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Primato di Roma, Trinità et ecc....

Ultimo Aggiornamento: 09/07/2009 06:44
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Per Clint


“Passo che può essere soggetto ad interpretazioni; il primato di Pietro non compare in nessun testo paleocristiano, e il primo ad attribuirsi il verso di Matteo fu Stefano I suscitando lo sdegno di Cipriano.”



Bisogna distinguere vari problemi. Il primato di Pietro è una cosa, il fatto che esso debba passare a coloro che abbiano seduto sulla cattedra di Pietro un altro. Sul fatto che Pietro fosse il principe degli apostoli, penso che non possa negarlo nessuno se non chi voglia accecarsi volutamente. La preminenza che questo apostolo ha rispetto agli altri, anche solo per numero di occorrenze, è esponenziale: il numero di episodi e di dialoghi in cui è coinvolto, surclassa tutti gli altri dodici. Paolo stesso a quanto ci dicono gli Atti, andò da Pietro per accertarsi di non “aver corso invano”.
Tuttavia il primato di Pietro è una cosa, la sua trasmissibilità un'altra. Tuttavia, ammesso il primo,. È difficile negare il secondo. Se infatti Cristo ha assegnato un primato a Pietro è perché s’è reso contro che, alla sua dipartita, la Chiesa aveva bisogno d’una guida. Teorie più o meno anarchiche di governo, mettersi cioè a discutere sul fatto che la Chiesa possa governarsi senza un primus, sono irrilevanti qualora si stabilisca che Cristo volle un primus tra gli apostoli. Evidentemente Cristo non era uno di quegli anarchici moderni che hanno l’allergia a sentire la parola “autorità” e credono ad un cristianesimo gestito interamente dai singoli. Se si stabilisce che Cristo volle un primato tra gli apostoli, allora evidentemente se esso era necessario con una Chiesa ristretta tanto più lo sarebbe stato per una Chiesa grande. Si badi che quando dico “primus” non voglio sentire i soliti anarchici strepitare che Cristo ha insegnato che i primi saranno gli ultimi. Intendo qualcosa di profondamente diverso. Il primato petrino non è un comando nel senso che a questo termine danno i politici, bensì è un ministero, un servizio. Gesù non ha detto infatti “nessuno comandi”, ma “chi comanda, sia come colui che serve”: quindi qualcuno a comandare ci dev’essere, alla faccia dell’individualismo protestante, e tuttavia questa persona che comanda deve concepire il suo mandato come un servizio alla Chiesa. Se era necessario un primato nella Chiesa delle origini, è evidente che Cristo non può aver dato questo primato con l’idea che l’istituzione si esaurisse con San Pietro, giacché o credeva che la Chiesa sarebbe morta con lui altrimenti non si vede perché, se credeva che un primus serviva al tempo degli apostoli, non avesse dovuto credere che sarebbe servito anche dopo.
Comunque, il primato è inscindibile dalla dimensione stessa dell’essere Chiesa, giacché la Chiesa crede al primato petrino da prima di avere il Nuovo Testamento in base al quale oggi la contestano. La formulazione di questo primato è cioè più antica, nella storia della Chiesa, della formulazione dell’attuale canone. Questo è da tenere bene a mente per chi, irrazionalmente, voglia scartarne uno e tenerne un altro.
Bisogna poi fare un altro distinguo. L’esistenza del primato del successore di Pietro con l’attribuirsi questa prerogativa citando quel passo di Matteo. La prima attestazione di un procedimento dialettico non è la nascita di quel procedimento, ma per l’appunto la sua prima attestazione. Che Stefano sia il primo (a noi pervenuto) ad attribuirsi il passo di Matteo non implica che sia stato il prima papa ad averlo fatto, né soprattutto implica che questo sia l’inizio del primato del vescovo di Roma. Ciò che c’è pervenuto della letteratura paleocristiana è davvero esiguo, e, anche se possiamo vedere in essi alcuni esercizi del primato, non necessariamente vediamo le giustificazioni dottrinali che noi oggi diamo. Anche perché, che giustificazione vuoi dare, se tutti sanno già tutto? Le giustificazioni iniziano a servire quando interviene l’oblio… Così, possiamo vedere ad esempio un grande esercizio di primato nella I lettera di Clemente, che interviene, a suon di minacce, in una comunità orientale. Il fatto che la giustificazione di questo intervento non dipenda da Matteo, anche se Pietro viene comunque citato nella lettera, non rende meno esplicito l’intervento. Non si tratta di una semplice “sollecitudine” di una chiesa verso un’altra comunità, il tono non è l’ammonimento fraterno, ma la minaccia. Cito: “Se qualcuno disobbedisce alle parole detta da lui (Dio) per mezzo nostro, sappia che sta per incorrere in una colpa e in un pericolo non lievi…. Ci procurerete una grande giogaia se ubbidirete a quello che abbiamo scritto sotto la guida dello Spirito Santo” (1Clem 59 e 63) Sarà pura una correzione fraterna, ma è una correzione fatta dall’alto in basso.
Quanto al problema della trasmissione del primato, Cipriano che tu citi non dubita affatto dell’esistenza del primato o del fatto che spetti al vescovo di Roma in quanto successore di Pietro, semplice non è d’accordo con Stefano circa le modalità in cui questo primato possa esercitarsi. Cipriano parla della Chiesa romana come “cathedra Petri” e “chiesa principale, dalla quale è nata l’ unità sacerdotale” (Lettera 59,14) Cipriano, contro papa Stefano sulla questione del battesimo amministrato dagli eretici, pur avendo litigato per lettera col pontefice su questo punto, era tuttavia ben conscio dell’autorità del vescovo di Roma e della sua funzione di garante dell’unità ecclesiastica tant’è che gli rivolse comunque la sua preghiere affinché, forte della sua autorità, risolvesse la crisi ecclesiale nelle Gallie (Ep 68,2-3). La posizione di Cipriano è di riconoscere un’autorità superiore alla Chiesa di Roma, ma non esprimibile in termini giuridici, qualcosa che noi oggi chiameremmo “autorevolezza”. Diciamo che Pietro e il vescovo di Roma incarnano in maniera primaziale ciò che hanno tutti i vescovi.

