. Annunciò al mondo la civiltà dell’amore che fanciullo apprese fra queste mura». Lo stesso Paolo VI, il 4 luglio 1978, quattro settimane prima di morire, scrive al cugino Vittorio Montini: «Il nostro antico Concesio, indimenticabile, e con queste care e pie memorie quelle delle Persone veneratissime, che ci attendono nella comunione dell’eternità: oh! quanto sempre mi sono presenti, e come ormai le sento vicine».

La vita quotidiana dei Montini si svolge invece a Brescia, in via Trieste 37 e, dal 1907, in via delle Grazie, vicino al santuario della Madonna delle Grazie, dove don Battista celebrerà la sua prima messa (e che oggi è sede della vicepostulazione diocesana della causa di beatificazione del servo di Dio Paolo VI). A Brescia Battista, nel giugno 1907, riceve la prima comunione presso le suore di Maria Bambina; e poi la cresima nella cappella del Collegio “Cesare Arici”, all’epoca retto dai gesuiti, nel quale frequenta – fra il 1902 e il 1913 - le scuole elementari e ginnasiali; nel 1916 ottiene la licenza liceale come privatista nel Liceo classico statale “Arnaldo da Brescia”. Nell’ottobre, in piena guerra, come già detto, entra da esterno nel Seminario cittadino.

In questi anni, una grande cerchia di parenti, amici, educatori, trasmette al giovane una fede libera, forte e leale e un grande attaccamento alla Chiesa e al papato. Brescia vive un momento di impareggiabile fervore nell’impegno educativo, sociale e religioso dei cattolici; ma già fin dalla seconda metà dell’800 il laicato cattolico bresciano è fra i più organizzati. Al centro vi sono la formazione religiosa e la preoccupazione educativa, con il Circolo della gioventù cattolica dei ss. Faustino e Giovita, nel quale si formano Giuseppe Tovini (oggi beato) e Giorgio Montini; sono diffusi gli esercizi spirituali per laici; e le sorelle Elisabetta e Maddalena Girelli (delle quali è aperto il processo di beatificazione) rifondano la Compagnia di s. Angela Merici. Si stampano diverse testate popolari e per le donne; sono attive le Casse rurali e artigiane e la Banca San Paolo, fondate dal Tovini. Questa vivace diocesi negli anni giovanili di Montini è guidata dai vescovi Giacomo Corna Pellegrini (1827- 1913) e Giacinto Gaggia (1847-1933), entrambi grandi sostenitori di questi sacerdoti e laici impegnati; mons. Gaggia segue da vicino l’itinerario formativo di Montini, con dottrina, umanità e spiritualità. Sotto i loro episcopati nascono la rivista «La Madre Cattolica», il settimanale «Pro Familia», la tipografia Queriniana, il Pio Istituto dei poveri artigianelli, l’Editrice La Scuola - diretta per cinquant’anni da mons. Angelo Zammarchi, il sacerdote che pronuncia l’omelia alla prima messa di Montini - e, nel 1925, l’Editrice Morcelliana, ad opera di Fausto Minelli, Alessandro Capretti, Mario Bendiscioli, e degli oratoriani Carlo Manziana, Giuseppe Cottinelli, Giulio Bevilacqua. Questi cattolici non si fermano neppure sotto il fascismo, ma – pur non avendo più il loro quotidiano e i loro circoli – continuano la formazione delle coscienze all’interno dell’Editrice Morcelliana, avendo come riferimenti i grandi pensatori cattolici come Romano Guardini e Jacques Maritain.

Le abitazioni di città e di campagna dei Montini sono una fucina di tutto questo movimento cattolico; importantissima per la formazione di Battista è soprattutto l’assidua presenza all’Oratorio della Pace, gestito dai religiosi filippini e tuttora fiorente; per tutta la vita resterà legato in particolare a p. Bevilacqua, che ospiterà a Roma nella sua casa a cavallo degli anni ‘20 e ‘30, quando è ricercato dai fascisti, e che da papa eleverà al cardinalato; e a p. Paolo Caresana, che sarà suo confessore. Frequentare la “Pace”, come viene chiamata dai bresciani, significa ricevere una fede fiera ed impegnata che si declina in opere catechetiche e di carità: Battista è prefetto della congregazione mariana, diffusore della buona stampa, educatore; ma fa anche parte delle Conferenze di s. Vincenzo, distribuisce la minestra ai poveri durante la guerra… Diverse esperienze, tutte nella prospettiva dell’apostolato, la più importante delle quali è la costante collaborazione al periodico «La Fionda», espressione di un cenacolo di amicizie spirituali di cui Montini è guida morale, che promuove una religione vissuta come sorgente del rinnovamento della società dopo la tragedia della grande guerra: è «l’anima fiondista», che sarà spenta solo dal fascismo, con la soppressione del giornale nel 1926. Nei luoghi della giovinezza montiniana va segnalato anche Chiari, a pochi chilometri da Brescia, dove Giovanni Battista incontra una comunità di monaci benedettini, che lascia un segno forte nel suo spirito e influisce sulla sua vocazione.

Il 29 maggio 1920 mons. Giacinto Gaggia lo ordina sacerdote nella cattedrale di Brescia; don Battista pensa al proprio futuro come prete in cura d’anime in parrocchia. Ma l’anno successivo viene trasferito a Roma, dove inizia gli studi accademici… A Brescia non vivrà più e vi tornerà solo per periodi sempre più brevi, in visita alla famiglia; o in occasioni pastorali, durante il periodo dell’episcopato milanese. Ma gli rimane sempre un grande affetto per quel mondo, venato da una punta di nostalgia. Tant’è che, ricevendo una rappresentanza di bresciani nel 1972, Paolo VI evoca «tante persone degnissime incontrate a Brescia nel primo periodo della nostra vita; sacerdoti ammirabili, laici valorosissimi ed esemplari, Istituzioni operanti in stile di milizia e di carità cristiana, atmosfera di fede e di azione impregnata di non comune spirito di sincera pietà religiosa e di virili sentimenti civili e sociali. [...] la sana e profonda religiosità, che nella fede cattolica trova la sorgente ed il vigore delle caratteristiche virtù bresciane, la franchezza specialmente e la bontà». E conclude: «Questo papa è grato a Dio e riconoscente a voi d’essere bresciano».


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08/11/2009 08:16

Per Paolo VI una devozione sempre più grande

A Brescia il santuario delle Grazie raccoglie testimonianze del culto e dell’affetto popolare


DAL NOSTRO INVIATO A BRESCIA

LORENZO ROSOLI

«Un ringraziamento specia­le a Papa Paolo VI. Per in­tercessione di lui mamma e piccolo Matteo sono vivi dopo un par­to pericolosissimo». Il biglietto, scritto a mano, è appuntato in una vetrina del Santuario delle Grazie, a Brescia. Qui attorno di ex voto ce ne sono tanti: in questo luogo sorto nel X­VI secolo nel cuore della città la devo­zione mariana ha il respiro dei secoli. Ma c’è una bacheca che racconta una storia nuova. Una foto di Paolo VI, inginochia­to, orante; sotto, tre ex voto nella classi­ca forma a cuore. Sotto ancora, il bi­glietto.
La storia nuova è quella della devozione e del culto verso il pontefice di Concesio, che la Chiesa bresciana sta curando come un virgulto ancora tenero. Con ge­sti concreti: come l’apertura – il 22 mag­gio scorso – della sede diocesana della causa di beatificazione di Montini pres­so il Santuario delle Grazie. Così ha vo­luto il vescovo di Brescia, Luciano Mo­nari. Una scelta che ha diverse motiva­zioni.
«In primo luogo si tratta di un santuario diocesano, non legato a una famiglia re­ligiosa o ad una singola comunità loca­le », spiega don Pierantonio Lanzoni, dal 2007 vicepostulatore della causa di bea­tificazione e dal 2008 delegato vescovile per la promozione della memoria di Pao­lo VI. «Va poi ricordato che la famiglia Montini aveva casa a due passi dal san­tuario, che qui il futuro pontefice creb­be e trovò illuminazione e alimento la scelta di farsi prete. E alle Grazie celebrò la prima Messa, il 30 maggio 1920». Co­me dirà Paolo VI all’Angelus dell’8 set­tembre 1973: «In quel pio domicilio, ca­sa e chiesa di culto mariano, maturò la nostra giovanile vocazione sacerdotale». E mise radici profonde la pietà mariana di un figlio della Chiesa bresciana che, da Papa, avrebbe proclamato Maria «Ma­dre della Chiesa» e le avrebbe dedicato un’esortazione apostolica, la «Marialis cultus». «La causa di beatificazione di Paolo VI, avviata grazie all’input delle Chiese latinoamericane, venne aperta nel 1990 dall’allora vescovo di Brescia, Bruno Foresti, e vede la nostra diocesi nel ruolo di attore – prosegue Lanzoni – . Perciò cerchiamo di sostenere la cono­scenza e il culto di Paolo VI».
Il Santuario offre un «calendario» di ce­lebrazioni montiniane: il 30 maggio, l’an­niversario della prima Messa (1920); il 30 giugno quello dell’incoronazione (1963); il 6 agosto la morte (1978); il 26 settembre la nascita (1897). Ogni quar­ta domenica del mese si celebra la Mes­sa con la recita della «preghiera per la glorificazione del servo di Dio» e la rac­colta di offerte per la causa; a maggio, a tutte le Messe, viene richiamato il magi­stero mariano di Montini; non manca­no poi celebrazioni del Seminario di Bre­scia alle Grazie «nel segno della voca­zione sacerdotale» di Montini. Un capi­tolo aperto – spiega ancora Lanzoni – è la costruzione e il consolidamento di u­na «rete» fra i molti luoghi legati alla vi­ta e all’insegnamento di Paolo VI, disse­minati nel territorio diocesano: a parti­re da Concesio, dove Montini nacque e venne battezzato – e dove ora sorge la nuova sede dell’Istituto Paolo VI.
Segni di un culto che cresce non man­cano. Fra la gente bresciana, anzitutto. Ma anche tra i fedeli di altre diocesi: «Non rari, ad esempio, i pellegrini che vengono alle Grazie da Milano, dove Montini fu arcivescovo.
I Grest ambro­siani hanno fatto visita a Concesio. Un mese fa, sempre alle Grazie, sono venu­ti una trentina di seminaristi da Como», racconta Lanzoni. Con la causa, a che punto siamo? «Alla stesura della positio, per mostrare come Montini abbia vis­suto in modo eroico le virtù teologali e cardinali». Un’avventura «drammatica e magnifica», si potrebbe dire della causa di Montini attingendo alle «Note» al suo testamento: tale è la complessità della sua figura, la trama delle relazioni e del­le amicizie, l’ordito delle responsabilità ecclesiali, la vastità e profondità del suo pensiero, la partecipazione da protago­nista alle vicende del ’900, da rendere ar­dua la ricostruzione della sua vita e im­pegnativa la sua proposta al culto po­polare. «Paolo VI è morto all’età di 80 an­ni – conclude Lanzoni –. Una vita ricca e lunga, la sua. Che alla fine ci consegna una certezza: l’unica ricchezza della Chiesa è il Vangelo».

