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L'inchiesta Bbc su preti e pedofilia

Ultimo Aggiornamento: 07/09/2009 12:32
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07/09/2009 12:19

CHE COS’È LA VERITÀ?

Ovvero:

Come trasformare un cumulo di sciocchezze in una verità assoluta da difendere contro la censura

Di Don Raffaele Celentano

 

Non nego che la pedofilia sia una vergogna mondiale e che sia presente all’interno della categoria dei preti, come d’altronde in tante altre categorie (certamente, però, non più in quella che in queste: leggi qui). Chi mostra di scandalizzarsi di fronte alle statistiche o è un ipocrita oppure è un illuso: l’uomo è fatto di fango e fatica a resistere alla tentazione di tornare a rivoltarsi in esso. Condivido in pieno, perciò, l’affermazione di Mons. Fisichella nel corso della trasmissione Anno Zero del 31 maggio: mi vergogno per questi membri della Chiesa che con il loro comportamento ne sporcano il volto; ma non mi vergogno della Chiesa né di appartenere ad essa. Resta sempre vero ciò che affermava il Concilio Vaticano II: la Chiesa è santa e pur sempre bisognosa di purificazione. Forse anche queste tristi vicende sono altrettante occasioni di purificazione.

Ma nonostante ciò, non possiamo accettare che si calpesti la verità in un modo così sfacciato come è stato fatto in questi ultimi tempi con e a seguito di un filmato inglese del 2006 prodotto dalla BBC, dal titolo dirompente Sex crimes and the Vatican (Crimini sessuali e Vaticano), messo in rete con i sottotitoli in italiano. Che fosse una grossa “bufala” lo si sapeva e lo si sarebbe potuto accertare anche prima, se solo si fosse voluto fare qualche piccola indagine. Ma a qualcuno non è sembrato vero di poter scatenare una novella “caccia alle streghe”, contando sul fatto che attraverso Internet chi non vuol sentire l’altra campana può tranquillamente ignorarla, continuando a crogiolarsi nei suoi pregiudizi, alimentati da chi ha tutto l’interesse ad inculcare odio verso l’istituzione Chiesa. Perché è chiaro: non sono quei poveri disgraziati di preti pedofili il vero oggetto di questo tour de force mediatico messo in piedi intorno a quel video; il vero scopo è di insinuare l’idea che la Chiesa è un covo di malfattori, a cominciare dal suo capo. E tanti interventi isterici che si continuano a leggere sui blog, come se da tante parti non fossero piovute smentite ben documentate, stanno proprio ad indicare che la strategia va a buon fine: l’odio verso la Chiesa e i preti monta costantemente, alla faccia della verità, che viene tenuta ben lontana da quelle pagine che tanto si sono affannate a soffiare sul fuoco, partendo da un cumulo di sciocchezze che però avevano l’effetto di un pugno nello stomaco.

Bella invenzione Internet. Ma nelle mani di malintenzionati può diventare un’arma terribile, contro la quale non c’è difesa, perché si può far vedere (e cercare) solo ciò che fa comodo. Ci sono in giro molti Orlando, il cui cervello se n’è andato in vacanza sulla Luna…

Ma la Verità non si può nascondere a lungo. E quindi va detta comunque, nonostante si sappia che per il momento non arriverà a coloro che continuano a sputare veleno.
L’importante è dirla, pacatamente, ma a chiare lettere.

LA VERITÀ SUI DOCUMENTI

L’elemento più rilevante del filmato “Sex crimes and the Vatican” è l’accusa in esso contenuta che il Cardinale Joseph Ratzinger in vent’anni ha protetto o coperto i preti pedofili imponendo a tutti il silenzio con la minaccia della scomunica, e ciò in forza di un documento “segreto” del 1962, l’istruzione Crimen sollicitationis, e delle successive “modifiche” del 2001, in particolare la lettera della Congregazione per la dottrina della fede De delictis gravioribus, che inizia con le parole Ad exequendam.

Posto che primo responsabile degli effetti di un documento normativo è colui che lo emana, dovrebbe essere ormai sufficientemente dimostrato che con quella istruzione del 1962 Ratzinger non c’entrava niente: a quell’epoca egli era in tutt’altre faccende affaccendato. La Crimen sollicitationis era firmata dal cardinale Alfredo Ottaviani, segretario del Sant’Uffizio. Sembra essersene convinto anche Michele Santoro che nella trasmissione del 31 maggio non ha fatto cenno a questa “accusa”, che però era ben presente nel filmato.

Ma si può ritenere altrettanto responsabile colui che, richiamandosi a quel documento, ne emana un altro che ne proroga o aggrava le disposizioni, ammesso e non concesso che questo sia vero e che sia il vero scopo che ci si prefiggeva. In tal caso bisognerebbe chiamare in causa colui che ha emanato la lettera apostolica in forma di motu proprio Sacramentorum sanctitatis tutela (30 aprile 2001). Anche in questa ipotesi, però, si sarebbe sbagliato bersaglio: quel documento era firmato da Giovanni Paolo II.

