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Lettera di Giacomo

Ultimo Aggiornamento: 26/11/2008 11:23
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26/11/2008 11:22

(13)
Istruzioni per diverse circostanze della vita
5,13-15

13Chi tra voi è nel dolore, preghi; chi è nella gioia salmeggi. 14Chi è malato, chiami a sé i presbiteri della Chiesa e preghino su di lui, dopo averlo unto con olio, nel nome del Signore. 15E la preghiera fatta con fede salverà il malato: il Signore lo rialzerà e se ha commesso peccati, gli saranno perdonati.

Le varie istruzioni religiose date da Giacomo ai membri delle comunità riguardano circostanze dolorose e gioiose (v. 13) e il caso di malattia (vv. 14-15). L’istruzione è data in forma di imperativo singolare. Solo il terzo imperativo è connesso a più precise istruzioni e promesse.

v. 13. L’imperativo preghi ha qui il senso di una preghiera particolarmente fervida ed è suggerito dalla convinzione che Dio esaudisce certamente la supplica elargendo all’infelice forza e ristoro. Ciò del resto corrisponde già alla mentalità veterotestamentaria dei Salmi. L’imperativo canti di buon umore non ha bisogno di commento: naturalmente si tratta di canti rivolti a Dio, non di canzonette.

v. 14. Gli anziani della comunità non sono dei carismatici provvisti del dono delle guarigioni (1 Cor 1,9.28.30), ma persone che ricoprono un ufficio o una funzione. La loro abilitazione all’azione salvifica sacramentale sul malato deve essere connessa al loro carattere di ministri.

Gli anziani devono pregare sul malato e ungerlo con olio. L’olio nel giudaismo era molto usato come farmaco (Is 1,6; Mc 6,13; Lc 10,34). L’unzione del malato si fa nel nome del Signore. En onòmati (= nel nome) non significa soltanto per incarico ma anche nella forza. Secondo Lc 10,17 i discepoli riferiscono a Gesù: Anche i demoni si sono sottomessi a noi nel tuo nome. Anche Pietro guarisce uno storpio nel nome di Gesù (At 3,6). Il nome sta quindi per la persona o almeno per la sua forza. Forza e nome sono concetti paralleli. Negli Atti degli Apostoli alla domanda: quale forza o in quale nome fate questo? (4,7) segue la risposta: nel nome di Gesù (4,10).Con l’invocazione nel nome di Gesù è il Signore stesso che si rende presente, o almeno la sua forza. Alla guarigione di Enea in Lidda, Pietro dice: Enea, ti sana Gesù Cristo, alzati e fa’ il tuo letto (At 9,34).

Considerando questi passi, molto probabilmente nel nome del Signore (5,14) va inteso non tanto per incarico del Signore, quanto piuttosto con l’invocazione del suo nome, mediante la forza del suo nome. Gli anziani della comunità compiono la loro opera sul malato non in nome proprio, ma con la forza del Signore da loro invocato, come è chiaramente confermato dal v.15: Il Signore lo solleverà.

v. 15. La preghiera della fede che salverà il malato è quella che proviene da una profonda convinzione di fede. Con questo accenno alla preghiera viene esclusa ogni azione magica dell’olio. La preghiera e l’unzione non vanno isolate l’una dall’altra. Che cosa significano i verbi salverà, lo rialzerà? Nell’Antico Testamento il termine salvare viene usato nel senso di una preservazione dalla morte fisica e dallo Sheol e, positivamente, nel senso di una nuova elargizione di vita da parte di Dio all’uomo. Anche nel Nuovo Testamento salvare viene messo in connessione con il trasferimento dalla sfera della morte a quella della vita, nel senso sia terreno-fisico sia escatologico. Tuttavia nel salvare di questo verso non va esclusa una salvezza naturale. Gli anziani non sono stati chiamati presso un moribondo, ma presso un malato. Alle preghiere dei presbiteri è promessa l’efficacia di ridare la salute al corpo del malato. Il sollievo allude direttamente a qualcosa che va al di là della salute fisica, cioè al sollievo dell’anima. Il Signore dona al malato forza e vigore per il superamento psicologico del suo dolore.

All’azione sacra degli anziani viene collegata un’altra promessa: E se avesse commesso dei peccati, gli sarà perdonato. L’efficacia soprannaturale dell’unzione produce il perdono dei peccati. Le tre promesse menzionano tre fatti diversi riguardanti il corpo, l’anima e la salvezza eterna. La fiducia che Giacomo pone nella preghiera degli anziani non può sorprendere, data la sua dottrina sulla preghiera stessa. È sua ferma convinzione (1,5-7; 4,3) che Dio certamente esaudisce una preghiera fatta nella fede.

L’unzione degli infermi è un incarico che Gesù ha dato agli apostoli mandati in missione: E partiti, predicavano che la gente si convertisse, scacciavano molti demoni, ungevano di olio molti infermi e li guarivano (Mc 6,12-13).

Il fatto che gli apostoli compiano un’unzione sul malato indica che essi la intendono compresa nella missione ricevuta da Gesù. Con questo intervento sul malato essi riproducono l’attività di Gesù. Ora, se l’unzione degli infermi da parte dei discepoli di Gesù, com’è riportata da Mc, non è ancora il sacramento dell’unzione degli infermi, ne è però il fondamento.