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009

Tadini: il parroco santo che si chinò sulle sofferenze di lavoratori e operaie

«Io sono ambasciatore povero.
Tutta la mia scienza: la croce, tutta la mia forza: la stola» . Così disse Arcangelo Tadini presentandosi ai suoi parrocchiani. In quelle parole è riassunto il segreto della sua vita di prete donatosi senza riserve al Vangelo e agli uomini del suo tempo.
Tadini nacque a Verolanuova, nella Bassa Bresciana, il 12 ottobre 1846 da famiglia benestante. Ultimo di undici figli, nonostante la salute cagionevole, scelse il sacerdozio e mostrò una dedizione infaticabile alla causa di Cristo.
Ordinato prete nel 1870, venne mandato a Lodrino, Valle Trompia e dopo due anni trasferito alla Noce, borgata alle porte di Brescia.
A 40 anni venne nominato parroco di Botticino Sera, dove resterà fino alla morte ( 20 maggio 1912). In questo borgo pedemontano nei pressi di Brescia si dispiegò tutto il suo genio pastorale. Grazie a lui rifiorirono l’oratorio, il Terz’Ordine Francescano, le Figlie di Sant’Angela e altre realtà; mostrò grande amore per la liturgia e il canto sacro; dedicò cura particolare alla famiglia e all’educazione dei bambini e dei giovani. Il suo ministero, soprattutto, venne profondamente segnato dall’enciclica « Rerum novarum » di Leone XIII, che lo aprì alla sollecitudine verso la questione sociale, le sfide del lavoro e in particolare della condizione femminile. Eccolo fondare, allora, una società operaia cattolica di mutuo soccorso, una filanda, un convitto per le lavoratrici; infine le Suore Operaie della Santa Casa di Nazaret, la sua eredità più duratura – e all’inizio contrastata, anche dentro la Chiesa: donne consacrate che condividessero in fabbrica la vita e le condizioni di lavoro della classe operaia. Tadini è stato canonizzato il 26 aprile 2009 a Roma, in piazza San Pietro, da Benedetto XVI, che ora – nel cuore dell’Anno Sacerdotale – gli rende omaggio nella parrocchiale di Botticino Sera, dov’è custodita l’urna con i suoi resti mortali.
(L. Ros.)

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009

Montini: nato nel 1897, prete dal 1920 guidò Milano prima di diventare Papa

«Man mano che il nostro sguardo sul passato si fa più largo e consapevole, appare sempre più grande, direi quasi sovrumano, il merito di Paolo VI nel presiedere l’assise conciliare, nel condurla felicemente a termine e nel governare la movimentata fase del post-Concilio». Così disse Benedetto XVI all’Angelus del 3 agosto 2008, alla vigilia del 30° della morte del suo predecessore (6 agosto 1978). Parole illuminanti.
Giovanni Battista Montini nacque a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 da Giorgio, esponente di primo piano del cattolicesimo sociale e da Giuditta Alghisi. Ordinato sacerdote a Brescia il 29 maggio 1920, trasferitosi a Roma vi compì gli studi universitari. Nel maggio 1923 iniziò il servizio diplomatico presso la Segreteria di Stato vaticana; inviato alla nunziatura di Varsavia, rientrò in Italia nell’ottobre dello stesso anno, venne nominato nel 1924 assistente ecclesiastico del circolo romano della Fuci (Federazione universitaria cattolica italiana) e nel 1925 assistente ecclesiastico nazionale, incarico che ricoprirà fino al 1933. Il 13 dicembre 1937 venne nominato sostituto della segreteria di Stato, il 29 novembre 1952 pro-segretario di Stato per gli Affari straordinari. Il 1° novembre 1954 Pio XII lo nominò arcivescovo di Milano; fu Giovanni XXIII a crearlo cardinale il 15 dicembre 1958. Eletto pontefice il 21 giugno 1963, assunto il nome di Paolo VI, guidò il Concilio Vaticano II fino alla conclusione, l’8 dicembre 1965. A lui si deve la prima celebrazione della Giornata mondiale della pace, il 1° gennaio 1968; fu inoltre il primo Papa a utilizzare l’aereo per i suoi numerosi viaggi in Italia e all’estero.
La sua prima enciclica fu la «Ecclesiam suam» (1964); la «Populorum progressio» (1967), la «Humanae vitae» (1968) e la «Sacerdotalis caelibatus» (1976) le ultime; poi pubblicò lettere apostoliche come la «Octogesima adveniens» (1971) ed esortazioni apostoliche come la «Gaudete in domino» (1975) e la «Evangelii nuntiandi» (1975). Il 6 agosto 1978, solennità della Trasfigurazione, morì a Castel Gandolfo.

(L.Ros.)

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009

Concesio

«È il luogo dove il futuro Pontefice imparò cos’è la civiltà dell’amore»

DAL NOSTRO INVIATO A CONCESIO

La casa natale, il fonte battesi­male, la nuova sede dell’Istitu­to Paolo VI. Un luogo per veni­re al mondo, un luogo per incontra­re la luce della grazia, un luogo per illuminare il cammino delle genera­zioni che verranno. Chi volesse pe­netrare il legame fra Concesio e il suo figlio più illustre deve farsi pellegri­no fra questi luoghi. I medesimi che Benedetto XVI visiterà domani nel­l’ultima parte della sua giornata bre­sciana.
La casa natale, innanzitutto, dove Montini vide la luce il 26 settembre 1897. Paolo VI è il Pa­pa che «annunciò al mondo la civiltà del­l’amore che fanciul­lo apprese fra que­ste mura», sta scrit­to su una lapide.
«Ricorda il ruolo fondamentale che ebbe la sua famiglia: è dal padre Giorgio e dalla madre Giu­ditta Alghisi che il futuro Papa imparò che cos’è la civiltà dell’amore», scandi­sce monsignor Dino Osio, parroco di Concesio Sant’Antonino dal 1996. Sant’Antonino è la chiesa dove il pic­colo Montini venne battezzato il 30 settembre 1897. Anni fa il battistero venne rinnovato attingendo al lin­guaggio dell’arte contemporanea, grazie all’intervento congiunto di Gabriella Furlani e Francesco Lan­ducci.
Una scelta che Montini, il Papa che rilanciò il dialogo tra Chiesa e arti­sti, avrebbe apprezzato.
L’Istituto Paolo VI, infine. Il Centro internazionale di studi e documen­tazione avviato dopo la morte di Montini e finora ospitato a Brescia, ha una nuova sede edificata proprio nel brolo della casa natale del Pon­tefice. Sarà Ratzinger a inaugurarla. Qui proseguirà quell’impegno di ap­profondimento scientifico della vi­ta, del pensiero e dell’opera di Mon­tini perché possano continuare a il­luminare il cammino della Chiesa e della società di domani. Qui avrà i- noltre collocazione la collezione «Ar­te e spiritualità», mirabile raccolta di opere di autori del ’900 e contem­poranei, legata nella genesi e nello sviluppo alla figura di Paolo VI e del suo segretario, Pasquale Macchi.
«Quello che ci apprestiamo a vivere è un vero momento di grazia. Acco­gliendo Benedetto XVI nel paese na­tale di Paolo VI incontriamo la Chie­sa intera. Quella di Montini è un’e­redità viva, che Concesio custodisce e condivide con gioia e senso di re­sponsabilità », prosegue il parroco dando voce a una comunità che in questa vigilia appare in trepidante attesa. Ci sono molti modi – spiega ancora monsignor Osio – per vivere questa fedeltà alla memoria di Monti­ni: a partire dalla preghiera. «Ad ogni Messa preghiamo per la sua beatifica­zione », aggiunge. Quella memoria condivisa ha il suo momento più forte e partecipato nella «Settimana monti­niana », giunta or­mai alla decima edi­zione, che a settem­bre ogni anno in­treccia eventi di carattere spirituale, ecclesiale, culturale e di solidarietà. «Quest’anno per la prima volta ab­biamo riunito tutti insieme i parro­ci e i sindaci dei paesi natale dei «Pa­pi del Concilio», da Giovanni XXIII a Benedetto XVI: è stata un’esperien­za di grazia eccezionale», racconta, infervorandosi, monsignor Osio.
«Fu papa Montini a nominare arci­vescovo Ratzinger e a crearlo cardi­nale – prosegue il parroco –. Paolo VI e Benedetto XVI li riuniremo nella medaglia d’oro che doneremo al ve­scovo di Roma ospite fra noi». Ma ci sono anche altri ospiti, destinati questi a rimanere a Concesio.
Ed è un’altra novità importante. Si tratta della comunità di Figlie di Ma­ria Ausiliatrice alle quali verrà chie­sto di custodire il carattere religioso della casa natale di Paolo VI e di met­tere il loro carisma educativo al ser­vizio dell’intera comunità.
(L.Ros.)

