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Nigra sum, sed formosa: l'Etiopia cristiana a Venezia

Ultimo Aggiornamento: 11/05/2009 20:42
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11/05/2009 20:42

Nigra sum, sed formosa: l'Etiopia cristiana a Venezia

ROMA, martedì, 5 maggio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo pubblicato sull'undicesimo numero della rivista "
Paulus" (maggio 2009), dedicato al tema “Paolo il giustificato”.

 

* * *

di Paolo Pegoraro


Rimarrà aperta fino al 10 maggio presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia l’esposizione “Nigra sum sed formosa”. Sacro e bellezza dell’Etiopia cristiana. Venezia, uno dei più antichi patriarcati d’Occidente nonché partner dell’impero del Leone fin dal XV secolo, è la sede naturale per questa mostra, che ha ricevuto nelle scorse settimane la visita del patriarca ortodosso abuna P.āwlos Gabra Yoh.annes. Incontriamo qui il professor Giuseppe Barbieri, uno dei curatori della mostra, che ce ne spiega l’importanza. « In primo luogo – spiega – volevamo far conoscere il patrimonio artistico della fede cristiana in Etiopia. Non abbiamo preteso di ricostruire la sua storia plurimillenaria, ma solo il periodo tra il XV e il XVII secolo, quando cioè si accentuarono le relazioni tra l’Europa e questo Paese. In secondo luogo, abbiamo sperimentato nuove applicazioni – come la tecnologia touch screen – a un contesto espositivo. La mostra ci è già stata richiesta per altre località e questo riconoscimento premia la generosità infinita di tanti studenti e dottorandi che vi hanno lavorato con una passione e un entusiasmo ben percepibili».

Professore, lo storico inglese Edward Gibbon scrisse: «Circondati da ogni parte dai nemici della loro religione, gli etiopi dormirono per millenni, immemori del mondo, dal quale furono così dimenticati...».

«Sì, questo fu in effetti il destino dell’Etiopia, nonostante sia uno dei Paesi cristiani più antichi. Basti ricordare che sette anni dopo l’editto di Costantino, il regno etiopico già conia le prime monete con la croce. Ma questo non è che il coronamento del percorso vetero-testamentario che il popolo etiope aveva cominciato da mille anni prima. Basti pensare alla figura della regina di Saba, che si vuole proveniente da queste regioni, o alla pretesa che nella cattedrale di Aksum sia custodita l’Arca dell’Alleanza. Storie che non si affondano solo nella tradizione: ricordiamoci che gli etiopi non sono di etnia africana, ma semitica, e proprio per questo si sono considerati il “nuovo Israele”. La mostra si centra sui secoli in cui il silenzio viene rotto e gli etiopi richiedono all’Europa pittori di soggetti sacri. A ciò abbiamo aggiunto una sezione sulle singolari raffigurazioni della Croce, frutto della riflessione di secoli».

In effetti le croci dagli intricativi motivi geometrici sono il tratto forse più caratteristico dell’arte liturgica etiopica. Risentono di un influsso dal contesto sociale circostante?

«In parte sì. Non dimentichiamoci che l’Etiopia ha resistito abbarbicandosi a questo simbolo, nonostante l’imperforabile “cordone” islamico che l’attorniava. Tanto che gli etiopi, non potendosi recare in pellegrinaggio a Gerusalemme, edificarono una propria città santa scavata nella roccia: Lālibalā, la Gerusalemme d’Africa. Le prime croci che presentiamo qui risalgono al XIV secolo, ma abbiamo cercato di mostrare un esempio di ognuna delle quasi trenta tipologie di croci esistenti. Anche oggi la croce è un vero oggetto quotidiano, che il religioso etiope ha sempre in mano».

L’intensa espressività e i colori accesi di queste icone sono sorprendenti...

«Sono di una bellezza e di una modernità assolute. Ne ho presente una che pare dipinta da Klee. D’altra parte l’arte del Novecento, e Picasso in particolare, ha coltivato un interesse particolare per l’arte etiopica. Penso ad alcune sensibilità cromatiche di Chagall, a certe linee intense di Rouault... quel poco di questa tradizione che girava nei musei etnografici francesi a inizio secolo colpì questi artisti per la sua particolare vivacità narrativa».

...quindi le avanguardie guardavano indietro, rifacendosi ad antiche immagini della tradizione?

«Un noto storico d’arte ha detto che è stato Picasso a influenzare Cézanne, perché se Picasso non avesse studiato Cézanne con tanta attenzione, noi non ci saremmo resi conto della sua grandezza. Non è raro che l’influsso avvenga alla rovescia».


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