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Domenica VIII dopo Pentecoste

Ultimo Aggiornamento: 25/07/2009 14:40
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25/07/2009 14:40

26 luglio 2009 – VIII domenica dopo Pentecoste anno B

a cura di Don Raffaello Ciccone

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www.aclimilano.com

Lettura del libro dei Giudici. 2, 6-17

In quei giorni.

6

Quando Giosuè ebbe congedato il popolo, gli

Israeliti se ne andarono, ciascuno nella sua eredità,

a prendere in possesso la terra.

7

Il popolo servì il

Signore durante tutta la vita di Giosuè e degli

anziani che sopravvissero a Giosuè e che avevano

visto tutte le grandi opere che il Signore aveva fatto

in favore d’Israele.

8

Poi Giosuè, figlio di Nun, servo

del Signore, morì a centodieci anni

9

e fu sepolto nel

territorio della sua eredità, a Timnat-Cheres, sulle

montagne di Èfraim, a settentrione del monte Gaas.

10

Anche tutta quella generazione fu riunita ai suoi

padri; dopo di essa ne sorse un’altra, che non aveva

conosciuto il Signore, né l’opera che aveva

compiuto in favore d’Israele.

11

Gli Israeliti fecero

ciò che è male agli occhi del Signore e servirono i

Baal;

12

abbandonarono il Signore, Dio dei loro

padri, che li aveva fatti uscire dalla terra d’Egitto, e

seguirono altri dèi tra quelli dei popoli circostanti:

si prostrarono davanti a loro e provocarono il

Signore,

13

abbandonarono il Signore e servirono

Baal e le Astarti.

14

Allora si accese l’ira del Signore

contro Israele e li mise in mano a predatori che li

depredarono; li vendette ai nemici che stavano loro

intorno, ed essi non potevano più tener testa ai

nemici.

15

In tutte le loro spedizioni la mano del

Signore era per il male, contro di loro, come il

Signore aveva detto, come il Signore aveva loro

giurato: furono ridotti all’estremo.

16

Allora il

Signore fece sorgere dei giudici, che li salvavano

dalle mani di quelli che li depredavano.

17

Ma

neppure ai loro giudici davano ascolto, anzi si

prostituivano ad altri dèi e si prostravano davanti a

loro. Abbandonarono ben presto la via seguita dai

loro padri, i quali avevano obbedito ai comandi del

Signore: essi non fecero così.

Lettura del libro dei Giudici. 2, 6-17

Il libro dei “Giudici” fa riferimento ad un periodo, secondo ipotesi significative, che va

dalla morte di Giosuè (circa il 1220-1200 a.C.) all'inizio dell'epoca monarchica; è un

tempo complessivo di circa 180-160 anni.

Sono chiamati i “Giudici” alcuni particolari capi del popolo, o più precisamente i capi di

tribù. Essi vengono scelti per le situazioni difficili che turbano la vita della comunità

stessa. Il “Giudice” viene considerato un "liberatore" e inviato da Dio che, solo, sa

riportare il popolo alla sua riconquistata libertà e che quindi ricostruisce un rapporto di

pace con il Signore stesso.

Nei vv 2,6-10 il testo si ricollega al libro di Giosuè per indicare che c'è una continuità.

Nell'assemblea di Sichem (Giosuè 24,1ss) tutto il popolo d'Israele, nelle sue 12 tribù,

sancì il patto con Dio quando ascoltò le parole di Giosuè. Questi ricordò i fatti della

liberazione e si sentì di chiedere alle tribù la disponibilità a servire Dio come la sua

stessa famiglia si apprestava a fare. E tutto il popolo aveva risposto: "Noi serviremo il

Signore” (v 21).

Infatti la generazione di Giosuè e tutti quei personaggi che avevano sperimentato la

protezione di Dio nel deserto seppero mantenere fede all'impegno assunto (v 7).

Ma, col passar del tempo (vv 11-17), la storia di Israele si intorbida e, in questo testo,

viene riletta in una interpretazione teologica: che cosa, infatti, è diventato, agli occhi di

Dio, questo popolo, liberato attraverso Mosè?

Israele compie il male poiché abbandona il Dio dell'Esodo per seguire altre divinità. E’

il peccato della idolatria. Il popolo segue usanze, costumi, mentalità dei popoli entro cui

si ritrova ad abitare ed è ingolosito e ammaliato dalla cultura più evoluta rispetto alla

propria che, semplicemente, è da schiavi e da ignoranti pastori. Essi sono affascinati dal

benessere dei popoli della costa che questa cultura offre, ai loro occhi, e immaginano

che, con il loro culto, abbiano poteri sovrumani. Nell’idolatria si può ricattare Dio, lo si

costringe, lo si obbliga alla fecondità della terra, degli animali e delle donne.

Ma il benessere comporta atteggiamenti scorretti, mancanza di regole, suggestioni,

mentalità distorte ed egoismi di parte per cui il popolo perde la propria integrità ed

omogeneità, diventa povero e in balia della potenza e della forza degli altri.