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009

Botticino


«Qui lavoriamo per gli ultimi nel nome di don Arcangelo»

Lorenzo Rosoli

DAL NOSTRO INVIATO A BOTTICINO

Una folla di persone ha ac­compagnato sabato scorso la nuova urna col corpo di sant’Arcangelo Tadini dalla casa madre delle «sue» Suore Operaie al­la chiesa parrocchiale di Botticino Sera. La «sua» chiesa – qui fu parro­co dal 1886 fino alla morte, il 20 maggio 1912 – elevata a maggio al rango di santuario e basilica mino­re. Qui, domattina, arriverà Bene­detto XVI a venerare le spoglie del prete da lui stesso canonizzato il 26 aprile scorso. Un segno importan­te, quel «pellegrinaggio» con l’urna del santo fra la co­munità delle reli­giose fondate da Ta­dini e la parrocchia­le. «Il segno che Ta­dini, grazie al cam­mino fatto insieme, non «appartiene» più solo alle Suore Operaie ma all’inte­ra comunità di Bot­ticino. E grazie alla canonizzazione, anche alla diocesi». A parlare è don Raf­faele Licini, parroco delle tre parrocchie presenti nel territo­rio comunale, confluite in un’unità pastorale intitolata proprio a Tadi­ni. La costruzione dell’unità pasto­rale – che ha mobilitato le comunità in un itinerario formativo e missio­nario – si è intrecciato con la risco­perta e la «condivisione» della figu­ra di Tadini, spiega il parroco. In questo memorabile 2009, la cano­nizzazione e la visita del Papa.
Cosa significa essere il successore di un «prete sociale» e di un parro­co santo come Tadini? «Significa ri­cordarsi che se non parti dal rap­porto con Dio, il tuo impegno so­ciale rischia di essere vano». Tadini diede risposte innovative alla 'que­stione sociale' – nella scia della Re­rum novarum di Leone XIII – per­ché era un prete che arrivava al­l’impegno di carità attraverso la pre­ghiera, l’Eucaristia, l’amicizia colti­vata con Gesù. Se non è così, diventi un prete che segue le mode o che si rinchiude in chiesa», scandisce Li- cini, trent’anni esatti da sacerdote e fondatore di una comunità tera­peutica in Valle Sabbia.
Benedetto XVI rende omaggio a Ta­dini ad Anno Sacerdotale in corso. Un gesto significativo. «E una coin­cidenza singolare: la data di aper­tura dell’Anno Sacerdotale, il 19 giu­gno, è la stessa dell’ordinazione pre­sbiterale di Tadini – sottolinea Ma­ria Regina Biscella, suora operaia e postulatrice della causa di Tadini – . Quale gioia accogliere il Papa da­vanti all’urna del nostro fondatore! Noi siamo una piccola congrega­zione, appena 200 suore, presenti in Italia, Inghilterra, Burundi e Bra­sile. La nostra spiri­tualità è illuminata dal mistero dell’In­carnazione, guarda al Gesù di Nazareth che nella Santa Fa­miglia crebbe e la­vorò con mani d’uomo». Al santo fondatore è stato dedicato un «Anno Tadiniano» che si concluderà il 21 maggio 2010. Molte le iniziative cultura­li e spirituali. Non solo: «La cosituzio­ne del Fondo Tadini da parte delle parrocchie di Bottici­no con la Pro Loco, la nostra con­gregazione e il sostegno delle a­ziende della Valverde, per aiutare le famiglie toccate dalla crisi econo­mica e dalla disoccupazione».
Ma il respiro delle Suore Operaie è globale: «Al Papa – conferma la re­ligiosa – presenteremo il progetto di un centro sociale e di formazione professionale da realizzare in Bu­rundi con l’aiuto dell’Associazione Cuore Amico». Una vigilia all’inse­gna della solidarietà, dunque. Ma anche della bellezza. Con la nuova pala d’altare per la parrocchiale de­dicata a Tadini e realizzata dall’arti­sta armeno Yuroz; con l’opera «Me­moria dell’uomo» dello scultore Gianpietro Moretti allestita sul sa­grato; con l’incisione di Girolamo Battista Tregambe e la scultura di Lino Sanzeni che verranno donati al Papa.

© Copyright Avvenire, 7 novembre 2009


Vedi anche:

INTERVISTA A MONARI: «Un omaggio alla Chiesa del Concilio»
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08/11/2009 08:49




Durante la visita a Brescia e Concesio Benedetto XVI assegna alla collezione "Sources chrétiennes" il Premio internazionale Paolo VI, Nobel cattolico che nel 1997 era andato a Jean Vanier fondatore della Comunità dell'Arca

Alle fonti della sapienza


di Paolo Siniscalco

Negli anni 1942-1943, quando l'Europa vive uno dei momenti più bui del secolo scorso, appare il primo volume delle "Sources chrétiennes", che pubblica la Vita di Mosè, opera scritta nella seconda metà del iv secolo da uno dei più grandi teologi della Chiesa greca antica, Gregorio di Nissa. Un'edizione geniale, curata da Jean Daniélou e pubblicata dalle Éditions du Cerf, dei padri domenicani, che in quel momento tragico subì la censura delle autorità tedesche e delle omologhe autorità francesi di Vichy, che temevano fosse un libro di propaganda ebraica (Mosè viene presentato come tipo della perfezione e della contemplazione mistica). È l'inizio di una collana destinata ad avere grande fortuna. Grazie all'entusiasmo e alla tenacia dei suoi fondatori, i gesuiti Henri de Lubac e Jean Daniélou, e dei responsabili di ieri e di oggi, da Claude Mondésert fino a Jean-Noël Guinot e a Bernard Meunier. Essa supera molte difficoltà e traversie, ma non viene meno e si pone come esempio raro di riuscita editoriale di lungo respiro.

Le "Sources chrétiennes" (le "fonti cristiane") vogliono mettere a disposizione dei lettori opere complete dei Padri della Chiesa fornendo gli elementi che possono consentirne una profonda comprensione; intendono in certo modo illuminare dall'interno il mondo di quegli scrittori nei messaggi - religiosi, dottrinali, etici, culturali - che propongono, per poi rimettere le chiavi dell'opera nella mani del lettore, lasciandogli il piacere di scoprire tesori che non avrebbe immaginato.

Per cogliere lo spirito della collezione, occorre riandare alle parole che la presentavano:  l'intento era quello di rivolgersi a quattro differenti generi di lettori. Innanzitutto a cristiani, laici o ecclesiastici, avidi di una spiritualità dalle radici teologiche solide, capace di integrarsi in una visione cattolica del mondo, vale a dire universale. In secondo luogo a coloro per i quali la frattura dell'unità tra le Chiese costituiva una costante sofferenza e che nel ritorno a un'epoca in cui quell'unità non era rotta scorgevano un mezzo per restaurarla. In terzo luogo intendeva rivolgersi all'ambito universitario che stava scoprendo sempre più l'interesse per un'età in cui la trasformazione e il fermento religioso e culturale si faceva più che mai più intenso. Infine, il quarto genere di pubblico cui si mirava, era quello degli artisti nella convinzione che la riproposizione di una visione simbolica del mondo fosse in grado di ricondurre verso l'interpretazione dell'universo e della Sacra Scrittura che era stata quella "dei Padri dell'arte e della Fede".

Programma, questo, delineato con minuzia e attenzione fin dagli inizi degli anni Quaranta, che poneva in luce finezza spirituale e culturale e non meno grandi intuizioni di processi che si sarebbero sviluppati entro e fuori la Chiesa nei decenni successivi. Certo per attuare un tale ambizioso progetto occorreva battere vie metodologicamente e scientificamente valide e sicure. Ed è ciò che i responsabili delle "Sources chrétiennes" hanno fatto:  con la scelta di collaboratori di alto livello (che ormai sono centinaia) e con la confezione di testi in lingua originale che ebbero, e hanno, edizioni critiche, con traduzioni in francese curate e ben fatte, con introduzioni e commenti filologicamente e letterariamente elaborati e, non ultimo, con una serie di preziosi indici (dei passi biblici, delle parole, delle materie e dei personaggi rilevanti incontrati nell'opera), indici che ogni studioso sa quanto siano utili, ma sa pure quanta fatica richiedano nel compilarli.

Oltre 150 sono gli autori greci, latini e orientali di età antica, tardo-antica e medievale - da Clemente Romano a Francesco di Assisi, dall'Ad Diognetum a Gregorio Magno, da Tertulliano a Manuele ii paleologo, da Origene a Bernardo di Clairvaux, per non fare che pochissimi nomi. Accanto agli autori sono stati pubblicati atti e passioni di martiri, vite di santi, omelie anonime, atti di conferenze episcopali, "catene" su libri biblici, rituali, regole monastiche e così via. Oggi la collana conta quasi 540 volumi. Ed è interessante notare la progressione con cui i testi sono pubblicati e il ritmo con cui negli ultimi decenni escono. Nel 1958 appare il cinquantesimo volume; nel 1965 il centesimo; nel 1973 il duecentesimo, nel 1982 il trecentesimo, nel 1994 il quattrocentesimo, e finalmente nel 2006 è pubblicato il cinquecentesimo volume che presenta il De unitate Ecclesiae di Cipriano di Cartagine. Nello stesso anno, 2006, si fa disponibile il primo volume dell'edizione italiana promossa dalle Edizioni San Clemente di Roma e dalle Edizioni Studio Domenicano di Bologna, frutto di un'opportuna alleanza editoriale, che mira a offrire al pubblico italiano opere della prestigiosa collana francese, aggiornate se è il caso.

