Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 21:54
Autore
Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 11.290
Registrato il: 03/10/2008
Registrato il: 01/11/2008
Sesso: Maschile
25/11/2008 13:58

“In lui era la vita”: ogni esistenza creata (animata o inanimata) ha sempre avuto la sua origine nella vita della Parola, e la vita che gli uomini ricevono dalla Parola è un dono di Dio per mezzo di Cristo, una specie di partecipazione all’essere di Dio. Questa affermazione fa da introduzione ai vv. 14 ss, nei quali si asserisce chiaramente che la vita soprannaturale dell’uomo è una partecipazione alla vita divina della Santissima Trinità.


“La vita era la luce degli uomini”:
vicino a Dio, Dio egli stesso, il Verbo vive fin dalle origini una relazione unica con gli uomini: tutto ciò che vive, riceve l’essere da lui. Egli è la luce che illumina ogni uomo, vale a dire il principio che permette a ogni uomo di comprendere se stesso.


“La luce splende nelle tenebre”:
qui per la prima volta si fa notare che esiste una resistenza, un’opposizione alla luce. Le tenebre indicano un mondo dominato dal male che si oppone alla rivelazione della luce. La seconda parte del versetto (“le tenebre non l’hanno accolta”) potrebbe essere tradotta così: “Le tenebre non l’hanno sconfitta”. L’ingresso di Cristo-luce nella storia crea tensione e rifiuto, ma anche accettazione nella fede.


“Ci fu un uomo mandato da Dio: il suo nome era Giovanni”:
questa nota sul Battista ci fa scendere dal mondo soprannaturale e divino all’universo umano (“ci fu un uomo”). La differenza di tonalità colpisce il lettore ed è possibile che questo passo su Giovanni (come pure il versetto 15) sia stato introdotto più tardi per dissuadere i discepoli di Giovanni dal mettere questo grande profeta sullo stesso piano di Gesù. Tra i due c’è una differenza radicale che separa “colui che era fin dal principio, rivolto verso Dio” da quest’uomo, che è venuto da parte di Dio per essere testimone. Il Battista è un testimone della luce, ma non la luce stessa. Giovanni rende solo testimonianza alla luce davanti alle autorità giudaiche (1, 19-34), davanti al popolo d’Israele (1, 31-34) e davanti ai propri discepoli (1, 35-37). L’ultima volta che Giovanni è menzionato nel vangelo, è quando viene elogiato per essere stato un testimone fedele: “Tutto ciò che egli disse di Gesù era vero” (Gv 10,41).


“Veniva nel mondo la luce vera”:
appare qui un aggettivo (“vero”) che tornerà spesso nel vangelo: vero pane (6,32), vera bevanda (6,55), vera vita (15,1). Nell’uso ebraico, “vero” caratterizza in primo luogo l’ordine divino (cfr. 7,28; 17,3), che viene contraddistinto dall’illusione e dalla fallacia dell’ordine dell’uomo peccatore (cfr. Rm 3,4).


“E il Verbo si fece carne”
[8]:
senza cessare di essere Verbo, il Verbo entra nel tempo. Colui che esisteva da tutta l’eternità è entrato nel tempo e nella storia umana. Questo è il tremendo mistero dell’Incarnazione per cui la Parola eterna assunse la nostra identica natura umana, divenendo in tutto simile a noi, fatta eccezione per il peccato (Eb 4,15). Cioè in tutto, escluso ciò che era incomprensibile con la divinità. Questa è una delle affermazioni più incisive di tutto il vangelo. Per esprimere questo mistero, Giovanni ha deliberatamente scelto l’immagine biblica della tenda: “Ha posto la sua tenda in mezzo a noi”. Il vocabolo evoca la tenda (skenè) del deserto (Es 25, 8-9) costruita perché Dio potesse “abitare in mezzo a loro”. Il tempio di pietra di Sion (come si dirà esplicitamente in Gv 2, 18-22) è ora sostituito dalla “carne” di Gesù, cioè dalla sua corporeità e dalla sua esistenza storica che condivide con noi.

