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VANGELO DI GIOVANNI

Ultimo Aggiornamento: 25/11/2008 21:54
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b)    Gesù da Anna e Caifa. Rinnegamento di Pietro (18, 12-27)


Gesù arrestato viene condotto, secondo il vangelo di Giovanni, non davanti a Caifa, sommo sacerdote in carica, ma davanti a suo suocero, Anna, un ex sommo sacerdote particolarmente potente. Giovanni è il solo che gli attribuisce un ruolo nell’interrogatorio di Gesù.

I quattro vangeli riportano il triplice rinnegamento di Pietro. A differenza di Luca (che ha conservato un racconto continuo), gli altri tre hanno ripartito il triplice rinnegamento in due o tre momenti diversi, durante il processo di Gesù. Giovanni inquadra abilmente la comparizione di Gesù davanti ad Anna con due scene dedicate a Pietro. Mentre Gesù interrogato riguardo ai suoi discepoli (v. 19) che continua a proteggerli dichiarando di aver “parlato apertamente al mondo”, Pietro, interrogato riguardo al suo maestro, lo rinnega.

L’interrogatorio di Anna verte sull’accusa di turbativa dell’ordine pubblico attraverso la costituzione di un gruppo di seguaci e l’insegnamento di una dottrina pericolosa. E’ probabile che l’interesse del sommo sacerdote si focalizzasse sulla convinzione che Gesù fosse a capo di una rivolta messianica (cfr 11,47 ss.).

Nella sua risposta Gesù fa notare l’inutilità e la farsa di questo processo, egli infatti da tempo parlava in pubblico e il suo insegnamento era ascoltato dalla folla, non aveva nulla di segreto, quindi se fosse a capo di una rivolta poteva allora essere arrestato già prima e in qualsiasi momento, perché lo hanno fatto proprio adesso e in modo così teatrale?

A questo punto una guardia schiaffeggia Gesù, perché gli è sembrato che Gesù attribuisse poca importanza a questo processo e alle accuse del sommo sacerdote.

Ma lui silenzioso nei sinottici davanti agli affronti, nel vangelo di Giovanni si comporta con la dignità del Signore che chiede spiegazioni a colui che lo percuote.

Dopo l’interrogatorio non ufficiale nella casa di Anna, Gesù è condotto da Caifa per un processo formale, tenuto di giorno. Ma di questo interrogatorio di Caifa (v. 24), l’evangelista non ci dà informazioni. Sviluppa, invece, in modo suggestivo il processo davanti a Pilato.

TORNA ALL'INDICEc)     Gesù davanti a Pilato (18, 28-40)

Questa scena si svolge nel pretorio[44], luogo di residenza di Pilato[45] che compare qui per la prima volta nel vangelo di Giovanni, senza altre precisazioni sulla sua identità.

La domanda di Pilato ai sommi sacerdoti (v. 29) che incontra fuori dal pretorio per non “contaminarsi”[46], non significa necessariamente che egli non fosse al corrente dell’atteggiamento di questi uomini nei confronti di Gesù. Egli chiede il motivo dell’accusa in conformità alla legge romana[47]. Siccome i nemici di Gesù, non disponevano di un’accusa così grave da condannare Gesù, fanno un primo tentativo di costringere Pilato ad accettare il loro giudizio senza andare alla ricerca di accuse specifiche.

Pilato si rifiuta di compromettersi in questi termini (v. 31) ed è lui che costringe i giudei a scoprire i loro piani sulla vita di Gesù. Anche in questo racconto, come del resto in tutto il racconto della passione, Giovanni ci dà l’immagine di Gesù padrone degli avvenimenti e della storia, e qui l’evangelista vede nella morte di Gesù l’adempimento delle profezie fatte dallo stesso Gesù concernenti la sua morte (v. 32).

