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IL PRIMATO DI ROMA PER L’ORIENTE ORTODOSSO NEL PRIMO MILLENNIO

Ultimo Aggiornamento: 03/11/2009 09:45
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03/11/2009 09:39

b. Scenari da Pentarchia

La più straordinaria tra le forme non ordinarie di esercizio del governo

pentarchico della Chiesa è indubbiamente rappresentata dai viaggi dei papi a

Costantinopoli, anche se, a dire il vero, nel secondo quarto del VI secolo -

proprio all'inizio pertanto della Pentarchia in atto - essi avevano assunto una

cadenza decennale, divenendo quasi eventi periodici nell'ordinaria dinamica

ecclesiale. L'unità delle due Rome, mai compromessa sul piano ideale, si

esprime visibilmente, in questi eventi, nell'incontro del referente della regalità

con il più alto referente del sacerdozio e questo incontro si sostanzia di gesti

ideologicamente significativi, di celebrazioni liturgiche emblematiche, in cui i

presupposti ideologici e le concezione ecclesiologiche occasionalmente si

materializzano, dando vita a fugaci "scene da Pentarchia". Tutto in questi viaggi

sembra calibrato in base alla
taxis che sovrintende ai rapporti interni ai due

ordini giuridici (regalità e sacerdozio) e agli organigrammi ecclesiastici: è questa

la chiave di lettura più corretta dell'evento, al fine di evitare

strumentalizzazioni, o almeno fraintendimenti, dai quali non sembra immune

neppure la fonte romana più vicina ai fatti, il
Liber Pontificalis, così sollecita

nell'informarci sui particolari dell'accoglienza che la capitale riserva all'illustre

ospite.

L'accoglienza che «tutta la città» riserva a papa Giovanni I nel 526,

andandogli incontro al quindicesimo miglio con ceri e croce, è ascrivibile, più

che all'onore per gli apostoli Pietro e Paolo - come si premura di sottolineare il

Liber Pontificalis - al ruolo specifico del papa romano come «capo delsacerdozio». Si tratta di un vero e proprio adventus sacerdotale, parallelo, nella

valenza ideologica e nelle modalità esteriori, a quello imperiale, come fa

intendere anche la notazione della stessa fonte che la folla accorsa all'arrivo di

papa Vigilio nella capitale nel 546, lo accompagna a S. Sofia al canto

dell'acclamazione «Ecce advenit dominator Dominus».

Precisamente a questa sua qualifica, che lo pone al vertice della Pentarchia, si

deve che il sovrano gratifichi il papa della
proskynesis strettamente riservata allasua stessa persona. Così leggiamo - sempre nel Liber Pontificalis - che Giustino

nel 526 «adoravit beatissimum Iohannem papam» e Giustiniano II nel 711 «cum

segno in capite prostravit» davanti a papa Costantino I. In entrambi i casi non si

tratta di una professione d'umiltà, come interpretano i redattori romani -

«humiliavit se prorsus», si legge a proposito di Giustino e si parla di «tanta

humilitas boni principis» a proposito dell'analogo gesto del Rinotmeto - ma di

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un rituale attentamente calibrato nel quadro dei rapporti tra i due ordini giuridici

della regalità e del sacerdozio. In tale prospettiva si spiega anche la decisione di

Giustino di farsi incoronare «cum gloria» da papa Giovanni: pur avendo il

sovrano già ricevuto la corona dalle mani del patriarca ecumenico nel luglio

518, l'incoronazione da parte del «vertice del sacerdozio» rappresentava

logicamente l'
optimum normativo in ordine alla piena legittimazione del vertice

dell'impero.

Non meno indicative, in ordine, questa volta, alla scala gerarchica interna alla

Pentarchia, risultano le grandi celebrazioni liturgiche presiedute dal papa nella

sede stessa - o almeno nell'area di pertinenza - della giurisdizione patriarcale

della Nuova Roma, dalla liturgia pasquale celebrata da papa Giovanni I in S.

Sofia «plena voce romanis precibus» a quella officiata da papa Costantino I a

Nicomedia. Nel corso di essa il
princeps, Giustiniano II, si comunica «ab eius

manibus», a suggello di un quadro prettamente "sinfonico" in cui il titolare

dell'
imperium riceve il pane consacrato, in quanto primo dei fedeli, direttamente

dalle mani del primo dei sacerdoti, al quale peraltro ha ingiunto, in virtù delle

proprie prerogative, di raggiungerlo in Oriente.

Con l'arrivo del vescovo dell'Antica Roma nella Nuova, dove risiede un altro

« patriarca dell'ecumene » - papa Costantino I viene accolto al settimo miglio

dalla città, oltre che dal coimperatore Tiberio, anche dal patriarca Cirro -, si

verifica la compresenza, sia pure temporanea ed eccezionale, dei due più alti

referenti del sacerdozio. Alcuni eventi sino ad allora inusitati, verificatisi in

quelle occasioni e registrati dalle fonti coeve, anche costantinopolitane, ci

documentano un puntuale rispetto per l'organigramma interno alla Pentarchia.

