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Le BASI per l' ECUMENISMO

Ultimo Aggiornamento: 06/11/2008 11:03
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Ciò che dice la Chiesa si chiama MAGISTERO, da magister=INSEGNAMENTO......Tradizionalisti (qui si intendono quanti non riconoscono l'autorità del Pontefice e il C.Vaticano II) e Progressisti hanno commesso entrambi un errore eccedendo tutti e due in due estremismi opposti...(i Protestanti in questo senso vengono citati solo nel Documento finale per l'errata definizione del termine sorelle....)....

1) i primi ritengono che la Chiesa da Pio XII NON ABBIA PIU' INSEGNATO NULLA;

2) i secondi ritengono che ciò che la Chiesa può insegnare è oggi SOLO L'AMORE VERSO IL PROSSIMO SENZA IMPEGNI DOTTRINALI.....

I primi si sono fermati nel tempo, i secondi hanno accellerato i tempi dell'auto demolizione dell'uomo.... ...
I primi si sono tolti DA SOLI dal mondo quando Gesù dice: NON TI CHIEDO DI TOGLIERLI DAL MONDO......i secondi hanno fatto del mondo terreno la loro fonte di verità.......

Il Magistero della Chiesa aveva necessità di CAMBIARE LINGUAGGIO......e non ha tolto nessuna dottrina tanto meno modificata......ergo sbagliano i primi e sbagliano i secondi......

L'apostasia la riscontriamo sia nei primi quanto nei secondi......

Se l'argomento vi sta veramente a cuore.....leggete quanto segue....

La lettera del cardinal Ratzinger ai presidenti delle Conferenze episcopali:

la Chiesa cattolica è "madre", non "sorella"


Eccellenza,


negli ultimi anni, l'attenzione di questa Congregazione è stata rivolta a problemi derivanti dall'uso dell'espressione "Chiese sorelle", espressione che appare in documenti importanti del Magistero, ma che è stata anche impiegata in altri scritti e nelle discussioni connesse al dialogo tra la Chiesa cattolica e le Chiese ortodosse. E' un'espressione che è divenuta parte del vocabolario comune per indicare il legame oggettivo esistente tra la Chiesa di Roma e le Chiese ortodosse.

Purtroppo, in alcune pubblicazioni e negli scritti di alcuni teologi coinvolti nel dialogo ecumenico è recentemente invalso l'uso di utilizzare quest'espressione per indicare la Chiesa cattolica da un lato e la Chiesa ortodossa dall'altro, portando le persone a pensare che in realtà l'unica Chiesa di Cristo non esiste, ma può essere ristabilita tramite la riconciliazione delle due Chiese sorelle. Inoltre, la stessa espressione è stata applicata impropriamente da alcuni alla relazione tra la Chiesa cattolica da un lato e la Comunione anglicana e le comunità ecclesiali non cattoliche dall'altra. In questo senso, si parla di una "teologia delle Chiese sorelle" o di un"'ecclesiologia delle Chiese sorelle", caratterizzate da ambiguità e discontinuità rispetto al significato originario corretto dell'espressione che si rileva nel documenti del Magistero.

Allo scopo di superare questi equivoci ed ambiguità nell'uso e nell'applicazione dell'espressione "Chiese sorelle", la Congregazione per la Dottrina della Fede ha giudicato necessario preparare l'acclusa "Nota sull'espressione "Chiese sorelle"" approvata da papa Giovanni Paolo Il nell'udienza del 9 giugno 2000. Le indicazioni contenute in questa nota devono, perciò, essere considerate autorevoli e vincolanti, anche se la ".Nota" non sarà pubblicata in forma ufficiale negli Acta Apostolicae Sedis, dato il suo obiettivo circoscritto di specificare la corretta terminologia teologica su questo tema.

Nel fornirle una copia di questo documento, la Congregazione Le chiede cortesemente di comunicare preoccupazioni ed indicazioni specifiche ivi espresse alla Sua Conferenza episcopale e in particolare alla Commissione o all'Ufficio incaricato del dialogo ecumenico, in modo che le pubblicazioni ed altri testi della Conferenza episcopale e dei suoi diversi uffici si attengano scrupolosamente a ciò che è stabilito nella Nota.

Con gratitudine per la sua assistenza e con i migliori voti, resto Suo in Cristo

card. Joseph Ratzinger


Congregazione per la Dottrina della Fede

"NOTA SULL'ESPRESSIONE "CHIESE SORELLE""


I. Origine e sviluppo dell'espressione

1. L'espressione Chiese sorelle ricorre spesso nel dialogo ecumenico, soprattutto nel dialogo fra cattolici e ortodossi, ed è oggetto di un continuo studio da entrambe le parti. Mentre vi è certamente un uso legittimo di questa espressione, ve ne è altresì uno ambig uo che è divenuto predominante negli scritti contemporanei sull'ecumenismo. In conformità con l'insegnamento . del Conclio Vaticano Il e con il Magistero papale postconciliare, è dunque opportuno ricordare l'uso corretto ed appropriato di quest'espressione. Giova iniziare con un breve profilo storico.



2. L'espressione Chiese sorelle non appare come tale nel Nuovo Testamento, tuttavia vi sono numerose attestazioni delle relazioni sororali che esistevano tra le Chiese locali dell'antichità cristiana. Il passaggio del Nuovo Testamento che più esplicitamente riflette questa consapevolezza è la frase finale della seconda lettera di Giovanni: "Ti salutano i figli della eletta tua sorella" (2 Gv 13). Si tratta di saluti inviati da una comunità ecclesiale ad un'altra; la comunità che invia i saluti si definisce sorella dell'altra.

3. Nella letteratura cristiana, l'espressione comincia ad essere usata in Oriente quando, a partire dal quinto secolo, comincia a guadagnare terreno l'idea della Pentarchia, secondo la quale a capo della Chiesa vi sono cinque Patriarchi, e la Chiesa di Roma ha il primo posto tra queste Chiese sorelle patriarcali. A questo proposito, tuttavia, occorre notare che nessun romano pontefice ha mai riconosciuto questa equiparazione di sedi né ha accettato che solo un primato d'onore fosse accordato alla Chiesa di Roma. Bisogna sottolineare anche che questa struttura patriarcale tipica dell'Oriente non si è mai sviluppata in Occidente.

Come è ben noto, le divergenze tra Roma e Costantinopoli portarono, nei secoli successivi, alla scomunica reciproca con "conseguenze che, da quanto possiamo giudicare, andarono oltre ciò che avevano inteso e previsto i suoi realizzatori, le cui censure colpivano le persone menzionate e non le Chiese, e i quali non avevano intenzione di rompere la comunione ecclesiale tra le sedi di Roma e Costantinopoli".

4. L'espressione appare nuovamente in due lettere del metropolita Niceta di Nicodemia (nel 1136), e del patriarca Giovanni X Camaterus (in carica dal 1198 al 1206), nelle quali contestavano il fatto che Roma, presentandosi come madre e maestra, avrebbe annullato la loro autorità. A loro avviso, Roma era solo la prima tra sorelle di pari dignità.


5. In tempi recenti, il Patriarca ortodosso di Costantinopoli, Atenagora I, è stato il primo ad usare nuovamente l'espressione Chiese sorelle. Nell'accogliere i gesti fraterni e l'appello all'unità rivoltogli da Giovanni XXIII, spesso ha espresso nelle sue lettere la speranza di vedere l'unità tra le Chiese sorelle ristabilita nel prossimo futuro.


6. Il Concilio Vaticano II ha adottato l'espressione Chiese sorelle per descrivere la relazione tra chiese particolari: "In Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò, presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, in una comunione di fede e di carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, devono esistere tra le Chiese locali".