La domanda di Pilato a Gesù (v. 33) riguardo alla sua regalità è posta nei quattro vangeli in termini strettamente identici. Soltanto Giovanni sviluppa la risposta in un dialogo tra Gesù e Pilato. Provocato da Pilato a riconoscersi come re, Gesù prende le distanze dall’immagine della regalità terrena, senza tuttavia rifiutare il titolo stesso. Ma la contestazione di Gesù è più ampia: il suo regno non è quello che aspettano i giudei, né quello che Pilato suppone. Il suo regno viene da altrove, è di natura spirituale, lui è il “preesistente” e il suo regno si instaura non mediante la forza, ma attraverso la proposta di una parola di rivelazione. Quelli che l’accolgono diventano sudditi di questo regno, non solo alla fine dei tempi, ma fin d’ora E il suddito è chi si mette in ascolto della parola di rivelazione “chiunque è dalla verità ascolta la mia voce”.

Alle parole di Gesù, Pilato risponde con una battuta che esprime sia ironia che scetticismo. Ma il processo ha cambiato aspetto: l’accusatore è diventato accusato, la vittima è diventata giudice, Pilato infatti respinge le accuse mosse contro Gesù: egli non è un “malfattore” come affermavano i giudei e Pilato proclama l’innocenza dell’accusato. A questo punto i giudei si trovano nella situazione ironica di dover chiedere la liberazione di uno che era colpevole dello stesso crimine di cui essi avevano falsamente accusato Gesù. Barabba era stato arrestato per sedizione politica. È quanto, forse, vuole esprimere Giovanni chiamandolo “bandito”, termine usato per designare gli “zeloti” che costituivano l’opposizione sotterranea giudaica alla dominazione romana.

TORNA ALL'INDICEd)    Flagellazione e condanna (19, 1-16)

Nel vangelo di Giovanni la flagellazione non è presentata come l’inizio del castigo che culminerà sulla croce, né come una prova fisica per indebolire il condannato o estorcere confessioni, ma tende piuttosto ad assimilare Gesù al servo sofferente che “presentava il suo dorso ai flagellatori” (Is 50,6).

Gli insulti e gli scherni dei soldati romani, descritti anche nei sinottici, avevano come loro bersaglio tanto Gesù quanto i giudei in generale. Per i soldati costui era semplicemente uno dei tanti rivoltosi giudaici con i quali avevano già avuto a che fare nel passato. Essi trovavano completamente ridicola l’idea che ci potesse essere un “re dei giudei”. Anche in questa scena, come nelle precedenti, per Giovanni, Cristo manifesta la sua regalità proprio nell’umiliazione e nella sconfitta.

Ormai il dramma si sta per compiere. Pilato presenta alla folla Gesù (”Ecce homo”) torturato come re e come uomo. L’evangelista fa comprendere che, senza volerlo, Pilato afferma la verità profonda sull’incarnazione e sulla regalità di Gesù. Dopo un nuovo breve dialogo, che ha per oggetto il potere di Pilato e che Gesù riconduce al disegno divino generale (questo è il  senso della dichiarazione sul potere “dato dall’alto”), il procuratore tenta un atto estremo per salvare Gesù, presentandolo per un’ultima volta alla folla, all’interno del cortile[48] del pretorio. Perché temere un re così misero? Ma i giudei reagiscono ricattando Pilato, accusandolo di slealtà nei confronti dell’imperatore e di infedeltà nelle sue funzioni. Gesù allora viene affidato all’esecuzione capitale per la crocifissione.

TORNA ALL'INDICEe)     La crocifissione e morte(9, 17-37)

Anche in questo racconto si continua a sottolineare l’aspetto positivo della glorificazione di Cristo. Non si fa alcuna menzione di Simone di Cirene, perché Giovanni ci tiene e presentarci un Gesù che ha costantemente un assoluto dominio della situazione. In questa cornice di trionfo non c’è spazio per il pianto delle donne di Gerusalemme o per le derisioni di cui Gesù fu oggetto sulla croce. Gesù muore dopo aver annunciato di aver compiuto fino all’ultimo l’opera che gli era stata affidata. E la motivazione della condanna affissa in tre lingue[49] sulla croce serve come annuncio al mondo intero. Giovanni frattanto descrive l’atto di divisione della tunica senza cuciture di Gesù e lo interpreta alla luce del Salmo 22,19. C’è poi una scena solenne, tanto cara alla tradizione cristiana successiva: quasi come in un estremo testamento Gesù affida la madre al discepolo amato perché le sia figlio e viceversa. E’ l’investitura per una missione che i Padri della Chiesa interpretano in senso ecclesiale.