In terza battuta possiamo ritenere responsabile colui che ha precisato le modalità di attuazione di questo secondo documento, emanando, il 18 maggio 2001, la lettera De delictis gravioribus. E in tal caso il responsabile sarebbe proprio Joseph Ratzinger, all’epoca Cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede, poi Papa Benedetto XVI.

Gli addebiti mossi al suddetto illustre personaggio sarebbero dovuti, quindi, solo al fatto che ha firmato questo terzo documento, collegato al secondo, il quale a sua volta sarebbe “la seconda parte” o “il seguito” – come viene definito nel filmato – della Crimen sollicitationis.

Nell’intento di verificare quanto queste accuse siano fondate, diamo un’occhiata a tutti e tre questi documenti.

 

L’istruzione Crimen sollicitationis

 

Il titolo ci dice che è una «Istruzione sul modo di procedere nelle cause di crimine di istigazione»; il termine latino “sollicitatio” viene tradotto altrove con sollecitazione o provocazione; ritengo che “istigazione” renda, però, meglio il senso vero del crimine specifico che – giova ricordarlo – non ha niente a che fare con la pedofilia, come vedremo meglio più avanti.

Il testo latino del documento in formato PDF è disponibile qui. Il filmato sembra far riferimento ad una traduzione in inglese; sarebbe forse più facile leggerla, ma – se permettete – date le premesse, preferisco il testo originale.

Questa istruzione, emanata dal Sant’Uffizio nel 1962 (regnante Giovanni XXIII, quindi sotto la sua autorità, come vedremo in seguito, e quindi con forza di legge), fu inviata «a tutti i patriarchi, arcivescovi, vescovi e altri ordinari dei luoghi, anche di rito orientale» - vale a dire a tutti coloro cui competeva istruire i processi oggetto dell’istruzione – con l’indicazione di conservarla diligentemente nell’archivio segreto della curia per uso interno e con la proibizione di pubblicarla o di inserirla in qualsiasi commentario; ciò vuol dire semplicemente che era un documento riservato, non segreto, visto che fu stampato dalla Tipografia Poliglotta Vaticana (come risulta dal frontespizio).

La maggior parte del testo (70 commi su 74) è dedicata al crimine di istigazione, cioè a quel crimine che il sacerdote commette con qualunque penitente quando nel corso della confessione, o in qualsiasi circostanza ad essa collegata, in qualsiasi modo cerca di istigare il/la penitente a commettere con lui un peccato contro il sesto comandamento (n.1: questa, come le altre citazioni dei documenti, a meno che non sia espressamente indicato, sono solo sintesi del contenuto, non traduzioni integrali). Occuparsi di questo crimine spetta in prima istanza agli Ordinari dei luoghi nel cui territorio si è compiuto il crimine; in casi particolari e per gravi motivi esso deve essere sottoposto alla Congregazione del Sant’Uffizio (n. 2).

Il documento disponibile in rete si compone di 54 pagine, di cui 29 occupate da un’appendice che riporta i formulari utili o richiesti dalle varie fasi del procedimento; le prime 25 pagine contengono il frontespizio e tutta la normativa in merito; quest’ultima è suddivisa in una premessa e cinque capitoli (o titoli).

La premessa (Praeliminaria, nn. 1-14), oltre i primi due numeri di cui ho già detto, contiene le norme da seguire per istruire il processo. In particolare si stabilisce che questa materia dev’essere trattata con la massima riservatezza, e tutti coloro che sono coinvolti nella causa devono prestare giuramento in tal senso, sotto pena di scomunica latae sententiae riservata al Papa, esclusa anche la Penitenzieria Apostolica (vale a dire che la scomunica colpisce nel momento stesso in cui si viene meno al giuramento, senza bisogno di dichiarazione da parte dell’autorità, e che solo il Papa può toglierla). È la più grave delle censure che può essere comminata ad un membro della Chiesa; per i chierici (diaconi, preti e vescovi) c’è anche la sospensione a divinis e la riduzione allo stato laicale (una sorta di degradazione).

A cosa si riferisce il silenzio che viene richiesto ed imposto sotto pena di scomunica? A tutto ciò di cui gli “attori” del processo (giudici, notai, avvocati, testimoni, accusato, eccetera) venissero a conoscenza nel corso del procedimento. Il giuramento non impone a nessuno di tacere sul crimine in sé: solo sugli atti e i fatti del processo. Questo appare abbastanza evidente leggendo il documento; ma è in latino e non tutti conoscono il latino; a questi qualcuno potrebbe aver raccontato delle frottole che si sono bevute acriticamente.

Il “titolo primo” (“La prima notizia del crimine”, nn. 15-28) tratta della raccolta delle notizie relative al crimine. Alcuni numeri di questa sezione sono molto interessanti ai fini del tanto dibattuto problema del presunto occultamento del crimine e della altrettanto presunta protezione del reo; sarebbe troppo lungo tradurli ed esaminarli tutti, ma una riflessione particolare meritano i nn. 15-19 (la traduzione italiana integrale è disponibile qui).

