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IL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI

Ultimo Aggiornamento: 29/09/2009 18:27
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IL CONSIGLIO PERMANENTE DELLA CEI

Trasparenza e problemi etici: il difficile confronto dei vescovi

di VITTORIO MESSORI

Sul Consiglio permanente della Cei che si apre domani, graverà l’ombra pesante del «caso Boffo».
In questo Direttorio della Chiesa nazionale — una ventina di presidenti delle Conferenze episcopali italiane — non regna l’unanimità sulle responsabilità della crisi e sulla sua gestione. Soprattutto, su quella difesa ad oltranza, «a prescindere», su quelle invettive di «disgustoso attacco al cristianesimo di oscure forze laiciste»: e, il tutto, senza preoccuparsi di spiegare come davvero fossero andate le cose, esibendo le carte.

In effetti, se i vertici della Cei ed alcuni vescovi hanno dato a Dino Boffo, come giusto, la loro solidarietà umana ma sono però andati oltre, gridando alla «vergognosa aggressione», la maggioranza dei vescovi ha taciuto o si è limitata a qualche cenno dovuto.
Particolarmente significativo, poi, è parso il silenzio — anzi, qualcosa in più, stando alla nota intervista al direttore Vian— dell’ Osservatore romano .

È certo che, nella sua prolusione di domani, il cardinal Bagnasco ribadirà la difesa del direttore dimissionario, forse sfumando solo i toni indignati: ma questa è ormai la linea assunta nella concitazione del primo momento e non è consuetudine ecclesiastica ritrattare, una volta fatta, bene o male, una scelta.

Comunque, da stamane si discuterà dell’ affaire a porte chiuse: non si tratta, infatti, di una vicenda secondaria e passeggera, bensì di un evento devastante per i vertici dell’episcopato che avevano concentrato in un uomo solo— per giunta a rischio di ricatto— tutto il sistema informativo della Chiesa italiana.

Lo tsunami che si è scatenato da nove colonne in prima pagina in un sonnolento venerdì di fine agosto, ha spiazzato chi, nella Gerarchia, sapeva, ma pensava che la faccenda, dopo cinque anni, fosse ormai sepolta per sempre tra le carte di un tribunale di provincia. Imprudenza o ingenuità? In ogni caso, un comportamento sconcertante per chi non deve avere né l’una né l’altra pecca.

Qualcuno, va pur detto, si è rallegrato per l’esplosione del caso, sia fuori che dentro la Chiesa: l’antico «fratelli, coltelli» vale anche per gli uomini della Catholica, ai quali la consacrazione non garantisce la santità. Altri — io stesso, se è lecito un cenno personale — ne sono rimasti addolorati, sia per la violenza feroce dell’attacco a un collega professionalmente valente e umanamente stimabile, sia per l’enorme danno all’immagine della Chiesa. Ma c’è rammarico anche per l’ingiustizia delle accuse di «moralismo ipocrita» a chi si era esposto solo per il minimo indispensabile, lontano da invettive e condanne da predicatore.

I clericali giustizialisti e moralisti (l’ossessione per l’etica cresce quando la fede diminuisce e, oggi, proprio la fede sembra svanire, come denuncia il Papa) rimproveravano a Boffo questa discrezione. Sta di fatto che a tutti, nel giro, era nota l’esistenza di una sentenza del tribunale di Terni. E tutti, constatando il radicalizzarsi (qualcuno preferisce parlare di imbarbarimento... ) della prassi giornalistica, tutti, tranne forse vescovi e cardinali, sapevano che ai curiosi bastava aspettare: prima o poi, una delle «manine» onnipresenti nei palazzi di giustizia avrebbe consegnato il dossier a qualche cronista. In realtà, ora abbiamo la certezza che quel dossier c’era, ma non lo abbiamo visto poiché il «condannato» ha ottenuto che ne fosse bloccata l’accessibilità: con le carte sottochiave, siamo ancora in attesa di sapere che sia davvero successo.

Sigillati gli atti processuali, morto il giovanotto, per ricostruire la verità, almeno quella giudiziale, ai reporter restava solo la ragazza la cui denuncia aveva innestato il caso.
Ma, pure qui, un muro invalicabile: porte sbattute in faccia a chi facesse domande. ..
È proprio su questa reticenza che, pur con il rispetto dovuto dai credenti verso i Pastori, si vorrebbe richiamare l’attenzione delle Eccellenze ed Eminenze riunite a consiglio.