Comunque, nel caso del battesimo degli eretici, che vide Cipriano contro Roma, la storia ha dato ovviamente ragione a Roma. Oggi nella Chiesa il battesimo, anche se amministrato da degli eretici, non viene reiterato. In questo caso Cipriano contesta a Stefano che il suo ricorso a Mt 16,18 è inconcepibile, perché, proprio in quanto lui pretende di essere la roccia che unisce la Chiesa, non può sognarsi di validare un battesimo amministrato fuori dall’unità ecclesiale, cioè da degli eretici.
Si noti qui che c’è già un profondo senso di successione apostolica e di unità ecclesiale: i protestanti di oggi per i criteri di Cipriano sono tutti degli eretici, quindi si guardino bene dal citarlo. Egli respinge il battesimo amministrato da degli eretici proprio perché essi sono fuori dalla communio ecclesiale in quanto non fanno parte della Grande Chiesa, cioè della Chiesa in cui i vescovi hanno il magistero degli apostoli, ed è Cipriano stesso a ricordarlo (e sono io che lo ricordo ai protestanti d’oggi, specie a quelli che si sognano di poter avere qualcosa a che fare con la Chiesa che ha creato il NT, e tuttavia rigettano il criterio della successione apostolica).
Tornando a Cipriano, come ripeto la critica che fa a Stefano è di non potersi richiamare a quel passo di Mt perché, ben lungi dallo star servendo l’unità della Chiesa, la sta disgregando. Tuttavia intravediamo nella filigrana di tutta questa vicenda la consapevolezza di Cipriano della superiorità della sede romana. Come scrive Klaus Schatza proposito di questa vicenda: “Non si deve dimenticare che verso Roma Cipriano ha un atteggiamento puramente difensivo. Egli non scomunica il vescovo di Roma. Anzi, scrive a Stefano che lui stesso non vuole imporre a nessuno il suo punto di vista. (Lettera 72,3) […] Ciò è alquanto singolare, perché in questo caso non si trattava soltanto di differenti usanze ecclesiastiche, come nella contesta sulla festività della Pasqua, ma vi era in gioco la validità del battesimo. Tuttavia Cipriano non ruppe i rapporti con Roma, neppure quando Stefano non ricevette nemmeno i suoi inviati e non li ammise alla celebrazione eucaristica, né fece dare loro alloggio e assistenza nella comunità. Dopo il tentativo di mediazione del vescovo Dionigi d’Alessandria, soltanto con il successivo vescovo romano venne ripristinata la comunione ecclesiale fra Roma e Cartagine.“ (Klaus Schatz, Il primato del papa. La sua storia dalle origini ai giorni nostri, Brescia, 1996, Queriniana, p. 51)


“Derivazione apostolica indimostrabile storicamente se non con liste false, uno; secondo l'ordinazione del canone non seguì certo come criterio la sola presunta successione apostolica ma anche ben altri senza i quali non sarebbe stata possibile una sistemazione.”



