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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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Libro quinto

Il vescovo come maestro e oratore. Contegno e esigenze dell’uditorio

I. Ho dimostrato a sufficienza di quanta abilità dev’essere fornito il maestro per potere far fronte agli assalti contro la verità; debbo ora parlare di un’altra incombenza oltre quelle accennate, che è causa di infiniti pericoli; o piuttosto, direi che non essa lo sia, ma coloro che non sanno adempierla come si conviene; poiché l’opera per se stessa può essere strumento di salvezza e pegno di molti beni, quando trovi per ministri uomini diligenti e virtuosi. Qual è quest’incombenza? la gran fatica consacrata ai discorsi che si tengono pubblicamente al popolo. Anzitutto la maggior parte dei sudditi non vogliono comportarsi di fronte agli oratori come dinanzi a maestri, ma trapassando il livello di discepoli, assumono l’atteggiamento degli spettatori che assistono agli spettacoli profani; e come il popolo là si divide, e gli uni si dichiarano per questo, gli altri per l’altro, così anche qui, fra loro divisi, parte sostengono un tale, parte un tal altro, e ascoltano le cose predicate solo per applaudire o per biasimare. Né questo è il solo male, ma ve n’è un altro non minore: se accade che un oratore inserisca nel suo discorso qualche brano di fattura altrui, è fatto segno a dileggio più che un ladro volgare; spesso anche senza che plagio vi sia, ma solo per un sospetto, lo trattano come chi è colto con le mani nel sacco. Ma che dico brani di fattura altrui? Non è neppure lecito a uno di valersi più volte delle sue stesse opere; poiché non per trarne vantaggio, ma unicamente per diletto sogliono ascoltare la maggior parte, sedendo come fossero giudici di citarèdi e di tragèdi così la facoltà dell’eloquenza che poco fa sottoposi a censura, diventa qui tanto desiderabile quanto nemmeno lo è ai sofisti obbligati a discutere fra di loro. Anche in queste circostanze pertanto c’è bisogno di un’anima generosa e molto al disopra della mia piccolezza, per reprimere la disordinata e perniciosa voluttà della moltitudine e indirizzare l’uditorio verso una meta. più vantaggiosa, di modo che il popolo gli vada dietro docilmente e non sia egli trascinato dalle loro velleità. Ciò non è dato ottenere se non con questo duplice mezzo: disprezzo delle lodi e efficacia di parola.

Non bisogna dar troppo peso alle approvazioni e ai biasimi dell’uditorio

Il. Ove l’uno manchi, l’altro torna inutile, per la separazione dal primo; se uno pur nutrendo disprezzo per la lode, non esponga un insegnamento con grazia e asperso di sale, diviene facilmente oggetto di scherno per la maggior parte, nulla guadagnando da quella sua superiorità d’animo; se poi si diporti bene per questo lato e si lasci soggiogare dall’opinione che s’esprime con applausi fragorosi, ne verrà eguale danno a lui e alla moltitudine, poiché egli, preso dal desiderio della lode, si dedicherà al ministero della parola più per acquistare favore che per recare vantaggio. Onde, come colui che non avendo brama di gloria né sapendo parlare affatto, non cede alla voluttà del popolo, ma nemmeno può recargli qualche notevole giovamento, così pure chi è trascinato dal desiderio di elogi, mentre avrebbe da dire quello che può rendere migliore il popolo, invece di ciò espone quello che meglio serve a dilettarlo, traendone in compenso lo strepito degli applausi.

L’ottimo capo ha da esser quindi ben munito da ambe le parti, onde non rovinare l’una per mezzo dell’altra.

Quando egli sorgendo in mezzo dice cose adatte a scuotere gli inerti, ma poi incespica, s’interrompe ed è costretto a vergognarsi per incapacità, tosto si disperde il frutto delle cose dette; ché quelli che furono ripresi, rattristati per le parole loro indirizzate e non potendo altrimenti resistergli, lo colpiscono schernendo la sua ignoranza, e credono così di nascondere i rimproveri da lui ricevuti. Conviene pertanto che come un ottimo auriga, spinga se stesso alla perfezione di questi due pregi in guisa da poterne far uso secondo il bisogno: quando sarà irreprensibile di fronte a tutti, allora potrà con quanta autorità gli piaccia punire o perdonare secondo il caso tutti i suoi sudditi: ma prima d’aver raggiunto questo termine non gli sarà facile agire in tal guisa. Si deve poi estendere la magnanimità non solo fino al disprezzo delle lodi, ma più oltre, affinché il frutto non rimanga incompleto.

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