Potremmo citare innumerevoli documenti, a loro firma, che auspicano «massima trasparenza» nell’informazione potremmo addirittura osare la citazione evangelica, con quel «conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Siamo desiderosi di condividere l’indignazione di mitrati e porporati per l’aggressione subita dal direttore.

Ma vorremmo farlo conoscendo — nella piena trasparenza, appunto — per quali motivi un tribunale dello Stato è giunto a una sentenza di condanna.
Oltretutto, le gravi, croniche perdite del mediasystem cattolico sono ripianate con le offerte dei fedeli e col loro prelievo fiscale. Non innanzitutto, ma anche, per questo c’è — crediamo — un diritto dei cattolici a sapere com’è andata, almeno nella ricostruzione della magistratura della Repubblica.

L’uscita di scena di Boffo apre, tra l’altro, il problema di una sostituzione che non sarà facile.
Il rimescolamento di carte degli anni Novanta, con l’implosione della Democrazia cristiana, ha provocato una diaspora cattolica in tutte le direzioni dello schieramento politico. Credenti espliciti — e relativi voti — a destra, a sinistra, al centro. Da qui, la difficoltà di confezionare ogni giorno un quotidiano che desse spazio adeguato all’informazione politica ma stesse in equilibrio tra posizioni contrastanti, senza scontentare alcuni o favorire altri.
Una prodezza quasi da acrobata che a Boffo è riuscita per ben quindici anni, grazie anche alla finezza e all’esperienza di quel suo «inventore», e grande suggeritore, che è stato il cardinal Ruini. Sarà arduo trovare chi saprà ricominciare l’impresa.

Altre scelte, come sempre non facili, attendono i vescovi: è ogni giorno più ampio, ad esempio il fronte di possibili confronti polemici su problemi che riguardano, in senso lato, il corpo umano, con la sessualità, la generazione, il fine vita. Ma a 139 anni, giusto a oggi, dalle cannonate di Porta Pia, la storia ha ogni volta confermato che, alla fine, il compromesso tra esigenze dello Stato e istanze della Chiesa può essere trovato. E che una convivenza pacifica è possibile.

Non saranno episodi, anche clamorosi ma alla fine archiviati, che smentiranno questa costante — piaccia o no — della storia italiana, nella quale anche l’anticlericalismo più fiero non ha mai potuto disconoscere un’impronta due volte millenaria. Raffaele Cadorna, il generale che bombardò e prese la Roma di Pio IX, non era forse — egli pure— un devoto cattolico da Messa quotidiana? 

Corriere della sera, 20 settembre 2009 consultabile online anche
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21/09/2009 10:13

Qualcosa di nuovo al vertice Cei

FRANCO GARELLI

C’è grande movimento all’interno della Chiesa cattolica in vista della riunione del gruppo dirigente dei Vescovi che da oggi affronterà il dopo Boffo e la posizione dei cattolici in politica. La fibrillazione della politica italiana sta contagiando anche la Chiesa, visto il suo profondo intreccio con le vicende del Paese. La rivista dei Gesuiti Civiltà cattolica lancia l’allarme per il «caos» in Italia, sulla scia del recente appello del Papa per una nuova leva di politici cattolici. Ad Assisi si è appena concluso il meeting delle principali associazioni ecclesiali, con la denuncia di un Paese sempre più spaccato sulle questioni della sicurezza e dell’immigrazione. A detta di monsignor Miglio, responsabile per i problemi sociali della Cei, «il mondo cattolico deve dare all’Italia qualcosa di molto diverso da quello che viene offerto ogni giorno». Ma forse il malcontento più profondo per la situazione nazionale è individuabile nell’ultima dichiarazione del numero due della Cei, monsignor Crociata, per il quale dalla crisi emergeranno nuovi assetti politici e nuove prospettive; come a dire che lo sfilacciamento non può durare a lungo e che bisogna prepararsi a nuovi scenari.
La Chiesa, dunque, reagisce alle polemiche che hanno portato alle dimissioni del direttore di Avvenire (e ad altri punti caldi, come il conflitto con la Lega sui flussi migratori e le critiche sullo stile di vita di Berlusconi) alzando lo sguardo ai problemi del Paese e riflettendo anche sulle proprie responsabilità.