L’evangelista descrive gli ultimi istanti di Gesù come atti liberi di colui che padroneggia il proprio destino fino  alla fine e che dice e fa ciò che deve essere detto e fatto. Il verbo “compiere” apre e chiude questa sequenza. Nel vangelo di Giovanni l’espressione: “Ho sete” è vista come adempimento della Scrittura “Per bevanda mi hanno offerto aceto” (Salmo 69,22).

La morte di Gesù è il ritorno del Figlio al Padre suo, la sua ultima parola: “Tutto è compiuto” significa che egli ha condotto a buon fine la sua missione.

I fatti immediatamente susseguenti alla morte di Gesù riferiti da Giovanni si trovano soltanto nel suo vangelo: i giudei chiedono a Pilato di spezzare le gambe ai crocifissi per affrettare la loro morte (togliendo ogni appoggio al condannato, si accelerava la morte per asfissia) e rimuovere i corpi dalla croce. L’abitudine dei romani, invece, era quella di lasciare i cadaveri in croce per accrescere il terrore nella popolazione. I soldati non spezzano le gambe di Gesù e il senso viene chiarito con riferimento all’agnello pasquale, di cui “non sarà spezzato alcun osso” (Nm 9,12). Così morendo nell’ora e in prossimità degli agnelli di Pasqua, Gesù diventa misteriosamente il nuovo agnello pasquale, per mezzo del quale si riattualizza la grande festa della liberazione.

Poi invece di spezzare le gambe di Gesù come gli altri due, un soldato gli trafigge con la lancia il fianco da cui escono sangue e acqua. L’evangelista non pretende che sia un fatto miracoloso, ma da questo accertamento Giovanni trae una testimonianza solenne e la mette in risalto. Essa attesta che la morte di Gesù introduce al mistero della salvezza annunziato in Gv 7,38: “Come dice la Scrittura: dal suo ventre sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Nella morte di Gesù, l’ora della glorificazione è arrivata e lo Spirito è dato ai credenti (7,38). Il lettore cristiano attualizza questa vita data da Gesù nei due sacramenti del battesimo (rinascere dall’acqua e dallo Spirito 3,5) e dell’eucarestia (6,54).

L’insistenza di Giovanni (“Chi ha visto ne dà testimonianza”) ha lo scopo di radicare i suoi lettori nella fede che la morte di Gesù è fonte di salvezza. Due citazioni confermano che il lui si adempiono le Scritture: la prima si riferisce all’agnello pasquale (Es 12,46) e Gesù è l’agnello sacrificale della nuova Pasqua. La seconda citazione è tratta da Zaccaria 12,10  qui il profeta presentava gli Ebrei pentiti mentre contemplavano un misterioso pastore trafitto. Giovanni vede compiersi nel Cristo crocifisso questo annuncio.

TORNA ALL'INDICEf)      La sepoltura (19, 38-42)

Giovanni ritrova qui in parte il racconto sinottico attribuendo a Giuseppe d’Arimatea “discepolo di Gesù” l’intervento presso Pilato allo scopo di ottenere il corpo del Signore. L’evangelista è il solo a precisare il carattere clandestino della fede di Giuseppe d’Arimatea e a introdurre Nicodemo.

I sinottici attribuiscono alle donne l’unzione di Gesù e la situano al momento della visita al sepolcro. In Giovanni, sono questi due uomini che fanno l’unzione la sera stessa della morte di Gesù, che viene avvolto con bende e posto in un sepolcro nuovo in un orto.

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