Ci sono due cose che non vanno in queste righe. La prima è che pensi dire che non esiste successione apostolica perché le liste sarebbero false. Ma questo ragionamento confonde due problemi, e cioè la realtà della successione apostolica con la possibilità di conoscere la nomenclatura dei vescovi che in essa sono inseriti. La prassi della Chiesa di nominare vescovi, quali successori degli apostoli, tramite imposizione della mani, è attestata in modo indelebile già dal II secolo, con Tertulliano, Ireneo, ecc. Ora, se sappiamo che questa era la pratica, a prescindere dal fatto che ci siano arrivati i nomi di questi vescovi, è forse ragionevole presumere che, in qualsiasi parte dall’impero, la Chiesa abbia smesso di ordinare vescovi, così che si siano creati degli anelli mancanti? Se c’è sempre stata la Chiesa, se cioè c’è sempre stata una comunità cristiana, ci sono sempre stati vescovi, a prescindere dal fatto che sappiamo o meno i loro nomi. Ireneo dice che ogni chiesa può elencare i vescovi che sono stati sulla sua cattedra, e che questo la distingue dagli eretici, Tertulliano dice la medesima cosa contro gli eretici: “Mostrino esse (le chiese eretiche N.d.R.) la successione dei loro vescovi in modo da poter risalire o ad un apostolo o ad un loro discepolo, così come fanno le CHIESE APOSTOLICHE, ad esempio… la Chiesa di Roma che presenta Clemente CONSACRATO DA PIETRO” (La prescrizione degli eretici, 32,2) . Questo era il criterio che già nel II e nel III secolo la Chiesa si dava, e che infatti riscontriamo nei Padri. Vista che questa era la situazione, sostenere che non esista una successione apostolica, e che la Chiesa si sia sognata di smettere di ordinare vescovi, è pura follia. Se tra 2000 anni uno storico vorrà redigere la lista dei vescovi della Chiesa cattolica, ma per colpa di un incidente la documentazione relativa ad esempio al XVII secolo fosse andata distrutta, non per questo tale storico potrebbe sognarsi di dire che siccome non abbiamo le liste dei vescovi del XVII secolo non ci sia stata continuità tra i vescovi del XVI e quelli del XVIII secolo: se la prassi di una Chiesa è quella che un vescovo ne ordini un altro, è evidente che finché c’è un gregge da mandare avanti questa prassi continui, a prescindere dal fatto che noi ne abbiamo documentazione o meno. Quello che stava dicendo Cattolico-Romano è che la Chiesa nel cui alveo s’è creato il canone è la grande Chiesa, cioè la Chiesa che diceva di se stessa che a distinguerla dagli eretici era la successione apostolica. Si badi che è del tutto irrilevante a questo punto stabilire se esista una successione apostolica tra la Chiesa apostolica del I secolo e la Grande Chiesa, quella dei vescovi, del II secolo. Se non c’è, tanto peggio per noi tutti, infatti è il canone di questa Grande Chiesa quello che utilizziamo, e se questa grande Chiesa non è la legittima erede della Chiesa apostolica, allora il canone che abbiamo in mano non vale nulla, e tanto varrebbe rifarsi al canone di altre sette coeve, come gli gnostici o i giudeo-cristiani, a questo punto legittimi (o meglio: illegittimi) quanto la Grande Chiesa. Se il canone si chiude nel IV secolo, è certo che all’interno della Grande Chiesa si ragionava in base alla successione episcopale dal II secolo almeno . La contraddizione che Cattolico Romano voleva palesarti è che tu accetti il canone di siffatta Chiesa, ma escludi il criterio che permette a questa Chiesa di legittimarsi e di distinguersi dalle altre: senza questo criterio non c’è alcun modo di dire che la Chiesa del II secolo sia quella del III, o che quella del III sia quella del IV. In sintesi, non ha nessuna importanza se le liste che provano la successione episcopale tra I e II secolo siano corrette, perché anche ammettendo ex hypothesi che tale successione non sia avvenuta, resta il fatto che il canone a cui tu pretendi di rifarsi è quello di una Chiesa tra II e IV secolo dove questa successione apostolica c’è stata di sicuro. Dunque, indipentemente dal fatto che la Chiesa del I secolo sia quella del II, è certo che la Chiesa del II secolo (per i criteri che lei stessa enunciava), sia la stessa del IV secolo. E poiché è questa Chiesa tra II e IV secolo quella a cui ci appoggiamo per avere il canone, Cattolico_Romano si chiedeva in base a che cosa tu possa accettare il canone di questa Chiesa e non invece la successione episcopale, a cui questa Chiesa credeva da prima che avesse il canone del NT in base al quale la critichi.
Ora veniamo ad un altro punto, cioè la continuità tra la Chiesa del I e quella del II secolo. Sappiamo da Ignazio che la struttura dell’episcopato monarchico c’era già tra fine I secolo e inizio II nella comunità cui egli scrive, giacché raccomanda ad esse l’obbedienza al vescovo e ai presbiteri. Dunque egli sapeva che in quelle comunità il vescovo era qualcosa di diverso dai presbiteri, e che era uno. La struttura episcopale, che tanta allergia crea nei protestanti, era già la struttura della Chiesa quando questo grande Padre della Chiesa, morto nel 107, scriveva. Non c’è poi alcuna ragione per dire che lista riportata da Ireneo nel “Contro le Eresie” relativa alla successione romana sia fasulla, ma su questo tornerò in seguito.


“Non la può dimostrare nemmeno la chiesa di Roma, molti elenchi per i primi secoli sono falsi e contraffatti, cosa che nessun buono storico mette in dubbio.”


Scusa ma non vedo cosa c’entri col passo di Tertulliano citato. Se anche volessi ammettere che le liste che abbiamo noi in mano siano piene di errori o manipolate (ammesso ex hypothesi e non concesso), ciò non toglie il fatto che questo è un problema nostro, di noi nel XXI secolo, non di Tertulliano. Tertulliano vive nel II secolo, e ci dice che la Chiesa di Roma mostra una successione apostolica: “Mostrino esse (le chiese eretiche N.d.R.) la successione dei loro vescovi in modo da poter risalire o ad un apostolo o ad un loro discepolo, così come fanno le CHIESE APOSTOLICHE, ad esempio… la Chiesa di Roma che presenta Clemente consacrato da Pietro ” (Tertulliano, La prescrizione degli eretici, 32,2)
Vale a dire che Tertulliano e i suoi contemporanei conoscevano una lista di successione apostolica di Roma, e questo non ha nulla a che fare col fatto che quella lista sia la stessa che conosciamo noi nel XXI secolo: avremmo sempre e comunque il fatto che Roma vanta una successione apostolica petrina. Cosa del resto ovvia: non si vede proprio perché infatti, giacché sappiamo che il cristianesimo a Roma nel I secolo c’era già dal NT, questa comunità dovrebbe essersi misteriosamente estinta per poi ricomparire: è ovvio che la comunità di Roma del II secolo discendeva da quella del I secolo, non c’è nessun motivo per sospettare che manchino degli anelli di congiunzione. Perché mai infatti quella comunità, giacché di fedeli ne ebbe sempre, avrebbe dovuto smettere di ordinare presbiteri e vescovi al suo interno? E se l’ha fatto, perché dubitare che tale successione apostolica per Roma esista? L’insicurezza di noi moderni circa il nome dei vescovi di Roma, non ha nulla a che fare col fatto che a Roma dal I secolo ci sia sempre stato un vescovo dopo l’altro. Clemente già nel 96 ci raccontava la storia della Chiesa in modo assai diverso da come se la sognano i luterani, conferma cioè, lui che la storia della Chiesa evidentemente la conosceva meglio di chiunque altro, che i vescovi sono una creazione degli apostoli:
“Gli apostoli predicarono il Vangelo da parte del Signore Gesù Cristo che fu mandato da Dio. Cristo fu inviato da Dio e gli apostoli da Cristo. Ambedue le cose ordinatamente secondo la volontà di Dio. Ricevuto il mandato e pieni di certezza nella risurrezione del Signore nostro Gesù Cristo e fiduciosi nella parola di Dio con l'assicurazione dello Spirito Santo, andarono ad annunziare che il regno di Dio stava per venire. Predicavano per le campagne e le città e costituivano le primizie del loro lavoro apostolico, provandole nello spirito, nei vescovi e nei diaconi dei futuri fedeli. E questo non era nuovo; da molto tempo si era scritto intorno ai vescovi e ai diaconi. Così, infatti, dice la Scrittura: "Stabilirono i loro vescovi nella giustizia e i loro diaconi nella fede" (Ai Corinzi, 42,2-4)