In essi si stabilisce che, per evitare che questo crimine rimanga nascosto e impunito, occorre sollecitare tutti coloro che ne siano venuti a conoscenza a rivelarlo (n. 15); pertanto si dispone che il penitente vittima del crimine e chiunque venga a conoscenza di esso devono denunziare il colpevole entro un mese, sotto pena di scomunica, che può essere assolta solo dopo aver soddisfatto l’obbligo oppure dopo aver seriamente promesso di farlo (nn. 16-18) .

Il confessore al quale la vittima confidi la cosa, ha il grave obbligo di coscienza di ammonire il penitente circa questo suo dovere (n. 16). Questo vuol dire che il confessore al quale il penitente abbia rivelato di aver subito un abuso non può parlarne, perché vincolato dal sigillo sacramentale, ma ha il dovere morale di informare il penitente circa l’obbligo grave di denunziare il colpevole.

L’obbligo della denunzia è personale, ma qualora vi fossero gravi difficoltà che la impediscano, essa può essere fatta anche per lettera o per mezzo di una persona di fiducia (n. 19). Nel filmato si sostiene l’esatto contrario: si dice che chi denunzia il reo viene colpito dalla scomunica.<o:p></o:p>Vale la pena accennare anche a quanto stabilito dai due numeri successivi.

Il n. 20 dispone che le denunzie anonime non siano tenute in conto; possono tuttavia dare sostegno o essere occasione di ulteriori investigazioni qualora sopravvengano fatti nuovi che le rendano probabili. Il n. 21 dice che l’obbligo di denunzia da parte della vittima (sancito al n. 16) non cessa per la spontanea confessione del reo, né per il suo trasferimento, promozione, condanna, presunta emendazione o per qualunque altra causa; cessa solo con la sua morte. Bella protezione per il pedofilo, non c’è che dire!

 Il “titolo secondo” (“Il processo”, nn. 29-60) costituisce il nucleo centrale dell’istruzione. La vastità della materia non consente niente più che un breve cenno sui contenuti.

Un particolare che risalta sugli altri è la discrezione che viene imposta nel procedere alla raccolta delle prove, in particolare nel caso che dovesse risultare l’esistenza di altre possibili vittime dello stesso accusato per lo stesso crimine. Discrezione che non vuol dire superficialità, ma solo esigenza di tutelare il buon nome di tutte le parti in causa e, non ultimo, anche il “sigillo sacramentale”.

Il “titolo terzo” (“Le pene”, nn. 61-65) indica le sanzioni da applicare nel caso che l’imputato venga riconosciuto colpevole.

Quando risulti che un chierico abbia commesso il crimine di istigazione, dev’essere sospeso a divinis e nei casi più gravi ridotto allo stato laicale. Altre pene (medicinali, nel senso che devono mirare al recupero spirituale del reo e ad evitare il rischio di reiterazione del crimine) possono essere comminate in aggiunta, quali ad esempio il ritiro temporaneo in una casa di esercizi spirituali, l’obbligo o a seconda dei casi la proibizione di dimorare in un dato luogo, eccetera. Tutte queste pene, una volta applicate d’ufficio dal giudice, non possono essere rimesse se non dalla Santa Sede attraverso il Sant’Uffizio.

Il “titolo quarto” (“Le comunicazioni ufficiali”, nn. 66-70) dispone che se il reo ha residenza in un territorio diverso da quello dell’ordinario che ha ricevuto la denunzia, quest’ultimo trasmetta copia autentica della denunzia stessa all’ordinario del luogo di residenza dell’accusato; qualora il luogo di residenza sia sconosciuto, la copia venga trasmessa al Sant’Uffizio.

Viene anche fatto obbligo all’Ordinario che ha istruito il processo di informare dell’esito dello stesso sia il Sant’Uffizio che, nel caso di religiosi, il superiore del reo. Ma c’è di più: qualora il reo si trasferisca in un altro territorio (ricordiamo che la Chiesa non ha carceri dove rinchiudere i colpevoli), l’Ordinario a quo (cioè del luogo da cui si è trasferito) informi al più presto l’Ordinario ad quem (cioè del luogo in cui si è trasferito) dei precedenti e della posizione giuridica del reo.

Nel caso poi che il sacerdote sotto processo sia sospeso a divinis, se ne dia notizia al suo superiore affinché sia evitato che nel suo territorio egli possa ascoltare le confessioni oppure predicare. Tutte queste comunicazioni ufficiali devono essere fatte sempre sotto segreto del Sant’Uffizio. Notiamo che “sotto secreto” non significa tacendo: non si potrebbe dire una cosa senza dirla; significa che le cose vanno comunicate in via riservata.

Il “titolo quinto” (“Il crimine pessimo”, nn. 71-74) estende la normativa fin qui esaminata anche ad altri crimini:

-         al “crimine pessimo”, cioè al crimine commesso da un chierico con un individuo dello stesso sesso;

-         al crimine commesso in qualunque modo, o anche solo attentato, da un chierico con impuberi di qualunque sesso (= pedofilia) o con animali.

Si noti che in questo documento del 1962 si parla della pedofilia solo in questo punto (n. 73): un rigo e mezzo di testo.

continua....

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