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VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 21:54
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25/11/2008 14:02

b) Gesù e i discepoli (vv. 27-38)

Ora i discepoli ritornano dalla loro commissione (v. 8) e si meravigliano non tanto che Gesù parli con una samaritana quanto che si intrattenga con una donna. Però, conoscendo bene il loro maestro, non ardiscono fare alcun commento negativo mentre egli è presente.

Nell’andarsene, la donna lasciò la sua brocca dell’acqua perché Gesù potesse berne. E’ possibile che Giovanni veda qui un significato simbolico: ora che la donna è arrivata alla sorgente dell’acqua viva, non sente più il bisogno dell’altra (v. 15).

Nel frattempo anche i discepoli danno prova di essere lenti ad affermare il vero significato delle profonde parole di Gesù che essi interpretano soltanto nel loro senso materiale e superficiale.

Gesù, si spiega meglio citando un proverbio palestinese: tra la semina e il raccolto corre un periodo di quattro mesi[25]. Il raccolto, però, di cui parla Gesù (il raccolto sul campo seminato da Dio) è già pronto ora. La prova di ciò è nella donna che in questo preciso momento sta affrettandosi verso il villaggio per rendere testimonianza ai suoi compaesani i quali torneranno subito a vedere essi stessi (v. 42). In questo racconto non esiste alcun intervallo tra la semina e la messe, ma il mietitore (Dio stesso) si identifica con il seminatore (Gesù) ed entrambi si rallegrano in pari tempo. Si è avverato qui il vecchio proverbio ma non nel senso che gli veniva attribuito (“C’è chi semina e c’è chi raccoglie”), dato che in questo raccolto Dio è sia il seminatore che il mietitore.

c) Gesù e i samaritani (vv. 39-42).

La conclusione reintroduce in scena la donna che non cerca di serbare gelosamente per sé colui che si è rivelato a lei. Il cammino della fede è giunto al suo termine: i samaritani  seguono il modello di tutti coloro che hanno la vera fede. Avendo in primo tempo creduto in base alla testimonianza della donna, i samaritani finiscono per credere in base alla parola stessa di Gesù. Essi non soltanto credono, ma riconoscono pure in lui qualcosa di più (“Salvatore del mondo”) del Messia a cui la donna aveva reso testimonianza. Tra la fede imperfetta dei giudei basata sulla vista dei segni (2, 23-25), quella dell’intellettuale Nicodemo pronto a riconoscere in Gesù un inviato di Dio ma incapace di aderire alla fede totale in lui, e il percorso compiuto dai samaritani, c’è un abisso. Il racconto descrive l’adesione progressiva al mistero di Gesù di una donna (e attraverso di lei di una comunità): giudeo (v. 9), Signore (v. 11), più grande del nostro padre Giacobbe (v. 12), profeta (v. 19), Cristo (vv. 26-29), Salvatore del mondo (v. 42).

6.     Il secondo segno di Cana: guarigione del figlio di un funzionario (4, 46-54)

Abbiamo già detto che nei primi 12 capitoli vengono presentati sette “segni” miracolosi che hanno lo scopo – proprio perché “segni” più che prodigi – di illustrare alcuni aspetti della realtà di Gesù. Il primo “segno” è stato quello di Cana, il secondo è  il seguente: la guarigione del figlio di un funzionario regio. Ne seguirà subito un terzo che riguarda un paralitico ed è  ambientato in una piscina detta Betzata o Betesda.

Come nel precedente miracolo a Cana, la prima risposta di Gesù al funzionario regio[26] ha tutta l’apparenza di un rifiuto, presente in altre occasioni (cfr 2,4” Che c’è tra te e me o donna…”). Le parole di Gesù, però, sono al plurale (“voi”) e assurgono pertanto a un principio generale: la fede non deve basarsi unicamente sui miracoli, ma sulla parola di Dio. Difatti è la parola creatrice di Gesù che opera la guarigione desiderata: i segni e la fede nella parola vanno sempre insieme. Lo stesso concetto è espresso in quasi tutti i racconti di miracoli nei sinottici.

     III.      GESU’ E LE PRINCIPALI FESTE DEI GIUDEI (5,1 – 12,50)

In questa sezione alquanto lunga del vangelo, Giovanni utilizza parecchie visite di Gesù a Gerusalemme fatte in occasione delle grandi feste giudaiche per mostrare che in lui le aspirazioni del giudaismo, simboleggiate in tali feste acquistano una rilevanza anche più vasta. I temi del Prologo, quelli della “luce” e della “vita” sono continuamente sottolineati.