“Ce l'ha eccome, una presunta traditio per essere perfetta deve avere voce univoca senza imporsi con mezzi brutali e senza che vi siano rivalità tra le grandi chiese”



Temo che tu non consideri il fatto “umano”, cioè il libero arbitrio. La tradizione può anche essere una, ma se qualcuno decide di sovvertirla è un problema suo. Non a caso la voce della Traditio infallibile sono i Concili Ecumenici, proprio perché avendo lì voce tutta la Chiesa c’è la certezza che non abbiamo a che fare con la follia di un singolo.


“Si ma si apre a più interpretazioni il suo modo di vederla; tu hai riportato solo vari modi di interpretarla, e ti ricordo che i padri apostolici esaltano il Padre mettendolo sempre in primo piano rispetto alla divinità del Figlio”



Nella Trinità c’è un ordine, e non solo per i Padri Apostolici, anche per noi. C’è infatti quella che si chiama “subordinazione fontale”, cioè il fatto che il Padre sia colui che genera il Figlio e non viceversa, cioè, in termini orientali, quella che viene definita “la monarchia del Padre”. I trinitari hanno tutto questo nella loro dottrina, ma sanno perfettamente che non ha nulla a che fare col fatto che il Figlio stesso sia Dio come il Padre. L’eresia è scegliere cosa credere e cosa no, mentre la Trinità tiene insieme i due aspetti. Hai citato dei brani di Policarpo ed Ignazio che mettono al primo posto il Padre: ma questo perché dovrebbe essere un’argomentazione anti-trinitaria? La Trinità non nega un ordine nelle tre persone divine. Anche Ignazio infatti dice Dio il Figlio. Prendo una sola lettera, che basta per tutte, quella agli Efesini: “Dio nella carne” (7,2) “Il nostro Dio Gesù Cristo è stato portato nel seno di Maria” (18,2) , Dio apparso in forma umana (19,3).
La fede della Chiesa sin dai primordi confessa che Dio è ovunque, atemporale, che Cristo ha perciò realizzato l’incarnazione senza lasciare il seno del Padre. Leggiamo un passaggio dell’Omelia sulla Pasqua di Melitone di Sardi, un testo del 150 d.C. circa: “Per questo egli venne a noi; per questo da incorporeo che era si tessé un corpo della nostra natura;... calpestava la terra e riempiva il cielo; si mostrava bambino ma non abbandonò l'eternità; apparve povero, ma non si spogliò delle sue ricchezze; rivestì la forma di servo, ma non mutò la forma di Padre. Egli era tutto. Stava inannazi a Pilato, mentre era assiso con il Padre; era fissato al legno e sosteneva l'universo.” (fr.14)
Grandiosa formulazione, degna di un dogmatico del IV secolo…


“Vi erano molte altre visioni ed interpretazioni delle tre persone nelle varie chiese cristiane, monofisismo, arianesimo, origenismo, e non è possibile dire che costituissero un'esigua minoranza.”



Che la Chiesa abbia cercato nei secoli di mettere a fuoco la sua terminologia non toglie certo verità al fatto che ci sia un nucleo centrale di proclamazione costituito dalla divinità del Figlio, al di fuori del quale si era eretici. Quelle che tu citi si chiamano non a caso eresie. Alcune poi sono dispute cristologiche che non hanno a che vedere con una subordinazione del Figlio, il monofisismo ad esempio. Bisogna avere una conoscenza della patristica meramente internettiana per non vedere il filo rosso della divinità di Cristo che attraversa tutta la patristica, prima e dopo Nicea. La storia dei dogmi è una storia dei tentativi di mettere a punto una formulazione soddisfacente degli stessi. La Chiesa non ha mai negato l’evoluzione della formulazione del dogma, nel senso che non ha mai negato che la Chiesa, indagando la propria fede, abbia potuto specificarla ed esprimerla meglio quando ve n’è stato bisogno. E’ l’eresia infatti la causa dei dogmi ortodossi… Finché non c’è nessuno che contesta qualcosa, nessuno rende quella cosa dogma. Solo se sorge qualcuno che interpreta quella cosa in modo diverso, allora v’è una difesa dell’ortodossia consistente nel riaffermare contro il sorgere dell’eresia quello che s’è sempre creduto, magari formulandolo con un nuovo linguaggio per non dare più adito agli equivoci terminologici su cui s’erano basati gli eretici per tirare in piedi le loro dottrine.


