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26 luglio 2009 – VIII domenica dopo Pentecoste anno B a cura di Don Raffaello Ciccone ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ www.aclimilano.com Lettura del libro dei Giudici. 2, 6-17 In quei giorni. 6 Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli Israeliti se ne andarono, ciascuno nella sua eredità, a prendere in possesso la terra. 7 Il popolo servì il Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano visto tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto in favore d’Israele. 8 Poi Giosuè, figlio di Nun, servo del Signore, morì a centodieci anni 9 e fu sepolto nel territorio della sua eredità, a Timnat-Cheres, sulle montagne di Èfraim, a settentrione del monte Gaas. 10 Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi padri; dopo di essa ne sorse un’altra, che non aveva conosciuto il Signore, né l’opera che aveva compiuto in favore d’Israele. 11 Gli Israeliti fecero ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i Baal; 12 abbandonarono il Signore, Dio dei loro padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto, e seguirono altri dèi tra quelli dei popoli circostanti: si prostrarono davanti a loro e provocarono il Signore, 13 abbandonarono il Signore e servirono Baal e le Astarti. 14 Allora si accese l’ira del Signore contro Israele e li mise in mano a predatori che li depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro intorno, ed essi non potevano più tener testa ai nemici. 15 In tutte le loro spedizioni la mano del Signore era per il male, contro di loro, come il Signore aveva detto, come il Signore aveva loro giurato: furono ridotti all’estremo. 16 Allora il Signore fece sorgere dei giudici, che li salvavano dalle mani di quelli che li depredavano. 17 Ma neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a loro. Abbandonarono ben presto la via seguita dai loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del Signore: essi non fecero così. Lettura del libro dei Giudici. 2, 6-17 Il libro dei “Giudici” fa riferimento ad un periodo, secondo ipotesi significative, che va dalla morte di Giosuè (circa il 1220-1200 a.C.) all'inizio dell'epoca monarchica; è un tempo complessivo di circa 180-160 anni. Sono chiamati i “Giudici” alcuni particolari capi del popolo, o più precisamente i capi di tribù. Essi vengono scelti per le situazioni difficili che turbano la vita della comunità stessa. Il “Giudice” viene considerato un "liberatore" e inviato da Dio che, solo, sa riportare il popolo alla sua riconquistata libertà e che quindi ricostruisce un rapporto di pace con il Signore stesso. Nei vv 2,6-10 il testo si ricollega al libro di Giosuè per indicare che c'è una continuità. Nell'assemblea di Sichem (Giosuè 24,1ss) tutto il popolo d'Israele, nelle sue 12 tribù, sancì il patto con Dio quando ascoltò le parole di Giosuè. Questi ricordò i fatti della liberazione e si sentì di chiedere alle tribù la disponibilità a servire Dio come la sua stessa famiglia si apprestava a fare. E tutto il popolo aveva risposto: "Noi serviremo il Signore” (v 21). Infatti la generazione di Giosuè e tutti quei personaggi che avevano sperimentato la protezione di Dio nel deserto seppero mantenere fede all'impegno assunto (v 7). Ma, col passar del tempo (vv 11-17), la storia di Israele si intorbida e, in questo testo, viene riletta in una interpretazione teologica: che cosa, infatti, è diventato, agli occhi di Dio, questo popolo, liberato attraverso Mosè? Israele compie il male poiché abbandona il Dio dell'Esodo per seguire altre divinità. E’ il peccato della idolatria. Il popolo segue usanze, costumi, mentalità dei popoli entro cui si ritrova ad abitare ed è ingolosito e ammaliato dalla cultura più evoluta rispetto alla propria che, semplicemente, è da schiavi e da ignoranti pastori. Essi sono affascinati dal benessere dei popoli della costa che questa cultura offre, ai loro occhi, e immaginano che, con il loro culto, abbiano poteri sovrumani. Nell’idolatria si può ricattare Dio, lo si costringe, lo si obbliga alla fecondità della terra, degli animali e delle donne. Ma il benessere comporta atteggiamenti scorretti, mancanza di regole, suggestioni, mentalità distorte ed egoismi di parte