7. Il primo documento pontificio in cui il termine sorelle è applicato alle Chiese è il documento apostolico Anno ineunte di Paolo VI al patriarca Atenagora I. Dopo aver manifestato la propria volontà di fare tutto il possibile per "ristabilire la piena comunione tra la Chiesa dell'Occidente e quella d'Oriente", il papa chiedeva: "Dal momento che questo mistero di amore divino è all'opera in ogni Chiesa locale, non è questo il motivo della tradizionale espressione "Chiese sorelle" che le Chiese di vari luoghi utilizzavano l'una rispetto all'altra? Per secoli le nostre Chiese hanno vissuto in questo modo come sorelle, celebrando insieme i concili ecumenici che difendevano il deposito della fede contro ogni corruzione. Ora, dopo un lungo periodo di divisione e di reciproca incomprensione, il Signore, nonostante gli ostacoli sorti tra noi nel passato, ci dà la possibilità di riscoprirci come Chiese sorelle".


8. L'espressione è stata usata spesso da Giovanni Paolo II in numerosi discorsi e documenti; ecco i principali, in ordine cronologico.

Nell'enciclica Slavorum Apostoli: "Per noi essi (Cirillo e Metodio) sono i campioni ed anche i patroni dell'impegno ecumenico delle Chiese sorelle dell' Oriente e dell'Occidente per la riscoperta, attraverso la preghiera e il dialogo, dell'unità visibile in perfetta e totale comunione".

In una lettera del 1991 ai vescovi d'Europa: "Quindi, con queste Chiese (le Chiese ortodosse) devono essere promosse relazioni come fra Chiese sorelle, per usare l'espressione di Paolo VI nel suo documento al Patriarca di Costantinopoli, Atenagora I".

Nell'encichca Ut unum sint, il tema è sviluppato soprattutto al numero 56 che inizia in questo modo: "Seguendo il Concilio Vaticano Il e alla luce della precedente tradizione, è nuovamente tornato d'uso il riferimento alle Chiese particolari o locali riunite intorno al loro vescovo come "Chiese sorelle". Inoltre, il ritiro della scomunica reciproca, eliminando un ostacolo canonico e psicologico doloroso, ha costituito un passo significativo sulla strada verso la comunione piena". Questa sezione si conclude esprimendo l'augurio che "la tradizionale designazione di "Chiese sorelle" ci accompagni sempre in questo cammino". Il tema è ripreso nuovamente al numero 60 dell'Enciclica: "Più recentemente, la commissione internazionale congiunta ha compiuto un passo significativo riguardo alla delicatissima questione del metodo da seguire nel ristabilimento della comunione piena tra la Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, tema che ha spesso inasprito le relazioni tra cattolici e ortodossi. La Commissione ha posto le basi dottrinali per una soluzione positiva a questo problema sul fondamento della dottrina delle Chiese sorelle".


II. Direttive sull'uso dell'espressione


9. I riferimenti storici presentati nei paragrafi precedenti illustrano la rilevanza che l'espressione Chiese sorelle ha assunto nel dialogo ecumenico. Ciò rende ancora più importante il corretto uso teologico del termine.'


10. In effetti, in senso proprio, Chiese sorelle sono esclusivamente le Chiese particolari (o raggruppamenti di Chiese particolari; per esempio i patriarcati o province metropolitane) tra di loro. Deve essere sempre chiaro, quando l'espressione Chiese sorelle viene usata in questo senso proprio, che l'una, santa, cattolica e apostolica Chiesa universale non è sorella ma madre di tutte le Chiese particolari.


1 l. Si può anche parlare in senso proprio di Chiese sorelle in riferimento a Chiese particolari cattoliche e non cattoliche; così la Chiesa particolare di Roma può anche essere chiamata sorella di tutte le altre Chiese particolari. Tuttavia, come ricordato più sopra, non si può affermare correttamente che la Chiesa cattolica è sorella di una Chiesa particolare o di un gruppo di Chiese. Non è semplicemente una questione terminologica, ma soprattutto una questione di rispetto di una verità fondamentale della fede cattolica: quella dell'unicità della Chiesa di Gesù Cristo. Infatti, c'è un'unica Chiesa, e perciò il termine plurale Chiese può solo riferirsi alle Chiese particolari.

Di conseguenza, si deve evitare, in quanto fonte di fraintendimento e di confusione teologica, l'uso di formulazioni quali "le nostre due Chíese" che, se applicate alla Chiesa cattolica e alla totalità delle Chiese ortodosse (o ad una singola Chiesa ortodossa), implicano una pluralità non semplicemente a livello di Chiese particolari, ma anche a livello dell'una, santa, cattolica e apostolica Chiesa confessata nel Credo, la cui esistenza reale viene in questo modo oscurata. Infine, si deve anche tenere in mente che l'espressione Chiese sorelle in senso proprio, come attestato dalla tradizione comune di Oriente e Occidente, può essere usata solo per quelle comunità ecclesiali che hanno conservato un episcopato ed un'eucaristia validi.


Roma, dagli Uffici della Congregazione per la Dottrina della Fede, 30 giugno 2000, Solennità del Sacro Cuore di Gesù.


NOTE

1) Paolo VI e Atenagora 1, Dichiarazione congiunta Penetrés de reconnaissance (7-12-65), 3; -AAS 58 (1966), 20-

Le scomuniche sono state ritirate reciprocamente nel 1965; Papa PaoloVI e il Patriarca Atenagora I in questo Sinodo….dichiarano con reciproco consenso…di rammaricarsi e di eliminare dalla memoria e dalla Chiesa le espressioni di scomunica " (ibidem.,4); cfr. anche Paolo VI, Lettera apostolica Ambulate in dilectione ( 7-12.'65) AAS 58 (1966), 40-41; Atenagora I, Tomos patriarcale 87-12-'65): TOMOS AGAPES Vaticano- Phonar (1958-1970), 129 (Tipografia Poliglotta vaticana; Roma-Istanbul, 1971 ) , 290-294.

2) Concilio Ecumenico Vaticano II, Decreto Unitatis Redintegratio,14.

3) Paolo VI , documento apostolico Anno Ineunte ( 25/7/'67); AAS 59(1967), 852, 853.

4) Giovanni Paolo II, Lettera Enciclica Slavorum Apostoli, (2/6/85),27; AAS 77 ( 1985 ), 807.

5)Giovanni Paolo II , Lettera ai Vescovi d'Europa su "Relazioni tra cattolici e ortodossi sulla nuova situazione nell'Europa centrale e orientale" ( 31-5-'91),4; AAS 84 (1992), 167.

6) Giovanni paolo II, Lettera enciclica "Ut Unum sint" ( 25-5-95) 56 e 60 ; AAS 87 (1995), 954,955,957.

7) Cfr. i testi del Decreto Unitatis Redintegratio, 14 e il documento apostolico di Paolo VI ad Atenagora I Anno Ineunte, citati sopra.

8) Cfr. Congregazione per la dottrina della fede , lettera Communionis notio ( 28-5-92),9; AAS 85 (1993, 843-844.

9) Cfr. Concilio Ecumenico Vaticano II , Costituzione dogmatica Lumen Gentium ,8; Congregazione per la dottrina della fede , dichiarazione Mysterium Ecclesiae (24-6-73),1; AAS 65 (1973), 396-398.


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Il Battesimo, punto di partenza dell'ecumenismo; l'Eucaristia, il punto di arrivo


Spiega il Papa nell'incontro con i rappresentanti di altre confessioni cristiane


SYDNEY, venerdì, 18 luglio 2008 (ZENIT.org).- Il punto di partenza dell'ecumenismo – la via verso l'unità tra i cristiani – è il Battesimo, quello di arrivo è la celebrazione comune dell'Eucaristia, ha spiegato questo venerdì Benedetto XVI ai rappresentanti di altre Chiese e comunità cristiane.

All'incontro, celebrato nella cripta della Cattedrale di St. Mary di Sydney, sono state rappresentate circa 15 comunità, tra ortodossi, protestanti, anglicani...

Anche se l'Arcivescovo anglicano di Sydney non ha potuto essere presente, ha inviato un rappresentante e ha scritto una lettera definita dal portavoce della Santa Sede padre Federico Lombardi, S.I., “bellissima”, “molto cordiale nei confronti del Papa e della Giornata Mondiale della Gioventù”.