Dal 1942 sono ormai trascorsi 67 anni. Ma le intuizioni che hanno presieduto all'impresa continuano a essere valide e hanno trovato udienza. Si pensi in ambito universitario, particolarmente in Francia, al ruolo che ha avuto la collana nel facilitare l'integrazione dei Padri nella cultura degli storici, dei letterati, dei filosofi.

"Non sono per nulla sicuro che tutti i miei colleghi ammettano che uno specialista di Origene o di Tertulliano sia qualificato per insegnare la versione greca o il tema latino", scriveva Henri-Irénée Marrou, docente di Storia del cristianesimo alla Sorbona, su "Le Monde" nella primavera del 1958. Vi era infatti come un "buco nero" concernente i primi secoli cristiani considerati da una cultura diffusa e, ideologicamente segnata, insignificanti. E ancora oggi sussiste questo pregiudizio diffuso maggiormente in una cultura corrente che non nella più attenta cultura universitaria. La maggiore conoscenza dei testi cristiani ha certo contribuito a colmare quella che è una vera e propria lacuna storiografica, facendo meglio conoscere lo splendore della civiltà tardo-antica, con le sue ricchezze, le sue inquietudini, con espressioni di socialità, di fantasia, di religiosità originali, con le sue profonde trasformazioni. Una civiltà che ha diverso esito nelle due parti dell'impero romano:  in occidente esaurendosi e declinando a causa delle invasioni dei popoli dell'est e del nord europeo, dei "barbari", per usare un termine comune. In oriente, al contrario, sussistendo ancora per lunghi secoli.

Per questo è importante conoscere gli scrittori cristiani occidentali e orientali non solo dei primi, ma anche dei secoli successivi, medievali e bizantini. Essi interessano ancora oggi anche per un altro motivo. Nati dalla radice giudaica, i cristiani si sono trovati in mondi ai quali hanno proposto il messaggio evangelico, facendo opera di inculturazione a livello popolare e a livello di élites sociali e intellettuali. Ma, in particolare in occidente, in tempi più tardi, nel passaggio della cristianizzazione dal mondo romano a quella dei regni barbarici, l'inculturazione di trasformò in acculturazione, con l'utilizzazione delle tradizioni e culture locali, con la valorizzazione delle lingue volgari; con ciò contribuendo alla nascita delle lingue romanze. D'altra parte, soprattutto tramite l'insegnamento della Scrittura, la Chiesa contribuì a formare nuove élites intellettuali in grado di scrivere e di parlare il latino.

E ancora:  il pensiero dei Padri, grazie anche, a una collezione come quella delle Sources, con i suoi grandi protagonisti - due di loro sono stati creati cardinali, Daniélou nel 1969 e de Lubac nel 1983 - si è riflesso pure all'interno della Chiesa. Si è percepita tutta l'importanza dell'unità inscindibile tra pensiero e preghiera, dottrina e mistica, teologia e santità, unità delle quali molti padri sono stati maestri. Il concilio Vaticano ii, iniziato nel 1962, venti anni dopo l'avvio della collana, in certo modo ha reso manifesto il posto insostituibile dei Padri, da una parte come primi interpreti del mistero cristiano, dall'altra come testimoni di un legittimo pluralismo di metodi teologici e di tradizioni.

Come non rallegrarsi dunque che un riconoscimento tanto prestigioso, il Premio Paolo VI 2009, vada quest'anno a una "impresa" collettiva come sono le "Sources chrétiennes", dopo che in anni scorsi era stato attribuito a Hans Urs von Balthasar, Olivier Messiaen, Oscar Cullmann, Jean Vanier e Paul Ricoeur?


(©L'Osservatore Romano - 8 novembre 2009)
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Domenica 8 novembre Benedetto XVI a Brescia e a Concesio, diciassettesima visita pastorale in Italia