“Cirillo d'Alessandria che è santo e padre della chiesa cattolica può benissimo essere definito un criminale a tutti gli effetti, chiaramente se si conoscono i fatti e non solo le dicerie da parrocchia.”



Non ho ben capito cosa c’entri questa tua affermazione con la frase di Cattolico_Romano che hai quotato. La frase diceva: “Questa è una tua personale opinione piena di pregiudizi, la verità di un enunciato non dipende dalla moralità di chi lo enuncia. "
Ora, se anche ex hypotesi ammettessi che Cirillo era un criminale, questo falsificherebbe forse l’affermazione di Cattolico_Romano? Come ha detto correttamente, io posso dire “2+2 fa 4” anche se sono un serial killer, e non per questo la mia frase diventa falsa. La dottrina di Cirillo è ortodossa, anche se usa un linguaggio che crea confusione. I copti oggi ad esempio sono accusati di essere monofisiti, ma lo sono alla maniera in cui era monofisita Cirillo, e dunque perfettamente ortodossi in realtà. In questo caso, che ha a che fare l’enunciazione di corrette verità cristologiche che fanno parte della dottrina della Chiesa con la moralità di un singolo? Non è dato saperlo… La verità, secondo la più accreditata definizione che oggi abbiamo in mano, è data dall’adeguazione tra il pensiero e l’essere, cioè tra quello che dico e lo stato di cose del mondo. La verità è adaequatio rei et intellectus. Se così è, il fatto che un’espressione linguistica corrisponda o meno all’essere, cioè a come le cose stanno, è del tutto indipendente dalla moralità di chi pronuncia quest’espressione. Cirillo, un grand’uomo… E’ stato accusato da degli storici faziosi delle più orribili atrocità, persino d’aver fatto uccidere una delle mie filosofe preferite, la povera Ipazia. Inutile dire che, allora come oggi, si tratta solo di voci.

“I legati papali pesarono molto poco in gran parte di tutti i concili antichi, per esempio ad Efeso fu data parola loro solo alla fine e Cirillo non attese nemmeno il loro arrivo per l'apertura del concilio.”



Qui la questione è veramente di tutt’altra matrice, e con Roma c’entra poco. Il Concilio di Efeso è lo spettacolo pietoso di due gruppi che fanno a gara per chi dei due sia “il vero Concilio”, e si scomunicano a vicenda. Gli Orientali di Siria in linea con Giovanni d’Antiochia da una parte, e gli Egiziani (insieme ad altri alleati dell’Asia Minore e dell’Illiria) in linea con Cirillo dall’altra parte. Cirillo ha aperto il Concilio in fretta e furia perché non voleva aspettare l’arrivo dei vescovi orientali favorevoli a Nestorio. In questo modo Nestorio sarebbe stato privato dei suoi appoggi, e infatti non si presentò, venendo deposto da quel medesimo Concilio. A questo punto arrivano i legati romani di papa Celestino (il 10 luglio) e confermano la deposizione di Nestorio. Se questo Concilio e non quello opposto dei nestoriani s’è alla fine imposto gran parte del merito è nel costante appoggio che papa Celestino diede a Cirillo. Bernard Meunier commenta: “Efeso fu un concilio ecumenico? La tradizione ha considera come valido, ed ecumenico, solo il Concilio Di Ciritto. Perché, dato che era visibilmente parziale e non aveva offerto le condizioni di un vero dibattito? Il numero ha fatto la sua parte (il campo di Cirillo è sempre stao più numeroso di quello degli Orientali). L’abilità manovriera di Cirillo ha anche dato i suoi frutti (compresa la politica di comprare alcuni alti funzionari della corte imperiale). Ma uno dei punti decisivi è certamente stata il costante appoggio di Roma al concilio, e il mandato inizialmente affidato a Cirillo da Celestino, anche se egli ne aveva oltrepassato i limiti.” (Bernard Meunier, La nascita dei dogmi, Torino, 2001, Elledici, p. 107)


“In quel concilio fu la sola rara volta che si osannò il papa ad un concilio antico”



E’ falso, posso farti altri esempi di Concili orientali che lodano il papa. Nel Costantinopolitano II ad esempio. In quel caso i Padri Conciliari accolsero l’epistola di papa Agatone come “scritta dal supremo vertice divino degli apostoli”(Sacrorum Conciliorum Nova et amplissima collectio, a cura di G. D. Mansi et al., 11, 684). Nell’acclamazione conclusiva poi si legge: “Il supremo principe degli apostoli ha combattuto con noi; il suo imitatore e successore sulla cattedra è dalla nostra parte e ci ha spiegato con una lettera il mistero dell’incarnazione divina. La vecchia città di Roma ha presentato una professione di fede scritta da Dio e ha fatto sorgere dall’Occidente la luce del dogma. Sembrava carta ed inchiostro, e attraverso Agatone parlava Pietro” (Ibid., 666)
Per la teologia ortodossa di ogni epoca il vescovo di Roma siede sulla cattedra di Pietro. Come disse Teodoro Studita (quello vero, non il nostro amico di internet, l’autorità della chiesa è data “dagli apostoli e dai loro successori, E chi sono i loro successori? –Quello che siede sulla cattedra di Roma ed è il primo; quello che siede sulla cattedra di Costantinopoli ed è il secondo; e dopo di loro quelli di Alessandria, di Antiochia e Gerusalemme. Questa è la quintuplice autorità della chiesa. A loro spetta la decisione sulle dottrine divine. L’imperatore e l’autorità secolare hanno il dovere di aiutarli e di confermare ciò che essi hanno deciso” (PG 99, 1417)


“Sul 28° canone conosci poco, in realtà nella sessione del concilio in cui fu decretato non erano presenti i legati papali”



Scusa ma dove nel messaggio di Cattolico_Romano ci sarebbe stato scritto che questo canone è stato approvato coi legati romani presenti? La prova che fossero assenti quel giorno è semmai una prova del fatto che s’è proditoriamente approfittato della loro assenza, proprio per il fatto che le loro parole, nel caso fossero stati presenti, avrebbero potuto ribaltare la cosa.


