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Intervista a mons. Fellay sugli incipienti colloqui dottrinali.

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    S_Daniele
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    00 12/10/2009 08:10
    Intervista a mons. Fellay sugli incipienti colloqui dottrinali.

    Dal sito ufficiale della Fraternità San Pio X,
    DICI, questa intervista a mons. Fellay rilasciata a Roodepoort, Sudafrica, tradotta a nostra cura. 

    - Con la revoca del decreto di scomunica, inizieranno le discussioni dottrinali tra Roma e la Fraternità S. Pio X. Qual è lo scopo di queste discussioni?

    L'obiettivo che si cerca di raggiungere con queste discussioni dottrinali è un importante chiarimento nell'insegnamento della Chiesa negli ultimi anni. In effetti, la Fraternità San Pio X, seguendo il suo fondatore Mons. Lefebvre, ha obiezioni serie sul Concilio Vaticano II. E ci auguriamo che le discussioni permetteranno di dissipare gli errori o le gravi ambiguità che da allora sono state diffuse a piene mani nella Chiesa cattolica, come lo stesso Giovanni Paolo II ha riconosciuto.

    - Quanto tempo queste discussioni dureranno? Quali saranno i punti principali che saranno trattati e come lo saranno?

    Non ho idea del tempo che prenderanno queste discussioni. Questo certamente dipenderà anche dalle aspettative di Roma. Esse possono prendere un tempo alquanto lungo.
    E questo, perché i temi sono vasti. Le nostre principali obiezioni sul Concilio, come la libertà religiosa, l’ecumenismo, la collegialità, sono ben noti. Ma altre obiezioni potrebbero essere poste, come l'influenza della filosofia moderna, le novità liturgiche, lo spirito del mondo e la sua influenza sul pensiero moderno che imperversa nella Chiesa.

    - Le due crociate del rosario hanno dato i loro frutti. Con riferimento al Motu Proprio del luglio 2007, quale dovrebbe essere il nostro atteggiamento nei confronti dei sacerdoti che ora celebrano la Messa tradizionale, anche se non esclusivamente perché dicono pur sempre la Messa nuova?

    Fondamentalmente, ogni volta che un prete vuole tornare alla Messa di sempre, abbiamo il dovere di avvicinarlo con un atteggiamento positivo; dovremmo gioirne e sperare che la Messa produca da sé i suoi frutti. Si vede già che questo avviene la maggior parte delle volte. Ci sono anche, naturalmente, dei sacerdoti che rimarranno indifferenti al rito antico. Il tempo ci mostrerà chi è serio in questo campo e chi non lo è

    - Quali consigli può dare ai fedeli riguardanti questi sacerdoti? Quale dovrebbe essere l'approccio dei laici nei loro confronti?

    I fedeli devono restare molto prudenti e non mettersi in situazioni troppo imbarazzanti. Devono consultare i nostri preti prima di rivolgersi a questi sacerdoti. Le circostanze sono così diverse: ogni sacerdote è diverso, e fino a quando non è chiaro che il ravvicinamento del sacerdote verso la Messa è autentico, i fedeli dovrebbero rimanere ben disposti, ma mantenendo un atteggiamento cauto.

    - A sua conoscenza, c’è ora un più gran numero di preti che celebrano esclusivamente la Messa di sempre?

    È difficile dare una risposta esatta, perché non c'è nessun rapporto ufficiale in proposito e perché molti di coloro che vorrebbero celebrare la Messa antica non osano. C’è in molti paesi una forte pressione dalla gerarchia per evitare questo ritorno. Molti preti devono dirla in segreto a causa di questa paura. Ritengo tuttavia che questo numero crescente rimanga ancora modesto.

    -La crisi della Chiesa è una crisi di fede. Ci vorrà tempo perché tutti i sacerdoti dicano esclusivamente ‘l’antica’ Messa. È corretto dire che, se anche se attraverso le discussioni dottrinali Roma tornasse alla pienezza della verità, ci sarebbe sempre una grande opposizione sulla Messa e sul Vaticano II?