Nel suo discorso, il Papa ha riconosciuto che il movimento ecumenico è giunto a un “punto critico”. Dopo aver ricordato che i cristiani stanno festeggiando il bimillenario di San Paolo, ha approfondito gli insegnamenti dell'apostolo per constatare che il sacramento del Battesimo è per tutti i cristiani “la porta d’ingresso nella Chiesa e il 'vincolo di unità' per quanti grazie ad esso sono rinati”.

“E' conseguentemente il punto di partenza dell’intero movimento ecumenico”, ha affermato. “E tuttavia non è la destinazione finale. Il cammino dell’Ecumenismo mira in definitiva ad una comune celebrazione dell’Eucaristia, che Cristo ha affidato ai suoi Apostoli come il Sacramento per eccellenza dell’unità della Chiesa”.

“Anche se vi sono ancora ostacoli da superare, noi possiamo essere sicuri che un giorno una comune Eucaristia non farà che sottolineare la nostra decisione di amarci e servirci gli uni gli altri a imitazione del nostro Signore”, ha dichiarato.

Secondo il Vescovo di Roma, “un sincero dialogo concernente il posto dell’Eucaristia – stimolato da un rinnovato ed attento studio della Scrittura, degli scritti patristici e dei documenti dei due millenni della storia cristiana – gioverà indubbiamente a far avanzare il movimento ecumenico e ad unificare la nostra testimonianza davanti al mondo”.

Punto critico

Il Papa ha considerato come “il movimento ecumenico sia giunto ad un punto critico” in cui, “per

andare avanti, dobbiamo continuamente chiedere a Dio di rinnovare le nostre menti con la grazia dello Spirito Santo”.

“Dobbiamo stare in guardia contro ogni tentazione di considerare la dottrina come fonte di divisione e perciò come impedimento a quello che sembra essere il più urgente ed immediato compito per migliorare il mondo nel quale viviamo”, ha suggerito.

All'inizio dell'incontro ecumenico, il Cardinale George Pell, Arcivescovo di Sydney, ha ricordato che Benedetto XVI, “sin dai primi giorni del suo pontificato, ha desiderato incontrare i suoi fratelli cristiani nella ricerca di una maggiore unità, quell'unità voluta dallo stesso Signore Gesù”, riporta “L'Osservatore Romano”.

Il porporato ha auspicato che “i giovani della Giornata Mondiale della Gioventù, costruendo legami di amicizia e di fratellanza in modo trasversale rispetto alle nazionalità e alle razze, ci ispireranno ad approfondire la nostra ricerca per una maggiore cooperazione e una più efficace testimonianza della nostra fede nel Signore Gesù”.

“L'unità cristiana non è soltanto un dono per la Chiesa, ma per il mondo – ha osservato –. L'Australia ha bisogno della testimonianza dei suoi cittadini cristiani. Questa testimonianza è più debole quando è divisa”.

Il Vescovo anglicano del settore sud di Sydney, Robert Forsyth, ha riconosciuto di essere “perfettamente consapevole che esistono e permangono grandi e importanti differenze” tra cattolici e anglicani.

“Ciononostante, sono stato aiutato da una recente autorevole interpretazione del suo pensiero teologico – pubblicata qui in Australia – che riassumeva il suo approccio all'ecumenismo in questo modo (cito le sue parole): 'Non significa nascondere la verità con il risultato di recare dispiacere ad altri; la verità piena fa parte dell'amore pieno; deve piuttosto significare che i cristiani cessano di vedere gli altri cristiani come meri avversari contro i quali si devono difendere, devono riconoscere gli altri fedeli cristiani come fratelli'. Seguendo il suo stesso esempio, con gioia la saluto come fratello cristiano”.

Il presule ha rivelato di aver descritto su molte questioni la Chiesa cattolica “come uno scoglio fra le rapide, come una lastra di vetro che protegge dal vento di questo mondo, che di fatto ha aiutato tutti noi”.

“Se non fosse stato per la sua forte insistenza su Cristo come unico Salvatore del mondo, sulla fede cattolica, sulla natura del Dio trino, la divinità di Cristo, la centralità e la supremazia della Sacra Scrittura e il carattere oggettivo della moralità cristiana, la vita delle altre Chiese cristiane sarebbe stata molto più difficile, specialmente qui in Occidente”, ha aggiunto

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PAOLO VESCOVO
SERVO DEI SERVI DI DIO
UNITAMENTE AI PADRI DEL SACRO CONCILIO
A PERPETUA MEMORIA

DECRETO SULL’ECUMENISMO
UNITATIS REDINTEGRATIO


PROEMIO

1. Promuovere il ristabilimento dell'unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del sacro Concilio ecumenico Vaticano II. Da Cristo Signore la Chiesa è stata fondata una e unica, eppure molte comunioni cristiane propongono se stesse agli uomini come la vera eredità di Gesù Cristo. Tutti invero asseriscono di essere discepoli del Signore, ma hanno opinioni diverse e camminano per vie diverse, come se Cristo stesso fosse diviso (1). Tale divisione non solo si oppone apertamente alla volontà di Cristo, ma è anche di scandalo al mondo e danneggia la più santa delle cause: la predicazione del Vangelo ad ogni creatura.

Ora, il Signore dei secoli, il quale con sapienza e pazienza persegue il disegno della sua grazia verso di noi peccatori, in questi ultimi tempi ha incominciato a effondere con maggiore abbondanza nei cristiani tra loro separati l'interiore ravvedimento e il desiderio dell'unione. Moltissimi uomini in ogni dove sono stati toccati da questa grazia, e tra i nostri fratelli separati è sorto anche per grazia dello Spirito Santo un movimento che si allarga di giorno in giorno per il ristabilimento dell'unità di tutti i cristiani. A questo movimento per l'unità, che è chiamato nuovamente ecumenico, partecipano quelli che invocano la Trinità e confessano Gesù come Signore e Salvatore, e non solo presi a uno a uno, ma anche riuniti in comunità, nelle quali hanno ascoltato il Vangelo e che essi chiamano la Chiesa loro e la Chiesa di Dio. Quasi tutti però, anche se in modo diverso, aspirano a una Chiesa di Dio una e visibile, che sia veramente universale e mandata al mondo intero, perché questo si converta al Vangelo e così si salvi per la gloria di Dio.

Perciò questo sacro Concilio, considerando con gioia tutti questi fatti, dopo avere già esposta la dottrina sulla Chiesa, mosso dal desiderio di ristabilire l'unità fra tutti i discepoli di Cristo, intende ora proporre a tutti i cattolici gli aiuti, gli orientamenti, e i modi, con i quali possano essi stessi rispondere a questa vocazione e a questa grazia divina.

CAPITOLO I

PRINCIPI CATTOLICI SULL'ECUMENISMO

Unità e unicità della Chiesa

2. In questo si è mostrato l'amore di Dio per noi, che l'unigenito Figlio di Dio è stato mandato dal Padre nel mondo affinché, fatto uomo, con la redenzione rigenerasse il genere umano e lo radunasse in unità (2). Ed egli, prima di offrirsi vittima immacolata sull'altare della croce, pregò il Padre per i credenti, dicendo: « che tutti siano una sola cosa, come tu, o Padre, sei in me ed io in te; anch'essi siano uno in noi, cosicché il mondo creda che tu mi hai mandato » (Gv 17,21), e istituì nella sua Chiesa il mirabile sacramento dell'eucaristia, dal quale l'unità della Chiesa è significata ed attuata. Diede ai suoi discepoli il nuovo comandamento del mutuo amore (3) e promise lo Spirito consolatore (4), il quale restasse con loro per sempre, Signore e vivificatore.