Il degrado politico

Ciò che prevale è una grande insoddisfazione per il clima che si è affermato in Italia, con figure di alta responsabilità pubblica che non sono e non vogliono essere esempi di virtù, con una politica che si alimenta più di anatemi e di paure che di impegno costruttivo, con una crisi economica non adeguatamente affrontata che colpisce le fasce più deboli della popolazione. È il degrado politico di cui ha parlato il cardinal Bagnasco, commentando a Genova l’enciclica sociale di Benedetto XVI; un degrado politico che rivela «una mancanza di progettualità» e una «resa a interessi di corto respiro». Di qui il pressante appello al mondo cattolico perché scenda in campo, non faccia mancare il suo impegno nelle istituzioni e nella politica, esca allo scoperto dopo anni in cui (a seguito della crisi della Democrazia cristiana e di Tangentopoli e dintorni) ha speso le proprie migliori energie nel rafforzare la società civile e nel volontariato.
Si ha qui un’eco del famoso discorso pronunciato da Benedetto XVI qualche mese fa a Cagliari, quando di fronte a un parterre di politici di primo piano (tra cui il presidente Berlusconi) non ha esitato a dire pubblicamente che «c’è bisogno di una nuova generazione di politici cattolici». Non basta alla Chiesa un ossequio formale ai valori cattolici o il riconoscimento del ruolo della religione nella cultura della nazione quando essi sono espressi da forze politiche che di fatto si ispirano ad altre visioni della realtà. Pur godendo di non pochi vantaggi, la Chiesa patisce l’attuale situazione politica, per il rischio che il discredito e i particolarismi abbiano a prevalere sul bene comune.

Le sfide della modernità

Questo nuovo modo di pensare e di agire del vertice dei Vescovi sembra indicare che la Chiesa italiana sta ormai vivendo una stagione diversa rispetto a quella di cui il cardinal Ruini è stato l’artefice per molti anni. Con Ruini la Chiesa ha perseguito obiettivi importanti, tra i quali la maggiore visibilità dei cattolici sulla scena pubblica, la capacità di richiamare la popolazione al rispetto di alcuni valori base (famiglia, vita, educazione, unità della nazione ecc.) della convivenza civile, il consolidamento dell’istituzione religiosa in un tempo di crisi di tutte le istituzioni ecc. Oggi più di ieri, i cattolici hanno maggior cittadinanza nella società e sanno di poter dare un contributo positivo alle molte sfide culturali e sociali della modernità avanzata. Tuttavia, questa linea di politica ecclesiastica si è affermata in modo un po’ verticistico, senza grande dibattito interno, con alcuni settori cattolici che hanno vissuto ai margini delle grandi scelte. Oltre a ciò, attorno alle battaglie svolte dalla Chiesa sui temi della vita e della famiglia si sono prodotte varie reazioni negative da parte del mondo laico, che hanno posto la Chiesa stessa al centro di molte tensioni.
Di tutti questi problemi sembra oggi farsi carico il nuovo vertice della Cei, che nel perseguire gli obiettivi di fondo appare più attento alle Chiese locali e alle varie sensibilità del mondo cattolico. La ricerca del successore di Boffo alla guida di Avvenire può essere emblematica del nuovo corso della Cei. Prima Avvenire era di fatto il quotidiano dei Vescovi, mentre ora si cerca un direttore che riconduca il giornale a essere l’agorà del mondo cattolico, un foglio cioè in cui si compongono «anime» diverse che si ispirano tutte ai valori e alle linee condivise.