Si nota inoltre una drammatizzazione crescente intorno alla persona di Gesù. Dopo l’entusiasmo degli inizi (1, 1-51), la rivelazione di Cana (2, 1-12), incontri “leali” come quello tra Gesù e Nicodemo (Gv 3), conversioni inaspettate come quella della Samaritana e dei suoi concittadini (Gv 4), la guarigione del figlio del funzionario regio, ecco che cominciano queste scene di polemica, di rifiuto e di minacce. L’opposizione dei giudei si fa sempre più inquietante: “I giudei cercavano ancor più di ucciderlo”(5,18); “I sacerdoti-capi mandarono delle guardie per arrestarlo”, ma senza successo (7,32.45); “Presero delle pietre per scagliarle addosso” (8,59), i giudei tramano contro di lui e i suoi fedeli (9,22); durante la festa della Dedicazione lo vogliono lapidare (10,31), poi tentano di arrestarlo (10,39). La sua morte viene decisa dopo la risurrezione di Lazzaro (11,53); viene impartito l’ordine di cercare il luogo in cui si nasconde (11,57).

TORNA ALL'INDICE1)    Terzo segno: guarigione alla piscina di Betzaetà (5, 1-47)

La guarigione del paralitico alla piscina (5, 1-9), posta nei pressi della porta delle Pecore[27] che conduceva al tempio, avviene di sabato, nel corso di una celebrazione festiva annuale, non meglio precisata dall’evangelista. La presenza di Gesù a Gerusalemme fa pensare che si tratti di una delle tre grandi feste ebraiche (Pasqua, Pentecoste o la festa delle Capanne), spesso designate come le “feste dei giudei”.

a) La disputa (vv. 10-18)

La violazione del“ sabato” offre lo spunto a una polemica che i Giudei intessono con Gesù, ma il dialogo si apre progressivamente verso una direzione molto più alta. Infatti Gesù “chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio”. Si delinea la divinità e la trascendenza di Gesù, che vengono illustrate in un discorso che egli stesso pronunzia in modo solenne, occupando la maggior parte del capitolo quinto.

L’uomo infermo è affetto da un duplice handicap: da una parte, è malato da tanto tempo (38 anni), ciò lascia supporre che la sua malattia fosse inguaribile. Dall’altra parte, non può approfittare dell’efficacia dell’acqua[28], riservata al primo che vi entrava, poiché non aveva nessuno che lo immergeva nella piscina. Questo tratto sottolinea la sua solitudine e la sua rassegnazione, tanto da portare la gente a disinteressarsi del suo caso, considerato disperato.

Gesù prende l’iniziativa e volge lo sguardo verso il malato. Informato della durata del suo male, lo interroga per conoscere il suo desiderio. Di fronte alla sua confessione d’impotenza, Gesù fa per lui, il più povero fra tutti quei poveri malati, quel che “le acque agitate” ottenevano a favore del più forte tra di loro.

Il confronto tra le acque guaritrici e Gesù mostra la Sua superiorità: se le “acque agitate” hanno guarito un infermo, a Gesù è bastata una sua parola per guarire, senza ricorrere al segno dell’acqua: “L’uomo fu guarito all’istante”.

Dopo la guarigione Gesù trova l’infermo nel Tempio e gli dice: “ Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti accada qualcosa di peggio”. Gesù non sostiene che i peccati dell’uomo sono la causa della sua disgrazia (cfr. Lc 13, 1-4). Il “peggio”  di cui parla si riferisce senza dubbio al giudizio di Dio.

Fino a questo punto il racconto era incentrato sull’onnipotenza di Gesù capace di rimettere in piedi un uomo malato e rassegnato. Ora il tema del sabato introduce il motivo dell’opposizione tra Gesù e le autorità giudaiche[29]. Nel vangelo di Giovanni, a parte il dibattito intellettuale con Nicodemo, è questo il primo conflitto serio tra Gesù e le autorità di Gerusalemme.

b) il potere del Figlio (vv. 19- 30).