“La lettera è stata spedita quando ormai il canone era validato e semmai era una lettera di avviso e non di approvazione.”



Verissimo che il canone era già stato validato senza l’approvazione dei legati, ma proprio per questo spediscono una lettera a Leone chiedendone l’approvazione. Una lettera d’avviso dici? Forse non hai letto le fonti primarie, e dunque stai semplicemente ripetendo, senza aver avuto modo di controllare, quello che hai letto in fonti secondarie (cioè quelle che spiegano le fonti primarie). Non solo è una richiesta d’approvazione, ma è anche fatta con un linguaggio di puro servilismo e supplica Questa lettera è d’ossequi, chiamano il papa loro padre, loro capo e loro dottore, e chiedendo in particolare la conferma del ventottesimo canone. In quella lettera lo salutano come l'interprete della “voce di Pietro, colui che ha ricevuto dal Salvatore la custodia della vigna”, cioè di tutta la Chiesa, il “Capo di cui essi sono membri”, il Padre di cui essi sono i figli: (PL 54,951 sg.) Anatolio vescovo di Costantinopoli, scrisse al papa: “La sede di Costantinopoli ha per Padre la vostra sede Apostolica” (Epist. Ad leonem Papam 4: PL 54,984A). Inoltre, quando i Padri Conciliari decretarono la deposizione di Dioscoro, voluta dal legato romano Pascalino, la motivazione dell’autorizzazione per tale deposizione viene indicata dai Padri nella preminenza della sede Roma: “Leone, per mezzo nostro e di questo Santo Concilio, in unione col beato Pietro Apostolo, che è la pietra angolare della Chiesa Cattolica ed il fondamento della fede ortodossa, gli ha tolto l'episcopato e ogni dignità sacerdotale" (MANSI, VI, 1047) S. Leone Magno (santo anche per gli ortodossi! ) rifiutò l'approvazione del canone 28, che osava affermare che il prestigio di una sede episcopale dovesse derivare dalla sua posizione politica nell’impero, e scrisse all'imperatore Marciano: “Altra è la natura delle cose umane, altra quella delle cose divine; e nessun edificio sarà stabile senza la pietra che il Signore ha posto” (Ep. 104 ad Marcianum,3: PL 54, 993-95).
La Chiesa di Roma non ha mai riconosciuto il canone 28. Roma basa questo suo rifiuto sui seguenti punti:
Non fu decretato autentico da tutti i 500 Padri del Concilio ma solo da 200 circa, ed in una sessione non presieduta dai legati romani.(ergo non si può dire ecumenico)
Costoro, il girono dopo, nella XVI sessione, elevarono contro il decreto una decisa protesta che vollero inserita negli atti; Papa Leone I, malgrado le insistenti sollecitazioni dei firmatari, di Marciano e del vescovo Anatolio, l'abrogò esplicitamente (Ep. 105 ad Pulcheriam Augustam; PL 54, 1000)
Roma non aveva mai basato la sua preminenza sulla politica né ha senso far derivare diritti divini come quelli i un vescovo dall'impero. Il canone ventotto manca nelle collezioni canoniche orientali prima dell'VIII secolo, forse per effetto della protesta di Roma, che in seguito venne ignorata.


“Leone infatti espresse più volte la sua disapprovazione”



Questo è un clamoroso esempio, in puro stile orientale, di cesaropapismo. E’ stato un colpe di mano imperiale, che non a caso è rimasto nella storia come “brigantaggio” o “ladrocinio”, ed è stato ribaltato da Leone. Non con la forza, quella ce l’hanno gli imperatori che usano le armi. La situazione cambierà rapidamente. Comunque, il papa che difese Eutiche, non è Marciano, il quale successe a Teodosio II solo nel 450, mentre il brigantaggio di Efeso risale all’agosto del 339. Il nuovo imperatore manifesta la sua volontà di mantenersi in comunione con Roma e un sinodo, radunato a Costantinpoli nel 450, ratifica il Tomo a Flaviano scomunicando Eutiche. Marciano ha invece aperto il Concilio di Calcedonia. Roma era esitante perché secondo il papa la questione era già regolata dal proprio Tomo a Flaviano.
Quanto a quello affermato da Cattolico_Romano, e che cioè che nel materia storico riguardante i Concili ricorre l’affermazione che un Concilio non possa essere valido senza l’approvazione di Roma, è perfettamente vera, e mostra la consapevolezza che l’Oriente aveva del primato (quando non c’erano interessi politici in gioco che facevano dimenticare questa verità per motivi di comodo). L’esempio portato era il brigantaggio di Efeso: tra i motivi del suo ribaltamento c’è proprio l’opposizione di Roma. Per il legato romano Lucenzio a Calcedonia, il crimine di Dioscoro, architetto del celebre brigantaggio, consisteva nel fatto che “egli ha osato tenere un concilio senza l’autorità della cattedra apostolica, cosa che non è mai accaduta prima né poteva accadere” (Acta Conciliorum Oecumenicorum II 3 I 40) I Padri Conciliari accolsero la tesi di Lucenzio e nel loro scritto all’imperatore marciano affermarono che Dioscoro aveva “abbaiato contro la cattedra apostolica stessa” e aveva addirittura “tentato” di scomunicare Leone (ivi II, 3 II (98) 83s.). Prendiamo poi in esame il II Concilio di Nicea che per motivare che il precedente Concilio di Hiera non era valido ha la seguente motivazione formulata dal legato romano Giovanni Diacono. Hiera non ha validità “perché non vi partecipò il papa di Roma e neppure i vescovi a lui vicini, né per mezzo di legati né per mezzo di una lettera, come è legge per i Concili. Ma anche i patriarchi dell’Oriente di Alessandria, Antiochia e della città Santa (Gerusalemme) non furono d’accordo.” (Sacrorum Conciliorum Nova et Amplissima Collectio, a cura di G. D. Mansi et al., 13, 208s.)
Si noti la differenza. Da una parte Roma, dall’altra “gli altri”. Roma deve partecipare, gli altri devono essere solo d’accordo. Nelle storia della chiesa greche di Socrate e Sozomeno questa formulazione resa in modo tale che papa Giulio risulta non essere stato convocato al Concilio “contro la legge” essendo contrario ai canoni decidere qualcosa sulle chiese in assenza del vescovo di Roma. (Socrate, Storia Ecclesiastica, II 17 PG 67, 220 A)



