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Oltre l'informazione... la Comunicazione

Ultimo Aggiornamento: 20/05/2009 17:19
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20/05/2009 17:19

Oltre l'informazione... la Comunicazione

Francesco Giorgino riflette sui modelli di trasmissione della fede utilizzati da san Paolo


ROMA, lunedì, 18 maggio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo del giornalista e conduttore televisivo, Francesco Giorgino, apparso sull'undicesimo numero della rivista "Paulus" (maggio 2009), dedicato al tema “Paolo il giustificato”.








* * *

Ha senso misurarsi a distanza di due millenni con la figura di san Paolo? Sì, poiché essa è fonte oltre che di una teologia e – come sottolinea il beato Alberione – di un’ecclesiologia, anche di una specifica antropologia e persino di una sociologia. Egli è sorgente di un modello esistenziale che ruota intorno alla consapevolezza che la fede si vive non come una teoria, ma come risultato – così san Paolo ai Galati – dell’impatto dell’amore di Dio sull’uomo. L’attualità del messaggio di Paolo sta, anzitutto, nella natura stessa della sua esperienza di fede, nella volontà e nel coraggio che questo grande uomo di comunicazione dimostra fin dall’inizio del suo cammino di fede, scegliendo un cristianesimo non relegato nel buio del privato né cupamente ripiegato su se stesso, ma capace di guadagnarsi la luminosità del pubblico. Un cristianesimo in grado di osservare il contesto circostante per misurarsi realmente con esso, fino al punto di correggerne i tratti più a rischio di distorsione o più insidiosi per la dignità della persona umana. Quella cristiana è una “filosofia” che interpella anche le sensibilità di chi vive immerso in una modernità senza remore e senza regole. Una modernità che il sociologo americano John Naisbitt definirebbe “civiltà delle parentesi”, poiché incapace di rintracciare – anche in una sfera laica – il continuum delle cose, preferendo piuttosto la logica della parzialità e della parcellizzazione.

Una comunicazione personalizzata

La drammatica tensione fra il bene e il male è espressione in Paolo di una lotta che egli stesso ha sperimentato e che intende partecipare agli altri. La sua visione del mondo attraversato dal peccato, quale lo descrive nel primo capitolo della Lettera ai Romani, non è soltanto una visione teologica, ma è anche il frutto dell’osservazione di se stesso (comunicazione intrapersonale) e degli altri (comunicazione interpersonale, di gruppo e, in via primordiale, di massa). Osservazione di e in se stesso, osservazione degli e negli altri. È questa la prima delle quattro fasi – osservazione, appunto; e poi lettura, interpretazione e narrazione della realtà – attraverso le quali si articola la comunicazione come processo di mediazione simbolica. Che è per noi mediazione fra realtà ed esito, come ci insegna san Paolo, della potenza deflagrante dell’irruzione di Dio nella vita individuale e collettiva. Irruzione che si sviluppa attraverso il mantenimento, sempre e comunque, del primato della parola. Ecco l’attualità del messaggio di Paolo anche nell’ambito più specifico della comunicazione: il voler essere portatori non di “una” parola, ma della Parola. Tutta la sua esistenza, del resto, è piegata a un solo imperativo: «Guai a me se non predicassi il vangelo [...] Mi sono fatto tutto a tutti, per guadagnare a ogni costo qualcuno» (1Cor 9,16.22). In san Paolo tutto è posto al servizio del vangelo. La sua comunicazione è soprattutto una partecipazione che nasce dall’ardore della testimonianza. Evangelizza con tutti gli strumenti messi dall’uomo a disposizione di se stesso per produrre una significazione della realtà coerente. Perché si sviluppi al meglio questo processo che è l’evangelizzazione (specie se praticato con la sequenzialità propria dell’agire comunicativo) c’è bisogno non solo che si stabilisca bene l’estensione della portata del messaggio, ma che si conosca di più e meglio il ricevente. Com’è possibile, altrimenti, fare del bene a chi non si conosce? Ecco, dunque, un altro importante elemento di attualità del messaggio paolino. Viviamo in un’era in cui il mass comunication viene messo a dura prova dalla tendenza sempre più marcata a privilegiare la cosiddetta personal comunication. L’unidirezionalità del modello lineare di comunicazione (nato contestualmente alla fase dei cosiddetti media power nella comunicazione di massa) lascia il passo alla bidirezionalità. Cede il testimone, cioè, alla consapevolezza che il significato del messaggio, la ricerca del necessario equilibrio fra denotazione e connotazione, non possono prescindere dal ruolo sempre più incisivo e importante del ricevente: dal consumo produttivo, direbbe De Certau. Paolo è emittente perché apostolo di Cristo. Il messaggio è il vangelo. Il destinatario è già compreso nell’incarico dell’enunciatore e nella definizione del contenuto da trasmettere. Insomma, il ricevente di questo processo non è solo la fase terminale (se si considera l’unidirezionalità del modello) o la ripartenza (se si considera la bidirezionalità) della dinamica comunicativa, ma è la sua ragion d’essere.