Quella gioia capace di riempire il cuore dell'uomo


di Paolo VIan

"Gli antichi, quando finiva un periodo di pace, aprivano il tempio di Giano. Oggi, al termine di un pontificato, dovremmo aprire gli archivi". Le parole iniziali della prefazione di Luigi Mezzadri al volume di Antonio Fappani e Franco Molinari dedicato a Giovanni Battista Montini giovane (1979) indicavano l'avvio, trent'anni fa, di una fase nuova della riflessione storica sul pontificato montiniano. Il volume, in verità un po' frettoloso, può essere assunto a spartiacque della storiografia sulla figura di Montini, al di là dei suoi meriti e demeriti. Anche perché l'operazione destò allora un certo sconcerto per l'uso a dir poco disinvolto di documenti ancora riservati, come la lettera di Montini al vescovo di Brescia Giacinto Gaggia, del 19 marzo 1933, a proposito delle sue dimissioni dall'incarico di assistente centrale della Federazione universitaria cattolica italiana (Fuci), dovute all'implacabile e congiunta "avversità" di alcuni gesuiti romani e del cardinale vicario di Roma Francesco Marchetti Selvaggiani.
La produzione biografica precedente - spesso venata da tentazioni più o meno scopertamente panegiristiche o animata da intenti meramente informativi (da Fernando Bea a Giovanni Scantamburlo) - e le analisi a caldo e di parte durante gli anni del pontificato (come i noti e certo non benevoli volumi di Carlo Falconi) lasciavano dunque spazio dalla fine degli anni Settanta a ricostruzioni più serie e documentate, più meditate e complete, soprattutto più capaci di comprendere, ora che l'azione terrena del protagonista si era conclusa, il significato della figura che rappresentavano. Del resto, già pochi mesi dopo la morte del Papa bresciano, aveva visto la luce un fondamentale e rigoroso volume bio-bibliografico, in preparazione da tempo ed edito dall'Istituto della Enciclopedia Italiana (Anni e opere di Paolo VI, 1978), base tuttora indispensabile per gli storici che scriveranno la biografia di Montini.
Poco più tardi, nel 1979, a Brescia muoveva i suoi primi passi quell'Istituto Paolo VI che nei trent'anni successivi avrebbe svolto una funzione decisiva (e per il futuro determinante) nella raccolta di documenti, nella pubblicazione di carteggi - primo fra tutti, per importanza, quello di Montini con i familiari, edito criticamente e sontuosamente annotato nel 1986, preceduto da quello con Angelo Giuseppe Roncalli, 1982, e presto seguito da quelli con Mariano Rampolla del Tindaro, 1990, Giuseppe De Luca, 1992, Paolo Caresana, 1998, Andrea Trebeschi, 2002) - e di scritti, dai quattro monumentali volumi dei Discorsi e scritti milanesi (1997-1998) a quelli del periodo fucino (2004) e ai coevi commenti alle lettere paoline (2003).
Ma importante è stato l'istituto bresciano anche nella promozione di colloqui internazionali, giornate di studio, simposi, nella compilazione di regesti di documenti e cronologie (come quella, straordinariamente accurata, dell'episcopato milanese, edita nel 2002). Così chi oggi si metta a lavorare su Montini trova un campo già ampiamente dissodato. Ancora l'istituto, nel 1981, diede alle stampe un corposo Elenchus bibliographicus su Paolo VI e sul Vaticano ii. A quasi trent'anni quel volume meriterebbe un aggiornamento perché, anche solo su Montini, la letteratura storica è proliferata, come risulta dai complementi semestralmente pubblicati sul "Notiziario" dell'istituto.
Per limitarsi all'Italia non mancano biografie, alcune molto felici, da quella di Antonio Acerbi (Paolo VI, il papa che baciò la terra, 1997) alle più recenti di Giselda Adornato, l'autrice della ricordata cronologia dell'episcopato milanese (Paolo VI. Il coraggio della modernità, 2008), e di Cristina Siccardi (Paolo VI, il papa della luce, 2008); mentre fra quelle in altre lingue non si può dimenticare l'impegnativa, ma non sempre attendibile, ricostruzione di Peter Hebblethwaite (Paul vi. The first modern Pope, 1993). A un genere diverso, ma con titoli particolari per essere letto con molta attenzione, appartiene poi il volume di Pasquale Macchi, segretario di Montini (Paolo VI nella sua parola, 2001), mentre alla ricostruzione letteraria si ricollega Adesso viene la notte di Ferruccio Parazzoli (2008), centrato sulla tragedia di Aldo Moro e sul dramma vissuto da Paolo VI negli estremi mesi della sua vita. Basata su pazienti ricerche d'archivio - soprattutto in quello storico diocesano di Milano, ancora in buona parte inesplorato - è poi l'originale monografia di Eliana Versace intitolata Montini e l'apertura a sinistra. Il falso mito del "vescovo progressista" (2007), mentre non mancano alcune antologie, tra le quali Carità intellettuale (2005) raccoglie testi di quasi un sessantennio, impressionanti per la coerenza anche stilistica.
Insomma, su un uomo schivo e non incline a rivelarsi facilmente, il lettore e lo studioso hanno ormai a disposizione un'abbondante messe di documenti, ricostruzioni e interpretazioni. A questa si aggiunge ora una voluminosa biografia di Montini (Andrea Tornielli, Paolo VI. L'audacia di un papa, 2009), dovuta alla penna alacre del vaticanista del quotidiano milanese "il Giornale", prolifico autore di svariati volumi, fra i quali una biografia dedicata a Pio xii (2007) e un rapido profilo di Montini (Paolo VI. Il timoniere del Concilio, 2003). Se Benedetto xv è, per lo storico John Pollard, un Papa "sconosciuto", Montini è, per il giornalista, dimenticato e incompreso, se non frainteso. Dimenticato perché quasi schiacciato fra il pontificato molto popolare del Papa "buono", Giovanni xxiii, e quello, cronologicamente lunghissimo e mediaticamente iper-rappresentato, di Giovanni Paolo II.
Papa frainteso, poi, e criticato sia da sinistra che da destra. "Da quanti gli imputavano (e gli imputano) di aver tarpato le ali del concilio, imbottigliandone le speranze e frenandone gli slanci. E da quanti gli attribuivano (e gli attribuiscono) la responsabilità della crisi della Chiesa, degli abusi liturgici, dell'incertezza sulla dottrina, dell'imponente emorragia di sacerdoti che ha caratterizzato gli anni difficili del postconcilio. Frainteso in molti casi proprio dai suoi amici, da coloro che gli erano più vicini, da quanti hanno trasformato il dialogo da strumento per l'annuncio e la testimonianza evangelica a fine ultimo da perseguire dimenticando la propria identità, arrivando a confondersi e ad approvare indistintamente scelte che con la fede erano in aperto contrasto. Frainteso da quanti hanno trasformato la "scelta religiosa" [...] in un manifesto dell'anonimato" che ha rischiato di portare al dissolvimento della presenza cristiana nella società.
Papa frainteso, ancora, da quanti - entusiasti o costernati - hanno visto nel Vaticano ii l'inizio di un'era assolutamente nuova, di totale rottura col passato, e da quanti, dopo averlo ammirato per la sua "apertura" al mondo, lo crocifissero senza pietà al momento della pubblicazione dell'Humanae vitae (1968), "il documento che ha segnato il massimo isolamento" di Montini, ma che pure rappresentò la sua lucidissima intuizione sulle derive di una tecnica applicata all'ambito della riproduzione umana e, al tempo stesso, il suo coraggio:  non ebbe paura e seppe soffrire da solo, mentre l'opinione pubblica, all'esterno ma soprattutto all'interno della Chiesa, si sollevava contro di lui. Come è stato sottolineato da un convegno sull'ultima enciclica di Paolo VI, organizzato nel 2008 dalla Pontificia università lateranense, del quale si attendono gli atti.
Sulla base di studi storici ormai numerosi, la biografia vuole sgombrare il campo da questi clichés paradossalmente convergenti e concordemente falsificanti:  vescovo "rosso", "prigioniero della minoranza conciliare", Papa "amletico", "Paolo mesto" non sono solo formule senza fondamento ma finiscono per impedire di cogliere la bellezza di una vita straordinariamente coerente e lineare. Quasi come quella del suo predecessore ambrosiano del Seicento, che "come un ruscello (...) scaturito limpido dalla roccia, senza ristagnare né intorbidarsi mai, in un lungo corso per diversi terreni, va limpido a gettarsi nel fiume". Oltre che alla celebre immagine manzoniana si può ricorrere anche al giudizio di un contemporaneo. La coerenza intimamente lineare della vita di Montini era stata colta infatti dalla grande intelligenza di don Giuseppe De Luca quando, scrivendo proprio all'allora pro-segretario di Stato per gli Affari Ecclesiastici Ordinari il 22 marzo 1953, icasticamente affermò:  "Sei stato e sei il sacerdote d'una navigazione e d'una avventura:  vorrei che tutti se ne avvedessero domani, non per la tua gloria, ché sei troppo intelligente per seguirla e troppo cristiano per tollerarne anche soltanto un'ombra, ma per la gloria del Signore a cui serviamo a iuventute nostra; e l'onore di questa Chiesa di Roma (...)".
E questa coerenza, questa unica "navigazione" e "avventura", Tornielli cerca di illuminare, ripercorrendo in particolare la vita di Montini prima del pontificato (cui dedica dieci dei diciotto capitoli del volume), nella convinzione, peraltro diffusa, che si tratti del "periodo meno esplorato", soprattutto dagli inizi degli anni Quaranta alla nomina a Milano. Il viaggio - che fa ricorso anche a documenti di archivi personali (come quelli di Eugène Tisserant, Alberto Castelli, Angelo Dell'Acqua, Enrico Pietro Galeazzi, Giulio Andreotti) e a testimonianze riservate la cui origine è invariabilmente celata dalla circonlocuzione "memoriale, copia in possesso dell'autore" - parte quindi dalle radici familiari, da quel "regno delle madri" che è sempre determinante nella vita di chiunque. Nel caso di Montini, un cattolicesimo socialmente impegnato, senza nostalgie temporalistiche, in cui la profonda religiosità si coniuga a sentimenti risorgimentali di amor di patria allora non comunemente diffusi fra i cattolici italiani (la nonna paterna di Battista, Francesca Buffali, fu pubblicamente elogiata dal garibaldino Nino Bixio per l'aiuto prestato ai feriti nella seconda guerra d'indipendenza).
L'esempio del padre, Giorgio, giornalista e deputato popolare di spirito antifascista ("a lui - confidò in seguito il Papa a Jean Guitton - debbo il non preferire mai la vita alle ragioni della vita"), poi l'incontro con l'oratoriano Giulio Bevilacqua, con la sua sensibilità alla dottrina sociale cristiana di stampo lovaniense ma al tempo stesso alla liturgia come scuola e alimento di vita, segnano sin dall'inizio il "percorso atipico" del giovane Montini, prete senza passare per il seminario, diplomatico che trascorre solo pochi mesi in Polonia, curiale ma con una passione per la "carità intellettuale" nella formazione dei giovani universitari, "ministro" fedele di Pio xi e Pio xii al cui servizio Montini - scrisse ancora De Luca il 9 gennaio 1952 - fece dell'obbedienza al Papa "un atto d'intelligenza e di tenerezza".
In questo cammino lineare la grande svolta è senza dubbio la nomina ad arcivescovo di Milano (1 novembre 1954). Pagine efficaci del volume sono dedicate a ricostruire i possibili retroscena di quella promozione, che fu anche una rimozione e un allontanamento, e a mostrare le diverse cause che mossero il "partito romano" all'offensiva finale contro Montini. Ma l'episcopato milanese fu anche l'esperienza che preparò e maturò Montini per il pontificato, l'incontro con la modernità in una metropoli che ne era allora il simbolo, fra sviluppo tecnologico e industriale, disaffezione e lontananza religiosa, disagio sociale. A questo mondo - "tutto è formidabile, tutto sproporzionato alle mie forze, tutto esigente una vivacità di spirito, una resistenza di attività, una santità di parola e di vita, che supera la mia capacità, e converte in assillo interiore il poco che faccio, il troppo che non faccio", confida ad Angelo Dell'Acqua il 25 marzo 1955 - Montini si rivolge con la grande "Missione" del 1957, una prova generale dello sforzo evangelizzatore e missionario del quindicennio pontificale.
Per il pontificato, anche Tornielli, come altri, non crede a una divisione in due periodi, secondo una vulgata largamente accreditata, "il primo, quello dell'apertura e della speranza, il secondo, quello della chiusura e del ripiegamento", assumendone a crinale il 1968, l'anno dell'Humanae vitae e del Credo del popolo di Dio, ma anche della rivolta giovanile e della contestazione. In realtà, troppi sono gli elementi di profonda continuità che smentiscono questa superficiale ricostruzione. Se una bipartizione ha un senso, essa va piuttosto individuata, secondo l'autore, "nel passaggio da un'idea di riformismo legata al cambiamento degli organigrammi e delle strutture a una percezione sempre più chiara, nella drammaticità del contesto storico, della necessità della testimonianza personale e dell'urgenza dell'evangelizzazione".
E di gesti, di quei "gesti simbolici" di cui Papa Montini secondo il cardinale Johannes Willebrands aveva il genio, è punteggiato il pontificato, al di là ovviamente della guida e dell'applicazione del Vaticano ii:  dalla scelta (assolutamente nuova) dei viaggi apostolici e delle loro mete allo straordinario inginocchiarsi, il 14 dicembre 1975, ai piedi del metropolita Melitone di Calcedonia a capo della delegazione del Patriarcato di Costantinopoli; dall'implorante lettera alle Brigate rosse che detenevano Aldo Moro (21 aprile 1978) all'ultima uscita, già febbricitante, il 1 agosto 1978, alle Frattocchie, per recarsi sulla tomba di Giuseppe Pizzardo, che lo aveva seguito nei suoi primi passi in Segreteria di Stato ma che pure aveva avuto un ruolo non secondario nelle dimissioni di Montini dalla Fuci nel 1933 e nel suo allontanamento da Roma nel 1954. Un gesto di gratitudine ma anche, nell'interpretazione accreditata di chi allora era vicinissimo al Papa, la volontà di "togliere qualsiasi cosa ci fosse stata nella sua anima, nel suo cuore, verso il defunto cardinal Pizzardo", per fare ormai prevalere solo sentimenti di riconoscenza, venerazione e affetto.
Nella delicatezza magnanima di questo estremo gesto vi è tutto Montini. E al termine del volume si pensa proprio che Paolo VI, come il servo sofferente di Isaia, non ha mai spezzato la canna incrinata, non ha mai spento il lucignolo fumigante. Proprio come la figura intravista dal profeta, Montini ha conosciuto, forse più di ogni altro Papa del Novecento, il ludibrio e l'oltraggio, al punto che la "sofferenza in solitudine" può essere assunta a "vera cifra" del suo pontificato.
Ma, immerso nel dolore della Passione, Paolo VI è stato forse il Papa anche più prossimo alla gioia della Resurrezione, con quella esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975), pubblicata nel corso dell'Anno santo, che è l'unico documento papale esclusivamente dedicato alla gioia cristiana. Se la "società tecnologica ha potuto moltiplicare le occasioni di piacere", essa "difficilmente riesce a procurare la gioia. Perché la gioia viene d'altronde. È spirituale. Il denaro, le comodità, l'igiene, la sicurezza materiale spesso non mancano; e tuttavia la noia, la malinconia, la tristezza rimangono sfortunatamente la porzione di molti". Allora, come il suo Bernanos, Paolo VI invita tutti alle sorgenti della gioia cristiana, "perché la gioia di essere cristiano, strettamente unito alla Chiesa, "nel Cristo", in stato di grazia con Dio, è davvero capace di riempire il cuore dell'uomo".