    Occorre restare realisti. Il ritorno, la restaurazione della Chiesa richiederà tempo. La crisi che colpisce la Chiesa tocca tutti gli aspetti della vita cristiana. Uscire da questa situazione richiederà più di una generazione di impegni costanti nella giusta direzione. Forse un secolo. E questo significa che ci si deve attendere dell'opposizione. Ma speriamo che il peggio sia passato e che i segni di guarigione che si intravvedono oggi siano germi di realtà e non solo un sogno...

    - La collegialità è un disastro per la Chiesa. Non si può vedere nonostante tutto una lieve "crepa nel muro della collegialità" con il motu proprio del Papa Benedetto XVI e più recentemente con la revoca del decreto di scomunica?

    Infatti, queste decisioni sono davvero sue proprie. C'è un modo vero per comprendere la collegialità; Paolo VI ha aggiunto una "
    Nota praevia" per il documento sulla Chiesa, Lumen Gentium, in modo che la collegialità fosse capita bene. Il problema è che questa nota è come dimenticata. L'idea generale che si è diffusa e che pretende di ridurre sensibilmente il potere del Sommo Pontefice è un pericolo reale per la Chiesa e renderebbe impossibile il governo. Pertanto, i diversi atti presi "motu proprio" dal Papa sono buoni segnali di una volontà di governare personalmente e non collegialmente la Chiesa.

    - Ci sono state molte reazioni - per o contro – le decisioni del Papa, a tal punto che è stato costretto a scrivere una lettera di spiegazione per i Vescovi. E’ un fatto positivo che il Papa si sia trovato come "spalle al muro", per così dire?

    In realtà dipende sul punto di vista. L'autorità del Papa è davvero stata scossa dal tumulto di inizio anno. Non può essere considerato come un fatto positivo se non per l’effetto opposto che ciò dovrebbe generare a Roma, e che permette di capire chi ama la Chiesa e lavora per la sua edificazione e chi no.

    - Per la prima volta da quarant'anni vediamo l’autorità suprema della Chiesa rendersi conto che ci sono problemi d’ordine teologico, dottrinale. Il Papa non si rende conto che la "Chiesa conciliare" (per citare il cardinale-Benelli) e le sue riforme sono condannate e che è necessario un ritorno alla tradizione?

    Non sono ancora sicuro che tutti considerino le discussioni dottrinali in tale modo. Direi che per la maggior parte della gerarchia, queste discussioni sono necessarie, non per la Chiesa, ma per noi e il nostro "ritorno alla piena comunione", in modo che si adottino le novità. In effetti, ho l'impressione che ci troviamo di fronte ad una situazione molto delicata. La realtà della crisi è ammessa, ma non i rimedi. Noi diciamo, e lo si prova con i fatti, che la soluzione della crisi è un ritorno al passato. Benedetto XVI dice la stessa cosa: sottolinea l'importanza di non tagliare con il passato (ermeneutica della continuità), ma intende mantenere le novità del Concilio, considerando che non sono una rottura con il passato. Secondo lui sono nell’errore e nella rottura con il passato solo quelli che vanno oltre il Concilio. Questa è una questione delle più delicate.

    - La posizione del Papa sull’ecumenismo non ha l’aria di essere così entusiasta come quella del suo predecessore. Questo è dovuto al fatto che vede l’ecumenismo sotto un aspetto più teologico, opposto all’"ut unum sint" dalle conseguenze così disastrose per la Chiesa?

    Non credo che il Papa ritenga l’ecumenismo come un male. Egli ha caro il fatto che la Chiesa continui in questa direzione e ha persino affermato che era irreversibile... ma mi sembra voler far bene la differenza tra le diverse confessioni e favorire quelli più vicini come gli ortodossi anziché i protestanti.

    - Quest'anno stiamo celebrando i 25 anni della presenza della Fraternità in Africa e più precisamente al Priorato N.S. dei Dolori a Johannesburg. Quali consigli o incoraggiamenti può dare ai nostri parrocchiani a a tutti i fedeli del distretto d’Africa?

