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VII Domenica dopo Pentecoste

Ultimo Aggiornamento: 18/07/2009 19:35
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18/07/2009 19:31

Commento al Vangelo del 19 luglio
«Io ho vinto il mondo»
VII Domenica dopo Pentecoste 
17.07.2009
di Giuseppe GRAMPA
Parroco di S. Giovanni in Laterano, Milano


I tre testi di questa domenica possiamo leggerli come tre annunci di vittoria. Il termine vincere, vittoria ricorre nelle tre pagine anche se con accenti diversi. Per questo conviene oggi percorrere i tre testi e non soffermarci solo sul testo evangelico. La prima lettura, racconta una vittoria ma in verità rappresenta una triste sconfitta della coscienza cristiana nei confronti della scienza. “Fermati sole… Stette fermo il sole nel mezzo del cielo, non corse al tramonto un giorno intero”. Questo testo rispecchia le superficiali conoscenze astronomiche del tempo per le quali il sole era in movimento attorno alla terra. Così quando Galileo, grazie ai suoi studi astronomici propose invece il movimento della terra attorno al sole la sua tesi venne ritenuta contraria al testo biblico che sembrava affermare il movimento del sole: fermati o sole. Di qui la condanna. Una lettura letterale del testo senza distinguere l’involucro culturale inesorabilmente datato e segnato dalle conoscenze scientifiche del tempo produsse allora una drammatica frattura tra la fede nella Parola di Dio e la ricerca scientifica. Questo testo e la triste vicenda che ne accompagnò la lettura, ci ricorda il pericolo di una lettura fondamentalista della Scrittura, una lettura che non distingue adeguatamente il messaggio dall’involucro letterario datato. E’ lo stesso errore che commettono oggi i Testimoni di Geova quando rifiutano la trasfusione di sangue in nome della Bibbia che identifica il sangue con la vita stessa. Il testo biblico appartiene ad una cultura tanto diversa dalla nostra e tanto lontana da richiedere, necessariamente, un sapiente lavoro di interpretazione, diversamente si cade nell’errore che fece di Galileo una vittima.

La fede vince sempre

Forse questo primo testo, narrazione di una vittoria militare di Giosuè e del suo popolo Israele, è stato scelto per analogia con la parola di Gesù nell’Evangelo: “Io ho vinto il mondo”. Accostamento francamente pericoloso se accentua un conflitto tra Cristo e il mondo e la sconfitta inesorabile di quest’ultimo. Per fugare questa lettura solo polemica tra Cristo e il mondo basterà ricordare l’altra stupenda parola sempre di Giovanni: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio… non per condannare il mondo ma perchè sia salvato”. Il miglior commento a questa parola di vittoria sul mondo ci è dato sempre dall’evangelista Giovanni nella sua prima lettera dove scrive: “Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo e questa è la vittoria che ha vinto il mondo: la nostra fede” (5.4). Ma in che senso la nostra fede è vittoria sul mondo? Trovo la risposta nella seconda lettura che oggi ci presenta una delle pagine più intense dell’apostolo.

L’ottimismo cristiano

Anche Paolo parla di vittoria: “Siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati”, una vittoria resa possibile dall’amore di Cristo per noi, un amore irrevocabile e che nulla potrà smentire. Due volte Paolo afferma con forza che nulla ci potrà separare dall’amore di Cristo. E fa un lungo elenco di possibili situazioni che potrebbero far vacillare la nostra fede. Non è forse vero che anche noi, presi nella morsa della sofferenza, della tribolazione, del bisogno… anche noi vacilliamo nella fede e ci chiediamo perché Dio permette questi mali, non viene in soccorso dei suoi fedeli? Come i discepoli nella barca che rischiava di affondare mentre Gesù dormiva, si rivolgono a Lui con una parola disperata: “Ma non ti importa che moriamo?”. Il mondo che Gesù vince è quell’incredulità che legge la vicenda umana come inesorabilmente consegnata alle molteplici forme di male. Al centro del mondo vi sarebbe una carica distruttiva che ne provocherà la catastrofe inesorabile. La fede, invece, è persuasa che al centro del mondo è Cristo perché tutto è stato pensato, voluto in Lui. Il destino del mondo sarà quindi lo stesso di Cristo, destino di risurrezione e di vita. Trova qui radice l’ottimismo cristiano che è sì consapevolezza delle innumerevoli sofferenze, tribolazioni, angoscia, persecuzione, fame, nudità, pericolo, spada… ma la fede in colui che ci ha amato e ha dato la sua vita per noi avrà l’ultima, definitiva parola. Sorretti dalla fede anche i nostri giorni, incerti e talvolta tribolati non saranno consegnati alla disperazione.
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