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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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14/09/2009 15:24

La vita ritirata protegge un animo debole

IX. Ti par dunque ch’io tema d’un ragionevole timore? E oltre a quanto ho detto [aggiungi] che ora ho pur d’uopo di fatica per non essere totalmente sopraffatto dalle passioni dell’anima, ma nondimeno riesco a tollerare tale travaglio e non mi ritraggo dal combattimento. E per vero anche al presente sono soggiogato dalla vanagloria, ma spesso m’è pur dato di rialzarmi, e conosco le cause della caduta; talora anche faccio severo rimprovero all’anima per essersene resa schiava. Anche al presente sorgono in me desideri viziosi, ma essi accendono una più languida fiamma, non avendo gli occhi esteriori alcun mezzo di porgere esca al fuoco: non mi occorre punto di parlar male d’alcuno o d’intendere altri a parlarne, non avendo io conversazione con alcuno; né potrebbero invero queste pareti dire anche una sola parola. Non mi riesce però egualmente di sottrarmi all’irascibilità, sebbene non vi sia chi mi vi ecciti; ché spesso assalendomi il ricordo d’uomini perversi e delle loro malvagità, mi sommuove lo spirito; per altro quest’agitazione non va fino agli eccessi, ché ben presto l’anima accesa si ricompone, e la persuado a calmarsi, dicendo esser cosa inutile ed estremamente stolta l’affannarsi de’ fatti altrui trascurando le cose proprie. Ma se io andassi fra la moltitudine e cadessi in preda d’infiniti turbamenti, non potrei certamente rivolgermi simili ammonimenti, né trovare le riflessioni che possano esercitare su di me una tale disciplina. Ma come chi è travolto in un precipizio da una corrente o da altra forza, può bensì prevedere la rovina in cui andrà a finire, ma non è dato a lui di escogitare alcuno scampo, così pure io qualora cadessi in si gran turbine di passioni, potrei scorgere la punizione aumentarmisi di giorno in giorno, ma non mi sarebbe agevole come ora serbare il dominio di me stesso: il reprimere in ogni caso queste turbolente malattie [dello spirito] non mi riuscirebbe così facilmente come prima. Ho un’anima inferma e piccina, facile preda non solo di queste passioni ma d’una di tutte più fiera: l’invidia; essa poi non sa sostenere con moderazione né le contumelie né gli onori, ma in modo eccessivo rimane incitata da quelle, da questi soggiogata.

Come le fiere terribili quando sono ben tarchiate e vigorose abbattono quelli che si fanno a pugnare con loro, specialmente se questi sono deboli e inesperti; se invece alcuno le smunga con la fame, addormenta i loro impeti e spegne la maggior parte di loro forza, di guisa che anche chi non è molto valente può cimentarsi con loro in lotta e in caccia, così è anche delle passioni dell’anima: chi le indebolisce riesce a sottoporle a sani ragionamenti; chi invece le nutrisce lautamente rende a se stesso più fiera la lotta contro di esse e se le rende tanto terribili da aver poi a passare tutta la vita in loro schiavitù e sotto il loro incubo.

Or qual è il nutrimento di queste fiere? della vanagloria sono gli onori e le lodi; dell’arroganza, la grande autorità e potestà; dell’invidia, i buoni esiti dei propri colleghi; dell’avarizia, l’ambizione di quelli che possono largire denaro; dell’intemperanza, il lusso e i continui trattenimenti colle donne e via dicendo. Tutte queste passioni, se io esco all’aperto, mi assaliranno e strazieranno l’anima spaventose, e impegneranno meco una guerra più feroce. Mentre invece fin che me ne sto qui ritirato, ci vorrà bensì grande sforzo per soggiogarle, ma pur le soggiogherò con la grazia di Dio e non avranno più altra forza che di latrare. Per ciò io sto attaccato a questa stanzetta, senza uscirne, senza conversazioni né compagnie, e sopporterò di udire infinite altre accuse simili, e me ne purgherei di buon grado, pur dolendomi e rammaricandomi di non poter farlo. Io non potrei agevolmente essere uomo di società e nello stesso tempo serbare intatta la sicurezza presente; onde prego di compatire piuttosto che accusare chi ha voluto sottrarsi a tale cimento.

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