    Grazie a Dio per questo giubileo meraviglioso. In questi giorni di crisi, 25 anni è un grande risultato per il quale occorre rendere grazie. Ciò dimostra anche una grande fedeltà da parte dei fedeli. La fedeltà è una vera gloria. Essa implica ad un tempo la preservazione della fede e la fermezza, la perseveranza nella battaglia. Quindi, il migliore augurio che possa indirizzare loro - e a noi tutti anche - sarebbe ch’essi siano più che mai fedeli.

    dal blog Messainlatino.it
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    S_Daniele
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    00 25/10/2009 08:01
    Intervista concessa ieri da mons. Fellay al giornale argentino La Naciòn. Bisogna ben dire che in questo periodo il Superiore della Fraternità San Pio X è alquanto loquace; attitudine giusta, crediamo, poiché per vincere il cumulo di pregiudizi che gravano contro i lefebvriani è opportuno che la pubblica opinione possa conoscere meglio, e da fonte diretta, la FSSPX. Questa nuova intervista aggiunge un elemento nuovo e sommamente interessante: la previsione di massima della durata dei colloqui. Un anno non ci sembra un tempo lungo, considerata la difficoltà dei temi dottrinali in discussione; specie se pensiamo che mons. Tissier de Mallerais ha in passato sostenuto che di anni ne occorrono trenta... Al tempo stesso, una durata parecchio superiore potrebbe essere controproducente, perché tutte le discussioni troppo protratte finiscono per arenarsi; inoltre la Chiesa intera ha necessità urgente di documenti finali magisteriali che non servano solo, come speriamo, a consentire il rientro della FSSPX, ma anche a dirigere tutta la barca di Pietro definitivamente fuori dal maelstrom del postconcilio. Questi colloqui possono infatti servire a distillare quei tanto attesi chiarimenti sul Concilio invocati da mons. Brunero Gherardini.


    - Quanto tempo ritiene che durerà il dialogo con il Vaticano durerà?
    È difficile dire... In Vaticano parlano di un anno, almeno. Allora, significa un lungo tempo.

    - Il risultato di questo processo potrebbe essere l'integrazione definitiva della Fraternità nella Chiesa?
    Dobbiamo distinguere la discussione di temi dottrinali da quello che Lei chiama integrazione. Sono due cose parallele. Tuttavia, in Vaticano stesso dicono che questa integrazione non avverrà prima del chiarimento dei punti dottrinali che per noi sono molto importanti perché oggi c'è molta confusione. Per mantenere l'unità della Chiesa, c'è bisogno di questo chiarimento.

    -In questi giorni che era in Salta, Lei ha detto che alcuni settori progressisti della Chiesa starebbero ostacolando l'avvicinamento della Fraternità alla Santa sede?
    E’ così. Un esempio è che il Presidente della conferenza episcopale tedesca ha detto a un gruppo di parlamentari che la Fraternità sarà nuovamente fuori della Chiesa prima della fine di quest'anno. Questo manifesta molto chiaramente una intenzione più che ostile. Il nostro problema è un po' complicato perché ci sono dissidi in Vaticano. Insomma, qual è il nostro partner? I progressisti e i conservatori o solo uno di loro? È molto difficile sapere perché non è chiaro... Nella Chiesa, tentano di mantenere una certa unità nonostante queste divisioni.

    -E il Papa che cosa fa in tutto questo?
    È più o meno nel mezzo. Vuole essere il Papa di tutti. È molto difficile.

    -Voi avete denunziato che la diffusione dell'intervista a Williamson, alla data in cui fu comunicata la revoca della scomunica dei quattro vescovi lefebvriani, è stato manipolato anche da quei settori.
    Sì; anche in Vaticano è circolato uno studio che mostrava la possibilità molto grande di una strumentalizzazione abusiva del caso. Solo il fatto che fosse diffusa a metà gennaio un'intervista fatta all'inizio di novembre, è già molto raro. Inoltre, questa intervista è stata utilizzata prima di esser diffusa massivamente per impedirci l'uso di diversi templi in Svezia. La mostravano a quelli che amministrano quei templi. Ciò significa che c’era un'intenzione maligna.