Non è per caso che si riparli di schiavitù: "Furono depredati, furono venduti ai nemici

che stavano loro intorno ai quali non potevano più tenerle testa" (v 14). A questo punto,

dal momento che la cultura ebraica non è ancora giunta alla riflessione sulla propria

libertà e sulle responsabilità delle scelte, per un ovvio corto circuito le disfatte e le

disgrazie sono considerate, nella mentalità del tempo, castighi di Dio.

Il Signore, tuttavia, si preoccupa della liberazione di questo suo popolo come ha sempre

fatto e perciò "fece sorgere dei Giudici" (v 16).

Il problema dell’idolatria non è mai scomparso dall'orizzonte umano, anche nell'ambito

della vita quotidiana dei credenti di oggi. Idolatria significa mettere al primo posto delle

proprie scelte e della propria vita, ciò che non è Dio stesso. Perciò misura dell’esistenza

diventa tutto ciò che ho scelto come un Assoluto. Ma se scelgo ciò che non è un valore

di Dio, alla fine sono sconfitto (e questo vale per credenti e non credenti).

Prima lettera di san Paolo apostolo ai

Tessalonicesi2, 1-2. 4-12

1

Voi stessi infatti, fratelli, sapete bene che la nostra

venuta in mezzo a voi non è stata inutile.

2

Ma, dopo

aver sofferto e subìto oltraggi a Filippi, come

sapete, abbiamo trovato nel nostro Dio il coraggio

di annunciarvi il vangelo di Dio in mezzo a molte

lotte…

4

come Dio ci ha trovato degni di affidarci il

Vangelo così noi lo annunciamo, non cercando di

piacere agli uomini, ma a Dio, che prova i nostri

cuori.

5

Mai infatti abbiamo usato parole di

adulazione, come sapete, né abbiamo avuto

intenzioni di cupidigia: Dio ne è testimone.

6

E

neppure abbiamo cercato la gloria umana, né da voi

né da altri,

7

pur potendo far valere la nostra

autorità di apostoli di Cristo. Invece siamo stati

amorevoli in mezzo a voi, come una madre che ha

cura dei propri figli.

8

Così, affezionati a voi,

avremmo desiderato trasmettervi non solo il vangelo

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Tessalonicesi2, 1-2. 4-12

Paolo, in questa prima lettera ai Tessalonicesi, si deve difendere dalle chiacchiere che lo

stanno inseguendo da quando, a Filippi, era stato oltraggiato e da cui era

precipitosamente fuggito. Egli ha coraggiosamente ripreso la predicazione del Vangelo

(e utilizza la parola greca
parresia che significa: "parlare con chiarezza, coraggio e

verità") e constata che non è stata vuota la sua presenza né tanto meno inutile.

Richiama, comunque, i motivi che lo hanno spinto a questo suo compito. E’ la sua

vocazione: Dio gli ha affidato il Vangelo ed egli si è sforzato di non piacere agli uomini

ma a Dio che conosce il cuore di ciascuno.

L'ha fatto con generosità, amando questi cristiani come una madre, anzi una "nutrice"

che alimenta i suoi figli. E si sente anche il padre che lavora gratuitamente, giorno e

notte, per poter non essere di peso a nessuno. Non vuole, infatti, essere assomigliato a

una certa cerchia di filosofi itineranti o predicatori di nuove religioni che approfittano

del loro ruolo, chiedendo poi di essere mantenuti.

E la sua paternità è stata, insieme, attenzione educativa per cui, prima di tutto il suo

comportamento è stato “santo, giusto e irreprensibile" e quindi, verso i cristiani che egli

aveva via via educato, si è manifestata con opere continue di sapienza e di richiamo:

"Abbiamo esortato ciascuno di voi, e incoraggiato e scongiurato di comportarvi in

maniera degna di Dio" (vv 11-12).

26 luglio 2009 – VIII domenica dopo Pentecoste anno B

a cura di Don Raffaello Ciccone

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di Dio, ma la nostra stessa vita, perché ci siete

diventati cari.

9

Voi ricordate infatti, fratelli, il nostro

duro lavoro e la nostra fatica: lavorando notte e

giorno per non essere di peso ad alcuno di voi, vi

abbiamo annunciato il vangelo di Dio.

10

Voi siete

testimoni, e lo è anche Dio, che il nostro

comportamento verso di voi, che credete, è stato

santo, giusto e irreprensibile.

11

Sapete pure che,

come fa un padre verso i propri figli, abbiamo

esortato ciascuno di voi,

12

vi abbiamo incoraggiato

e scongiurato di comportarvi in maniera degna di

Dio, che vi chiama al suo regno e alla sua gloria.

Paolo, in tal modo, ha espresso un atteggiamento fondamentale dell'adulto credente:

gratuitamente si dimostra disponibile perché la Sapienza del Signore diventi patrimonio

di ogni persona che incontriamo.

Lettura del Vangelo secondo Marco10, 35-45

In quel tempo.