Innalzato poi sulla croce e glorificato, il Signore Gesù effuse lo Spirito promesso, per mezzo del quale chiamò e riunì nell'unità della fede, della speranza e della carità il popolo della Nuova Alleanza, che è la Chiesa, come insegna l'Apostolo: « Un solo corpo e un solo Spirito, come anche con la vostra vocazione siete stati chiamati a una sola speranza. Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo » (Ef 4,4-5). Poiché « quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo... Tutti voi siete uno in Cristo Gesù » (Gal 3,27-28). Lo Spirito Santo che abita nei credenti e riempie e regge tutta la Chiesa, produce questa meravigliosa comunione dei fedeli e li unisce tutti così intimamente in Cristo, da essere il principio dell'unità della Chiesa. Egli realizza la diversità di grazie e di ministeri (5), e arricchisce di funzioni diverse la Chiesa di Gesù Cristo « per rendere atti i santi a compiere il loro ministero, affinché sia edificato il corpo di Cristo» (Ef 4,12).

Per stabilire dovunque fino alla fine dei secoli questa sua Chiesa santa, Cristo affidò al collegio dei dodici l'ufficio di insegnare, governare e santificare (6). Tra di loro scelse Pietro, sopra il quale, dopo la sua confessione di fede, decise di edificare la sua Chiesa; a lui promise le chiavi del regno dei cieli (7) e, dopo la sua professione di amore, affidò tutte le sue pecore perché le confermasse nella fede (8) e le pascesse in perfetta unità (9), mentre egli rimaneva la pietra angolare (10) e il pastore delle anime nostre in eterno (11).

Gesù Cristo vuole che il suo popolo, per mezzo della fedele predicazione del Vangelo, dell'amministrazione dei sacramenti e del governo amorevole da parte degli apostoli e dei loro successori, cioè i vescovi con a capo il successore di Pietro, sotto l'azione dello Spirito Santo, cresca e perfezioni la sua comunione nell'unità: nella confessione di una sola fede, nella comune celebrazione del culto divino e nella fraterna concordia della famiglia di Dio. Così la Chiesa, unico gregge di Dio, quale segno elevato alla vista delle nazioni (12), mettendo a servizio di tutto il genere umano il Vangelo della pace (13), compie nella speranza il suo pellegrinaggio verso la meta che è la patria celeste (14).

Questo è il sacro mistero dell'unità della Chiesa, in Cristo e per mezzo di Cristo, mentre lo Spirito Santo opera la varietà dei ministeri. Il supremo modello e principio di questo mistero è l'unità nella Trinità delle Persone di un solo Dio Padre e Figlio nello Spirito Santo.

Relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica

3. In questa Chiesa di Dio una e unica sono sorte fino dai primissimi tempi alcune scissioni (15), condannate con gravi parole dall'Apostolo (16) ma nei secoli posteriori sono nate dissensioni più ampie, e comunità considerevoli si staccarono dalla piena comunione della Chiesa cattolica, talora per colpa di uomini di entrambe le parti. Quelli poi che ora nascono e sono istruiti nella fede di Cristo in tali comunità, non possono essere accusati di peccato di separazione, e la Chiesa cattolica li circonda di fraterno rispetto e di amore. Coloro infatti che credono in Cristo ed hanno ricevuto validamente il battesimo, sono costituiti in una certa comunione, sebbene imperfetta, con la Chiesa cattolica. Sicuramente, le divergenze che in vari modi esistono tra loro e la Chiesa cattolica, sia nel campo della dottrina e talora anche della disciplina, sia circa la struttura della Chiesa, costituiscono non pochi impedimenti, e talvolta gravi, alla piena comunione ecclesiale. Al superamento di essi tende appunto il movimento ecumenico. Nondimeno, giustificati nel battesimo dalla fede, sono incorporati a Cristo (17) e perciò sono a ragione insigniti del nome di cristiani, e dai figli della Chiesa cattolica sono giustamente riconosciuti quali fratelli nel Signore (18).

Inoltre, tra gli elementi o beni dal complesso dei quali la stessa Chiesa è edificata e vivificata, alcuni, anzi parecchi ed eccellenti, possono trovarsi fuori dei confini visibili della Chiesa cattolica: la parola di Dio scritta, la vita della grazia, la fede, la speranza e la carità, e altri doni interiori dello Spirito Santo ed elementi visibili. Tutte queste cose, le quali provengono da Cristo e a lui conducono, appartengono a buon diritto all'unica Chiesa di Cristo.

Anche non poche azioni sacre della religione cristiana vengono compiute dai fratelli da noi separati, e queste in vari modi, secondo la diversa condizione di ciascuna Chiesa o comunità, possono senza dubbio produrre realmente la vita della grazia, e si devono dire atte ad aprire accesso alla comunione della salvezza.

Perciò queste Chiese (19) e comunità separate, quantunque crediamo abbiano delle carenze, nel mistero della salvezza non son affatto spoglie di significato e di valore. Lo Spirito di Cristo infatti non ricusa di servirsi di esse come di strumenti di salvezza, la cui forza deriva dalla stessa pienezza della grazia e della verità, che è stata affidata alla Chiesa cattolica.

Tuttavia i fratelli da noi separati, sia essi individualmente, sia le loro comunità e Chiese, non godono di quella unità, che Gesù Cristo ha voluto elargire a tutti quelli che ha rigenerato e vivificato insieme per formare un solo corpo in vista di una vita nuova, unità attestata dalle sacre Scritture e dalla veneranda tradizione della Chiesa. Infatti solo per mezzo della cattolica Chiesa di Cristo, che è il mezzo generale della salvezza, si può ottenere tutta la pienezza dei mezzi di salvezza. In realtà noi crediamo che al solo Collegio apostolico con a capo Pietro il Signore ha affidato tutti i tesori della Nuova Alleanza, al fine di costituire l'unico corpo di Cristo sulla terra, al quale bisogna che siano pienamente incorporati tutti quelli che già in qualche modo appartengono al popolo di Dio. Il quale popolo, quantunque rimanga esposto al peccato nei suoi membri finché dura la sua terrestre peregrinazione, cresce tuttavia in Cristo ed è soavemente condotto da Dio secondo i suoi arcani disegni, fino a che raggiunga gioioso tutta la pienezza della gloria eterna nella celeste Gerusalemme.

continua

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L'ecumenismo

4. Siccome oggi, sotto il soffio della grazia dello Spirito Santo, in più parti del mondo con la preghiera, la parola e l'azione si fanno molti sforzi per avvicinarsi a quella pienezza di unità che Gesù Cristo vuole, questo santo Concilio esorta tutti i fedeli cattolici perché, riconoscendo i segni dei tempi, partecipino con slancio all'opera ecumenica.

Per « movimento ecumenico » si intendono le attività e le iniziative suscitate e ordinate a promuovere l'unità dei cristiani, secondo le varie necessità della Chiesa e secondo le circostanze. Così, in primo luogo, ogni sforzo per eliminare parole, giudizi e opere che non rispecchiano con giustizia e verità la condizione dei fratelli separati e perciò rendono più difficili le mutue relazioni con essi. Poi, in riunioni che si tengono con intento e spirito religioso tra cristiani di diverse Chiese o comunità, il « dialogo » condotto da esponenti debitamente preparati, nel quale ognuno espone più a fondo la dottrina della propria comunione e ne presenta con chiarezza le caratteristiche. Infatti con questo dialogo tutti acquistano una conoscenza più vera e una stima più giusta della dottrina e della vita di ogni comunione. Inoltre quelle comunioni vengono a collaborare più largamente in qualsiasi dovere richiesto da ogni coscienza cristiana per il bene comune, e possono anche, all'occasione, riunirsi per pregare insieme. Infine, tutti esaminano la loro fedeltà alla volontà di Cristo circa la Chiesa e, com'è dovere, intraprendono con vigore l'opera di rinnovamento e di riforma.