    -Chi è dietro questa manipolazione?
    Ci sono, sicuramente, i progressisti, la sinistra politica e probabilmente i massoni. Hanno usato questo episodio per colpire noi e molto di più il Papa stesso. Questo è il tragico della storia. Vedere un Papa che poco a poco cerca di apportare correzioni ad alcune riforme, a loro non piace. Per questo hanno utilizzato quell’episodio infelice come un bastone d’oro per colpire la Chiesa.

    -In quel momento, Lei ha chiarito che la posizione di Williamson era personale. Qual è la sua situazione ora?
    La posizione di mons. Williamson è personale. Quel tema non è mai stato per noi un problema. Lui è ora in ritiro, un uno dei nostri priorati di Londra, dove prega e studia.


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    S_Daniele
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    00 27/10/2009 14:23

    Mons. Fellay parla nuovamente. E ipotizza soluzioni giuridiche.

    Mons. Fellay, dopo aver rilasciato un'intervista in Cile e un'altra in Argentina, ha pensato questa volta al Brasile. Domenica 25 ottobre, trovandosi a San Paolo del Brasile per l'inaugurazione di una cappella della Fraternità, ha avuto questo scambio sugli aspetti canonistici della sperata riconciliazione (ns. traduz. dal portoghese):

    - I giornalisti spesso chiedono quale sarà la forma preferita dalla fraternità: Amministrazione apostolica come Campos, una Prelatura personale come l'Opus dei o un ordinariato personale come gli anglicani?
    Il Vaticano ha detto molto chiaramente che non farà nessuna erezione canonica della FSSPX prima dei colloqui dottrinali. Siccome non c'è niente di ufficiale e niente di noto, non posso dire nulla. L'unica cosa che posso dire è che Roma vuole stabilire per noi qualcosa di utile per la Fraternità.

    - Si dice che la Santa sede potrebbe riconoscere pubblicamente facoltà per tutti i sacramenti celebrati dalla FSSPX. Eccellenza, ritiene che ciò possa avvenire in tempi brevi?
    Non ne ho idea. Semplicemente non si sa.

    - E un'ultima questione è se la Fraternità accetterebbe temporaneamente una struttura canonica provvisoria nel corso della discussione dottrinale.
    C'è questa idea, ma è un problema all'interno della Chiesa. Ci sono molti, molti vescovi che davvero ci odiano. Nemici della FSSPX, davvero. E farebbero tutto il possibile per distruggerci. E questo accordo temporaneo non risolverebbe il problema dei sacerdoti e dei fedeli. I vescovi porrebbero immensi ostacoli e sarebbe un caos. Quindi una soluzione canonica deve essere definitiva. Potrebbero essere fatte solo piccole cose. Ad esempio, riconoscere i sacramenti della Fraternità, cose di questo genere.

    Fonte: Veritatis splendor

    L'interesse di questa intervista è che mons. Fellay abborda gli aspetti giuridici di una futura, auspicata riconciliazione. Sappiamo che il problema si porrà solo una volta definite le divergenze dottrinali; ma siamo ottimisti e pensiamo già al dopo. Anche perché l'aspetto dei diritti e dei doveri di una Fraternità riconciliata attira, riconosciamolo, più interesse di complesse disquisizioni teologiche.

    Inevitabilmente la Fraternità, dal giorno del suo rientro, non godrà più di una indipendenza assoluta. Anche nei confronti dei vescovi diocesani. O meglio: se è pur vero (e lo vedremo) che sono possibili soluzioni canoniche che le consentano di operare liberamente senza l’impiccio malevolente dei vescovi, è anche vero che insorgeranno obblighi, se non altro di bon ton, che al momento non la astringono. Ora, se la Fraternità vuole aprire una cappella, un priorato, un seminario, non chiede niente a nessuno. Domani, per quanto libera sarà la situazione canonica, almeno una visita di cortesia al vescovo del luogo dovrà farla. E si sa come funzionano queste cose in una struttura come la Chiesa: il vescovo si lamenta, il nunzio interviene, il cardinale raccomanda e chiede il favore...
     