per cui il popolo perde la propria integrità ed omogeneità, diventa povero e in balia della potenza e della forza degli altri. Non è per caso che si riparli di schiavitù: "Furono depredati, furono venduti ai nemici che stavano loro intorno ai quali non potevano più tenerle testa" (v 14). A questo punto, dal momento che la cultura ebraica non è ancora giunta alla riflessione sulla propria libertà e sulle responsabilità delle scelte, per un ovvio corto circuito le disfatte e le disgrazie sono considerate, nella mentalità del tempo, castighi di Dio. Il Signore, tuttavia, si preoccupa della liberazione di questo suo popolo come ha sempre fatto e perciò "fece sorgere dei Giudici" (v 16). Il problema dell’idolatria non è mai scomparso dall'orizzonte umano, anche nell'ambito della vita quotidiana dei credenti di oggi. Idolatria significa mettere al primo posto delle proprie scelte e della propria vita, ciò che non è Dio stesso. Perciò misura dell’esistenza diventa tutto ciò che ho scelto come un Assoluto. Ma se scelgo ciò che non è un valore di Dio, alla fine sono sconfitto (e questo vale per credenti e non credenti). Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi2, 1-2. 4-12 1 Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra venuta in mezzo a voi non è stata inutile. 2 Ma, dopo aver sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte lotte… 4 come Dio ci ha trovato degni di affidarci il Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri cuori. 5 Mai infatti abbiamo usato parole di adulazione, come sapete, né abbiamo avuto intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone. 6 E neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi né da altri, 7 pur potendo far valere la nostra autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha cura dei propri figli. 8 Così, affezionati a voi, avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi2, 1-2. 4-12 Paolo, in questa prima lettera ai Tessalonicesi, si deve difendere dalle chiacchiere che lo stanno inseguendo da quando, a Filippi, era stato oltraggiato e da cui era precipitosamente fuggito. Egli ha coraggiosamente ripreso la predicazione del Vangelo (e utilizza la parola greca parresia che significa: "parlare con chiarezza, coraggio e verità") e constata che non è stata vuota la sua presenza né tanto meno inutile. Richiama, comunque, i motivi che lo hanno spinto a questo suo compito. E’ la sua vocazione: Dio gli ha affidato il Vangelo ed egli si è sforzato di non piacere agli uomini ma a Dio che conosce il cuore di ciascuno. L'ha fatto con generosità, amando questi cristiani come una madre, anzi una "nutrice" che alimenta i suoi figli. E si sente anche il padre che lavora gratuitamente, giorno e notte, per poter non essere di peso a nessuno. Non vuole, infatti, essere assomigliato a una certa cerchia di filosofi itineranti o predicatori di nuove religioni che approfittano del loro ruolo, chiedendo poi di essere mantenuti. E la sua paternità è stata, insieme, attenzione educativa per cui, prima di tutto il suo comportamento è stato “santo, giusto e irreprensibile" e quindi, verso i cristiani che egli aveva via via educato, si è manifestata con opere continue di sapienza e di richiamo: "Abbiamo esortato ciascuno di voi, e incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio" (vv 11-12). 26 luglio 2009 – VIII domenica dopo Pentecoste anno B a cura di Don Raffaello Ciccone ______________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________ www.aclimilano.com di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari. 9 Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi abbiamo annunciato il vangelo di Dio. 10 Voi siete testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro comportamento verso di voi, che credete, è stato santo, giusto e irreprensibile. 11 Sapete pure che, come fa un padre verso i propri figli, abbiamo esortato ciascuno di voi, 12 vi abbiamo incoraggiato e scongiurato di comportarvi in maniera degna di Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria. Paolo, in tal modo, ha espresso un atteggiamento fondamentale dell'adulto credente: gratuitamente si dimostra disponibile perché la Sapienza del Signore diventi patrimonio di ogni persona che incontriamo. Lettura del Vangelo secondo Marco10, 35-45 In quel tempo. 