“Certo che è pervenuto in greco, almeno una parte, un'altra parte è in latino, una in armeno e un'altra in siriaco. La riedizione latina è del IV secolo circa ed è manifestatamente alterata”



Scusa, ma mi chiedo se tu abbia letto quello che ha scritto Cattolico_Romano. Non ha scritto che l’opera non c’è giunta in greco, ma che “ti ricordo che il testo greco di tutta quella parte del Contro le Eresie non c'è proprio pervenuto, quindi non ha senso dire che manca nell'originale greco la lista dei vescovi”. Rispondeva ad una tua frase dove dicevi: “l'adversus haereses di Ireneo presenta un elenco di vescovi romani che non c'è nell'originale in greco”. Da questa frase sembra che, quel brano dove Ireneo parla della potentior principalitas di Roma, ci sia giunto anche in greco, ma senza la lista dei vescovi. Il che è falso. Quella sezione c’è giunta solo in latino, dunque, per quanto concerne quella parte, non sappiamo se c’è giunta corrotta. Quale sarebbe il testo greco di quella parte, senza l’elenco dei vescovi? Me lo dici?


“Certo per i singoli ma non per le gerarchie cattoliche”



E come fgai a dirlo? Fatti un autoesame di coscienza. Quanti papi conosci, anche solo per nome. Prova ad elencarli, forse arriverai a 30. Bene, sono 265. Come ripeto guarda in te stesso e chiediti come puoi dare un giudizio complessivo su un’istituzione di cui neppure sapresti elencare il 10% dei papi.
E questo solo per limitarci al papato. Le gerarchia cattoliche nel corso di 2000 anni hanno annoverato centinaia di migliaia di aderenti. Inutile dire che non conosci né potresti conoscere la storia di costoro, neppure dell’1% di costoro, eppure spari giudizi a vanvera. E’ ovvio che nella storia fa clamore se un cardinale dirige un’ armata e non se un cardinale apre un lebbrosario, o fa più notizia l’inquisizione spagnola (che tra l’altro non dipendeva neppure dalla Chiesa ma dalla monarchia), rispetto alle migliaia di organizzazioni caritatevoli che sono state messe in piedi da chierici cattolici, dei più diversi gradi, nel corso di 2000 anni. In qualsiasi università la prima cosa che ti insegnano nei corsi di storia è che la storia si studia e non si giudica, ma vedo che c’è gente estranea alla forma mentis accademica…


“Visto che nessuno sarebbe più andato a messa se si fosse detto che Gesù non si presenta in qualsiasi eucarestia consacrata (cosa che infatti credo) bisognava formulare la favoletta che il sacramento è valido nonostante l'empietà di chi lo amministra. E chi lo dice questo? Semplici uomini.”



La logica. Infatti i sacramenti non dipendono dal sacerdote, perché non è lui che li amministra. Chi è che battezza? Chi è che fa funzionare l’eucaristia? Il prete? No, è Cristo che battezza, e Cristo che si dà nell’eucaristia. Inoltre, che colpa ne possono avere i fedeli se il loro sacerdote è un criminale (tanto più che siccome i criminali non mettono i manifesti, nella stragrande maggioranza dei casi i fedeli neppure sanno che chi amministra il sacramento è un criminale). Il sacramento non dipende dal sacerdote ma da Dio. Anzi, sarebbe del ridicolo pelagianesimo sostenere che possiamo avere un grado di purezza tale da poter “meritare” che il sacramento funzioni. Vorrebbe dire che i sacramenti non sono Grazia, ma che al contrario sarebbe possibile “meritarli”, come se qualcosa di quello che facciamo potesse essere abbastanza per reclamare verso Dio che un sacramento avvenga… Che pura eresia, così agli antipodi di tutti quello che la Grande Chiesa insegna. E poi, la stabilisci tu la lista di peccati che non fanno funzionare i sacramenti? E in base a che cosa li misuri? Quella che tu proponi è una posizione che genera una selva di aporie.
Inoltre, da capo, questi semplici uomini che hanno stabilito la validità dei sacramenti ex opere operato sono gli stessi, sono quella stessa Chiesa, che ha creato il canone del NT. E ancora una volta ti chiedo in base a che cosa, se li giudichi uomini fallibili, accetti quel canone del NT, e non la ritieni “l’opera di semplici uomini” al pari di questa formulazione sui sacramenti. Tutto il cristianesimo storico è opera di uomini, dalla Bibbia in già compresa.


