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Il Canone biblico

Ultimo Aggiornamento: 26/04/2009 12:39
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26/04/2009 12:39

da continua.... La lingua si sa, è un elemento affatto secondario per l'ispirazione; e
d'altronde soltanto Sap. e II Mach, furono scritti in greco. La conformità
alla Legge si riduceva in pratica alla conformità alle idee farisaiche sulla
Legge (cf. Strack-Billerbeck, IV, 425-43). I veri motivi erano due:
l'ostilità dei Farisei alla dinastia asmonea, considerata usurpatrice dei
diritti della dinastia Davidica, e partigiana dei Sadducei; (ciò spiega
l'esclusione di I-II Mach, e di tutta la letteratura da essi ritenuta del
periodo maccabaico-asmoneo); e l'odio alla Chiesa, per cui rigettarono la
versione Alessandrina, da quella adoperata e fatta sua.

Si parla talvolta di un c.(catalogo) esdrino; attribuendo ad Esdra la
definizione e la chiusura del c. ebraico adducendo allo scopo le
testimonianze già viste di Flavio Giuseppe, IV Esd. e del Talmud, e II Mach.
2, 13. Ma le tre prime sono fantastiche e rispecchiano gli arbitri dei
Farisei del I sec. d. C.; da II Mach, risulta soltanto che Esdra, come i
fedeli di quella generazione rientrata dall'esilio (v. Sinagoga, la grande),
ebbero cura di raccogliere e trascrivere i libri sacri; come farà più tardi
Giuda Maccabeo dopo la tormenta scatenata da Antioco Epifane.

Nessun dubbio per i primi tre secoli (quindi arriviamo all'anno 300), nella Chiesa, circa i libri sacri del
Vecchio Testamento, integralmente contenuti nella Bibbia Alessandrina che
divenne la Bibbia dei cristiani
. Nello stesso Nuovo Testamento, che nelle
sue citazioni occasionali del Vecchio non fa cenno di Abd., Nah., Esth.,
Eccle., Cant., Esd., Neh., troviamo riferimenti certi ad alcuni
deuterocanonici (Sap. 12-15 = Rom. 1, 19-32; Sap. 6, 4.8 = Rom. 13, 1; 2,
11; Sap. 2, 13.18 = Mt. 27, 43 ecc.; Eccli.
4, 34 = Zac. 1, 19; Eccli. 51,
23-30 = Mt. 11, 29 s. ecc.; II Mach. 6, 18-7, 42 = Hebr. 11, 34 s. cf. L.
Vénard, in DBs, II, coll.
23-51).

Fin dai più antichi scritti patristici i deuterocanonici vengono citati come
Scrittura Sacra: Clemente di Roma (ca. 95 d. C.), nella lettera a Corinto,
usa Iudt., Sap., i frammenti di Dan., Tob. ed Eccli.; Erma (140 ca.) spesso
adopera l'Eccli. e il II Mach. (Sim. 5, 3.8; Mand. 1, 1 ecc.); s. Ippolito
(235) commenta Dan., con i frammenti deuterocanonici; cita come Scrittura:
Sap., Bar.; adopera: Tob., I-II Mach. (cf. PG 10, 793.805.661.697.769). S.
Ireneo in Francia; Tertulliano, s. Cipriano in Africa; gli Apologeti in
Oriente; Clemente Alessandrino (X 214) e Origene (X 254) attestano
espressamente nei loro scritti il sentimento unanime della Chiesa (cf.
Ruwet, p. 115 ss.).
Origene esplicitamente pone tra i libri sacri Esth., Iudt., Tob., Sap. (PG
12, 780); sa bene che i Giudei non ammettono la ispirazione di alcuni libri,
ma nella lettera ad Africanum (PG 11, 57) difende la canonicità dei
frammenti di Dan. e irride giustamente coloro che vanno a chiedere ai nemici
della Chiesa quali siano i libri sacri (PG 11, 60).

