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IL PRIMATO DI ROMA PER L’ORIENTE ORTODOSSO NEL PRIMO MILLENNIO

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2009 09:45
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03/11/2009 09:34

IL PRIMATO DI ROMA PER L’ORIENTE ORTODOSSO NEL PRIMO

MILLENNIO

Prof. Enrico Morini1

Ricordiamo tutti il viaggio del papa in Grecia nel maggio 2001 e forse anche

le polemiche che questa iniziativa suscitò all’interno della stessa gerarchia della

Chiesa greco-ortodossa. La decisione, alla fine favorevole, fu preceduta da un

articolo del metropolita Callinico del Pireo, nella quale questo presule, padre

spirituale dell’arcivescovo di Atene, spiegava ai suoi fedeli le ragioni del suo no:

il papa non era un pellegrino qualunque, bensì “un uomo di Chiesa che pretende

un potere universale (
kosmokratoria)”. Kosmokrator, cioè “che tiene in mano il

cosmo”, è una prerogativa di Dio, da Lui demandata temporaneamente al Cristo

(«Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra»: Mt. 28, 18). Che un uomo,

anche se di Chiesa, la rivendichi è un peccato di superbia, il «grande peccato»

del salmo 19 (18), 14. È la negazione dell’essenza stessa del cristianesimo,

fondato sull’umiltà, sulla primazialità come servizio («Chi vuol essere il prima

tra voi sia vostro servo; chi vuol essere grande sia l’ultimo di tutti». Su questi

presupposti ideologici, nei momenti di più accesa polemica con il cattolicesimo

– proprio in quel periodo, XVII-XVIII secolo, che vede il proselitismo cattolico

insinuarsi nel mondo ortodosso, con lo strumento, sino ad allora inusitato delle

unioni parziali con Chiese ortodosse locali o della costituzione di gerarchie di

rito orientale per i fedeli individualmente convertiti (fenomeni entrambi che

vanno sotto il nome di uniatismo) – si arriva, da parte ortodossa, ad attribuire al

papato la funzione dell’Anticristo. Temo proprio che molti dei monaci e delle

monache che hanno sfilato nel 2001 per le vie di Atene e di Kiev, in occasione

delle rispettive visite del papa in quelle città, brandendo crocifissi, icone,

stendardi di parrocchie e monasteri o striscioni da stadio inneggianti

all’Ortodossia, la pensassero ancora così. Ecco allora il dramma delle due

Chiese sorelle che, condannando l’una la superbia del papa romano che aspira

alla
kosmokratoria, l’altra la superbia Graecorum – come si esprimevano i

polemisti latini medioevali – che non piegano la dura cervice a riconoscere le

prerogative di governo episcopale su tutta la Chiesa del successore di Pietro, si

accusano vicendevolmente del peccato luciferino di un orgoglio smodato.

Questa comunque è la percezione che l’Ortodossia ha oggi del papato.

Ovviamente c’è modo e modo di esprimerla: ma anche il patriarca Dimitrios I,

successore di Atenagora sul trono primaziale dell’Ortodossia e solerte

continuatore delle aperture ecumeniche del suo indimenticabile predecessore, si

premurò di precisarlo, nel suo discorso di intronizzazione del luglio 1972,

mentre il mondo cristiano ascoltava con il fiato sospeso, chiedendosi chi fosse

costui: nessun vescovo nella Chiesa – si espresse più o meno - è, per diritto

divino, superiore ad un altro e le gerarchie sapientemente stabilite tra patriarchi,

arcivescovi, metropoliti e vescovi, sono state decise dalla Chiesa, sono di diritto

ecclesiastico.

Ma è sempre stato così? Ecco che anche la storia, oltre alla filosofia, si fa

ancilla theologiae. Un confronto meramente teologico non farebbe che

riproporre all’infinito la contrapposizione delle rispettive argomentazioni,

entrambe supportate dalle classiche – e non probanti per la controparte - autorità

bibliche e patristiche. Nell’ausilio invece dell’indagine storica, la prassi può

illuminare la teoria ed anzi credo che proprio nell’esperienza del passato stia la

chiave per risolvere nel futuro, quando Dio vorrà, i problemi del presente.

Si può pertanto dire che, se la teologia divide, la storia unisce (nonostante

proprio le vicende del passato abbiano messo in luce tanta ostilità, tanta

supponenza, tanti pregiudizi, tante chiusure mentali dall’una e dall’altra parte).

Infatti all’attivo della storia, se così si può dire, c’è l’esperienza di comunione

del primo millennio, quando le specificità teologiche e le peculiarità

ecclesiologiche delle due parti della cristianità si erano già manifestate, senza in

alcun modo compromettere l’unità della Chiesa.

Di storia allora io parlerò questa sera - io che cerco di fare lo storico e non

vanto assolutamente competenze teologiche – nell’intento di ricostruire,

attraverso la testimonianza delle fonti, la concezione che la cristianità ortodossa

ha mostrato di avere, in ordine alla posizione del vescovo di Roma nella Chiesa

universale, nel corso del primo millennio, quando le due Chiese vivevano ancora

in piena comunione canonica e sacramentale. Non tratterò, si badi bene, della

concezione ortodossa del primato di Pietro e della sua trasmissibilità, che è un

tema prettamente teologico, anche se qualche spunto teorico al riguardo sarà

indirettamente evidenziato nelle testimonianze relative alla prassi che verremo

presentando.

1 Docente di Storia e Istituzioni della Chiesa Ortodossa presso l’Università di Bologna e diacono permanente

della Chiesa bolognese

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