    Ma vediamo dunque quale potrebbe essere la soluzione canonica adottabile. Il termine "ordinariato", di recente proposto agli anglicani, di per sé non vuol dire molto, a parte il richiamo agli ordinariati castrensi (ossia militari), che peraltro hanno regole proprie, spesso concordatarie; l'elemento comune è che si tratta di giurisdizione determinata su base personale e non territoriale. Ma il codice di diritto canonico non prevede quell'istituto (infatti è disciplinato, per quanto concerne i militari, da una costituzione apostolica extracodicistica, la Spirituali militum cura di Giovanni Paolo II), sicché volendo restare nel diritto comune non restano che le figure di cui ora si dirà.

    Nei giornali si fa gran parlare di una Prelatura personale e si osserva come al momento ne esista una soltanto, quella dell’Opus Dei (che, si aggiunge pure, m non vediamo su quali basi, vedrebbe di cattivo occhio la perdita dell’uso esclusivo di questo strumento giuridico). Chi ha maggior dimestichezza col diritto canonico menziona invece la figura dell’amministrazione apostolica come più adatta al caso, anche in forza di un precedente (i tradizionalisti della diocesi di Campos, in Brasile, eretti in Amministrazione apostolica S. Giovanni Vianney, con vescovo proprio: sicché nella stessa diocesi v’è il vescovo ‘territoriale’ come dappertutto e l’altro vescovo tradizionalista, con proprio clero, parrocchie e fedeli di rito tridentino) e del fatto che, anni addietro, mons. Fellay fece riferimento a tale soluzione, propostagli da Roma, dicendo che sarebbe stata una "Rolls Royce" ma che nondimeno non poteva accettarsi finché fossero rimasti i problemi dottrinali di fondo.

    Vediamo allora, nel sistema del diritto canonico, come funzionano i due istituti.

    Il can 368 c.j.c. equipara la "amministrazione apostolica eretta stabilmente" alle altre chiese particolari, che sono le diocesi (innanzitutto), le prelature ed abbazie territoriali, il vicariato apostolico e la prefettura apostolica.

    Il can. 371 § 2 c.j.c. così definisce l'istituto: "L'amministrazione apostolica è una determinata porzione del popolo di Dio che, per ragioni speciali e particolarmente gravi, non viene eretta come diocesi dal Sommo Pontefice e la cura pastorale della quale viene affidata ad un Amministratore apostolico, che la governa in nome del Sommo Pontefice".

    Il can. 372 c.j.c., dopo aver al primo par. stabilito che "di regola" la chiesa particolare deve avere una circoscrizione territoriale, aggiunge al § 2: "Tuttavia, dove a giudizio della suprema autorità della chiesa, sentite le Conferenze episcopali interessate (auditis Episcoporum conferentiis quarum interest), l'utilità lo suggerisca, nello stesso territorio possono essere erette chiese particolari distinte sulla base del rito dei fedeli o per altri simili motivi".

    L’Amministrazione apostolica territoriale, quindi, non è altro che una diocesi con un altro nome (e, magari, con alla guida un presule non ordinato vescovo): vi si ricorre allorché difficoltà politiche sconsigliano la creazione di una vera diocesi, oppure in caso di assenza di strutture o di un numero congruo di fedeli, ecc. Ma quel che interessa è invece quanto previsto al secondo paragrafo del can. 372, ossia l’Amministrazione apostolica creata su base personale che dà origine, sullo stesso territorio, a chiese particolari distinte per ragioni di rito o similari (può ben rientrare tra queste "ragioni similari" l’uso esclusivo della forma straordinaria del rito romano). L’istituto giuridico consente dunque la creazione di strutture parallele sullo stesso territorio, qualcosa che si avvicina non poco alla coesistenza di differenti "chiese sorelle" pur dipendenti egualmente dal Papa (come si verifica laddove la chiesa latina convive con quelle cattoliche-orientali: le quale non sono Amministrazioni apostoliche bensì strutture sui iuris aventi un livello ancor maggiore di indipendenza, tanto da non soggiacere nemmeno al codice di diritto canonico dei latini bensì all’apposito codice per le chiese orientali).