Appena giunto nella capitale, papa Agapeto ottiene da Giustiniano la rimozione

del patriarca costantinopolitano Antimo, di orientamento teologico

anticalcedoniano, col pretesto della sua anticanonica traslazione dalla sede

metropolitana di Trebisonda. Quando a succedergli sarà eletto il prete e

xenodoco Mena, sarà il papa, come suo unico superiore nel sacerdozio, a

consacrarlo vescovo ed a intronizzarlo, al posto del metropolita di Eraclea, sulla

cattedra patriarcale della Grande Chiesa. Nella lettera di Agapeto al patriarca

Pietro di Gerusalemme il papa stesso non manca di sottolineare l'eccezionalità

dell'evento, richiamando le leggendarie consacrazioni di vescovi orientali

compiute dall'apostolo Pietro - dopo le quali l'Oriente cristiano non avrebbe più

avuto vescovi «consacrati dalla cattedra» petrina - ed enfatizzando la duplice

valenza del gesto, illustrante ad un tempo sia la dignità della sede del

consacrante sia le qualità personali del consacrato. È significativo che il termine

con cui, in questa stessa lettera, il papa definisce la natura del suo intervento

contro Antimo - «abbiamo rimesso in riga la tracotanza della cattedra che è in

Costantinopoli» -, sia stato ripreso letteralmente, proprio in ambito

costantinopolitano, nella
Vita breve del patriarca Mena, donde è passato in una

nota di Sinassario italo-greca dedicata a questo santo.

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Il quadro dei rapporti fra i titolari delle due Rome, in questo VI secolo ritmato

da così frequenti visite papali nella capitale, non appare più così idilliaco,

soprattutto nelle seriori fonti cronachistiche costantinopolitane che, con sguardo

retrospettivo, riferiscono i medesimi eventi. A proposito dell'arrivo di Giovanni

I a Costantinopoli, Teofane registra un contrasto con il patriarca Epifanio

proprio sull'ordine di precedenza: il papa rifiuta di assidersi su di un trono di

pari dignità con il presule costantinopolitano e pretende un posto che manifesti

la sua posizione primaziale. Il cronista dipende per questa notizia da uno scritto

costantinopolitano dell'inizio del secolo – siamo nel IX -, il cui autore, che si

presenta come un prete di nome Procopio, presente a Costantinopoli all'arrivo di

Giovanni I, avrebbe compilato questo testo proprio per dimostrare al papa che,

nonostante egli pretendesse la precedenza liturgica su Epifanio di

Costantinopoli, in realtà la Nuova Roma era ecclesiasticamente anteriore

all'Antica, in quanto Andrea aveva istituito Stachis protovescovo di Bisanzio

prima del protoepiscopato petrino a Roma. Secondo questa fonte

costantinopolitana il papa non avrebbe negato la priorità cronologica

dell'episcopato bizantino su quello romano, ma avrebbe però dichiarato che a

fondamento del primato romano non c'era la preesistenza come sede episcopale,

bensì la sua corrispondenza al ruolo primaziale del primo fra i primi degli

apostoli.

A loro volta le drammatiche vicende che contrassegnarono la permanenza di

Vigilio a Costantinopoli e che videro nel 551 il papa strappato a viva forza dalle

colonne dell'altare della chiesa di S. Pietro in Ormisda (dimora dell'apocrisiario)

e trascinato con la corda al collo, fino a sera, per le vie della capitale, sono

attribuite, in ambito costantinopolitano al risentimento di diverse controparti, a

seconda della sensibilità ecclesiologica del momento. L'antiocheno Giovanni

Malala, testimone degli eventi, pone l'episodio correttamente, anche se

vagamente, in relazione a contrasti con Giustiniano, che noi sappiamo relativi

alla condanna dei Tre Capitoli. Si sofferma poi a descrivere, a tinte assai vivaci,

come il messo imperiale abbia afferrato il papa per la barba e come questi, nella

sua resistenza, abbia divelto le colonne e trascinato l'altare nella sua caduta;

dopo il ritiro del papa a Calcedonia, sarà sempre l'imperatore, ad accogliere di

nuovo Vigilio nella capitale. Fonti costantinopolitane dell’inizio del IX secolo,

come il cronista Teofane, attribuiscono invece l'incidente, in modo

ecclesiologicamente significativo, ad un contrasto tra i due patriarchi, con una

motivazione che potrebbe apparire singolare se non corrispondesse ad un topos

scritturistico. Papa Vigilio a Costantinopoli si sarebbe infatti insuperbito,

proprio per gli onori tributatigli da Giustiniano, e si sarebbe spinto a

scomunicare il patriarca Mena, imponendogli una penitenza di quattro mesi,

mentre il presule costantinopolitano, come ritorsione, avrebbe imposto al papa

analoghe sanzioni.

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