Tutte queste cose, quando con prudenza e costanza sono compiute dai fedeli della Chiesa cattolica sotto la vigilanza dei pastori, contribuiscono a promuovere la giustizia e la verità, la concordia e la collaborazione, la carità fraterna e l'unione. Per questa via a poco a poco, superati gli ostacoli frapposti alla perfetta comunione ecclesiale, tutti i cristiani, nell'unica celebrazione dell'eucaristia, si troveranno riuniti in quella unità dell'unica Chiesa che Cristo fin dall'inizio donò alla sua Chiesa, e che crediamo sussistere, senza possibilità di essere perduta, nella Chiesa cattolica, e speriamo che crescerà ogni giorno più fino alla fine dei secoli.

È chiaro che l'opera di preparazione e di riconciliazione delle singole persone che desiderano la piena comunione cattolica, si distingue, per sua natura, dall'iniziativa ecumenica; non c'è però tra esse alcuna opposizione, poiché l'una e l'altra procedono dalla mirabile disposizione di Dio.

I fedeli cattolici nell'azione ecumenica si mostreranno senza esitazione pieni di sollecitudine per i loro fratelli separati, pregando per loro, parlando con loro delle cose della Chiesa, facendo i primi passi verso di loro. E innanzi tutto devono essi stessi con sincerità e diligenza considerare ciò che deve essere rinnovato e realizzato nella stessa famiglia cattolica, affinché la sua vita renda una testimonianza più fedele e più chiara della dottrina e delle istituzioni tramandate da Cristo per mezzo degli apostoli.

Infatti, benché la Chiesa cattolica sia stata arricchita di tutta la verità rivelata da Dio e di tutti i mezzi della grazia, tuttavia i suoi membri non se ne servono per vivere con tutto il dovuto fervore. Ne risulta che il volto della Chiesa rifulge meno davanti ai fratelli da noi separati e al mondo intero, e la crescita del regno di Dio ne è ritardata. Perciò tutti i cattolici devono tendere alla perfezione cristiana (20) e sforzarsi, ognuno secondo la sua condizione, perché la Chiesa, portando nel suo corpo l'umiltà e la mortificazione di Gesù (21), vada di giorno in giorno purificandosi e rinnovandosi, fino a che Cristo se la faccia comparire innanzi risplendente di gloria, senza macchia né ruga (22).

Nella Chiesa tutti, secondo il compito assegnato ad ognuno sia nelle varie forme della vita spirituale e della disciplina, sia nella diversità dei riti liturgici, anzi, anche nella elaborazione teologica della verità rivelata, pur custodendo l'unità nelle cose necessarie, serbino la debita libertà; in ogni cosa poi pratichino la carità. Poiché agendo così manifesteranno ogni giorno meglio la vera cattolicità e insieme l'apostolicità della Chiesa.

D'altra parte è necessario che i cattolici con gioia riconoscano e stimino i valori veramente cristiani, promananti dal comune patrimonio, che si trovano presso i fratelli da noi separati. Riconoscere le ricchezze di Cristo e le opere virtuose nella vita degli altri, i quali rendono testimonianza a Cristo talora sino all'effusione del sangue, è cosa giusta e salutare: perché Dio è sempre mirabile e deve essere ammirato nelle sue opere.

Né si deve dimenticare che quanto dalla grazia dello Spirito Santo viene compiuto nei fratelli separati, può pure contribuire alla nostra edificazione. Tutto ciò che è veramente cristiano, non è mai contrario ai beni della fede ad esso collegati, anzi può sempre far sì che lo stesso mistero di Cristo e della Chiesa sia raggiunto più perfettamente.

Tuttavia le divisioni dei cristiani impediscono che la Chiesa realizzi la pienezza della cattolicità a lei propria in quei figli che le sono certo uniti col battesimo, ma sono separati dalla sua piena comunione. Inoltre le diventa più difficile esprimere sotto ogni aspetto la pienezza della cattolicità nella realtà della vita.

Questo santo Concilio costata con gioia che la partecipazione dei fedeli all'azione ecumenica cresce ogni giorno, e la raccomanda ai vescovi d'ogni parte della terra, perché sia promossa solertemente e sia da loro diretta con prudenza.

continua

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CAPITOLO II

ESERCIZIO DELL'ECUMENISMO

L'unione deve interessare a tutti

5. La cura di ristabilire l'unione riguarda tutta la Chiesa, sia i fedeli che i pastori, e tocca ognuno secondo le proprie possibilità, tanto nella vita cristiana di ogni giorno quanto negli studi teologici e storici. Tale cura manifesta già in qualche modo il legame fraterno che esiste fra tutti i cristiani e conduce alla piena e perfetta unità, conforme al disegno della bontà di Dio.

La riforma della Chiesa

6. Siccome ogni rinnovamento della Chiesa (23) I consiste essenzialmente in una fedeltà più grande alla sua vocazione, esso è senza dubbio la ragione del movimento verso l'unità. La Chiesa peregrinante è chiamata da Cristo a questa continua riforma di cui, in quanto istituzione umana e terrena, ha sempre bisogno. Se dunque alcune cose, sia nei costumi che nella disciplina ecclesiastica ed anche nel modo di enunziare la dottrina - che bisogna distinguere con cura dal deposito vero e proprio della fede--sono state osservate meno accuratamente, a seguito delle circostanze, siano opportunamente rimesse nel giusto e debito ordine. Questo rinnovamento ha quindi una importanza ecumenica singolare. I vari modi poi attraverso i quali tale rinnovazione della vita della Chiesa già è in atto - come sono il movimento biblico e liturgico, la predicazione della parola di Dio e la catechesi, l'apostolato dei laici, le nuove forme di vita religiosa, la spiritualità del matrimonio, la dottrina e l'attività della Chiesa in campo sociale--vanno considerati come garanzie e auspici che felicemente preannunziano i futuri progressi dell'ecumenismo.

La conversione del cuore

7. Non esiste un vero ecumenismo senza interiore conversione. Infatti il desiderio dell'unità nasce e matura dal rinnovamento dell'animo (24), dall'abnegazione di se stessi e dal pieno esercizio della carità. Perciò dobbiamo implorare dallo Spirito divino la grazia di una sincera abnegazione, dell'umiltà e della dolcezza nel servizio e della fraterna generosità di animo verso gli altri. « Vi scongiuro dunque - dice l'Apostolo delle genti - io, che sono incatenato nel Signore, di camminare in modo degno della vocazione a cui siete stati chiamati, con ogni umiltà e dolcezza, con longanimità, sopportandovi l'un l'altro con amore, attenti a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace» (Ef 4,1-3). Questa esortazione riguarda soprattutto quelli che sono stati innalzati al sacro ordine per continuare la missione di Cristo, il quale « non è venuto tra di noi per essere servito, ma per servire » (Mt 20,28).

Anche delle colpe contro l'unità vale la testimonianza di san Giovanni: « Se diciamo di non aver peccato, noi facciamo di Dio un mentitore, e la sua parola non è in noi» (1 Gv 1,10). Perciò con umile preghiera chiediamo perdono a Dio e ai fratelli separati, come pure noi rimettiamo ai nostri debitori.

Si ricordino tutti i fedeli, che tanto meglio promuoveranno, anzi vivranno in pratica l'unione dei cristiani, quanto più si studieranno di condurre una vita più conforme al Vangelo. Quanto infatti più stretta sarà la loro comunione col Padre, col Verbo e con lo Spirito Santo, tanto più intima e facile potranno rendere la fraternità reciproca.

L'unione nella preghiera

8. Questa conversione del cuore e questa santità di vita, insieme con le preghiere private e pubbliche per l'unità dei cristiani, devono essere considerate come l'anima di tutto il movimento ecumenico e si possono giustamente chiamare ecumenismo spirituale.

È infatti consuetudine per i cattolici di recitare insieme la preghiera per l'unità della Chiesa, con la quale ardentemente alla vigilia della sua morte lo stesso Salvatore pregò il Padre: « che tutti siano una cosa sola» (Gv 17,21).