(14)
Confessione dei peccati e preghiera d'intercessione
5,16-18

16Confessate perciò i vostri peccati gli uni agli altri e pregate gli uni per gli altri per essere guariti. Molto vale la preghiera del giusto fatta con insistenza. 17Elia era un uomo della nostra stessa natura: pregò intensamente che non piovesse e non piovve sulla terra per tre anni e sei mesi. 18Poi pregò di nuovo e il cielo diede la pioggia e la terra produsse il suo frutto.

La nuova parenesi è strettamente collegata a quella precedente. Dai vv. 14-15 viene tratta una conseguenza importante: Poiché la preghiera è così potente da ottenere per un altro il perdono dei peccati, rendetevi l’un l’altro questo servizio. Ciò che vale per la preghiera d’intercessione degli anziani in favore dei malati, vale altrettanto per quella di ciascuno in favore di tutti.

v. 16. Queste parole Confessate dunque gli uni agli altri i peccati sono comprensibili soltanto se nei vv. 14-15, per Giacomo, sia compresa, nel caso dell’unzione, una confessione del malato davanti agli anziani, anche se essa non viene esplicitamente menzionata. Altrimenti il rapporto logico indicato sul dunque non può essere capito con chiarezza.

La confessione dei peccati (pubblica o privata) era una cosa del tutto ovvia nel giudaismo. Nel Nuovo Testamento la conversione è legata alla confessione dei peccati (Mc 1,5; Mt 3,6; At 19,18; ecc.). Anche qui si allude a una confessione pubblica l’uno di fronte all’altro. Se essa sia fatta (o deve essere fatta) davanti agli anziani, dal testo non risulta. In ogni modo in questo verso non si attribuisce agli anziani nessuna funzione, in analogia con quella menzionata per l’unzione degli infermi; anzi non si fa più menzione di loro. Non è possibile dire che qui si parla della confessione sacramentale.

Brevemente Giacomo accenna allo scopo della sua istruzione: affinché veniate guariti. Cosa si intende per guarigione? È il perdono dei peccati. L’intercessione vicendevole ha come scopo il perdono dei peccati conferito l’uno all’altro.

Molto può l’efficace preghiera del giusto.

Il giusto è colui che compie la volontà di Dio. È sempre stata viva nel giudaismo la convinzione dell’efficacia dell’intercessione del giusto. Quando gli uomini peccano e accendono la collera di Dio egli cerca innanzitutto un intercessore che sia in grado di difenderli, e gli spiana la via. Così fu nei giorni di Geremia (Ger 5,1); anche quando i sodomiti avevano peccato, Dio comunicò il fatto ad Abramo perché li difendesse (Gen 18,16-33). Dio esaudisce i desideri dei giusti. Perciò Ester parlò davanti al re in nome di Mardocheo (Est 2,22); infatti pensava: Io so che Mardocheo è un giusto e che Dio farà ciò che gli chiede.

vv. 17-18. Come di consueto, Giacomo conferma la sua tesi con un modello biblico, che questa volta è Elia. Giacomo non pone la forza della preghiera di Elia nella sua grandezza sovrumana, ma proprio nella sua umanità, nell’essere un uomo come noi.

La sua preghiera tuttavia chiuse il cielo per tre anni e mezzo. Tanto potente è la preghiera di un giusto nella comunità!


(15)
Aiuto spirituale per il fratello traviato
5,19-20

19Fratelli miei, se uno di voi si allontana dalla verità e un altro ve lo riconduce, 20costui sappia che chi riconduce un peccatore dalla sua via di errore, salverà la sua anima dalla morte e coprirà una moltitudine di peccati.

L’aiuto spirituale del cristiano non si estende soltanto ai malati e ai peccatori (ordinari) all’interno della comunità, ma anche a quelli che hanno del tutto smarrito la strada e si abbandonano a una vita di peccato. Questi devono essere ricondotti sulla retta via e salvati. A ciò è dedicata la parenesi conclusiva della lettera.

vv. 19-20. Mentre prima si è parlato di quei membri della comunità, i quali riconoscono sempre e confessano i loro peccati per ottenere il perdono, ora si allude a chi si trova su una pericolosa strada sbagliata, lontano dalla verità, e ha bisogno di un urgente ammonimento, anzi di una formale conversione, se non vuole andare completamente perduto. L’errante dalla verità è colui che trasgredisce la volontà rivelata da Dio e devia dalla retta condotta. Chi si prende cura del fratello errante lo salva dalla morte eterna. Dio fa una doppia promessa: vita per chi viene ricondotto sulla via della verità e salvezza dell’anima per chi lo ha ricondotto; tutti e due ricevono il perdono dei loro peccati. Vale ciò che Giacomo ha già scritto in 2,13: La misericordia trionfa sul giudizio.

Così termina la lettera. La conclusione è un po’ brusca, ma positiva, perché racchiude una promessa piena di speranza. La finale improvvisa si spiega nel migliore dei modi con il carattere di enciclica di questa lettera. I saluti e gli auguri erano scritti, presumibilmente nella missiva che accompagnava la lettera.

 

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