"città di rifugio" dell'ortodossia perseguitata, come avevano teorizzato i teologi
iconofili. Per converso il patriarca Ignazio - nella sua lettera scritta al papa
Nicola I nell'868 e letta alla terza sessione del concilio - enfatizzava proprio
quest'ultimo aspetto, coniando per il papa di Roma una nuova metafora, quella
di medico («unum et singularem praecellentem atque catholicissimum
medicum») per il corpo divino-umano di Cristo, che è la Chiesa, in preda alla
febbre dell'eresia ed al disordine canonico-disciplinare.
Al concilio, riunitosi esattamente dieci anni dopo, si trovano a confronto non
già due ecclesiologie costantinopolitane, rispettivamente minimalista e
massimalista per quanto riguarda il primato romano, bensì quella più gelosa
delle prerogative patriarcali, ora propria dell'ambiente foziano, e l'ecclesiologia
romana, esposta però dai legati papali in termini comparativamente misurati. Il
successo di questo concilio d'unione è probabilmente dovuto all'incontro di due
diverse forme di moderatismo. L'approccio moderato di Fozio al problema del
primato romano è stato individuato da Frantisek Dvornik attraverso l'analisi
delle modifiche apportate - o meglio, non apportate - dalla cancelleria patriarcale
alle lettere papali arrivate in oriente, al momento della loro traduzione in greco.
Tale indagine, anche se condotta per via indiretta - in quanto considera non già
ciò che il patriarca dice, bensì ciò che lascia dire al papa - consente di pervenire
a conclusioni significative. Mentre infatti vengono puntualmente espunte le
censure papali nei confronti di Fozio, non altrettanto avviene per l'enfasi posta
dal papa, nella lettera all'imperatore, sulle prerogative della propria sede. Quella
di essere "a capo di tutte le Chiese" viene sì trasferita, nell'adattamento foziano,
dal papa a Pietro, ma nondimeno è conservata la rivendicazione, per il trono
apostolico romano, del potere petrino di legare e sciogliere, nonché l'universalità
dell'estensione del suo diritto d'intervento, «fin dove può senza incorrere nel
biasimo e nella condanna», in tutte le Chiese.
La lettura sostanzialmente minimalista del primato romano, affermatasi nella