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IV Domenica dopo Pentecoste

Ultimo Aggiornamento: 27/06/2009 15:33
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27/06/2009 15:33

Commento al Vangelo del 28 giugno
Il convito e l'abito
IV Domenica dopo Pentecoste 
26.06.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


La pagina evangelica risulta chiaramente dalla unione di due testi, due parabole accostate: la prima costruita attorno al simbolo del convito di nozze, la seconda al simbolo dell’abito di nozze.
Il simbolo del convito è immediatamente eloquente, è simbolo universale. Prendere parte a un banchetto vuol dire ben più che semplice nutrimento, è gesto carico di significati: convivialità, amicizia, festa, comunione tra le persone. Non stupisce allora che in tutte le tradizioni religiose il pasto comune sia usato come simbolo espressivo della comunione degli uomini con Dio, simbolo del nostro destino.
La prima lettura descrive appunto, attraverso il simbolo del convito, la definitiva comunione di tutta l’umanità con Dio. Per questo il gesto centrale della fede cristiana è un convito, un pasto rituale espressivo della convivialità umana e della comunione con Dio. La parabola odierna adopera questo simbolo per indicare l’intenzione di Dio di convocare tutta l’umanità a una festa eterna. Tutta l’umanità. Certo, i primi destinatari non hanno accolto l’invito, ma i doni di Dio sono senza pentimento e quindi altri vengono invitati, anzi tutta l’umanità, con un gesto di sconfinata larghezza. Buoni e cattivi, belli e brutti, anche l’ultimo e malconcio rottame umano abbandonato lungo una siepe campestre è raggiunto dall’invito: Vieni anche tu alla festa. Questo è l’Evangelo, la gioia dell’Evangelo.

Invito alla gioia

I discepoli di Gesù hanno consapevolezza di dover essere anzitutto banditori di questo lieto annuncio: Dio viene e ci chiama, vuole sottrarci all’isolamento per convocarci nel suo popolo nel convito del suo Regno. Prima di qualsiasi precetto morale, prima dei comandi e dei divieti, prima di ogni altra parola deve risuonare l’invito alla gioia dell’Evangelo. Perché la sala sia stracolma e sia festa per tutti.
La prima parabola si ferma qui, sulla soglia della sala affollata da una umanità che, nonostante le fatiche e le brutture che ne sfigurano il volto, è ormai chiamata alla gioia della comunione con Dio. Sarebbe bello fermarsi qui, sulla soglia della sala e godere la gioia che dilaga tra tutti i commensali. Perché a questa prima scena ne segue una seconda francamente spiacevole, che guasta il clima festoso?
La seconda parabola si concentra su un altro simbolo: l’abito per la festa. Anche questo è simbolo universale: abbiamo abiti diversi per le diverse circostanze della vita, abiti da lavoro e abiti della festa, abiti da cerimonia e abiti casual per le occasioni meno impegnative. Il nostro modo di vestire parla di noi, manifesta i nostri sentimenti interiori.

Richiamo impegnativo

Ricordo un giorno di 47 anni fa quando davanti all’altare mi tolsi la giacca e mi rivestii della lunga veste nera. E ricordo le parole: Ti sei spogliato dell’uomo vecchio e ti sei rivestito dell’uomo nuovo, Gesù. Così iniziavo il cammino verso il sacerdozio. Valore simbolico della veste che dice la condizione interiore dell’uomo, manifesta il suo cuore. Allora non si può stare nella festa del banchetto se il cuore, lo stile di vita non è coerente, se mancano adeguate condizioni di vita.
Notiamo allora il trapasso dalla prima alla seconda scena. Dall’invito a tutti, carico di gioia e di festa, al richiamo impegnativo ad avere le condizioni adeguate, coerenti con l’invito stesso. L’accostamento di queste due parabole indica una progressiva presa di coscienza da parte della Chiesa: essa deve anzitutto diffondere a tutti il lieto appello alla comunione festosa con Dio, ma al tempo stesso farsi maestra che indica gli atteggiamenti, i comportamenti, gli abiti degni di questa lieta comunione con Dio.
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