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Come io parlo di Dio ai miei bambini?

Ultimo Aggiornamento: 07/08/2009 10:54
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07/08/2009 09:04

Inserisco la seconda parte....
Parlare di Dio ai bambini (II parte)

La benedizione che ancora oggi i genitori ebrei pronunciano sul loro figlio nel giorno in cui per la legge ebraica, a 12 anni, diventa adulto recita così: «Figlio, qualsiasi cosa accadrà nella tua vita, sia che tu abbia successo o no, ricordati sempre quanto tua madre ed io ti amiamo!». Benedire il proprio figlio non vuol dire semplicemente ammirarlo, o elencare tutte le buone qualità che i genitori riescono a pensare, ma si tratta di qualcosa di molto più serio e impegnativo. Significa dirgli con le parole e con i fatti: È bene che tu ci sia! "Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo!" (Is 43,4). Questa è la fonte di ogni benedizione ed è anche il modo più diretto di parlare di Dio perché in questo modo i genitori incarnano nei confronti del loro bambino il desiderio di Dio per l'uomo.

Con questo gesto, i genitori compiono un rito. I bambini hanno bisogno di riti. Il rito non ha niente a che vedere con la ripetizione monotona di gesti e parole, ma è un momento di vita in cui avviene il contatto del nostro mondo profano, effimero e provvisorio, con l'eterno, con ciò che non viene mai meno. Nel rito la vita eterna e tutto ciò che passa si incontrano. In tal senso il rito diventa per il bambino lo strumento più adatto ed efficace per metterlo in contatto con l'invisibile, con il mondo di Dio. Il genitore, dunque, in qualità di primo responsabile dell'educazione religiosa dei figli, può inventarsi dei riti domestici, quotidiani. Tutte le sere può dire al proprio bambino: "Vengo a benedirti per la notte", e poi aggiungere: "Ti lascio in compagnia del Padre, del Figlio, dello Spirito Santo" e tracciagli un segno di croce sulla fronte, come nel giorno del battesimo. Oppure può leggere al suo piccolo una favola, mettere su un disco con una musica dolce e sommessa, legare le proprie mani e quelle del suo bambino con una corona del rosario e recitare l'Ave Maria, o ancora semplicemente guardarlo negli occhi e dire in modo caldo e convinto: "Dio è contento di te!", e il bambino può sentire che ciò succede al di là dei suoi capricci.

Questi gesti, naturalmente, non sono degli espedienti per far addormentare il bambino, anche se questa può essere una felice conseguenza che viene da sé. Si tratta, invece, di veri e propri atti di fede che vengono dalla gioia del genitore, indipendentemente dai risultati. E non possono essere condizionati da nessun "se", come per esempio: "Se sei obbediente, Dio è contento di te". Se proprio il genitore si trova in collera con il proprio bambino, può dirgli umilmente: "In questo momento io non sono in grado di trasmetterti la benedizione; Dio vuole sempre benedirti, ma io ora ho il cuore in tempesta; verrò dopo, quando sarà tornata la pace dentro di me". Questa è una insostituibile lezione di umiltà e di fede nella quale il bambino può sentire una ragionevole e provvisoria disapprovazione del genitore nei suoi confronti, ma mai un rifiuto che viene da Dio. Il nostro Dio è misterioso e noi non possiamo fargli i conti in tasca, cioè decidere se lui è o non è arrabbiato con il nostro bambino. Vi sono madri e padri che usano Dio per inculcare obbedienza e sottomissione e così offrono un'immagine di Dio che non gli si addice: un Dio controllore, un Dio castigamatti. Ma se il genitore fa memoria di quante volte Dio ha avuto pazienza con lui, potrà avere pazienza con il proprio bambino. Così il piccolo potrà sperimentare che, in fondo, l'unico vero alleato che non ritira mai la sua alleanza è Lui, Dio! (Il testo è ispirato a: G.Gillini-M.Zattoni, Ben-essere in famiglia, 205-207).


[Modificato da Gabbianella1. 07/08/2009 09:08]
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