© Copyright La Stampa, 21 settembre 2009 consultabile online anche
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21/09/2009 10:16

Due soluzioni per la direzione di «Avvenire»

Candidati Oggi il Consiglio Permanente Cei Al posto di Boffo favoriti Delle Foglie e Righetto


La contesa per il nuovo direttore di "Avvenire" sembra ridursi a un ballottaggio tra due nomi: Domenico Delle Foglie, ex vicedirettore, attuale portavoce di "Scienza&Vita", vicinissimo a Dino Boffo e al cardinal Ruini; e Roberto Righetto, responsabile delle pagine culturali, una "spina" interna alla gestione Boffo secondo alcuni, il che ne farebbe un candidato interno, sì, ma allo stesso tempo di discontinuità.
Mai Consiglio Permanente della Conferenza Episcopale Italiana è stato più difficile. Ufficialmente, il dopo-Boffo non è nemmeno all'ordine del giorno.
E il cardinal Bagnasco, in una
lectio magistralis sull'ultima enciclica del Papa tenuta a Genova sabato, ha fatto in qualche modo comprendere la linea che terrà alla prolusione di oggi: richiami morali, riferimento all'attualità, ma senza attacchi diretti Eppure, un accenno al caso Boffo si farà senz'altro.
E, con quello, i vescovi potrebbero anche mettere sul tavolo una eventuale nomina. Bagnasco non arriverà con nessun candidato "pronto" al Consiglio dei vescovi. E potrebbe anche uscirne senza candidato. Ufficialmente, è il Cda che nomina il nuovo direttore. Ma il Cda fa capo ai vescovi, e dunque non ignorerà le indicazioni che verranno dal Consiglio Permanente. Sarà il Presidente a incaricarsi di fare qualche nome e tirare le somme, dopo la discussione tra tutti i vescovi. Che, in questo caso, avranno anche un occhio di riguardo per le indicazioni che vengono dalla segreteria di Stato. Bagnasco e Bertone si sono sentiti la scorsa settimana, e c'è tutta l'intenzione di concludere la partita per la direzione senza creare ulteriori frizioni.
Che sono affari interni alla Chiesa lo sottolinea anche un
articolo di Diana Alfieri sul "Giornale" di qualche giorno fa. Ma Diana Alfieri - ha svelato il vaticanista Magister - altri non sarebbe che Giovanni Maria Vian, direttore dell'"Osservatore Romano", che non esitò a usare toni molto critici con la linea Boffo, con toni secondo molti ispirati direttamente da Bertone.
Vian avrebbe caldeggiato il nome del direttore del "Giornale di Brescia" Giacomo Scanzi per la direzione. Da parte dei vescovi, sembra ci sia stata una preferenza per i nomi di Delle Foglie (una soluzione di forte continuità, apprezzatissimo per il suo lavoro a "Scienza&Vita") e Gianfranco Fabi, direttore di "Radio24". Proprio quest'ultimo appariva in pole position. Ma l'uomo del raccordo potrebbe essere Roberto Righetto: responsabile delle pagine culturali di "Avvenire", con pensiero discorde da quello di Boffo, avrebbe il parere positivo di Vian, di cui ospitava gli articoli su "Avvenire". Un cambiamento nella continuità, che potrebbe accontentare tutti. C'è poi un'altra ipotesi, che appare molto flebile: la conferma di Marco Tarquinio come vicedirettore responsabile, affiancato da un direttore editoriale di prestigio. Per questa figura, si fa il nome di Messori, che si sta accreditando molto attraverso i suoi commenti sul "Corriere della Sera", e di Andrea Riccardi, fondatore di Sant'Egidio, che però non sarebbe interessato.

© Copyright Il Tempo, 21 settembre 2009 consultabile online anche
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Crociata e Miglio mandano dei segnali. In attesa della prolusione di Bagnasco