Il potere che Gesù si attribuisce come Figlio di Dio, potere ricevuto da Dio stesso, è quello di dare la vita e di essere giudice dell’umanità: “Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a coloro che vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno, ma ha dato tutto il giudizio al Figlio” (vv. 21-22). Sono queste “le opere più grandi” dei miracoli che Gesù compie su mandato del Padre.

La risurrezione dei morti a vita nuova non riguarda solo la risurrezione finale, ma la vita nuova qui e adesso: la vita di grazia è l’inizio della vita di gloria: “Chi crede in me anche se morisse, vivrà, e chiunque crede in me, non morirà mai” (Gv. 11,25 ss.).

Anche il giudizio, non ha luogo solo alla fine dei tempi, ma qui e adesso, sulla base dell’accettazione o del rifiuto di Cristo.

Questa duplice autorità di Gesù sulla vita e sul giudizio sono visti come una “escatologia realizzata”.

Il duplice tema della risurrezione e del giudizio, ribadito in questo testo, esalta la profonda connessione tra Dio e Gesù: ascoltare (il Figlio) e credere (al Padre) è una sola e medesima realtà: rifiutare Gesù è rinnegare il Padre.

Identificando la sua opera con quella di Dio, Gesù si dichiara uguale a Lui. Per i capi giudaici, fermi assertori del monoteismo, queste affermazioni di Gesù sembravano una chiara affermazione di dualismo nella divinità.

Questa unità tra il Padre e il Figlio, può apparire poco chiara leggendo il v. 19: “Il Figlio non può far nulla da sé, se non ciò che ha veduto nel Padre”. Qui Gesù, però,  non intende affermare una subordinazione della sua natura umana da Dio (rinnegherebbe tutto quello che ha già affermato prima), insiste piuttosto sull’assoluta armonia che esiste tra l’attività del Padre e quella del Figlio, il che ovviamente esige radicalmente un’identità di natura. In Gv 16,12 ss., si utilizza lo stesso procedimento per precisare la relazione che esiste tra lo Spirito Santo e il Figlio. Tuttavia, in tutto il vangelo, la Trinità non viene mai presentata e trattata come una tesi di teologia astratta; se ne parla sempre in relazione alla salvezza: il Figlio – che è sia Dio che Uomo – si trova nel mondo per compiere l’opera del Padre, che è  quella di portare agli uomini la salvezza.

Il principio di questa comunanza di attività tra il Padre e il Figlio è l’amore. L’amore è anche il principio dell’attività dello Spirito in quanto santificatore, attività che mira a rendere anche gli uomini partecipi della vita comunitaria della Trinità (cfr. Gv 14,16.21). Il credente che aderisce in uno slancio al Padre e al Figlio riceve il dono immediato della vita e non incorre nel giudizio.

Con la venuta di Gesù gli ultimi tempi sono iniziati, il giudizio si basa sull’accoglimento o sul rifiuto di lui. “E’ venuta l’ora, ed è questa”, con Gesù siamo entrati nel “già”, in cammino verso la risurrezione finale, ma “non ancora” avvenuta. Il mediatore di questa vita eterna porta il duplice nome di “Figlio di Dio” (v. 25) e di “Figlio dell’uomo” (v. 27). La sola condizione è di ascoltare la sua voce. Ogni uomo, anche dopo la dipartita di Gesù, può mettersi in ascolto della “parola” e ottenere così fin d’ora la vita eterna. L’escatologia realizzata non sopprime la risurrezione finale, in Gv l’escatologia futura è parte integrante del suo insegnamento.

c) Testimonianza a favore del Figlio (vv. 31- 47).

Il discorso ora si sposta sulla testimonianza e Gesù accetta il principio generale della giurisprudenza umana, secondo la quale la testimonianza che uno rende a se stesso, va suffragata con l’attestazione di altre persone, e Gesù chiama in causa a suo favore tre testimoni (vv. 31-40): Giovanni Battista, mandato da Dio (Gv 1,6); i miracoli di Gesù e il Padre stesso. La testimonianza del Padre, più che a un singolo avvenimento (come il battesimo di Gesù), rimanda alla testimonianza globale dell’Antico Testamento (sono proprio le Scritture che mi rendono testimonianza, v. 39).

L’attacco si fa violento (vv. 41-47): i giudei non credono perché non hanno in loro l’amore di Dio. Alla fine il testimone che accuserà il popolo ebreo sarà proprio Mosè, vale a dire quelle Scritture sulle quali essi si fondano per rifiutare Gesù.