Se nel suo commento al Ps. 1 Origene riferisce il c. ebraico, contratto a 22 libri, lo fa
unicamente per dire che tal numero ha un suo significato. 22 infatti sono le
lettere dell'alfabeto ebraico. Ora come le lettere dell'alfabeto introducono
alla scienza, così i libri sacri introducono alla sapienza divina. È il suo
metodo prediletto di trovare dei significati allegorici anche nei numeri. La
citazione abbreviata che di questi passi di Origene avevamo in Eusebio (H.
E. 6, 25; PG 20, 580) indusse nel passato a considerarla almeno come indice
di un dubbio circa il c. del Vecchio Testamento, in Origene.
Ora la pubblicazione della Filocalia (specie di antologia tratta dalle opere di
Origene), dove il testo è riportato per intero, ha permesso la precisazione
suddetta che, in piena armonia con tutti gli altri scritti, esclude
assolutamente ogni dubbio in Origene, il quale rimane tra i greci il più
chiaro e completo testimone della tradizione cattolica sul c. del Vecchio
Testamento (Colon, in Revue des Sciences Religieuses, 20 [1940] 1-27; Ruwet,
in Biblica, 23 [1942] 18-21). L'elenco dei libri sacri del V. T., che il
vescovo Melitene di Sardi manda ad Onesimo (sec. II), dopo essere stato in
Palestina, conferma soltanto il tenore del c. ebraico, e la mancanza di un
catalogo ufficiale nella Chiesa. Questa circostanza, il fatto che i Padri
(ad es. Giustino, Contra Tryphonem: PG 6) nelle dispute con i Giudei si eran
dovuti limitare ai protocanonici ammessi anche da quelli, e infine il
pullulare degli apocrifi, spiegano i dubbi sorti nel IV sec. nelle Chiese
più in contatto con i Giudei.

S. Cirillo di Gerusalemme, s. Atanasio, quando devono dare ai catecumeni
l'elenco dei libri sacri enumerano solo i protocanonici; su di essi infatti
nessun dubbio era possibile. Proibiscono la lettura degli apocrifi che
condannano; mentre considerano dubbi i deuterocanonici; così s. Atanasio
permette ai catecumeni la lettura di Sap., Eccli., Esth., Iudt., Tob. (cf.
PG 33, 497 s., dove tra i protocanonici s. Cirillo pone Bar. e la Lettera di
Ger.; 33, 496.500 s.; PG 26, 117 s., 1436 s.). Ma tutti e due questi Padri
citano i deuterocanonici, come la Scrittura Sacra, nelle loro opere (cf. ad
es., s. Atanasio, per la Sap. PG 25, 20.24.36; per Tob. "sta scritto" PG 25,
268; lo stesso per Iudt. PG 26, 221; per Eccli. PG 25, 756 ecc.).
Tali dubbi sono condivisi da s. Epifanie, s. Gregorio Nazianzeno, s.
Anfilochio.

In Occidente è da porre a parte s. Girolamo, il quale influenzato dai rabbini, suoi consultori esosi per l'ebraico, nel cosiddetto
Prologo Goleata, premesso quasi corazza (donde il nome) al primo volume della sua traduzione dall'ebraico (Sam.-Reg.; ca. 390), dopo aver dato il c.
ebraico, adoperò la celebre espressione «ogni altro libro al di fuori di questi va annoverato fra gli apocrifi».
Successivamente però si mostrò più riservato; quando afferma, ad es. (a. 395) che «il libro di Tob. pur non
essendo nel c. è adoperato da molti autori ecclesiastici» (PG 25, 1119); e
finì talvolta con l'ammettere il loro carattere sacro: quando pone Giuditta
con Rut ed Ester «donne di tanta gloria da dare il loro nome a libri sacri»
(PG 22, 623); quando afferma (PG 29, 39) che al Concilio Niceno Iudt. fu
adoperato come libro sacro ecc. L'opinione personale espressa nel Prologo
Goleata si trova pertanto diverse volte contraddetta; ad essa infatti, eco
della influenza rabbinica, si opponeva il senso cattolico della tradizione
ecclesiastica, così vivo dappertutto nella grandiosa opera del solitario di
Betlemme.

E la traduzione primitiva continua negli scritti di tutti gli altri Padri in
Oriente e in Occidente. Basti ricordare s. Agostino accanto a s. Girolamo, e
con s. Agostino i tre concili africani, ricordati sopra, che formularono il
c. b. (canone biblico)consacrato dalla tradizione che, ben può dirsi,
assorbì e sommerse i dubbi sorti nel IV sec. E subito si ritornò
all'unanimità dei primi secoli.
 Se qualcuno, al tempo del Concilio di
Trento, riesumò i dubbi sui deuterocanonici, fu solo per influsso della
grande autorità di s. Girolamo, cui esplicitamente, ma indebitamente, si
riferiva. Attualmente soltanto i protestanti rigettano i deuterocanonici del
Vecchio Testamento; e la Chiesa Russa a partire dal sec. XVIII., ma sotto l'impulso di una rivalsa di priorità non tenente conto del fattore dottrinale, mentre altre entità ortodosse li accettano!