“on nego la chiesa come istituzione ma non certo una sola chiesa ma semmai molte chiese-comunità.”



Il che sarebbe l’anarchia, con ognuno che fa ciò che vuole e l’impossibilità di avere un criterio esterno per stabilire cosa sia ortodosso qualora ad un singolo vescovo venga in mente di pensare cose eretiche…


“La libertà del credente ci deve essere eccome, Gesù non ha lasciato dogmi ne vincoli ma ha lasciato libertà”



La libertà non è quella di stabilire da soli qual è la dottrina della Chiesa, ma quella di aderirvi (e stare nella Chiesa), o di uscirne. Se Cristo ha dato una predicazione, il nostro dovere è aderire ad essa. La Chiesa primitiva non era il covo di sessantottini anarchici che tu hai in mente, tutto il contrario. Anche lì vi era già una predicazione dogmatica, un messaggio ortodosso, controllato dal gruppo dirigente apostolico. E’ per questo che Paolo può dire “se anche un angelo del cielo vi annunziasse un vangelo diverso, sia anatema”.
Esisteva già un’ortodossia, e Paolo stesso va a confermarsi circa l’ortodossia della propria posizione andando a consultare Pietro a Gerusalemme.


“Milano? E che centra Milano. La chiesa di Milano assume importanza con Ambrogio ma prima di questo era sempre stata abbastanza irrilevante, manco la cronologia storica sapete..”



Guarda che Cattolico_Romano ha scritto: “Non si sono appellati a Milano, o a chicchessia, ma a Roma. Perché?" . Non ha scritto che si sono appellati a Milano, o che avrebbero dovuto appellarsi a Milano, bensì che non si spiega, se si tiene ferma la tua posizione, perché si sia appellati a Roma e non appunto “a Milano o a chicchessia”, cioè perché proprio a Roma e non a chiunque altro. L’italiano è una lingua abbastanza trasparente, non capisco come si possa equivocare così le parole altrui. Perché dunque due vescovi spagnoli si appellano a Roma? Sapevano che era consuetudine potersi appellare alla cattedra di Pietro, come ripeto. Il can. 3 di Sardica (343 d.C.), oggi Sofia in Bulgaria, recita: “Il vescovo Osio disse: Se però un vescovo è stato condannato in una causa e tuttavia crede di avere buone ragioni perché il giudizio debba essere rivisto, onoriamo la memoria, se siete d’accordo, del santo apostolo Pietro; si scriva al vescovo di Roma o da (parte di) coloro che hanno esaminato (il caso), oppure dai vescovi che risiedono nella provincia vicina; se egli (il vescovo di Roma) ha deciso che il giudizio della essere rivisto, ciò sia fatto, e a lui spetta costituire i giudici; ma se egli, nell’esame (della questione) è pervenuto alla conclusione che il caso è risolto nel senso che ciò che è stato deliberato non venga rimesso in questione, allora ciò che egli ha deciso dev’essere confermato”.
Questo sinodo non è un Concilio ecumenico, non lo cito perché ritenga questo canone infallibile, ma solo per testimoniare che quest’idea girava nell’aria.
Quello che conta è che l’atto fatto da Basilide e Milziade non avrebbe senso se essi non avessero pensato che il vescovo di Roma aveva un’autorità superiore a coloro che li avevano dimessi. Come già detto, non bisogna scambiare le disobbedienze al potere di Roma con l’idea che tale potere non esista: con questo modo di ragionare potremmo dire che il primato del papa non esiste neppure nel XXI secolo.


“Per quanto riguarda Cipriano, non ha mai sostenuto il primato di Roma, e guarda un pò cosa viene citato? Il de unitate ecclesiae c.4, proprio lo scritto che fu falsificato a Roma e che molti storici ritengono inaccettabile vista la realtà dei fatti”



Non c’è alcuna prova di una falsificazione di questo punto, a meno che tu non abbia un’edizione critica che espunga il passo. La prova di una falsificazione quale sarebbe? Che Cipriano non s’è comportato in coerenza con quanto scriveva circa il primato romano? Beh, non è la prova di alcunché. Questo è un problema della coerenza di Cipriano, non della Chiesa. Per questo vescovo evidentemente la posizione del papa sul battesimo degli eretici era inaccettabile, e dunque, come per molti cattolici odierni, il primato di Roma gli è andato bene solo fino a quando non s’è trovato lui stesso a fare i conti con questo primato, che però questa volta era lui sfavorevole. Comunque vorrei far notare quanto è già stato scritto, cioè che Cipriano riconosce che Roma è la cattedra di Pietro e il papa è il suo successore, ma non fa derivare da questo un potere particolare che non sia una “maggior autorevolezza”. Cipriano non nega cioè il primato, ma ritiene che quello che Roma ha come “primogenitura” e in modo eminente, lo abbiano anche tutti gli altri vescovi, cioè il potere di sciogliere le legare. Roma è per Cipriano il simbolo dell’unità ecclesiale. Quindi non c’è bisogno di dire che questo passo sia stato manipolato, perché in realtà già prima della disputa con Stefano la teologia di Cipriano circa il primato era deficitaria.

Ad maiora
[Modificato da Polymetis 06/07/2009 15:27]
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