Concludiamo queste riflessioni evidenziando alcuni titoli cristologici presenti in questo capitolo quinto:

- Gesù, il guaritore, colui che è attento al più debole.

- Gesù, il padrone del sabato, perché così imita suo Padre.

- Gesù, il Figlio, in unione con il Padre.

- Gesù, l’uguale a Dio: accusa dei giudei, ma vera agli occhi dei cristiani.

- Gesù, centro delle Scritture.

- Gesù salvatore.

TORNA ALL'INDICE2)    Quarto segno: la moltiplicazione dei pani (6, 1-15)

Questo episodio è localizzato in Galilea. Riappare un’indicazione collegata alla liturgia giudaica: è la seconda Pasqua, dopo quella descritta in 2,13. Gesù, nella cornice del lago di Tiberiade[30], compie un quarto “segno” miracoloso, la moltiplicazione dei pani, un fatto ampiamente trattato dagli altri evangelisti (questo episodio è il solo miracolo raccontato da tutti e quattro gli evangelisti). Ad esso Giovanni darà un senso profondo, aggregando all’evento il famoso discorso sul “pane della vita” (6,35), pronunziato nella sinagoga di Cafarnao.[31]

Fin dall’inizio il racconto s’impernia su Gesù. Egli è il personaggio che dirige tutto: vede la folla, interroga Filippo sapendo quello che sta per fare, ordina di far sedere la gente, conserva l’iniziativa anche per la distribuzione dei pani. Guidato sempre dalla sua prescienza, “saputo che stavano per farlo re” (v. 15), si ritira solo sul monte.

Lo sfondo biblico  è quello dell’Esodo, con la differenza che nel deserto “Dio dava la manna al suo popolo in quantità misurata”, qui regna la dismisura “ne restano dodici ceste”[32]. Il racconto si riferisce chiaramente all’Eucarestia e Giovanni sintetizza le versioni sinottiche, anche se ci sono allusioni liturgiche che mancano nelle versioni sinottiche, e viceversa. Giovanni, per esempio, omette l’espressione “li spezzò”, e durante l’ultima cena è Gesù stesso che distribuisce (e non i discepoli come nei sinottici).

In tutto il vangelo di Giovanni, chiaramente anche in questo, l’obiettivo di Gesù non è tanto quello di manifestare la sua compassione per la folla senza cibo quanto di svelare la sua vera identità, perciò l’evangelista ha relegato sullo sfondo i discepoli per incentrare tutta la sua narrazione sulla potente personalità di Gesù che dirige gli avvenimenti e li interpreta.

TORNA ALL'INDICE3)    Il quinto segno: Gesù cammina sulle acque (6, 16-21)

Giovanni descrive con tutta naturalezza un fenomeno del tutto ordinario in un lago soggetto a tempeste improvvise. A differenza dei sinottici, a Giovanni non interessa il dettaglio del “calmare i venti” (Mc 6,51; Mt 14,32). Il significato più ovvio del testo è comunque di affermare, conformemente ai sinottici, che Gesù stava realmente camminando sull’acqua, quando fu incontrato dai discepoli. Ciò è sottolineato dall’annotazione della distanza (25-30 stadi) che i discepoli avevano percorso remando (distanza che corrisponde più o meno alla indicazione di Marco “in mezzo al mare”). Il significato di un tale miracolo nell’ambito della “natura”, come quello della moltiplicazione dei pani, non mira, né in Gv né nei sinottici, a presentarci Gesù solo come un operatore di prodigi. Il potere di Dio sul mare è un tema comunissimo nell’AT (Gen 1,2.6 ss.; Sal 74, 12-15; 93,3 s.). Infatti, fu attraverso il dominio di Dio sul mare che il popolo d’Israele poté fuggire dall’Egitto verso la terra promessa (Es 14,19 ss. 15, 1-21; Sal 77, 17-22), anche lì l’acqua si era trasformata in strada per i figli d’Israele.

Un altro dettaglio conferma questa lettura: “I discepoli ebbero paura”, segno che hanno visto in quest’episodio un intervento di Dio. Ma Gesù li tranquillizza cominciando col dire: “Sono io”: c’è qui un chiaro riferimento alla rivelazione del Sinai. Ancora una volta, Giovanni ha visto un profondo significato spirituale in una semplice risposta.

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