    Le Prelature personali sono invece definite così dal canone 294 c.j.c.: "Al fine di promuovere un'adeguata distribuzione dei presbiteri o di attuare speciali opere pastorali o missionarie per le diverse ragioni o per le diverse categorie sociali, la Sede Apostolica può erigere prelature personali formate da presbiteri e da diaconi del clero secolare, udite le conferenze dei Vescovi interessate (auditis quarum interest Episcoporum conferentiis)"

    Il can. 295 c.j. prevede che la prelatura personale è retta da un Prelato come ordinario proprio, il quale ha diritto di erigere "nationale vel internationale seminarium necnon alumnos incardinare".


    Il can. 297 poi statuisce: "Parimenti gli statuti definiscano i rapporti della prelatura personale con gli Ordinari del luogo nelle cui chiese particolari la prelatura esercita o intende esercitare, praevio consensu Episcopi diocesani, le sue opere pastorali o missionarie".

    Ecco qui, tutto l’inghippo (il diavolo è nei cavilli, si sa): in quelle quattro parole del canone 297: per esercitare le sue opere pastorali o missionarie, la prelatura necessita del "previo consenso del vescovo diocesano". Il che basta, e avanza, ad escludere in radice l’utilizzabilità dello strumento per la Fraternità S. Pio X, che come noto è vista come una brutta malattia infettiva da un buon numero di vescovi all over the world.

    La Prelatura personale, in altri termini, consente la massima indipendenza dai vescovi diocesani per quanto concerne l’organizzazione interna (ossia per i rapporti tra i chierici che ne fanno parte). Ma quando vuole assumere iniziative esterne di apostolato, deve passare per le forche caudine episcopali. Un po’ come gli Ordini monastici (di diritto pontificio): possono aprire case e conventi, ma per l’esercizio pubblico del culto devono pur sempre avere il placet dell’Ordinario.

    Non solo: la Prelatura comprende solo presbiteri e diaconi secolari; resterebbero scoperti da quell’ombrello giuridico tutti i fedeli laici della FSSPX (suore comprese!) e perfino i chierici regolari, ossia i religiosi.
    L’Amministrazione apostolica, invece, non prevede quelle limitazioni. Per questo appare l’unica accettabile per la Fraternità S. Pio X. Anche se, data la diffusione di questa, si dovrebbe avere una diffusione su scala mondiale, o quasi, dell’Amministrazione apostolica: cosa che avvicinerebbe ancor più la Fraternità ad una sorta di chiesa uniate come quelle orientali. Se invece si optasse per la Prelatura personale, essa dovrebbe avere necessariamente caretteri sui iuris, ossia in deroga al codice di diritto canonica: tanto da avere, della prelatura, soltanto il nome.

    Come si è visto dai canoni, per costituire sia una Amministrazione apostolica non territoriale (e quindi personale), sia una Prelatura personale, il codice richiede di "sentire le Conferenze episcopali" interessate (rispettivamente ai canoni 372 e 294 c.j.c.). Ma questo è un vincolo che il codice pone alla Curia papale e il Papa può in tutta legalità decidere di derogare alla legge canonica (è il bello degli ordinamenti assolutistici, no?); oppure, se vuole rispettare il codice, questo gli chiede solo di raccogliere un parere non vincolante, e poi può fare di testa propria; ma visti gli umori episcopali in giro, si farebbe meglio a seguire l’altra strada: regola sempre valida allorché si vuole seguire una certa strada e si sa che i pareri che si otterrebbero sarebbero contrari; inoltre per i lefebvriani, diffusi ovunque, sarebbero troppo le conferenze episcopali da sentire.

