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Lettera di Giacomo

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2008 11:23
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26/11/2008 11:14

(4)
Culto della personalità e giudizio imminente

1Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria. 2Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d’oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro. 3Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: «Tu siediti qui comodamente», e al povero dite: «Tu mettiti in piedi lì», oppure: «Siediti qui ai piedi del mio sgabello», 4non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?
5Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano? 6Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali? 7Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi? 8Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: amerai il prossimo tuo come te stesso, fate bene; 9ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori. 10Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto; 11infatti colui che ha detto: Non commettere adulterio, ha detto anche: Non uccidere.
Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge. 12Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché 13il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.

Giacomo passa improvvisamente a parlare di un tema nuovo, che però si ricollega a ciò che egli intende per vera religiosità (= cura dei poveri). Tuttavia lo si può considerare uno sviluppo più dettagliato dell’esigenza manifestata in 1,27b (= far visita agli orfani e alle vedove nella loro afflizione). Infatti egli tratta un caso che smaschera nella comunità il falso culto della personalità; in questo modo vuol far valere l’onore conferito al povero da Dio stesso. Questa volta Giacomo non si accontenta di una breve parenesi, ma tratta il caso diffusamente e in tono molto vivace.

v. 1. L’ormai familiare allocuzione fratelli miei con cui viene introdotta anche questa parenesi, comporta sempre un cordiale e pressante appello ai destinatari.

Segue, in forma imperativa, un’ammonizione a non collegare la fede cristiana al culto della personalità. Simili casi di culto della personalità sono per Giacomo inconciliabili con la fede del nostro Signore Gesù Cristo della gloria. L’accenno a Gesù Cristo, il Kyrios glorioso della comunità cristiana, sta in efficace contrasto con qualsiasi culto della personalità. Colui che pratica un tale culto, agisce come se il Signore della gloria per la comunità cristiana non fosse più Gesù, ma un altro o altri: quei ricchi il cui ingresso nell’assemblea cultuale della comunità viene festeggiato come una epifania del Kyrios Gesù. Il culto della persona pone così la gloria mondana dei ricchi al posto della gloria di Gesù, la sola valida, ed è pertanto inconciliabile con la fede cristiana.

vv. 2-3. Questo esempio altamente efficace illumina tale inconciliabilità. Si tratta di un accorgimento stilistico da non prendere alla lettera. Con ciò non si esclude che vi fossero nella comunità motivi concreti per trattare l’argomento in questo modo, diversamente non si capirebbe perché Giacomo ne scriva. Difatti presenta il fatto come se avvenisse nella vostra assemblea. La distinzione tra il povero e il ricco per Giacomo qui forse ha un’importanza relativa: a lui interessa unicamente la reazione della comunità. Lo sguardo dei presenti si dirige automaticamente verso il ricco, mentre degnano il povero appena di un’occhiata. La descrizione diventa particolarmente viva con l’impiego del discorso diretto. Il ricco viene subito invitato dalla comunità ad accettare un buon posto a sedere, mentre al povero si assegna soltanto un posto in piedi o, al più, un posto sul pavimento, più in basso di uno sgabello o di un poggiapiedi. Il disonorante trattamento del povero raggiunge il culmine con l’uso del pronome personale mou dopo upopòdion, il poggiapiedi di me. Chi parla impone al povero di prendere posto in basso, più giù del proprio sgabello, e così innalza se stesso al di sopra di lui.

v. 4. Giacomo in forma molto efficace rivolge ai destinatari una prima domanda: essi vengono così coinvolti nel caso in modo ancor più personale. Non avete fatto, in questo caso, distinzioni nel vostro intimo? Il v. 4 parla di sentimenti perversi: hanno trattato il ricco e il povero in modo così difforme perché sono giudici dai sentimenti perversi, ossia totalmente diversi rispetto a quelli di Dio.

v. 5. L’esortazione Ascoltate fratelli miei diletti ha valore di implorazione: Considerate cosa significhi un simile comportamento perché è proprio l’opposto dei sentimenti e del comportamento di Dio. Dio ha scelto i poveri è un’importante verità, frequentemente ripetuta nella Bibbia.

I poveri non sono interessanti per il mondo, non contano nulla. Dio invece ha interesse per loro e ha scelto proprio loro. La scelta di Dio impone dei capovolgimenti dei valori che contano davanti al mondo: ora non è più ricco chi porta anelli d’oro o vestiti lussuosi, ma chi è eletto da Dio. La fede in Dio accorda già ora ricchezze spirituali, vere e durature.

L’espressione eredi del regno richiama il discorso delle beatitudini: Beati voi poveri, perché vostro è il regno di Dio (Lc 6,20). Giacomo ha visto il pericolo, tutt’altro che teorico, che anche nella comunità cristiana si infiltrassero le differenziazioni classistiche particolarmente forti nella antichità e così si oscurasse l’intenzione salvifica di Dio, il quale aveva eletto proprio i poveri. Egli si accorge che nella comunità viene accordata un’eccessiva reputazione ai ricchi, a svantaggio dei poveri.