35 Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu faccia per noi quello che ti chiederemo». 36 Egli disse loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?». 37 Gli risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». 38 Gesù disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete. Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?». 39 Gli risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete battezzati. 40 Ma sedere alla mia destra o alla mia sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i quali è stato preparato». 41 Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a indignarsi con Giacomo e Giovanni. 42 Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. 43 Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, 44 e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. 45 Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». Lettura del Vangelo secondo Marco10, 35-45 Il quadro di riferimento di questo testo, nel Vangelo di Marco, è il cammino di Gesù con i suoi verso Gerusalemme. E Marco ha raccolto qui cinque elementi fondamentali che il credente deve far propri, mentre cammina dietro Gesù maestro: il matrimonio unico indissolubile, l'attenzione ai poveri, la condivisione, la riflessione sul potere, la preghiera a Gesù "figlio di Davide". Gli apostoli hanno sentito, ormai, quale sarà la conclusione di questo viaggio. Non hanno il coraggio di fare altre domande, né di dissuadere Gesù poiché, quando Pietro ha solo tentato di opporvisi, si è sentito dire: "Vai dietro di me, Satana, perché mi sei di scandalo" (Mt16,23). E tuttavia, tra i discepoli, serpeggia una domanda che li proietta, in pratica, sul futuro: "Dopo che Gesù sarà morto, chi avrà il potere in questa comunità?” Senza un minimo di discrezione Giacomo e Giovanni pongono il problema a Gesù: «Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra». Gesù chiarisce subito che non ci sono né carriere, né raccomandazioni, né progressi per meriti. Il Regno di Dio non vive le stesse logiche di questo mondo e Marco tiene a sottolineare che sono necessarie mentalità diverse che rifuggano dalla competizione per i primi posti. Per spiegarsi Gesù utilizza due immagini: quella del calice e quella del battesimo. Il calice rappresenta il destino, buono o cattivo di una persona, il battesimo richiama l'immersione nelle acque della morte. L'uno e l'altro identificano le sofferenze della passione di Gesù che egli affronta per portare speranza a tutti: Egli si fa servo, obbediente al Padre. La reazione degli altri è evidente ma Gesù "li chiamò a sé" (è un momento particolare di concentrazione e di rivelazione) e dice: "Verificate lo stile e i criteri della gestione di ogni potere che esiste sulla terra. Ci sono poteri politici, economici, sociali, religiosi, culturali". Essi manifestano un dominio, hanno pretese di privilegi, bisogno di cerimoniali eccetera. Ma tra voi non deve essere così. Il confronto è con uno schiavo: il livello più basso della società a cui tutti danno ordini. Chi ha potere, si deve sentire servitore e ultimo della sua comunità, cioè persona a disposizione. Gesù stesso, che è maestro, come i maestri del tempo, avrebbe diritto di essere servito dai suoi discepoli; lo dovrebbero accudire, dovrebbero lavargli i piedi. E invece è proprio Gesù che laverà i piedi ai suoi discepoli, prima della cena nel Cenacolo (Gv13,4-5). Nel linguaggio di Gesù si trovano spesso indicazioni su atteggiamenti di comportamenti sbagliati da evitare: dare spettacolo di sé e farsi notare (Matteo 23,5), vestirsi con abiti speciali per distinguersi dagli altri (Marco 12,38), prendere posti d'onore nelle feste, nelle sinagoghe; esigere di essere chiamati guide, maestri, padri (Matteo 23,6-10). Il compito dell'autorità, da chiunque essa sia esercitata, è perciò quello di verificare, avendo responsabilità e sapienza, chi sia in maggiori difficoltà e di operare per il "bene comune". Paolo VI, Lettera enciclica Populorum Progressio (Sullo sviluppo dei popoli), 26 marzo 1967. n 86 .“Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo, che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente di fraternità e segno della Provvidenza”. |