Paolo Rodari

set 20, 2009 il Foglio

La spallata di Crociata e Miglio.
I segnali ci sono e non vanno ignorati. E dicono che la chiesa italiana non vuole rimanere inerte di fronte a quella che ieri monsignor Mariano Crociata, segretario generale della Cei, ha definito ad Assisi – al seminario promosso dal network di associazioni cattoliche Retinopera – come “una crisi dai molteplici risvolti”. Una crisi sociale ma anche politica, dalla quale “emergeranno nuovi assetti e inedite prospettive che matureranno in questi mesi e in questi anni”. Parole di lungo respiro, senz’altro, ma che dicono molto in un momento in cui la realtà di un quadro politico in mutazione è segnata dal tramestio del mondo centrista e di un certo establishment a questo riconducibile. La Cei, per voce di Crociata e poi anche del piemontese (e bertoniano) monsignor Arrigo Miglio, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e del lavoro, ha anche suggerito come riempire lo scenario futuro: c’è la necessità – sono parole di Miglio – di “una nuova generazione di politici cattolici”.
Un leitmotiv, quest’ultimo, che riprende quanto disse Benedetto XVI un anno fa a Cagliari, con quel suo richiamo ai politici cattolici a non disimpegnarsi e a lavorare per il bene comune. E’ vero, i segnali che arrivano dalle gerarchie della chiesa sono anche altri. Dicono di un Vaticano e di un episcopato che non hanno intenzione di esasperare le relazioni col governo – “i segnali che arrivano dalla chiesa sono molto positivi”, ha detto al Foglio Gaetano Quagliariello – ma insieme fanno comprendere come qualcosa si stia muovendo se non altro a livello di analisi della situazione attuale.

Il summit di Castelgandolfo.

E della situazione politica, sopratutto alla luce della crisi istituzionale creatasi in seguito al “caso Boffo”, hanno parlato ieri a Castel Gandolfo anche Benedetto XVI e il presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco. Insieme hanno potuto verificare la risposta della chiesa italiana alla vicenda. Ovvero i contenuti della prolusione che dopodomani Bagnasco terrà in apertura del Consiglio permanente della Cei. Stando ad alcune indiscrezioni, Bagnasco parlerà anche dei media e d’un certo modo d’intendere l’informazione in Italia. Non mancherà, come sempre, l’elenco delle priorità che la chiesa si augura il paese non eluda, soprattutto il richiamo all’emergenza educativa, ma nello stesso tempo non vi sarà nessun attacco diretto all’operato del governo. Il discorso, insomma, avrà accenti tutto sommato soft.

L’affaire Avvenire.

La scelta del successore di Boffo alla direzione del quotidiano dei vescovi italiani verrà fuori dal Consiglio permanente che si apre lunedì. Una decisione definitiva non è stata presa anche perché il vicedirettore responsabile ad interim, Marco Tarquinio, sta lavorando bene. Non è da escludere che ieri Bagnasco abbia accennato al Papa le ipotesi sul tavolo: il candidato numero uno, sentito anche il parere dell’ex presidente Camillo Ruini, resta Domenico (Mimmo) Delle Foglie, portavoce di Scienza & Vita. In alternativa si stanno valutando i nomi di Gianfranco Fabi, attuale vicedirettore del Sole 24 Ore e direttore di Radio 24, e, anche se meno probabile, di Massimo Franco, notista politico del Corriere della Sera, già inviato speciale di Panorama ed editorialista di Avvenire. A oggi un dato sembra certo: la volontà del segretario di stato vaticano Tarcisio Bertone di fare un passo indietro al fine di non alimentare inutili contrapposizioni.

Il cambio allo Ior.

Ieri, all’incontro operativo tra la commissione cardinalizia di Vigilanza, il Consiglio di sovrintendenza e la direzione generale della banca vaticana (Istituto per le opere di religione), è stata resa nota l’ipotesi di portare il banchiere di Pontenure (Piacenza) Ettore Gotti Tedeschi alla presidenza dello stesso Istituto prima della scadenza dell’ultimo quinquennale mandato di Angelo Caloia (marzo 2011). A meno di ripensamenti dell’ultima ora, la cosa verrà ufficializzata e resa pubblica entro la fine del mese, si dice lunedì 28 settembre.

Il dopo Kabul.

La strage in Afghanistan ha scosso il Vaticano. Insieme, è stata condivisa la lettura per il dopo-attentato che ieri ha offerto Avvenire: “Rimanere costerà altre sofferenze e altri lutti, inutile illudersi”, ha scritto il giornale. “Ma rinunciare lascerebbe campo libero a coloro che alla violenza invece non rinunceranno”.