In alcune speciali circostanze, come sono le preghiere che vengono indette « per l'unità » e nelle riunioni ecumeniche, è lecito, anzi desiderabile, che i cattolici si associno nella preghiera con i fratelli separati. Queste preghiere in comune sono senza dubbio un mezzo molto efficace per impetrare la grazia dell'unità e costituiscono una manifestazione autentica dei vincoli con i quali i cattolici rimangono uniti con i fratelli separati: « Poiché dove sono due o tre adunati nel nome mio, ci sono io in mezzo a loro » (Mt 18,20).

Tuttavia, non è permesso considerare la « communicatio in sacris » come un mezzo da usarsi indiscriminatamente per il ristabilimento dell'unità dei cristiani. Questa « communicatio » è regolata soprattutto da due principi: esprimere l'unità della Chiesa; far partecipare ai mezzi della grazia. Essa è, per lo più, impedita dal punto di vista dell'espressione dell'unità; la necessità di partecipare la grazia talvolta la raccomanda. Circa il modo concreto di agire, avuto riguardo a tutte le circostanze di tempo, di luogo, di persone, decida prudentemente l'autorità episcopale del luogo, a meno che non sia altrimenti stabilito dalla conferenza episcopale a norma dei propri statuti, o dalla santa Sede.

La reciproca conoscenza

9. Bisogna conoscere l'animo dei fratelli separati. A questo scopo è necessario lo studio, e bisogna condurlo con lealtà e benevolenza. I cattolici debitamente preparati devono acquistare una migliore conoscenza della dottrina e della storia, della vita spirituale e liturgica, della psicologia religiosa e della cultura propria dei fratelli. A questo scopo molto giovano le riunioni miste, con la partecipazione di entrambe le parti, per dibattere specialmente questioni teologiche, dove ognuno tratti da pari a pari, a condizione che quelli che vi partecipano, sotto la vigilanza dei vescovi, siano veramente competenti. Da questo dialogo apparirà più chiaramente anche la vera posizione della Chiesa cattolica. In questo modo si verrà a conoscere meglio il pensiero dei fratelli separati e a loro verrà esposta con maggiore precisione la nostra fede.

La formazione ecumenica

10. L'insegnamento della sacra teologia e delle altre discipline, specialmente storiche, deve essere impartito anche sotto l'aspetto ecumenico, perché abbia sempre meglio a corrispondere alla verità dei fatti. È molto importante che i futuri pastori e i sacerdoti conoscano bene la teologia accuratamente elaborata in questo modo, e non in maniera polemica, soprattutto per quanto riguarda le relazioni dei fratelli separati con la Chiesa cattolica. È infatti dalla formazione dei sacerdoti che dipende soprattutto l'istituzione e la formazione spirituale dei fedeli e dei religiosi. Anche i cattolici che attendono alle opere missionarie in terre in cui lavorano altri cristiani devono conoscere, specialmente oggi, le questioni e i frutti che nel loro apostolato nascono dall'ecumenismo.

Modi di esprimere e di esporre la dottrina della fede

11. Il modo e il metodo di enunziare la fede cattolica non deve in alcun modo essere di ostacolo al dialogo con i fratelli. Bisogna assolutamente esporre con chiarezza tutta intera la dottrina. Niente è più alieno dall'ecumenismo che quel falso irenismo, che altera la purezza della dottrina cattolica e ne oscura il senso genuino e preciso.

Allo stesso tempo la fede cattolica va spiegata con maggior profondità ed esattezza, con un modo di esposizione e un linguaggio che possano essere compresi anche dai fratelli separati. Inoltre nel dialogo ecumenico i teologi cattolici, fedeli alla dottrina della Chiesa, nell'investigare con i fratelli separati i divini misteri devono procedere con amore della verità, con carità e umiltà. Nel mettere a confronto le dottrine si ricordino che esiste un ordine o « gerarchia » nelle verità della dottrina cattolica, in ragione del loro rapporto differente col fondamento della fede cristiana. Così si preparerà la via nella quale, per mezzo di questa fraterna emulazione, tutti saranno spinti verso una più profonda cognizione e più chiara manifestazione delle insondabili ricchezze di Cristo (25).

La cooperazione con i fratelli separati

12. Tutti i cristiani professino davanti a tutti i popoli la fede in Dio uno e trino, nel Figlio di Dio incarnato, Redentore e Signore nostro, e con comune sforzo nella mutua stima rendano testimonianza della speranza nostra, che non inganna. Siccome in questi tempi si stabilisce su vasta scala la cooperazione nel campo sociale, tutti gli uomini sono chiamati a questa comune opera, ma a maggior ragione quelli che credono in Dio e, in primissimo luogo, tutti i cristiani, a causa del nome di Cristo di cui sono insigniti. La cooperazione di tutti i cristiani esprime vivamente l'unione già esistente tra di loro, e pone in più piena luce il volto di Cristo servo. Questa cooperazione, già attuata in non poche nazioni, va ogni giorno più perfezionata-- specialmente nelle nazioni dove è in atto una evoluzione sociale o tecnica--sia facendo stimare rettamente la dignità della persona umana, sia lavorando a promuovere il bene della pace, sia applicando socialmente il Vangelo, sia facendo progredire con spirito cristiano le scienze e le arti, come pure usando rimedi d'ogni genere per venire incontro alle miserie de. nostro tempo, quali sono la fame e le calamità, l'analfabetismo e l'indigenza, la mancanza di abitazioni e l'ineguale distribuzione della ricchezza. Da questa cooperazione i credenti in Cristo possono facilmente imparare come ci si possa meglio conoscere e maggiormente stimare gli uni e gli altri, e come si appiani la via verso l'unità dei cristiani.


continua

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CAPITOLO III

CHIESE E COMUNITÀ ECCLESIALI SEPARATE DALLA SEDE APOSTOLICA ROMANA

Le varie divisioni

13. Noi rivolgiamo ora il nostro pensiero alle due principali categorie di scissioni che hanno intaccato l'inconsutile tunica di Cristo.

Le prime di esse avvennero in Oriente, sia per la contestazione delle forme dogmatiche dei Concili di Efeso e di Calcedonia, sia, più tardi, per la rottura della comunione ecclesiastica tra i patriarchi orientali e la sede romana.

Le altre sono sorte, dopo più di quattro secoli, in Occidente, a causa di quegli eventi che comunemente sono conosciuti con il nome di Riforma. Da allora parecchie Comunioni sia nazionali che confessionali, si separarono dalla Sede romana. Tra quelle nelle quali continuano a sussistere in parte le tradizioni e le strutture cattoliche, occupa un posto speciale la Comunione anglicana. Tuttavia queste varie divisioni differiscono molto tra di loro non solo per ragione dell'origine, del luogo e del tempo, ma soprattutto per la natura e gravità delle questioni spettanti la fede e la struttura ecclesiastica. Perciò questo santo Concilio, il quale né misconosce le diverse condizioni delle diverse Comunioni cristiane, né trascura i legami ancora esistenti tra loro nonostante la divisione, per una prudente azione ecumenica decide di proporre le seguenti considerazioni.

I. Speciale considerazione delle Chiese orientali

Carattere e storia propria degli orientali

14. Le Chiese d'Oriente e d'Occidente hanno seguito per molti secoli una propria via, unite però dalla fraterna comunione nella fede e nella vita sacramentale, sotto la direzione della Sede romana di comune consenso accettata, qualora fra loro fossero sorti dissensi circa la fede o la disciplina. È cosa gradita per il sacro Concilio richiamare alla mente di tutti, tra le altre cose di grande importanza, che in Oriente prosperano molte Chiese particolari o locali, tra le quali tengono il primo posto le Chiese patriarcali, e come non poche di queste si gloriano d'essere state fondate dagli stessi apostoli. Perciò presso gli orientali grande fu ed è ancora la preoccupazione e la cura di conservare, in una comunione di fede e di carità, quelle fraterne relazioni che, come tra sorelle, devono esistere tra le Chiese locali.