    Vi è infine, una ulteriore soluzione, interinale e provvisoria, cui mons. Fellay fa riferimento (ma si sa che poche cose sono altrettanto durature di quelle provvisorie e ad experimentum). Lasciare la Fraternità in uno stato di limbo giuridico, ma nondimeno riconoscere il carattere cattolico e la legittimazione ad amministrare tutti i sacramenti, togliendo ogni dubbio di sospensione a divinis dei suoi sacerdoti. Il riconoscimento comporterebbe anche il consolidamento e il riconoscimento de facto dello stato attuale (statuti, apostolati, comunità religiose connesse). Tutta l’attività della Fraternità perderebbe ogni carattere illecito dal punto di vista del diritto canonico, pur restando la stessa di fatto indipendente e non ancora inquadrata in una struttura canonica.

    Si tratta, beninteso, di una forzatura al diritto canonico, sicché per giustificarla si parlerebbe di concessione di "facoltà temporanee" (sacramentali e disciplinari). La soluzione non obbligherebbe le parti in questione: né la Fraternità, che potrebbe continuare ad emettere le sue "riserve dottrinali" (evitando tra l’altro il rischio, almeno nell’immediato, di una scissione della sua ala più oltranzista e contraria ad accordi con Roma), né la Santa Sede, che potrebbe continuare a prendere le distanze dalla Fraternità, evitando così di esporre troppo il fianco agli alti lai dei progressisti.
    La Fraternità resterebbe come è ora; ma liberata di ogni stigma di scomunica, di scisma, di illiceità, potrebbe con ben maggiore efficacia raggiungere fedeli finora restii proprio per quegli stigmi. E quindi rafforzarsi ulteriormente.

    Messainlatino
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    Gloria.Tv – Mons. Fellay:
    03/12/2009,




    Eccellenza, Lei ha fatto la maturità dagli agostiniani. Era il tempo del Concilio. Non era mai stato preso da questa svolta?

    In fondo no. Ho si partecipato ma non ero mai entusiasta di questa cosa. Avevo la fortuna di sperimentare le due cose. Abitavo a Econe. Conoscevo la Santa Messa già prima. Ero chirichetto. E poi era venuto Mgr. Lefèbvre e avevo continuamente il paragone. E così per me era chiaro cosa c’era da fare e quale atteggiamento prendere.

    Erano sempre di rifiuto le Sue esperienze con la nuova messa?

    Non sempre di rifiuto ma per lo meno il sentore, l’esperienza che l’una dava molto di più dell’altra questo si era chiaro.

    Poteva immaginare di diventare sacerdote diocesano o regolare agostiniano?

    Certamente.

    Perché non l’ha fatto?

    Perché avevo l’esempio davanti a me. Il seminario, i seminaristi. Abitavo là. E la differenza era troppo grande, diciamo così. Per me non era mai una questione. Prima sì. Da bambino sarei diventato volentieri regolare agostiniano sul passo del gran San Bernardo. E anche il mio patrono ma poi non più, no.

    Lei abita a trenta minuti da Kurt Koch, il vescovo di Basilea. Come è il rapporto con la sua diocesi di residenza?

    Purtroppo il rapporto è zero. Fin ora non si è arrivati a niente. Diciamo così, nel vescovado di Basilea i progressisti sono odiosi e anche aspri verso la nostra posizione. Si è portati a considerare come inutile intraprendere i rapporti. Con altri non c’è nessun problema.

    Chi sono gli altri vescovi?

    Il vescovo di Coara. Anche con l’ ex ordinario il vescovo Haas avevamo ottimi rapporti. Con il vescovo di Friburgo qualche contatto. Il più cattivo, e non voglio giudicare la persona ma la situazione, è il vescovado di Basilea.

    Dalle trattative con Roma si evince l’impressione che la riunione è una cosa decisa. E’ vera questa impressione?

