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Il cristianesimo tante volte tra di noi viene ridotto al senso religioso. Nella nostra vita quotidiana ciò si traduce nel fatto che la fede è vissuta come una delle tante ipotesi che possiamo formulare per affrontare la situazione, come se non fosse accaduto nulla e ci trovassimo sempre da capo davanti all'ignoto: io, con il mio senso religioso, cercando a tentoni di costruire il nesso con questo ignoto. E da che cosa si vede? Potrei raccontare episodi uno dopo l'altro: dal fatto che il punto di partenza per affrontare la giornata non è qualcosa conosciuto con certezza, e la ragione nascosta è che questo qualcosa non ci sembra abbastanza reale da non trascurarlo. Ci sorprendiamo che è una ipotesi che non ci viene neanche in testa: ci vengono in mente tutte le altre possibilità, prima della fede. Perché? Perché la fede non equivale a vera conoscenza. Ecco il "crollo delle antiche sicurezze". Qualsiasi cosa ci sembra più reale della Presenza riconosciuta dalla fede. L'incertezza e la fragilità sono l'inevitabile conseguenza della separazione della conoscenza e della fede. Allora, invece di partire da una Presenza incontrata e amata, si parte da un'assenza, dall'ignoto. Tutto il contrario per colui per il quale la fede è vera conoscenza, è conoscenza di qualcosa di reale! Infatti don Giussani afferma che «il primo gesto di pietà verso te stesso, la prima espressione dell'amore alla tua origine, al tuo cammino e al tuo destino [...] è [...] confessare questo Altro [che hai riconosciuto nella fede. Questo è il primo gesto di pietà, prima di qualunque coerenza. Si vede proprio quando uno parte da qualcosa di conosciuto con certezza. Come mi scrive questa ragazza: «Succedono tante cose, cose belle, che mi commuovono, e cose meno belle, dolorose, che invece mi feriscono, ma io ho tra le mani un tesoro che è una cosa pazzesca perché ho la possibilità di guardare tutto, di entrare in tutto. Innanzitutto di guardare, che non è scontato, di guardare tutto in una maniera diversa, diversa e che ti fa respirare rispetto a tutto il resto del mondo». Un nota bene: malgrado accada questa riduzione, questo non ci impedisce di continuare a usare le parole cristiane o a frequentare certi gesti cristiani, ma è come se tutto acquistasse un altro significato.
b) Riduzione della fede a sentimento La seconda riduzione è quella della fede a sentimento. Può affermarsi anche tra di noi questa concezione sentimentale o emozionale della fede, dove il credere, invece di un riconoscimento della Presenza incontrata, diventa un "salto", un atto irrazionale, un atto della volontà senza fondamento, in cui, alla fine, è la fede che genera il fatto e non viceversa. Rudolf Bultmann - l'esegeta che diceva che è la fede che genera il fatto cristiano – non è così lontano dalla nostra vita. 18 |