Non si deve parimenti dimenticare che le Chiese d'Oriente hanno fin dall'origine un tesoro dal quale la Chiesa d'Occidente ha attinto molti elementi nel campo della liturgia, della tradizione spirituale e dell'ordine giuridico. Né si deve sottovalutare il fatto che i dogmi fondamentali della fede cristiana sulla Trinità e sul Verbo di Dio incarnato da Maria vergine, sono stati definiti in Concili ecumenici celebrati in Oriente e come, per conservare questa fede, quelle Chiese hanno molto sofferto e soffrono ancora. L'eredità tramandata dagli apostoli è stata accettata in forme e modi diversi e, fin dai primordi stessi della Chiesa, qua e là variamente sviluppata, anche per le diversità di carattere e di condizioni di vita. Tutte queste cose, oltre alle cause esterne e anche per mancanza di mutua comprensione e carità, diedero ansa alle separazioni.

Perciò il santo Concilio esorta tutti, ma specialmente quelli che intendono lavorare al ristabilimento della desiderata piena comunione tra le Chiese orientali e la Chiesa cattolica, a tenere in debita considerazione questa speciale condizione della nascita e della crescita delle Chiese d'Oriente, e la natura delle relazioni vigenti fra esse e la Sede di Roma prima della separazione, e a formarsi un equo giudizio su tutte queste cose. Questa regola, ben osservata, contribuirà moltissimo al dialogo che si vuole stabilire.

Tradizione liturgica e spirituale degli orientali

15. È pure noto a tutti con quanto amore i cristiani d'Oriente celebrino la sacra liturgia, specialmente quella eucaristica, fonte della vita della Chiesa e pegno della gloria futura; in essa i fedeli, uniti al vescovo, hanno accesso a Dio Padre per mezzo del Figlio, Verbo incarnato, morto e glorificato, nell'effusione dello Spirito Santo, ed entrano in comunione con la santissima Trinità, fatti «partecipi della natura divina » (2 Pt 1,4). Perciò con la celebrazione dell'eucaristia del Signore in queste singole Chiese, la Chiesa di Dio è edificata e cresce (26), e con la concelebrazione si manifesta la comunione tra di esse.

In questo culto liturgico gli orientali magnificano con splendidi inni Maria sempre vergine, solennemente proclamata santissima madre di Dio dal Concilio ecumenico Efesino, perché Cristo conforme alla sacra Scrittura fosse riconosciuto, in senso vero e proprio, Figlio di Dio e figlio dell'uomo; similmente tributano grandi omaggi a molti santi, fra i quali vi sono Padri della Chiesa universale.

Siccome poi quelle Chiese, quantunque separate, hanno veri sacramenti - e soprattutto, in virtù della successione apostolica, il sacerdozio e l'eucaristia - che li uniscono ancora a noi con strettissimi vincoli, una certa « communicatio in sacris », presentandosi opportune circostanze e con l'approvazione dell'autorità ecclesiastica, non solo è possibile, ma anche consigliabile.

In Oriente si trovano pure le ricchezze di quelle tradizioni spirituali che sono espresse specialmente dal monachismo. Ivi infatti fin dai gloriosi tempi dei santi Padri fiorì quella spiritualità monastica che si estese poi all'Occidente, e dalla quale, come da sua fonte, trasse origine la regola monastica dei latini e in seguito ricevette di tanto in tanto nuovo vigore. Perciò caldamente si raccomanda che i cattolici con maggior frequenza accedano a queste ricchezze de Padri orientali, che elevano tutto l'uomo alla contemplazione delle cose divine.

Tutti sappiano che il conoscere, venerare, conservare e sostenere il ricchissimo patrimonio liturgico e spirituale degli orientali è di somma importanza per la fedele custodia dell'integra tradizione cristiana per la riconciliazione dei cristiani d'Oriente e d'occidente.

Disciplina degli orientali

16. Inoltre fin dai primi tempi le Chiese d'Oriente seguivano discipline proprie, sancite dai santi Padri e dai Concili, anche ecumenici. Una certa diversità di usi e consuetudini, come abbiamo sopra ricordato, non si oppone minimamente all'unità della Chiesa, anzi ne accresce la bellezza e costituisce un aiuto prezioso al compimento della sua missione perciò il sacro Concilio, onde togliere ogni dubbio dichiara che le Chiese d'Oriente, memori della necessaria unità di tutta la Chiesa, hanno potestà di regolarsi secondo le proprie discipline, come più consone al carattere dei loro fedeli e più adatte a pro muovere il bene delle anime. La perfetta osservanza di questo principio tradizionale, invero non sempre rispettata, appartiene a quelle cose che sono assolutamente richieste come previa condizione al ristabilimento dell'unità.

Carattere proprio degli orientali nell'esporre i misteri

17. Ciò che sopra è stato detto circa la legittima diversità deve essere applicato anche alla diversa enunziazione delle dottrine teologiche. Effettivamente nell'indagare la verità rivelata in Oriente e in Occidente furono usati metodi e cammini diversi per giungere alla conoscenza e alla confessione delle cose divine. Non fa quindi meraviglia che alcuni aspetti del mistero rivelato siano talvolta percepiti in modo più adatto e posti in miglior luce dall'uno che non dall'altro, cosicché si può dire che quelle varie formule teologiche non di rado si completino, piuttosto che opporsi. Per ciò che riguarda le tradizioni teologiche autentiche degli orientali, bisogna riconoscere che esse sono eccellentemente radicate nella sacra Scrittura, sono coltivate ed espresse dalla vita liturgica, sono nutrite dalla viva tradizione apostolica, dagli scritti dei Padri e dagli scrittori ascetici orientali, e tendono a una retta impostazione della vita, anzi alla piena contemplazione della verità cristiana.

Questo sacro Concilio, ringraziando Dio che molti orientali figli della Chiesa cattolica, i quali custodiscono questo patrimonio e desiderano viverlo con maggior purezza e pienezza, vivano già in piena comunione con i fratelli che seguono la tradizione occidentale, dichiara che tutto questo patrimonio spirituale e liturgico, disciplinare e teologico, nelle diverse sue tradizioni, appartiene alla piena cattolicità e apostolicità della Chiesa.

Conclusione

18. Considerate bene tutte queste cose, questo sacro Concilio inculca di nuovo ciò che è stato dichiarato dai precedenti sacri Concili e dai romani Pontefici, che cioè, per ristabilire o conservare la comunione e l'unità bisogna « non imporre altro peso fuorché le cose necessarie » (At 15,28). Desidera pure ardentemente che d'ora in poi, nelle varie istituzioni e forme della vita della Chiesa, tutti gli sforzi tendano passo passo al conseguimento di essa, specialmente con la preghiera e il dialogo fraterno circa la dottrina e le più urgenti necessità pastorali del nostro tempo. Raccomanda parimenti ai pastori e ai fedeli della Chiesa cattolica di stabilire delle relazioni con quelli che non vivono più in Oriente, ma lontani dalla patria. Così crescerà la fraterna collaborazione con loro in spirito di carità, bandendo ogni sentimento di litigiosa rivalità. Se questa opera sarà promossa con tutto l'animo, il sacro Concilio spera che, tolta la parete che divide la Chiesa occidentale dall'orientale, si avrà finalmente una sola dimora solidamente fondata sulla pietra angolare, Cristo Gesù, il quale di entrambe farà una cosa sola (27).


continua

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II. Chiese e Comunità ecclesiali separate in Occidente

Condizione di queste comunità

19. Le Chiese e Comunità ecclesiali che, o in quel gravissimo sconvolgimento incominciato in Occidente già alla fine del medioevo, o in tempi posteriori si sono separate dalla Sede apostolica romana sono unite alla Chiesa cattolica da una speciale affinità e stretta relazione, dovute al lungo periodo di vita che il popolo cristiano nei secoli passati trascorse nella comunione ecclesiastica.