A partire dal versetto 14 la parola “Verbo” sparisce dal Vangelo. Ora che Giovanni ha definitivamente raggiunto il punto culminante della sua introduzione parlando della Parola divenuta carne, non la chiama più la Parola ma Gesù: il Vangelo è una testimonianza non alla Parola eterna ma alla Parola fatta carne, Gesù Cristo, il Figlio di Dio. Ormai si lascia vedere soltanto l’uomo-Gesù e, lungo tutto il suo vangelo, Giovanni si compiace di sottolineare l’umanità di Gesù: “Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto ciò che ho fatto” (4,29); “Nessun uomo ha mai parlato così” (7,46); “Tu che sei uomo, ti fai Dio” (10,33); “Quale accusa portate contro quest’uomo?” (18,29; “Ecco l’uomo!” (19,5).


“Giovanni gli rende testimonianza”:
l’Inno si conclude con un’ulteriore testimonianza del Battista, che ribadisce il primato di Cristo che è “prima” di lui, anche se venuto cronologicamente “dopo” di lui nella storia umana. Si esalta poi la missione del Figlio di Dio presso l’umanità. Egli offre all’uomo soprattutto “la grazia e la verità". La missione della Parola  nel mondo fu precisamente quella di porre gli uomini in grado di divenire figli di Dio, partecipi cioè della vita divina.


Concludendo
queste riflessioni sul Prologo, possiamo dire che: il Logos, che all’inizio del prologo appare in tutto il suo splendore e potenza, si immerge paradossalmente nell’abisso della nostra miseria e fa della quotidianità e della ferialità dell’uomo lo spazio dove piantare la sua tenda. Non possiamo che contemplare provando una gioia inesprimibile nell’apprendere la notizia inaudita che questo Verbo è disceso fino a noi per dichiararci l’Amore di Dio. Gioia nel contemplare che Lui è il nostro “principio”, che noi eravamo amati prima ancora di essere creati e che saremo amati per sempre. La nostra esistenza è immersa nel mistero dell’amore di Dio per l’uomo.

Con l’Incarnazione del Figlio di Dio l’eterno entra nel tempo[9] e il tempo viene assunto dall’Eterno, perché in Gesù Cristo il tempo raggiunge la sua pienezza: “Quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, perché ricevessimo l’adozione a figli” (Gal 4, 4-5). La dimensione ordinaria e cronologica dell’esistenza (krònos) diventa kairòs, luogo dell’incontro con l’amore gratuito di Dio e, attraverso di esso, della piena realizzazione dell’uomo. C’è una ricchezza nella propria giornata, quando il tempo è vissuto come “kairòs”. Non è necessario evadere dalla quotidianità per sentirsi vivi. Parlare di quotidianità significa parlare di esperienza, di lavoro, di studio, di tempo libero, di relazioni, di uso di beni, in una parola di tutto quel complesso che chiamiamo “realtà temporali” o “beni penultimi”. E’ in questa quotidianità che Dio si rivela.

La storia eterna della Parola è storia di donazione, creazione e salvezza non solo per i credenti ma per tutti gli uomini poiché “tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio” (Is 52,10).

   Parte prima :  IL LIBRO DEI SEGNI (1,19 – 12,50)

            I.      LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI BATTISTA (1, 19-51)

TORNA ALL'INDICE

Subito dopo il prologo (1, 1-18), ha inizio la prima parte del vangelo di Giovanni, che si concluderà col capitolo 12 e che è chiamata da alcuni commentatori il “Libro dei segni”, perché l’evangelista vi distribuisce sette “segni”, cioè sette miracoli compiuti da Gesù. Più avanti chiariremo il concetto di “segno” in Giovanni. Questa sezione corrisponde al racconto sinottico del ministero pubblico di Gesù, cioè alla sua rivelazione davanti a Israele e all’intera umanità.

Come il prologo di Giovanni sostituisce i racconti dell’infanzia di Gesù che si trovano in Matteo e Luca. Così anche in questa sezione Giovanni concorda con i sinottici nel far cominciare la vita pubblica di Gesù con la predicazione di Giovanni Battista, ma non dice nulla riguardo alla predicazione di quest’ultimo, ma si appresta subito a chiarire che il Battista non è il Messia, ma solo colui che deve rivelare l’ingresso del Messia nella storia.

Giovanni Battista realizza qui quello che il prologo aveva annunziato di lui: rendere testimonianza su Gesù, e lo fa in un triplice modo: con la testimonianza su se stesso: “Io non sono il Cristo”(vv. 19-28); con la testimonianza davanti ai suoi discepoli: “Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me” (vv. 29-34)  Infine con il passaggio da lui a Gesù: “Ecco l’Agnello di Dio” (vv. 35-51).

TORNA ALL'INDICE1.     Giovanni Battista testimonia su se stesso (1, 19-28).