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Il sogno di Paolo VI


di Luciano Monari
Vescovo di Brescia

Domenica Brescia accoglierà il Papa. Per me, vescovo di questa terra, e per la nostra Chiesa l'arrivo di Benedetto XVI rappresenta un incontro di grazia che si riempie di molteplici significati. Per dirli vorrei rifarmi a due testi del Nuovo Testamento che mi aiutano a capirlo.
Il primo è quello che racconta della visita che Pietro fa al centurione Cornelio e alla sua famiglia (cfr. Atti 10, 24-33). Il centurione lo accoglie bene, invitandolo a riferire ciò che il Signore gli ha chiesto di dire loro. Ecco il primo significato della visita. Quello che noi ci aspettiamo dal Papa è che compia anche a Brescia quella che è la sua missione, ossia l'annuncio del Vangelo. Certo, il fatto di sentire questo annuncio dalla voce di Pietro ha per noi una forza e un significato particolare. Ma continua ad essere il Vangelo la cosa più importante e il Papa viene a Brescia per servirlo.
C'è, però, un secondo brano che mi consente di mettere a fuoco il senso della visita dell'8 novembre, ed è quello contenuto nella lettera ai Galati, nella parte in cui Paolo racconta della visita a Pietro a Gerusalemme. L'Apostolo Paolo scrive:  "Esposi loro il Vangelo che io annuncio tra le genti, ma lo esposi privatamente alle persone più autorevoli, per non correre o aver corso invano" (Galati 2, 2). Il confronto con Pietro è garanzia per Paolo che il suo annuncio del Vangelo corrisponde alla fede e alla missione di tutta la Chiesa. In questa prospettiva la visita del Papa a Brescia deve essere vista come una conferma che il cammino che la nostra Chiesa ha fatto e ancora sta facendo è corretto, vissuto in comunione, riconosciuto come autentico dal Vescovo di Roma.
Ma che Chiesa è quella che si appresta a ricevere il Papa? Quella bresciana è una Chiesa ricca sia per il suo passato che per le ricchezze presenti. Lo è dal punto di vista umano, per la sua capacità creativa, la sua grande disponibilità al lavoro. Ma è ricca anche dal punto di vista cristiano per la presenza di santi, di istituzioni nate in ambito cristiano, per un impegno laicale diffuso dal punto di vista organizzativo e da quello culturale. La nostra è anche una Chiesa che conosce la sofferenza, che ha vissuto e vive momenti di fatica e che ha davanti a sé la prospettiva di un futuro con problemi grandi, importanti nodi da affrontare a partire da quello delle vocazioni e dell'inserimento del Vangelo dentro ad un modulo di vita divenuto per molti aspetti pagano. una Chiesa, dunque, che ha davanti a sé sfide importanti.
Abbiamo però delle radici profonde per rispondere a queste istanze. Tra queste il dono che Brescia ha fatto alla Chiesa universale di Paolo VI. Naturalmente Benedetto XVI arriva qui nel ricordo di Papa Montini e la Chiesa bresciana è fiera di poter vantare Paolo VI fra i suoi figli. Una fierezza, però, che è alimentata anche dalla dimensione della fedeltà e che si esprime in una serie di istituzioni, di attenzioni pensate per custodirne la memoria e per farne conoscere i lineamenti. Un'opera meritoria perché, per quella che è la mia conoscenza, Paolo vi è forse uno dei Papi meno conosciuti, meno familiari per quel che riguarda il suo vissuto e i valori che hanno mosso le sue scelte. Quella bresciana è una Chiesa che cerca di custodire questa memoria e di divulgarla. Certo a volte è un impegno che costa un po' di fatica, perché quello dell'attenzione a Paolo VI non è un movimento popolare diffuso. un movimento grande, ma non ancora generale. Uno degli obiettivi che potremmo porci è proprio quello di fare in modo che questo movimento diventi popolare, perché nella vita e nella spiritualità di Paolo VI ci sono elementi straordinari che sono stimolanti per una crescita personale e comunitaria.
L'arrivo di Papa Ratzinger ce lo rammenta ulteriormente in nome di un legame profondo tra questi due pontefici, un legame che parte da lontano. Paolo VI ha sempre cercato, negli anni del suo pontificato, la vicinanza di teologi che sapessero esprimere la realtà del Concilio e quindi l'annuncio del Vangelo nel mondo contemporaneo, un mondo culturalmente cambiato, indifferente alla Chiesa. Credo che con la nomina di Joseph Ratzinger ad arcivescovo di Monaco, Paolo VI volesse proprio perseguire questo obiettivo. Non tutti i punti di riferimento, che pensava di avere individuato, avevano fornito risposte soddisfacenti in merito alla custodia della piena fedeltà alla tradizione, che Paolo VI ha sempre cercato di vivere. Da questo punto di vista il vescovo Ratzinger rispondeva alle attese del Papa bresciano. L'elezione del cardinale Ratzinger al soglio pontificio porta in qualche modo a compimento il sogno di Paolo VI di un annuncio del Vangelo a una società in continua trasformazione, con la fedeltà alla tradizione, ma anche con la capacità di confrontarsi con i temi e le sfide culturali di oggi. È un atteggiamento che Joseph Ratzinger ha sempre avuto e che porta avanti ancora oggi come successore di Pietro.
Infine, forse, si può aggiungere che l'accoglienza al Papa potrà diventare l'occasione di confrontarsi con lui come persona, con il suo insegnamento, con la sua visione dell'uomo e della vita. Il dialogo serio con una persona intelligente è sempre fecondo, che si condividano o no le certezze. Questo Papa è da sempre in dialogo col mondo contemporaneo; un dialogo a volte duro come dev'essere il dialogo di chi ha convinzioni forti e cerca di viverle con coerenza. Ma certo un dialogo umano, che fa perno sulla ragione, non sull'interesse; sul confronto delle motivazioni, non sull'imposizione della forza. Anche questo può rivelarsi un guadagno.
Siamo quindi nell'atteggiamento di voler regalare domenica al Papa una giornata serena. In questo incontro forse non riusciremo a offrirgli un'immagine perfetta della nostra Chiesa. Siamo però in grado di mostrargli una Chiesa viva, che crede sinceramente nel Vangelo, che ama il Signore, che cerca di crescere vincendo le sue paure e le sue inconsistenze. Poi sarà il Papa ad aiutarci annunciandoci il Vangelo di Gesù. Ascoltare questo Vangelo rivolto proprio a noi dal successore di Pietro sarà un'esperienza di consolazione e di gioia, sia per quello che il Papa ci dirà, sia perché potremo vedere in lui, nella sua presenza, il compimento della promessa del Signore risorto:  "Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo". Non c'è bisogno di altro per desiderare l'incontro con Papa Benedetto.



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08/11/2009 13:09

Benedetto XVI: "Il mondo ha bisogno di una chiesa povera e libera"

Brescia

Occorre pregare e lavorare "perché nasca un mondo fraterno in cui ognuno non viva per sé ma per gli altri": lo ha detto papa Benedetto XVI rivolgendo un saluto fuori programma alla piccola folla raccolta fuori dalla chiesa parrocchiale di Botticino Sera (Brescia) conclusa una breve visita alle spoglie di Sant'Arcangelo Tadini. Il pontefice ha così voluto anticipare alcuni temi che potrebbero costituire alcune delle chiavi di questa visita pastorale, quelli della carità e della solidarietà. Il Papa ha ringraziato i fedeli che lo attendevano nonostante la pioggia fuori dalla chiesa, per l' "accoglienza calorosa", segno - ha detto - di una "chiesa viva". A loro ha rivolto infine un saluto, una benedizione e l'augurio di buona domenica.

Preghiera a Piazza della Loggia Benedetto XVI durante il suo percorso in papamobile tra la parrocchia di Botticino Sera e il Duomo di Brescia si è fermato in Piazza della Loggia, davanti alla Stele che ricorda le otto vittime della strage del 28 maggio 1974. Una bomba fu fatta esplodere durante una manifestazione antifascista ed è tuttora in corso un processo che vede imputati alcuni militanti di Ordine Nuovo. Il Papa non è sceso dalla papamobile ma l'ha fatta fermare davanti alla targa, si è alzato in piedi, si è raccolto in preghiera ed ha fatto il gesto della benedizione.

Una chiesa "povera e libera", "così dev'essere la comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all'umanità contemporanea" ed essere vicina alle sfide di oggi: crisi economica, immigrazione, educazione dei giovani. Lo ha detto papa Benedetto XVI nell'omelia della messa celebrata nel Duomo di Brescia, culmine di una sua visita pastorale nella diocesi. Parole riprese dal testamento spirituale di Paolo VI, al quale Ratzinger renderà omaggio qui e nella sua città natale, di cui ha sottolineato l'attualità. "L'incontro e il dialogo della Chiesa con l'umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore di Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita". E dedicò tutte le sue energie - ha ricordato Ratzinger "al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l'uomo contemporaneo possa incontrare Lui, perché di lui ha assoluto bisogno".

La "questione della Chiesa", del suo "disegno di salvezza" e del suo "rapporto col mondo", che tanto stava a cuore a Paolo VI, è anche oggi "assolutamente centrale" Citando parole dell'enciclica montiniana Ecclesiam suam, papa Ratzinger ha indicato tre concetti, "coscienza, rinnovamento, dialogo", che, a suo giudizio dovrebbero ispirare le relazioni tra Chiesa e "mondo moderno". La Chiesa dovrebbe, cioé, approfondire la "coscienza di se stessa", poi rinnovarsi guardando a Cristo, infine, coniugare la coscienza teologica con la vita vissuta. il che presuppone - ha detto - "una robusta vita interiore". Un rapporto, quello tra chiesa e mondo, che "gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione" hanno reso - ha sottolineato il papa - "ancora più radicale, nel confronto con l'oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane dall'altra".

Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera" anche se "tanti si aspettano" da lui "gesti clamorosi, interventi energici e decisivi": è uno dei tanti passaggi di Paolo VI citati da Benedetto XVI. La citazione è presa da un discorso del 1968 al Seminario lombardo, "mentre le difficoltà del post-concilio - ha ricordato Ratzinger - si sommavano con i fermenti del mondo giovanile".
"Il Papa - disse allora Paolo VI, ripreso oggi da Benedetto XVI - non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro. Sarà lui a sedare la tempesta". "Non si tratta tuttavia di un'attesa sterile o inerte - aggiungeva - bensì di attesa vigile nella preghiera. E' questa la condizione che Gesù ha scelto per noi", e "anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera".

L'importanza del celibato dei sacerdoti è stata sottolineata da Benedetto XVI che si è rivolto anche ai preti e ai seminaristi. Sul tema, particolarmente attuale nell'attesa dell' annunciata Costituzione apostolica per gli anglicani che potrebbe ammettere in qualche forma anche se con molti limiti il matrimonio per i sacerdoti, Paolo VI aveva scritto un'enciclica, che Benedetto XVI ripropone in questo Anno sacerdotale. "Preso da Cristo Gesù fino all'abbandono di tutto se stesso a lui - questo il passaggio dell'enciclica citato oggi da Benedetto XVI - il sacerdote si configura più perfettamente a Cristo anche nell'amore col quale l'eterno sacerdote ha amato la Chiesa suo corpo, offrendo tutto se stesso per lei...La verginità consacrata dei sacri ministri - ha aggiunto sempre citando Paolo VI - manifesta infatti l'amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e skoprannaturale fecondità di questo connubio".

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VATICANO

Papa: “centrale” per la Chiesa il rapporto col modo secolarizzato


In visita a Brescia, a 30 anni dalla morte di Paolo VI, Benedetto XVI ricorda parole ed esempio di papa Montini. Una Chiesa “povera, e cioè libera” che, allora come oggi, deve avere e cercare "coscienza", "rinnovamento" e "dialogo". E : “tanti – disse – si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro”.

Brescia (AsiaNews)

La “questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo” è “assolutamente centrale”, come diceva papa Paolo VI, anzi è resa ancora più “radicale” oggi, a causa degli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione, “nel confronto con l’oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall’altra”.
A 30 anni dalla morte di Paolo VI, Benedetto XVI, in visita a Brescia e Concesio, paese natale di papa Montini, che alla Chiesa “ha consacrato tutta la sua vita”, ha sottolineato le sfide che al mondo d’oggi la Chiesa, in tutte le sue componenti, si trova di fronte e l’importanza che essa ha “per la salvezza dell’umanità e, al tempo stesso, l’esigenza che tra la Comunità ecclesiale e la società si stabilisca un rapporto di mutua conoscenza e di amore”. Una Chiesa “povera, e cioè libera”, come la definì papa Montini, e che, allora come oggi, deve avere e cercare "coscienza", "rinnovamento" e "dialogo".
Alle quasi 15mila persone che sono riuscite ad avere posto in una piazza Paolo VI completamente piena, malgrado la pioggia, (nella foto) durante la messa Benedetto XVI - con voce un po' roca - ha, tra l’altro, citato alcuni passi del Pensiero alla morte dello scomparso papa, là dove dice: "E alla Chiesa, a cui tutto devo e che fu mia, che dirò? Le benedizioni di Dio siano sopra di te; abbi coscienza della tua natura e della tua missione; abbi il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità; e cammina povera, cioè libera, forte ed amorosa verso Cristo". “Che cosa si può aggiungere - ha proseguito Bemedetto XVI - a parole così alte ed intense? Soltanto vorrei sottolineare quest’ultima visione della Chiesa ‘povera e libera’, che richiama la figura evangelica della vedova. Così dev’essere la Comunità ecclesiale, per riuscire a parlare all’umanità contemporanea”. Ciò stava particolarmente a cuore a papa Montini, che “ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l’uomo contemporaneo possa incontrare Lui, perché di Lui ha assoluto bisogno. Questo è l’anelito di fondo del Concilio Vaticano II, a cui corrisponde la riflessione del Papa Paolo VI sulla Chiesa”.
“Cari amici – e mi rivolgo in modo speciale ai Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio –, come non vedere che la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l’hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l’oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall’altra? La riflessione di Papa Montini sulla Chiesa è più che mai attuale; e più ancora è prezioso l’esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo”.
Benedetto XVI, ha citato poi l’enciclica Ecclesiam suam "Il mistero della Chiesa – leggiamo – non è semplice oggetto di conoscenza teologica, dev’essere un fatto vissuto, in cui ancora prima di una sua chiara nozione l’anima fedele può avere quasi connaturata esperienza" (ibid., p 229, n. 178).
Questo presuppone una robusta vita interiore, che è "la grande sorgente della spiritualità della Chiesa, modo suo proprio di ricevere le irradiazioni dello Spirito di Cristo, espressione radicale e insostituibile della sua attività religiosa e sociale, inviolabile difesa e risorgente energia nel suo difficile contatto col mondo profano" (ibid., p. 231, n. 179)”.
“In questo Anno Sacerdotale - ha aggiunto - mi piace sottolineare come essa interessi e coinvolga in modo particolare i sacerdoti, ai quali Papa Montini riservò sempre un affetto e una sollecitudine speciali”. Ai sacerdoti e ai seminaristi, Benedetto XVI ricordando quanto papa Montini scrisse nell’enciclica sul celibato sacerdotale ha detto che “la verginità consacrata dei sacri ministri manifesta infatti l’amore verginale di Cristo per la Chiesa e la verginale e soprannaturale fecondità di questo connubio" (Sacerdotalis caelibatus, 26)”.
E, ancora, citando un discorso agli alunni del Seminario Lombardo del 7 dicembre 1968”, mentre le difficoltà del post-Concilio si sommavano con i fermenti del mondo giovanile: ‘Tanti – disse – si aspettano dal Papa gesti clamorosi, interventi energici e decisivi. Il Papa non ritiene di dover seguire altra linea che non sia quella della confidenza in Gesù Cristo, a cui preme la sua Chiesa più che non a chiunque altro.
Sarà Lui a sedare la tempesta… Non si tratta di un’attesa sterile o inerte: bensì di attesa vigile nella preghiera. È questa la condizione che Gesù ha scelto per noi, affinché Egli possa operare in pienezza. Anche il Papa ha bisogno di essere aiutato con la preghiera’ (Insegnamenti VI, [1968], 1189)”.
. Ai laici, poi, cui Paolo VI ha dedicato tanta parte del suo insegnamento, Benedetto XVI ha ricordato che si possono “trovare indicazioni sempre preziose per affrontare le sfide del presente, quali, soprattutto, la crisi economica, l'immigrazione, l'educazione dei giovani'
All’Angelus, infine, ancora dedicato alla figura di Paolo VI, Benedetto XVI ne ha sottolineato l’amore per Maria. “Via via che le sue responsabilità ecclesiali aumentavano – ha detto - egli andava infatti maturando una visione sempre più ampia ed organica del rapporto tra la Beata Vergine Maria e il mistero della Chiesa. In tale prospettiva, rimane memorabile il Discorso di chiusura del 3° Periodo del Concilio Vaticano II, il 21 novembre 1964. In quella sessione venne promulgata la Costituzione sulla Chiesa Lumen gentium, che – sono parole di Paolo VI – ‘ha come vertice e coronamento un intero capitolo dedicato alla Madonna’”. “In quel contesto proclamò Maria Santissima ‘Madre della Chiesa’, sottolineando, con viva sensibilità ecumenica, che ‘la devozione a Maria… è mezzo essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e così congiungerle al Padre, nell’amore dello Spirito Santo’”.

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“La Chiesa sia segno luminoso di speranza per l'umanita' del Terzo millennio'': così Benedetto XVI, che a Brescia ricorda parole di Papa Montini sulla Chiesa “povera e libera” e il suo rapporto con il mondo

E’ festa nella diocesi di Brescia che oggi accoglie il Papa alla sua prima visita pastorale a trent’anni dalla morte di Paolo VI e in omaggio a san’Arcangelo Tadini. Dal mattino presto, sfidando la pioggia, migliaia di fedeli si sono disposti lungo il tragitto della papa-mobile che ha portato Benedetto XVI dallo scalo militare di Ghedi, dove è giunto alle 9.30 salutato dalle autorità, a Botticino sera.
”Vogliamo il papa” hanno scandito i bambini mentre il pontefice entrava nel santuario per una preghiera davanti alle spoglie di Tadini, una figura che, ha detto benedetto XVI alla comunità parlando a braccio “invita tutti ad amare Dio e a lavorare per un mondo fraterno nel quale ognuno vive non per sé ma per gli altri”.Poi la partenza per Brescia, dove durante la Messa il Papa ha ricordato Paolo VI e il suo amore per una Chiesa forte, radicata in Cristo e quindi vicina all’uomo, modello per il dialogo col mondo contemporaneo. Il servizio della nostra inviata Gabriella Ceraso.