La verità: l’ultima favola?

Torna in mente, allora, una vecchia domanda di T.S. Eliot, rilanciata da Kapuscinsky: «Abbiamo l’informazione, abbiamo la comunicazione, ma dov’è la conoscenza?». Ecco che cosa si garantisce quando si asseconda l’approccio della comunicazione così come indicatoci dalla predicazione paolina e di chi ne ha seguito nei secoli le orme: si garantisce la conoscenza della verità. La nuova evangelizzazione, che trae fondamento dall’attualità del messaggio paolino, si colloca con forza in questo rinnovato e urgente bisogno di acquisizione della verità. La nostra identità, frutto della nostra tradizione e capacità di “protenderci in avanti”, non può compiersi senza un governo a pieno dei linguaggi della comunicazione.

Mi sono sempre chiesto se i media – i news media, soprattutto – siano o no dei luoghi teologici, come direbbe Von Balthasar. Non è facile rispondere a questa domanda. Dire se i mezzi di comunicazione parlino di Dio, significa riflettere sulla loro disponibilità a non essere soltanto un mix di tecnologie, ma anche e soprattutto un insieme di processi culturali capaci di modellare profondamente i comportamenti individuali e collettivi. Nella postmodernità, le vecchie strutture tendono a diventare sovrastrutture e le sovrastrutture di un tempo (come la cultura, appunto) si trasformano in strutture. Non solo. Nella postmodernità il trasferimento e l’acquisizione della conoscenza coincidono con la quantità e la qualità degli stimoli connessi alla fruizione dei contenuti mediali. È qui che s’inserisce la problematicità dell’intreccio necessario fra evangelizzazione, comunicazione e socializzazione. Evangelizzare con i media significa, infatti, maturare la consapevolezza piena della loro natura di agenzie di socializzazione secondaria; e, a volte, persino primaria. Significa riuscire a orientare la direzione di questi processi d’incultu-razione verso una sfera protesa al bene comune.

Innanzi a noi vi sono sfide enormi, tutte connesse all’esigenza di contrastare quella deriva nichilista, specie di matrice occidentale, che Benedetto XVI – il papa della circolarità ermeneutica tra fede e ragione – chiama “apostasia silenziosa” e che il cardinale Bagnasco definisce “anestesia degli spiriti”. Nell’arco di pochi decenni siamo passati dalla necessità di evangelizzare la cultura, secondo la formula di Paolo VI, all’urgenza di riportare la cultura all’interno dell’esperienza di fede. Ciò con l’intento di rendere i credenti più consapevoli della tradizione alla quale appartengono, del depositum fidei – per dirla con san Paolo – che la millenaria tradizione cristiana consegna all’uomo di oggi. Ha ragione monsignor Ravasi quando dice che in un contesto come quello che stiamo vivendo basta poco per essere fraintesi. Occorrono umiltà, chiarezza, precisione, semplicità e coraggio. Ecco, soprattutto coraggio, come l’Apostolo dice senza mezzi termini nella Lettera ai Tessalonicesi. Anche da questo punto di vista rappresenta un esempio imprescindibile. Un paradigma di evangelizzazione della modernità al quale non si può e non si deve rinunciare. Dio solo sa di quanto coraggio abbiamo bisogno oggi.
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