E tutto questo contraddice la parola di Dio: Non si deve disprezzare un povero saggio, né onorare alcun uomo potente (Sir 10,27); beati voi poveri ... ahimè per voi ricchi (Lc 6,20-24).

vv. 6-7. Le invettive della lettera contro i ricchi ricordano espressioni simili dei profeti (Ger 5,26-27; Mi 6,11-12; ecc.). Gli enunciati di Giacomo contro i ricchi sono del tutto generalizzanti, e l’espressione essi vi trascinano davanti ai tribunali mostra che egli identifica i ricchi con i potenti senza Dio. Probabilmente accenna alle esperienze delle persecuzioni, cui erano esposte le comunità cristiane, specialmente da parte dei giudei.

L’invocazione del nome di Gesù sui cristiani avveniva nel battesimo; con ciò si diventava sua proprietà, come Israele diventò il popolo dell’Alleanza perché su di esso fu invocato il nome di Jahvè (Ger 14,9; Dt 28,10; Sal 9,9). Il bel nome di Gesù è oltraggiato dai persecutori della comunità cristiana, così come Gesù sulla croce fu oltraggiato dai suoi avversari.

vv. 8-9. I cristiani non solo disonorano il povero mediante la preferenza fatta al ricco nella loro assemblea comunitaria, ma trasgrediscono l’espresso comando di Dio, che ha ordinato: Amerai il prossimo tuo come te stesso (Lv 19,18). Chi invece esercita il culto della persona nei riguardi dei ricchi, compie peccato. Amore del povero e culto dei ricchi si escludono a vicenda. La legge che convince come trasgressori coloro che hanno preferenze per i ricchi a scapito dei poveri è la Bibbia.

v. 10. Chi manca a un solo comandamento, si rende colpevole di tutti perché la legge è un tutto indivisibile.

Questa tesi singolare e quasi sorprendente viene esposta più dettagliatamente nei versi seguenti.

v. 11. La motivazione viene addotta sulla base dell’unico legislatore, che ha emanato tutti i comandamenti. Appunto perché la trasgressione di un qualsiasi comandamento è rivolta sempre contro la volontà del medesimo legislatore, essa è una violazione dell’intera legislazione. La santa volontà di Dio è unica e non si può dividere: non ammette quindi eccezioni. Pertanto, chi viene meno a un solo comandamento manca contro tutta la legge. Ciò sembra a prima vista di un rigore straordinario, ma a una più approfondita considerazione appare fondato sulla santità stessa di Dio. L’indivisibile volontà di Dio viene espressa nel decalogo. Fare eccezione su uno solo dei suoi comandamenti sarebbe intaccare l’unità della sua santa volontà. Soprattutto chi trasgredisce il regale comandamento dell’amore del prossimo, è diventato in linea di principio trasgressore della legge, perché non ha trasgredito un singolo comandamento, ma ha distrutto tutto l’ordinamento etico promanante da Dio, fondato sulla santità di Dio. I singoli comandamenti sono soltanto emanazioni dell’unica e indivisibile volontà di Dio. Il medesimo che ha detto: Non commettere adulterio, ha anche detto: Non uccidere. Perché ora Giacomo, richiamandosi al comandamento regale dell’amore parla proprio di adulterio e di omicidio ? Lo fa perché il rifiuto di amare il prossimo era ritenuto, già nella tradizione precedente, una specie di assassinio. E se si suppone che agli occhi di Giacomo l’amoreggiare coi ricchi sia una specie di adulterio spirituale, si comprende come egli abbia potuto scegliere dal decalogo gli esempi (commettere adulterio e uccidere) in cosciente riferimento al suo caso.

v. 12. Il retto parlare e il retto agire stanno grandemente a cuore a Giacomo. Infatti saremo giudicati mediante la legge della libertà. Per legge della libertà si intende la rivelazione etica di Dio e di Gesù, la quale vuole e può condurre gli uomini alla libertà, e la cui esigenza principale consiste nel comandamento dell’amore.

Con ciò è già detto chiaramente che il compimento del comandamento dell’amore fornirà la misura decisiva per il giudizio, come leggiamo nell’insegnamento di Gesù (Mt 7,19; 25,31-46) e come Giacomo spiegherà a fondo con passione nella grande sezione seguente.

v. 13. La misericordia viene qui interpretata nel senso del comandamento dell’amore: ama il prossimo, cioè sii misericordioso con il povero!

Ne risulta così anche un passaggio organico al testo seguente, in cui si tratta proprio della misericordia verso i fratelli e le sorelle bisognosi, che può salvare l’uomo nel giorno del giudizio.

Questo versetto viene introdotto con una motivazione (infatti). La precedente minaccia del giudizio viene motivata con un pensiero sottinteso: bisogna temere il giudizio, infatti, non ci sarà misericordia verso coloro che non sono misericordiosi. C’è una chiara corrispondenza con la dottrina di Gesù (Mt 5,7; 18,29-34; 25,45-46). Il detto conclusivo la misericordia trionfa sul giudizio ha il tono di una sentenza. Il detto vuol essere un’ultima giustificazione e, insieme, un ammonimento ai lettori.

Questi enunciati conclusivi sul tema legge e giudizio non costituiscono un semplice codicillo alla precedente condanna del culto della persona, ma un efficace motivo congiunto a un pensiero escatologico: pensate al giudizio, che verrà condotto secondo il metro del vostro amore e della vostra misericordia.


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