La Chiesa sia segno luminoso di speranza per l’umanità” è la preghiera rivolta dal Papa a Maria nel ricordo di Paolo VI. Ad ascoltarlo 12mila fedeli, nella piazza intitolata al Papa bresciano. Molti di più quelli per le strade del centro della città e in piazza Loggia dove Benedetto XVI ha sostato in preghiera, come in passato Giovanni Paolo II, davanti la stele ricordo della strage del 1974. Quindi l’arrivo sul sagrato del Duomo tra tantissimi applausi, volti sorridenti e centinaia di bandierine bianche e gialle, sulle note del Tu es Petrus…

Sul palco bianco posto sul sagrato del Duomo, le parole del vescovo mons Luciano Monari: “Santità - ha detto - ci faccia sentire l’ardore con cui dobbiamo vivere l’esaltante vocazione cristiana". Poi il saluto del sindaco Adriano Pàroli che ha rinnovato la fedeltà alla tradizione bresciana fatta di fede e giustizia sociale. Prima della Messa nella cattedrale seicentesca altri incontri: il Papa sfila davanti al monumento di Paolo VI e si ferma con i malati, i seminaristi e le claustrali. Poi il solenne inizio del rito col clero bresciano.

“E’ una gioia spezzare il pane qui dove nacque e si formò il servo di Dio Giovan Battista Montini” dice con affetto il Papa alla folla, con cui medita sul mistero della Chiesa a partire dall’icona evangelica della vedova povera che getta nel tesoro del Tempio gli ultimi spiccioli che le rimangono. La Chiesa, spiega il Papa, è un’organismo spirituale concreto, che prolunga nel tempo e nello spazio l’oblazione del figlio di Dio, un sacrificio decisivo agli occhi del Padre, in cui è condensato tutto l’amore divino, come è concentrato nel gesto della vedova tutto il suo amore per Dio e per i fratell:

“La Chiesa, che incessantemente nasce dall’Eucaristia, è la continuazione di questo dono, di questa sovrabbondanza che si esprime nella povertà, del tutto che si offre nel frammento. È il Corpo di Cristo che si dona interamente, Corpo spezzato e condiviso, in costante adesione alla volontà del suo Capo. Sono lieto che stiate approfondendo la natura eucaristica della Chiesa, guidati dalla Lettera pastorale del vostro Vescovo”

Questa è la Chiesa che il Servo di Dio Paolo VI ha amato e cercato di far comprendere, di cui, con cuore palpitante scriveva di voler comprendere tutto, storia destino, sofferenze, sforzo di perenne fedeltà, di volerla abbracciare e amare in ogni sua componente. A lei guardava, prosegue, come la sposa di tutta la vita e a lei lasciava in punto di morte l’invito ad avere il senso dei bisogni veri e profondi dell’umanità e a “camminare povera cioè libera, forte e amorosa verso Cristo”.

Così deve essere la comunità ecclesiale per riuscire a parlare all’umanità contemporanea. L’incontro e il dialogo della Chiesa con l’umanità di questo nostro tempo stavano particolarmente a cuore a Giovanni Battista Montini in tutte le stagioni della sua vita, dai primi anni di sacerdozio fino al Pontificato. Egli ha dedicato tutte le sue energie al servizio di una Chiesa il più possibile conforme al suo Signore Gesù Cristo, così che, incontrando lei, l’uomo contemporaneo possa incontrare Lui, perché di Lui ha assoluto bisogno.

Questo, spiega il Papa, è l’anelito di fondo del Concilio Vaticano II e anche la riflessione di Paolo VI sulla Chiesa, come espressa nell’Enciclica Ecclesiam suam. Chiesa che voleva basata sulla coscienza di sé, bisognosa di rinnovamento sul modello di Cristo, e in relazione con il mondo esterno. Quindi l’appello al clero bresciano.

Come non vedere che la questione della Chiesa, della sua necessità nel disegno di salvezza e del suo rapporto con il mondo, rimane anche oggi assolutamente centrale? Che, anzi, gli sviluppi della secolarizzazione e della globalizzazione l’hanno resa ancora più radicale, nel confronto con l’oblio di Dio, da una parte, e con le religioni non cristiane, dall’altra? La riflessione di Papa Montini sulla Chiesa è più che mai attuale; e più ancora è prezioso l’esempio del suo amore per lei, inscindibile da quello per Cristo.

Il mistero della Chiesa, continua il Papa, citando l’Ecclesiam suam, deve essere un fatto vissuto, un’esperienza per l’anima e non un semplice oggetto di conoscenza teologica e ciò presuppone una robusta vita interiore. Ed è qui che l’omaggio a Paolo VI si fa esplicito:

Carissimi, che dono inestimabile per la Chiesa la lezione del Servo di Dio Paolo VI! E com’è entusiasmante ogni volta rimettersi alla sua scuola! È una lezione che riguarda tutti e impegna tutti, secondo i diversi doni e ministeri di cui è ricco il Popolo di Dio, per l’azione dello Spirito Santo.

In particolare, nell’anno sacerdotale, il Papa ricorda la lezione di Paolo VI ai seminaristi e ai sacerdoti presenti. Prima sul celibato: “verginità consacrata”, dice "come amore verginale di Cristo fu quello per la Chiesa”, poi incoraggiandoli a confidare, come faceva Paolo VI anche nei difficili Anni 60 solo in Gesù Cristo per il futuro della Chiesa, in un atteggiamento di attesa vigile nella preghiera unica condizione perché Dio operi in pienezza. Al termine dell’omelia poi il saluto ai Consacrati e ai fedeli laici bresciani vitali nella fede e nelle opere.

Negli Insegnamenti di Paolo VI, cari amici bresciani, voi potete trovare indicazioni sempre preziose per affrontare le sfide del presente, quali, soprattutto, la crisi economica, l’immigrazione, l’educazione dei giovani.

Il servo di Dio Giovan Battista Montini torna anche nelle parole del Papa all’Angelus per la profonda devozione che egli nutriva per la Vergine cui affidò il suo sacerdozio e su cui maturò nel tempo, dice il Papa, la visione di Madre della Chiesa. E proprio a lei che orienta le anime a Cristo il Pontefice affida il popolo lombardo prima di congedarsi con la solenne benedizione.

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PAPA: SU MADRE CHIESA PAOLO VI MOSTRO' SENSIBILITA' ECUMENICA

Salvatore Izzo

(AGI) - Brescia, 8 nov.

Al termine della messa celebrata in piazza Duomo, Benedetto XVI ha voluto ricordare oggi che Paolo VI volle proclamare la Vergine Maria, alla fine del Concilio Ecumenico Vaticano II, "Madre della Chiesa".
Gesto compiuto, ha tenuto a rimarcare il successore tedesco del Papa bresciano, "con viva sensibilita' ecumenica", affermando che "la devozione a Maria e' mezzo essenzialmente ordinato ad orientare le anime a Cristo e cosi' congiungerle al Padre, nell'amore dello Spirito Santo".
"Giovanni Battista Montini - ha aggiunto rivolto ai 12 mila fedeli di Brescia - celebro' la sua prima messa nel Santuario di Santa Maria delle Grazie, cuore mariano della vostra citta', non molto lontano da questa Piazza. In tal modo, pose il suo sacerdozio sotto la materna protezione della Madre di Gesu', e questo legame lo ha accompagnato per tutta la vita. Via via che le sue responsabilita' ecclesiali aumentavano, egli andava infatti maturando una visione sempre piu' ampia ed organica del rapporto tra la Beata Vergine Maria e il mistero della Chiesa". In proposito il Papa tedesco, allora perito conciliare, ha citato il "memorabile" discorso di chiusura del terzo periodo del Concilio Vaticano II, nel quale Paolo Vi disse che la "Lumen gentium", la costituzione conciliare sulla Chiesa, "ha come vertice e coronamento un intero capitolo dedicato alla Madonna" che rappresenta "la piu' ampia sintesi di dottrina mariana, mai elaborata da un Concilio Ecumenico, finalizzata a 'manifestare il volto della santa Chiesa, alla quale Maria e' intimamente congiunta'". "Facendo eco alle parole di Paolo VI, anche noi oggi - ha concluso Ratzinger - preghiamo: O Vergine Maria, Madre della Chiesa, a Te raccomandiamo questa Chiesa bresciana e l'intera popolazione di questa regione. Ricordati di tutti i tuoi figli; avvalora presso Dio le loro preghiere; conserva salda la loro fede; fortifica la loro speranza; aumenta la carita'. O clemente, o pia, o dolce Vergine Maria".

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PAPA A BRESCIA: UN'ORA DI RITARDO SUL PROGRAMMA PREVISTO

Salvatore Izzo

(AGI) - Brescia, 8 nov. -

A causa della pioggia, che ha imposto ritmi piu' lenti ai trasferimenti, e della lunga e impegnativa omelia pronunciata in piazza Duomo, Benedetto XVI ha accumulato nella sua mattinata a Brescia un'ora di ritardo sugli orari del programma previsto. Cosi' l'Angelus viene pronunciato alle 13.

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09/11/2009 06:28

Papa/ Colloquio tra Ratzinger e card. Martini a pranzo a Brescia

Con Tettamanzi, Poupard e Re. Letta e Gelmini a centro Paolo VI


Il Papa ha pranzato, tra gli altri, in compagnia del cardinale Carlo Maria Martini, nel corso della sua visita a Brescia. L'arcivescovo emerito di Milano, noto biblista, era seduto accanto a Benedetto XVI e - a quanto riferito - ha discorso a lungo con il Papa.
Oltre al porporato gesuita, hanno pranzato con il Papa, presso il centro Paolo VI, anche il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo attuale di Milano, il cardinale bresciano Giovan Battista Re, presidente della Congregazione dei vescovi, e il cardinale Paul Poupard, presidente emerito del pontificio consiglio per la Cultura. Trasferitosi poi nella vicina Concesio, Benedetto XVI ha visitato la casa natale di Papa Montini. Il Papa ha poi inaugurato il nuovo centro Paolo VI. Ad ascoltare il discorso di Ratzinger, incentrato sui temi dell'educazione e dei giovani, erano presenti, tra gli altri, il ministro della Pubblica istruzione Maria Stella Gelmini, bresciana, e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta.

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