Le autorità giudaiche chiedono a Giovanni di definirsi in rapporto all’attesa messianica, ed egli risponde negativamente per tre volte (non è né il Cristo né Elia né il profeta): è soltanto la voce che apre la strada al Messia.

Al tempo di Gesù, i giudei aspettavano la venuta del messia (christòs in greco, da cui il nostro “Cristo”), ma questa attesa assumeva forme diverse:

- Prima di tutto il “battesimo” aveva una dimensione messianica perché, per mezzo di esso, si otteneva la purificazione necessaria per partecipare della salvezza messianica. Ecco perché i giudei credevano che Giovanni Battista fosse il messia, perché la sua attività di battezzatore poteva far pensare all’arrivo degli ultimi tempi.

- Il Battista, quindi, anche se battezza, nega di essere il messia atteso, ma nega anche di essere “Elia”, il cui ritorno era previsto prima di quello del messia. Il rapimento di Elia sul carro di fuoco (2 Re 2,11) aveva dato origine ad alcune leggende sulla vita e sul ritorno del grande profeta.

- Infine, Giovanni Battista nega anche di essere il “profeta” ultimo e definitivo che Mosè aveva promesso in Deut 18, 15-18: “Il Signore tuo Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, in mezzo a te, un profeta come me”.

Così, il battesimo di Giovanni, come le sue parole mirano a far sì che l’attenzione del popolo si sposti dalla sua persona a quella di Cristo. Infatti il battesimo di acqua, quello di Giovanni, suggerisce e annunzia quello dello Spirito, del quale parlerà espressamente più avanti. Con la sua testimonianza Giovanni mira a far conoscere lo sconosciuto, che è già presente ed è il portatore della salvezza.

TORNA ALL'INDICE2.     Giovanni Battista testimonia su Gesù (1, 29-34).

L’evangelista Giovanni attraverso le parole del Battista ci presenta Gesù come colui che “toglie”, o meglio, che “prende su di sé” il peccato del mondo. La traduzione italiana “togliere” suggerisce l’idea di  “eliminare”, mentre il verbo greco “arein” significa letteralmente “prendere su di sé”. Gesù agli inizi della sua missione, incomincia il suo cammino fra i peccatori e in solidarietà con essi, “prendendo su di sé i loro peccati”.

Gesù, dice ancora l’evangelista, è “l’agnello” di Dio. Questa immagine biblica rievoca quella del servo sofferente di Jhawè che, come agnello mansueto, viene condotto al macello e porta su di sé i peccati del popolo (Isaia 53, 4-7.11-12).

Ma l’immagine richiama anche l’agnello pasquale di Esodo (12,46) che l’evangelista accosterà più tardi alla morte innocente di Gesù in croce: “Non gli sarà spezzato alcun osso” (Gv. 19,36).

Entrambi questi riferimenti portano a vedere nella figura di Gesù il mediatore tra Dio e gli uomini, che accetta di prendere su di sé le conseguenze del male del mondo con un estremo atto di amore e di offerta di sé a Dio, in solidarietà con tutti gli esseri viventi, facendosi, per così dire, come gli agnelli sacrificati nel tempio, “olocausto perenne per tutte le generazioni” (cfr. Es 29,42).

La testimonianza del Battista si conclude con la proclamazione di Gesù “Figlio di Dio”. Tale riconoscimento non è frutto di conoscenza umana, ma è conseguenza del dono dello Spirito. Infatti Giovanni dichiara di non aver conosciuto la persona di Gesù nella profondità del suo mistero di Figlio di Dio, se non dopo aver visto “lo Spirito scendere come una colomba dal cieli e posarsi su di lui” (Gv 1,32; cfr. Is 11,2; 61,1).

Riconoscere in Gesù “il Figlio di Dio” non è un atto di fede che nasce da noi, ma un dono dello Spirito Santo. Prima il Battista non conosceva Gesù, pur essendo suo parente secondo la carne, ma Dio gli ha aperto gli occhi, gli ha fatto riconoscere la sua presenza, gli ha concesso non solo di ascoltare la sua parola, ma di “vedere”.

La “visione” dello Spirito, vale a dire la profonda esperienza di fede che fa entrare  più a fondo nel mistero di Dio, spinge alla testimonianza. Il vangelo e le lettere di Giovanni insistono molto sulla fede come esperienza, donata dallo Spirito, che coinvolge tutta la persona. E spinge a rendere testimonianza: “Ho visto e ho reso testimonianza” dice il Battista.