© Copyright Il Foglio, 20 settembre 2009 consultabile online anche
qui, sul blog di Paolo Rodari.
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22/09/2009 05:47

La prolusione del cardinale Bagnasco: testo integrale

«La Chiesa è sempre amica, ma non rinuncia a parlare»

Angelo Card. Bagnasco

Venerati e amati Confratelli,

per crucem ad lucem: questa incontrovertibile e consolante regola della vita cristiana ha segnato con inopinata evidenza pubblica gli esordi del nuovo anno pastorale: è ancora vivo in noi infatti un passaggio amaro che, in quanto ingiustamente diretto ad una persona impegnata a dar voce pubblica alla nostra comunità, ha finito per colpire un po’ tutti noi: la gravità dell’attacco non può non essere ancora una volta stigmatizzata, come segno di un allarmante degrado di quel buon vivere civile che tanto desideriamo e a cui tutti dobbiamo tendere. La telefonata che il Santo Padre ha avuto la bontà di farmi, per raccogliere notizie e valutazioni sulla situazione contingente, e le parole di grande benevolenza che egli ha riservato al nostro impegno, ci hanno non poco confortato. Seguendo la sapienza della Croce, liberi da interpretazioni estranee alla logica della Chiesa e nel rispetto delle persone, tutto acquista una prospettiva diversa, e le tribolazioni – che pur non cerchiamo – diventano il germe misterioso di salvezza e di bene già in questa vita e poi per l’eternità. Questa consapevolezza, che è fonte di consolazione, non va però equivocata: la Chiesa è in questo Paese una presenza costantemente leale e costruttiva che non può essere coartata né intimidita solo perché compie il proprio dovere: «Quando i cristiani sono veramente “lievito”, “luce” e “sale” della terra, diventano anche loro (…) “segno di contraddizione”» (Benedetto XVI, Omelia nella Basilica di San Bartolomeo all’Isola Tiberina, 7 luglio 2008). La coerenza tra la fede e la vita è tensione che attraversa e invera il cristianesimo, ed è in un certo qual senso la misura della sua sincerità: su questo davvero non possiamo accettare confusione, tanto meno se condotta con intenti strumentali o per perseguire obiettivi che nulla hanno a che fare con un rinnovamento complessivo della società in cui viviamo. Non ci manca peraltro la fiducia che, «facendo la nostra piccola parte, nella fedeltà alla vocazione che ciascuno ha ricevuto, contribuiremo a rendere diritte le vie del Signore e a salutare l’alba del suo Regno» (Benedetto XVI, Discorso sul monte Nebo, 9 maggio 2009). In questo orizzonte di fede, la Chiesa respira sempre – in qualunque circostanza – l’aria luminosa, serena e corroborante della Pasqua.

Ci ritroviamo come Vescovi del Consiglio Permanente per la nostra consueta sessione autunnale: temi importanti attendono il nostro esame collegiale e per questo invochiamo anzitutto lo Spirito che, mentre ci assiste nell’esercizio delle nostre responsabilità, ci abilita a quel discernimento sapienziale che è condizione per compiere le scelte più adeguate ai bisogni spirituali e morali - bisogni antichi e nuovi - del nostro popolo. Non ci lasceremo guidare da qualche «piccola finestra» del dettaglio, del pregiudizio o dell’incertezza, «ma dalla grande finestra che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita» (Benedetto XVI, Omelia per le Ordinazioni episcopali, 13 settembre 2009). È questa «grande finestra» sull’eterno che ci dona prospettiva, impedisce qualsiasi ripiegamento, dilata la mente e il cuore per continuare con fiducia la missione stessa del Signore Gesù; ci induce nel contempo ad accogliere le sfide inedite della presente epoca. Guardare insieme da questa «finestra» significa servire l’uomo con gli occhi di Dio e ad un tempo gustare sempre meglio la grazia e la responsabilità della nostra comunione con il Successore di Pietro e tra noi.

Vogliamo da subito esprimere il nostro profondissimo cordoglio per i sei soldati italiani caduti in Afghanistan, vittime di un attentatore suicida. Altri quattro soldati sono risultati gravemente feriti. Oltre a questi, com’è noto, sono morti una decina di civili afgani e una cinquantina sono rimasti a loro volta feriti. Non è esagerato parlare di strage, tanto più assurda se si pensa ai compiti assolti dalla forza internazionale che opera in quel Paese e allo stile da tutti apprezzato con cui si muove in particolare il contingente italiano. Non è un caso che questo lutto, com’era successo per la strage di Nassiriya, abbia toccato il cuore dei nostri connazionali, commossi dalla testimonianza di altruismo e di dedizione di questi giovani quasi tutti figli delle generose terre del nostro Sud. E per questo il nostro popolo si è stretto alle famiglie dei colpiti con una partecipazione corale al loro immane dolore. Anche noi ci uniamo ai sentimenti prontamente espressi dal Santo Padre, e preghiamo il Signore perché conceda il premio eterno a questi fratelli defunti, la pronta guarigione ai colpiti, forza e consolazione ai parenti.