Ma siccome queste Chiese e Comunità ecclesiali per la loro diversità di origine, di dottrina e di vita spirituale, differiscono non poco anche tra di loro, e non solo da noi, è assai difficile descriverle con precisione, e noi non abbiamo qui l'intenzione di farlo.

Sebbene il movimento ecumenico e il desiderio di pace con la Chiesa cattolica non sia ancora invalso dovunque, nutriamo speranza che a poco a poco cresca in tutti il sentimento ecumenico e la mutua stima.

Bisogna però riconoscere che tra queste Chiese e Comunità e la Chiesa cattolica vi sono importanti divergenze, non solo di carattere storico, sociologico, psicologico e culturale, ma soprattutto nell'interpretazione della verità rivelata. Per poter più facilmente, nonostante queste differenze, riprendere il dialogo ecumenico, vogliamo qui mettere in risalto alcuni elementi, che possono e devono essere la base e il punto di partenza di questo dialogo.

La fede in Cristo

20. Il nostro pensiero si rivolge prima di tutto a quei cristiani che apertamente confessano Gesù Cristo come Dio e Signore e unico mediatore tra Dio e gli uomini, per la gloria di un solo Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo. Sappiamo che vi sono invero non lievi discordanze dalla dottrina della Chiesa cattolica anche intorno a Cristo Verbo di Dio incarnato e all'opera della redenzione, e perciò intorno al mistero e al ministero della Chiesa e alla funzione di Maria nell'opera della salvezza. Ci rallegriamo tuttavia vedendo i fratelli separati tendere a Cristo come a fonte e centro della comunione ecclesiale. Presi dal desiderio dell'unione con Cristo, essi sono spinti a cercare sempre di più l'unità ed anche a rendere dovunque testimonianza della loro fede presso le genti.

Studio della sacra Scrittura

21. L'amore e la venerazione--quasi il culto-- delle sacre Scritture conducono i nostri fratelli al costante e diligente studio del libro sacro. Il Vangelo infatti « è la forza di Dio per la salvezza di ogni credente, del Giudeo prima, e poi del Gentile » (Rm 1,16).

Invocando lo Spirito Santo, cercano nella stessa sacra Scrittura Dio come colui che parla a loro in Cristo, preannunziato dai profeti, Verbo di Dio per noi incarnato. In esse contemplano la vita di Cristo e quanto il divino Maestro ha insegnato e compiuto per la salvezza degli uomini, specialmente i misteri della sua morte e resurrezione.

Ma quando i cristiani da noi separati affermano la divina autorità dei libri sacri, la pensano diversamente da noi - e in modo invero diverso gli uni dagli altri - circa il rapporto tra la sacra Scrittura e la Chiesa. Secondo la fede cattolica, infatti, il magistero autentico ha un posto speciale nell'esporre e predicare la parola di Dio scritta.

Cionondimeno nel dialogo la sacra Scrittura costituisce uno strumento eccellente nella potente mano di Dio per il raggiungimento di quella unità, che il Salvatore offre a tutti gli uomini.

La vita sacramentale

22. Col sacramento del battesimo, quando secondo l'istituzione del Signore è debitamente conferito e ricevuto con le disposizioni interiori richieste, l'uomo e veramente incorporato a Cristo crocifisso e glorificato e viene rigenerato per partecipare alla vita divina, secondo le parole dell'Apostolo: « Sepolti insieme con lui nel battesimo, nel battesimo insieme con lui siete risorti, mediante la fede nella potenza di Dio, che lo ha ridestato da morte (Col 2,12) (28).

Il battesimo quindi costituisce il vincolo sacramentale dell'unità che vige tra tutti quelli che per mezzo di esso sono stati rigenerati. Tuttavia il battesimo, di per sé, è soltanto l'inizio e l'esordio, che tende interamente all'acquisto della pienezza della vita in Cristo. Pertanto esso è ordinato all'integra professione della fede, all'integrale incorporazione nell'istituzione della salvezza, quale Cristo l'ha voluta, e infine alla piena inserzione nella comunità eucaristica.

Le comunità ecclesiali da noi separate, quantunque manchi loro la piena unità con noi derivante dal battesimo, e quantunque crediamo che esse, specialmente per la mancanza del sacramento dell'ordine, non hanno conservata la genuina ed integra sostanza del mistero eucaristico, tuttavia, mentre nella santa Cena fanno memoria della morte e della resurrezione del Signore, professano che nella comunione di Cristo è significata la vita e aspettano la sua venuta gloriosa. Bisogna quindi che la dottrina circa la Cena del Signore, gli altri sacramenti, il culto e i ministeri della Chiesa costituiscano oggetto del dialogo.

La vita in Cristo

23. La vita cristiana di questi fratelli è alimentata dalla fede in Cristo e beneficia della grazia del battesimo e dell'ascolto della parola di Dio. Si manifesta poi nella preghiera privata, nella meditazione della Bibbia, nella vita della famiglia cristiana, nel culto della comunità riunita a lodare Dio. Del resto il loro culto mostra talora importanti elementi della comune liturgia antica.

La fede con cui si crede a Cristo produce i frutti della lode e del ringraziamento per i benefici ricevuti da Dio; a ciò si aggiunge un vivo sentimento della giustizia e una sincera carità verso il prossimo. E questa fede operosa ha pure creato non poche istituzioni per sollevare la miseria spirituale e corporale per l'educazione della gioventù, per rendere più umane le condizioni sociali della vita, per stabilire ovunque una pace stabile.

Anche se in campo morale molti cristiani non intendono sempre il Vangelo alla stessa maniera dei cattolici, né ammettono le stesse soluzioni dei problemi più difficili dell'odierna società, tuttavia vogliono come noi aderire alla parola di Cristo quale sorgente della virtù cristiana e obbedire al precetto dell'Apostolo: « Qualsiasi cosa facciate, o in parole o in opere, fate tutto nel nome del Signore Gesù, rendendo grazie a Dio Padre per mezzo di lui » (Col 3,17). Di qui può prendere inizio il dialogo ecumenico intorno alla applicazione morale del Vangelo.

Conclusione

24. Così dopo avere brevemente esposto le condizioni di esercizio dell'azione ecumenica e i principi con i quali regolarla, volgiamo fiduciosi gli occhi al futuro. Questo sacro Concilio esorta i fedeli ad astenersi da qualsiasi leggerezza o zelo imprudente, che potrebbero nuocere al vero progresso dell'unità. Infatti la loro azione ecumenica non può essere se non pienamente e sinceramente cattolica, cioè fedele alla verità che abbiamo ricevuto dagli apostoli e dai Padri, e conforme alla fede che la Chiesa cattolica ha sempre professato; nello stesso tempo tende a quella pienezza con la quale il Signore vuole che cresca il suo corpo nel corso dei secoli.

Questo santo Concilio desidera vivamente che le iniziative dei figli della Chiesa cattolica procedano congiunte con quelle dei fratelli separati, senza che sia posto alcun ostacolo alle vie della Provvidenza e senza che si rechi pregiudizio ai futuri impulsi dello Spirito Santo. Inoltre dichiara d'essere consapevole che questo santo proposito di riconciliare tutti i cristiani nell'unità di una sola e unica Chiesa di Cristo, supera le forze e le doti umane. Perciò ripone tutta la sua speranza nell'orazione di Cristo per la Chiesa, nell'amore del Padre per noi e nella potenza dello Spirito Santo. «La speranza non inganna, poiché l'amore di Dio è largamente diffuso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci fu dato » (Rm 5,5).

Tutte e singole le cose stabilite in questo Decreto sono piaciute ai Padri del Sacro Concilio. E Noi, in virtù della potest Apostolica conferitaci da Cristo, unitamente ai Venerabili Padri, nello Spirito Santo le approviamo, le decretiamo e le stabiliamo; e quanto stato cos sinodalmente deciso, comandiamo che sia promulgato a gloria di Dio.

Roma, presso San Pietro, 21 novembre 1964.

Io PAOLO Vescovo della Chiesa Cattolica

Seguono le firme dei Padri.

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