35

Gli si avvicinarono Giacomo e Giovanni, i figli di

Zebedeo, dicendogli: «Maestro, vogliamo che tu

faccia per noi quello che ti chiederemo».

36

Egli disse

loro: «Che cosa volete che io faccia per voi?».

37

Gli

risposero: «Concedici di sedere, nella tua gloria,

uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

38

Gesù

disse loro: «Voi non sapete quello che chiedete.

Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati

nel battesimo in cui io sono battezzato?».

39

Gli

risposero: «Lo possiamo». E Gesù disse loro: «Il

calice che io bevo anche voi lo berrete, e nel

battesimo in cui io sono battezzato anche voi sarete

battezzati.

40

Ma sedere alla mia destra o alla mia

sinistra non sta a me concederlo; è per coloro per i

quali è stato preparato».

41

Gli altri dieci, avendo sentito, cominciarono a

indignarsi con Giacomo e Giovanni.

42

Allora Gesù li chiamò a sé e disse loro: «Voi

sapete che coloro i quali sono considerati i

governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro

capi le opprimono.

43

Tra voi però non è così; ma chi

vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore,

44

e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di

tutti.

45

Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto

per farsi servire, ma per servire e dare la propria

vita in riscatto per molti».

Lettura del Vangelo secondo Marco10, 35-45

Il quadro di riferimento di questo testo, nel Vangelo di Marco, è il cammino di Gesù con

i suoi verso Gerusalemme. E Marco ha raccolto qui cinque elementi fondamentali che il

credente deve far propri, mentre cammina dietro Gesù maestro: il matrimonio unico

indissolubile, l'attenzione ai poveri, la condivisione, la riflessione sul potere, la

preghiera a Gesù "figlio di Davide".

Gli apostoli hanno sentito, ormai, quale sarà la conclusione di questo viaggio. Non

hanno il coraggio di fare altre domande, né di dissuadere Gesù poiché, quando Pietro ha

solo tentato di opporvisi, si è sentito dire: "Vai dietro di me, Satana, perché mi sei di

scandalo" (Mt16,23). E tuttavia, tra i discepoli, serpeggia una domanda che li proietta,

in pratica, sul futuro: "Dopo che Gesù sarà morto, chi avrà il potere in questa

comunità?”

Senza un minimo di discrezione Giacomo e Giovanni pongono il problema a Gesù:

«Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra».

Gesù chiarisce subito che non ci sono né carriere, né raccomandazioni, né progressi per

meriti. Il Regno di Dio non vive le stesse logiche di questo mondo e Marco tiene a

sottolineare che sono necessarie mentalità diverse che rifuggano dalla competizione per

i primi posti.

Per spiegarsi Gesù utilizza due immagini: quella del calice e quella del battesimo.

Il calice rappresenta il destino, buono o cattivo di una persona, il battesimo richiama

l'immersione nelle acque della morte. L'uno e l'altro identificano le sofferenze della

passione di Gesù che egli affronta per portare speranza a tutti: Egli si fa servo,

obbediente al Padre.

La reazione degli altri è evidente ma Gesù "li chiamò a sé" (è un momento particolare di

concentrazione e di rivelazione) e dice: "Verificate lo stile e i criteri della gestione di

ogni potere che esiste sulla terra. Ci sono poteri politici, economici, sociali, religiosi,

culturali". Essi manifestano un dominio, hanno pretese di privilegi, bisogno di

cerimoniali eccetera. Ma tra voi non deve essere così. Il confronto è con uno schiavo: il

livello più basso della società a cui tutti danno ordini. Chi ha potere, si deve sentire

servitore e ultimo della sua comunità, cioè persona a disposizione.

Gesù stesso, che è maestro, come i maestri del tempo, avrebbe diritto di essere servito

dai suoi discepoli; lo dovrebbero accudire, dovrebbero lavargli i piedi. E invece è

proprio Gesù che laverà i piedi ai suoi discepoli, prima della cena nel Cenacolo

(Gv13,4-5).

Nel linguaggio di Gesù si trovano spesso indicazioni su atteggiamenti di comportamenti

sbagliati da evitare: dare spettacolo di sé e farsi notare (Matteo 23,5), vestirsi con abiti

speciali per distinguersi dagli altri (Marco 12,38), prendere posti d'onore nelle feste,

nelle sinagoghe; esigere di essere chiamati guide, maestri, padri (Matteo 23,6-10).

Il compito dell'autorità, da chiunque essa sia esercitata, è perciò quello di verificare,

avendo responsabilità e sapienza, chi sia in maggiori difficoltà e di operare per il "bene

comune".

Paolo VI, Lettera enciclica Populorum Progressio (Sullo sviluppo dei popoli), 26 marzo 1967. n 86 .Voi tutti che avete inteso l’appello dei popoli sofferenti, voi tutti che lavorate per rispondervi, voi siete gli apostoli del buono e vero sviluppo,

che non è la ricchezza egoista e amata per se stessa, ma l’economia al servizio dell’uomo, il pane quotidiano distribuito a tutti, quale sorgente

di fraternità e segno della Provvidenza”.

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