riproporre all’infinito la contrapposizione delle rispettive argomentazioni,
entrambe supportate dalle classiche – e non probanti per la controparte - autorità
bibliche e patristiche. Nell’ausilio invece dell’indagine storica, la prassi può
illuminare la teoria ed anzi credo che proprio nell’esperienza del passato stia la
chiave per risolvere nel futuro, quando Dio vorrà, i problemi del presente.
Si può pertanto dire che, se la teologia divide, la storia unisce (nonostante
proprio le vicende del passato abbiano messo in luce tanta ostilità, tanta
supponenza, tanti pregiudizi, tante chiusure mentali dall’una e dall’altra parte).
Infatti all’attivo della storia, se così si può dire, c’è l’esperienza di comunione
del primo millennio, quando le specificità teologiche e le peculiarità
ecclesiologiche delle due parti della cristianità si erano già manifestate, senza in
alcun modo compromettere l’unità della Chiesa.
Di storia allora io parlerò questa sera - io che cerco di fare lo storico e non
vanto assolutamente competenze teologiche – nell’intento di ricostruire,
attraverso la testimonianza delle fonti, la concezione che la cristianità ortodossa
ha mostrato di avere, in ordine alla posizione del vescovo di Roma nella Chiesa
universale, nel corso del primo millennio, quando le due Chiese vivevano ancora
in piena comunione canonica e sacramentale. Non tratterò, si badi bene, della
concezione ortodossa del primato di Pietro e della sua trasmissibilità, che è un
tema prettamente teologico, anche se qualche spunto teorico al riguardo sarà
indirettamente evidenziato nelle testimonianze relative alla prassi che verremo
presentando.
1 Docente di Storia e Istituzioni della Chiesa Ortodossa presso l’Università di Bologna e diacono permanentedella Chiesa bolognese