    Diciamola così: è chiarissimo che il Santo Padre vuole questa riunione se si deve adoperare questa parola. Lui vuole una soluzione del problema. Questo è perfettamente chiaro. Questo è evidente. Fino a quale punto è disposto di andare per realizzare questa soluzione non dipende solo da noi. Dipende anche dalla situazione, dal comportamento dell’episcopato mondiale. Si vede molto chiaramente che in tantissimi punti nei quali lui desidera una restaurazione, non viene obbedito. E per questo noi siamo un problema aggiuntivo ancora più difficile perché noi siamo in un certo senso e per così dire Tradizione pura senza mescolamento e se un così piccolo mescolamento pone già così grandi problemi quale sarà il problema con noi? Dall’altro canto si avverte a Roma che si vuole utilizzare noi per frenare in qualche modo il progressismo. E’ evidente.

    Molti desidererebbero che le trattative falliscono. Non La scoraggia questo fatto?

    Diciamo che non siamo preoccupati. Nel senso che è chiaro che abbiamo a che fare con uomini; nella Chiesa vi è un lato umano ma non c’è soltanto un lato umano; l’essenziale della Chiesa sta al di sopra di tutti questi problemi umani. E a dire la verità se non avessimo questa veduta di fede sulla Chiesa sulle grazie di stato dell’autorità, non so se continueremmo le trattative. Ma questa veduta di fede, sì la fede incoraggia.

    Chi sono a Suo avviso i più acerrimi nemici della Fraternità San Pio X?

    Io non so chi sono i nemici più cattivi. I più cattivi sono sicuramente coloro che negano la divinità di Gesù, che semplicemente distruggono la Chiesa. Questi sono i più cattivi. Ma i più violenti li vedrei fra qualche progressista. Non è sempre facile vedere a quale punto si arriva. Penso che siamo come un morso nella loro coscienza e un rimprovero vivente e questa cosa li rende ancora più accaniti.

    Ci sono cerchie ecclesiastiche che si rallegrano della imminente riconciliazione con gli anglicani ma che valutano molto criticamente una riconciliazione con la Fraternità.

    Si, penso ancora che vi è un lato umano e questo è normale. Ci sono uomini, ci sono passioni, riduzioni umane. Questo però va lasciato veramente da parte. Vediamo gli anglicani tornare alla Chiesa. Questo è meraviglioso! E una grande gioia. C’è solo una nave che conduce in cielo questa è la Chiesa cattolica. E se dei rinnegati tornano indietro, questo è veramente una grande gioia. Che nonostante le attuali circostanze abbastanza torbide dell’ecumenismo avvenga una tale cosa è anche un segno di speranza.

    La soluzione canonica degli anglicani dell’ordinariato personale potrebbe essere una soluzione anche per la Fraternità?

    Distinguerei due cose. Roma ha detto molto chiaramente: prima le discussioni. E noi siamo anche d’accordo con questo. Dopo non ho fissazioni. Faccio fiducia nella Chiesa. Potrebbe essere una strada percorribile. Ma ho l’impressione che su questo piano Roma cerchi la soluzione appropriata. Non ho idee, si dicono tante cose ma non è che aspetto l’una o l’altra cosa. Questo è per me secondario. Veramente, prima c’è la fede, l’annuncio della fede senza ambiguità viene avanti a tutto. Fatto questo, il resto è totalmente secondario.

    Eccellenza ancora una domanda. Nell’area germanofona c’è la pagina web kreuz.net. Quale è la Sua posizione?

    Non posso dire che sarei stato un amico di questo. Da un lato è bene di vedere che c’è chi si sforza di difendere una linea più tradizionale e più conservatrice proprio nei paesi di lingua tedesca. Non direi che tutto è perfetto. Non dò tutta quell’importanza a internet. C’è troppa confusione con internet. Per me è un grande problema. Non kreuz.net nello specifico ma internet in quanto tale. Come fare udire la voce dell’autorità in internet per me è un grande problema. Purtroppo. Ciascuno dà il suo parere e questo fa confusione. Se mi parla poi del forum di kreuz.net direi di chiuderlo subito.

    Sa chi ci sta dietro?

    Non siamo noi a farlo e non so chi lo fa.