TORNA ALL'INDICE3.     Alcuni discepoli di Giovanni Battista vanno a Gesù (1, 35-51).

E’ soltanto da Giovanni che veniamo a sapere che i primi discepoli che hanno seguito Gesù erano stati originariamente discepoli del Battista. I sinottici, invece, ci parlano della chiamata dei primi discepoli (Pietro, Andrea, Giacomo e Giovanni) durante la pesca “ mentre gettavano le reti in mare. Infatti erano pescatori (Mc. 1,16).

Giovanni vedendo avvicinarsi di nuovo Gesù griderà: “Ecco l’Agnello di Dio”. Due discepoli di Giovanni guardano a Gesù e se ne sentono attratti, Gesù fissa i discepoli e chiede: “Cosa desiderate?”. Uno dei due discepoli del Battista era quel Giovanni che diventerà l’evangelista che come aquila fisserà il sole della verità di Cristo, e inizierà il vangelo con l’inno: “In principio era il Verbo…”

L’evangelista fu colpito dalle parole del Battista: “Ecco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”, dette due volte. Egli era un discepolo “puro” del Battista e poi del Cristo, sul cui petto meritò di posare il capo.

L’adesione a Gesù non è solamente il risultato dell’iniziativa di Giovanni Battista, ma è preceduta dalla scelta libera e dalla chiamata dei discepoli da parte di Gesù, Giovanni è solo intermediario. I primi due discepoli rimangono con lui dalle quattro del pomeriggio. Non vengono precisati né le ragioni, né il luogo, e questa descrizione contribuisce a dare al racconto una dimensione misteriosa e aperta: ogni credente è invitato a fare lo stesso cammino. Credere passa spesso attraverso mediazioni umane, ma l’essenziale consiste nella chiamata del Signore e nella risposta a Lui.

Quali che siano le circostanze (Andrea intermediario per Pietro, Filippo per Natanaele; chiamata diretta per Filippo), è sempre Gesù che conserva l’iniziativa con la profondità del suo sguardo e la sua parola incisiva che chiama i discepoli. L’evangelista non ci dice nulla dell’accoglienza di Simon Pietro, ma s’interessa soprattutto all’annuncio di Gesù riguardo al nome nuovo che un giorno riceverà “Cefa”, cioè Pietro. Giovanni risponde così a un duplice scopo: in primo luogo sottolineare l’autorità di Gesù che si comporta qui come il rivelatore; e poi porre Pietro fin dall’inizio in posizione di preminenza, lui sarà il portavoce dei Dodici (6,67) e il pastore del gregge (c. 21).

Filippo è, dopo Andrea e Simon Pietro, il terzo discepolo che viene chiamato con il suo nome: tutti e tre vengono da Betsaida, città di pescatori situata in riva al lago di Tiberiade. Nei sinottici il suo nome è menzionato soltanto nella lista dei Dodici (Mc 3,18). La sua chiamata riprende una formula frequente nei sinottici: “Seguimi!”.

Ma è soprattutto l’incontro con Natanaele[10] che interessa il narratore. Il suo scetticismo, dopo aver conosciuto l’origine di Gesù, è spiegabile: il messia non poteva venire da una città insignificante come Nazaret. Questo contrasto tra il messia glorioso atteso e l’origine umile di Gesù è lo scandalo dell’incarnazione. La fede deve vincere l’ostacolo della carne e riconoscere nell’uomo Gesù l’inviato di Dio.

Come ha fatto per Pietro, Gesù manifesta un sapere inaspettato anche per Natanaele: “Ti ho visto sotto il fico”[11]. Nel vangelo di Giovanni, Gesù dà spesso prova di una conoscenza superiore degli avvenimenti e delle persone (2,25; 6,61; 13,1), e di essere padrone di ogni situazione che gli si presenta.

Alla fine del brano troviamo il titolo “Figlio dell’uomo” che a differenza dei sinottici che fanno riferimento a Dan 7,13 Giovanni si ispira alla scala di Giacobbe (Gn 28,10-17). Come in quell’episodio della Genesi, il riferimento agli angeli significava l’incontro e la comunicazione di Dio con gli uomini, così qui Gesù, in quanto Figlio dell’uomo, è diventato il luogo d’incontro tra Dio e l’uomo, tra il cielo e la terra.

__________________________________________________

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 11:14. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com