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Giovanni Crisostomo De sacerdotio

Ultimo Aggiornamento: 14/09/2009 15:27
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14/09/2009 15:26

Le forze infernali schierate contro la Chiesa di Cristo e i suoi sacerdoti.

Le ferite dell’anima. Confronto fra la pugna materiale e la lotta spirituale


XII. Né credere che io esageri la cosa con le mie parole, né reputarle [troppo] grandi, perché noi chiusi nel corpo come in una prigione nulla possiamo vedere di ciò che è invisibile; poiché se tu potessi mai scorgere con questi occhi [materiali] la tenebrosissima oste e la furibonda accozzaglia del diavolo, vedresti un apparato di guerra molto maggiore e terribile di questo. Là non v’è rame né ferro, né vi sono cavalli o carri o ruote; non fuoco né strali né alcun ordigno bellico di quelli visibili, ma altre molto più spaventose macchine. A quei nemici non occorre né corazza, né scudo, né spada, né asta; e tuttavia la sola vista di quell’infinito esercito basta a tramortire l’anima che non sia molto ardita e oltre la propria forza non sia favorita copiosamente dalla provvidenza di Dio. E se fosse possibile, sciogliendosi da questo corpo, poter osservare liberamente e senza timore tutta l’oste schierata di quello, e scorgere visibilmente la guerra apprestata contro di noi, potresti vedere non già rivi di sangue, né cadaveri, ma tale strage di anime e tanto aspre ferite, che la descrizione guerresca fatta da me più sopra, sarebbe stimata da chiunque in paragone nient’altro che un giochetto da fanciulli, un trastullo anziché una guerra, tanti sono quelli che ogni giorno vengono colpiti. Le ferite poi non infliggono una eguale morte, ma quella [morte] differisce tanto da questa quanto l’anima differisce dal corpo; poiché quando l’anima tocca una ferita e cade, non giace insensibile come il corpo [morto] ma viene quindi tormentata immediatamente dallo struggimento della mala coscienza; e dopo il trapasso da questa vita, nell’ora del giudizio viene consegnata alla pena eterna.

Che se taluno poi rimanesse insensibile alle ferite del diavolo, il danno per lui si accresce appunto per quell’insensibilità; infatti, chi dopo una prima ferita non prova rimorso, facilmente ne toccherà una seconda e dopo questa un’altra; ché quell’immondo, qualora incontri un’anima intorpidita e noncurante delle prime ferite, non cessa di colpirla fino all’ultimo respiro. E se volessi esaminare il genere di battaglia, la troveresti molto più violenta e svariata; ché nessuno conosce tanta specie di frode e d’inganno quante colui; quel maledetto infatti trae da esse la sua maggior potenza; né alcuno potrebbe nutrire sì implacabile inimicizia contro i suoi più feroci avversari, quale il maligno nutre contro l’umana natura. Se poi alcuno esamini l’accanimento con cui quegli combatte, troverà cosa ridicola il paragonarvi [quello consueto] fra uomini; e se scegliendo le più rabbiose e feroci belve, vorrà contrapporle alla furia di quello, le troverà al confronto mansuetissime e docilissime, tanto furore quegli esala nell’assalire le nostre anime. La durata poi della battaglia qui [fra noi] è breve, e pur nella sua brevità occorrono frequenti intervalli: il sopravvenire della notte, la stanchezza della strage, il tempo di prendere cibo e molte altre circostanze permettono al soldato di riposare, di svestire l’armatura e respirare alcun poco, rifocillarsi con cibo e bevanda e con molti altri mezzi riacquistare il pristino vigore. Ma col maligno, non è dato mai deporre le armi né prendere sonno a chi voglia serbarsi affatto incolume; è forza che l’una o l’altra accada di queste due cose: o cadere e soccombere se si spoglia [delle armi], o rimanere continuamente in piedi armato e vigilante.

Ché quegli senza tregua insiste con tutto il suo campo, spiando le nostre disattenzioni, adoperando egli maggior diligenza alla nostra rovina, che noi stessi alla nostra salvezza. Inoltre il non esser egli da noi veduto e il sopraggiungerci di sorpresa, cose che più d’ogni altra sono causa di infiniti danni per chi non è in continua vigilanza, presentano questa lotta come assai più scabrosa di quella.

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