di Inos Biffi Oltre che tempo di austerità, la Quaresima è tempo di pentimento e di perdono. Lo illustra un altro inno delle settimane che avviano alla Pasqua, l'Audi, benigne conditor, in dimetri giambici, dubbiosamente attribuito a Gregorio Magno. "Le preghiere e le lacrime (preces cum fletibus) / o Signore pietoso, / a te più intense si sciolgono / in questo tempo santo". Né sono implorazioni sterili e lacrime vane: esse vanno a toccare il cuore di Dio, che, non ignorando quanto sia fragile l'argilla di cui è plasmato l'uomo, è pronto a concedere alla compunzione e al ravvedimento la grazia del perdono. Da qui l'affidamento accorato e fiducioso: "Tu che conosci i cuori / e deboli ci vedi (Scrutator alme cordium, / infirma tu scis virium) / a chi si pente e ti invoca / concedi il tuo perdono". Da parte nostra riconosciamo la gravità delle colpe commesse e invochiamo la misericordia che le rimette e la medicina che risana e rinvigorisce il nostro languore: "Grande è il nostro peccato / ma il tuo amore è più grande: / risana le oscure ferite / a gloria del tuo nome". È detto audacemente: la gloria di Dio è il nostro perdono. Ma sant'Ambrogio è ancora più audace: egli ritiene che Dio abbia creato l'uomo, e si sia riposato, proprio per il fatto di aver finalmente chiamato all'esistenza una creatura a cui poter rimettere le colpe, ossia su cui riversare il suo amore nella forma del perdono. La rivelazione dell'essenza di Dio è l'amore misericordioso. Quanto alla Quaresima, è certamente un tempo di austero rigore e di sincera volontà di conversione: chiediamo la forza di digiunare, la resistenza all'incanto deviante dei sensi, e il dono di uno "spirito sobrio", che rifugga dai cedimenti alla colpa (ieiunet ut mens sobria / a labe prorsus criminum). Austero rigore, però, non vuol dire continua afflizione interiore, né pentimento sincero significa un perseverare incessante di rimorsi implacabili, a sfiducia e a tormento dell'anima. Ricordiamo e riconosciamo i peccati commessi per esserne dispiaciuti e detestarli, ma soprattutto per esperimentare il miracolo della riconciliazione e il gusto e la gioia della grazia, che ci ha riammessi all'amicizia del Padre celeste. L'uomo è fatto tutto del perdono di Dio, secondo gli accenti vibranti di una stupenda invocazione della liturgia quaresimale ambrosiana: "La vita nostra sospira nell'angoscia, ma non si corregge il nostro agire. Se aspetti, Signore, non ci pentiamo; se punisci, non resistiamo. Tendi la mano a noi che siamo caduti, tu che al ladro pentito apristi il paradiso".
Oltre che tempo di austerità, la Quaresima è tempo di pentimento e di perdono. Lo illustra un altro inno delle settimane che avviano alla Pasqua, l'Audi, benigne conditor, in dimetri giambici, dubbiosamente attribuito a Gregorio Magno. "Le preghiere e le lacrime (preces cum fletibus) / o Signore pietoso, / a te più intense si sciolgono / in questo tempo santo". Né sono implorazioni sterili e lacrime vane: esse vanno a toccare il cuore di Dio, che, non ignorando quanto sia fragile l'argilla di cui è plasmato l'uomo, è pronto a concedere alla compunzione e al ravvedimento la grazia del perdono. Da qui l'affidamento accorato e fiducioso: "Tu che conosci i cuori / e deboli ci vedi (Scrutator alme cordium, / infirma tu scis virium) / a chi si pente e ti invoca / concedi il tuo perdono". Da parte nostra riconosciamo la gravità delle colpe commesse e invochiamo la misericordia che le rimette e la medicina che risana e rinvigorisce il nostro languore: "Grande è il nostro peccato / ma il tuo amore è più grande: / risana le oscure ferite / a gloria del tuo nome". È detto audacemente: la gloria di Dio è il nostro perdono. Ma sant'Ambrogio è ancora più audace: egli ritiene che Dio abbia creato l'uomo, e si sia riposato, proprio per il fatto di aver finalmente chiamato all'esistenza una creatura a cui poter rimettere le colpe, ossia su cui riversare il suo amore nella forma del perdono. La rivelazione dell'essenza di Dio è l'amore misericordioso. Quanto alla Quaresima, è certamente un tempo di austero rigore e di sincera volontà di conversione: chiediamo la forza di digiunare, la resistenza all'incanto deviante dei sensi, e il dono di uno "spirito sobrio", che rifugga dai cedimenti alla colpa (ieiunet ut mens sobria / a labe prorsus criminum). Austero rigore, però, non vuol dire continua afflizione interiore, né pentimento sincero significa un perseverare incessante di rimorsi implacabili, a sfiducia e a tormento dell'anima. Ricordiamo e riconosciamo i peccati commessi per esserne dispiaciuti e detestarli, ma soprattutto per esperimentare il miracolo della riconciliazione e il gusto e la gioia della grazia, che ci ha riammessi all'amicizia del Padre celeste. L'uomo è fatto tutto del perdono di Dio, secondo gli accenti vibranti di una stupenda invocazione della liturgia quaresimale ambrosiana: "La vita nostra sospira nell'angoscia, ma non si corregge il nostro agire. Se aspetti, Signore, non ci pentiamo; se punisci, non resistiamo. Tendi la mano a noi che siamo caduti, tu che al ladro pentito apristi il paradiso".