Nessuna divergenza invece per il c. dei libri sacri del Nuovo Testamento. I
dubbi che per i 7 deuterocanonici sorsero nei secoli III-IV furono parziali
e ristretti anche geograficamente
. Dei due più importanti di essi, della
Hebr. si dubitò in Occidente, mentre era unanimemente riconosciuta come
canonica in Oriente; proprio l'opposto avvenne della Apoc., sempre ritenuta
come libro sacro in Occidente. Così il Canone Muratoriano (EB, 1-7; ca. 200
a Roma) riporta tutti i libri sacri del N. T. eccettuati Hebr., Iac., II
Pt., IlI Io.; il Canone Momseniano (ca. 260, Africa) omette Hebr., Iac.,
Iud. Mentre s. Cirillo di Gerusalemme, s. Anfilochio (fine sec. IV, Asia
Minore), Canones Apostolici (Antiochia), omettono soltanto la Apoc. La
versione siriaca, Pesitta (inizio sec. v), ritiene nel c. Hebr. e Iac.;
Teodoro di Mopsuestia (Antiochia) omette tutti i deuterocanonici, salvo
Hebr.

Sono ben noti i motivi che originarono tali dubbi. Montanisti e Novaziani in
occidente citavano Hebr. 6, 4 ss. a sostegno della loro eresia della
irremissibilità di alcuni peccati; qui particolarmente del peccato di
idolatria. Invece di confutare tale errore dommatico con una retta esegesi,
si tentò di negare il carattere divino della lettera.
In Oriente invece i millenaristi abusarono del c. 20 dell'Apoc; il vescovo
Dionigi di Alessandria nel confutarli cercò sminuire l'autorità dell'Apoc.
negandola a s. Giovanni l'Apostolo; sulla sua scia alcuni finirono per
denegarne il carattere sacro. Per Iac. influì l'apparente opposizione (2,
14-26) con l'insegnamento di s. Paolo (Rom. 3, 27 s.; 4). Per Iud. la
citazione (v. 14) di un libro apocrifo (Enoch). Per II Pt., II-III Io., la
mancanza di dottrine caratteristiche e la loro brevità, per cui venivano
poco citate.

Anche questi dubbi furono assorbiti e sommersi dal peso
decisivo della tradizione
: unanime nei primi due secoli; e sempre possente
nei secoli successivi
(ad Alessandria, s. Clemente, Origene, s. Atanasio; in
Africa, Tertulliano e Cipriano; s. Girolamo, s. Agostino ecc.); per
ritornare unanime a partire dal VI sec.

La collezione dei libri sacri del Nuovo Testamento sorse nella seconda metà
del I sec. d. C.; a poco a poco. Già s. Pietro (verso il 66) equiparava le
lettere di s. Paolo alle "altre scritture" (II Pt. 3, 15 s.).
E ben presto
nella liturgia, alla lettura dei libri sacri del Vecchio Testamento, fu
abbinata la lettura dei Vangeli e degli altri libri sacri del Nuovo, come
attesta già s. Giustino.

Allo stesso modo li abbinarono i Padri, fin dagli inizi del II sec., nei
loro scritti, usando le stesse formule: la scrittura dice; sta scritto.
La Chiesa cattolica poggiata sulla tradizione apostolica, e sotto la guida
dello Spirito Santo, ha conservato integra la collezione dei libri sacri del
Vecchio e del Nuovo Testamento, salvaguardando il loro carattere sacro (v.
Ispirazione).

[F. S.] BIBLIOGRAFIA
S. Zarb, De historia canonis utriusque Testamenti, 2° ed., Roma 1934 ;
J. Ruwet, De canone (Institutiones Biblicae, v. I), 5° ed., ivi 1937, pp.
103-157 ;
G. Perrella, Introduzione generale. 2° ed., Torino 1952, pp. 3-7. 109-167 ;
G. M. Perrella - L. Vagaggini, Introduzione alla Bibbia, I, Intr. generale,
Torino 1960, pp. 11-14. 81-122

http://www.paginecattoliche.it/Canone_biblico.htm
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