Partecipazione vogliamo esprimere al grave lutto che ha colpito la diocesi di Padova con l’assassinio – nella notte tra venerdì e sabato scorso – di don Ruggero Ruvoletto, missionario fidei donum impegnato nella periferia di Manaus, capoluogo dello Stato brasiliano dell’Amazzonia. Un delitto che da una parte segnala il clima di crescente violenza cui è esposta quella importante regione del Brasile, e dall’altra ci conferma sulle condizioni di pericolo alle quali è comunque esposto il lavoro missionario. Preghiamo per l’anima eletta di questo nostro Confratello e per il conforto dei suoi familiari e amici.

1. Un grandissimo dono alla Chiesa è venuto dal Santo Padre Benedetto XVI con la pubblicazione, agli esordi dell’estate, della sua terza enciclica Caritas in veritate. Com’è noto, la circostanza per così dire esterna che aveva suggerito una tale pubblicazione era il quarantennale della Populorum progressio, fondamentale enciclica del servo di Dio Paolo VI, definita ora emblematicamente «la Rerum novarum dell’epoca contemporanea» (n. 8). E non si tratta solo di un’efficace analogia storica, perché è lì evocato il filo rosso di una indefettibile continuità nel magistero pontificio che anche in questa occasione il Santo Padre non rinuncia di rilevare con argomenti preziosi (n. 12). Proprio alla fine dell’Ottocento, la dottrina sociale cristiana cominciò a costituirsi come singolare e articolato annuncio sulla vicenda umana per aiutare la stessa a non cadere in «una visione empiristica e scettica della vita, incapace di elevarsi sulla prassi, perché non interessata a cogliere i valori – talora nemmeno i significati – con cui giudicarla e orientarla» (n. 9). Ha cominciato così a delinearsi un corpus dottrinale che, attingendo al patrimonio della Tradizione sempre viva della Chiesa, prende espressione operativa in criteri orientativi dell’azione morale, restando aperto alle sollecitazioni dei processi storici e componendo «in unità i frammenti in cui spesso la (verità) si ritrova», secondo la «fedeltà dinamica a una luce ricevuta» (n. 12). Nessuna cesura, avverte il Papa, e nessuna categoria d’interpretazione spuria possono contrapporre tra loro stagioni diverse di questa dottrina che infatti si presenta come «un unico insegnamento, coerente e nello stesso tempo sempre nuovo» (ib).

2. La Caritas in veritate ha cura di rilevare che, al pari di quanto successe con la Rerum novarum, anche per la Populorum progressio è in atto un «processo di attualizzazione» (ib) che, è ben noto, ha trovato una prima significativa tappa nell’enciclica di Giovanni Paolo II Sollicitudo rei socialis, la quale in qualche modo anticipò alcuni dei problemi che sarebbero seguiti alla caduta del Muro e dunque alla fine della contrapposizione frontale tra Est e Ovest. A quella prima esaltante stagione di superamento dei blocchi seguì un fenomeno nuovo, una progressiva «esplosione cioè dell’interdipendenza planetaria, ormai comunemente nota come globalizzazione» (n. 33). Il suo carattere niente affatto miracolistico, e all’inizio assai magmatico oltre che ambivalente, fu abbastanza presto chiaro alla Chiesa (cfr Giovanni Paolo II, Omelia per il Giubileo dei Lavoratori, 1° maggio 2000; Discorso alla Pontificia Accademia delle Scienze sociali, 27 aprile 2001; Discorso alla Fondazione Etica ed economia, 17 maggio 2001), che oggi, per l’analisi condotta da Benedetto XVI, chiede a tutti di abbandonare «atteggiamenti fatalistici», come se «le dinamiche in atto fossero prodotte da anonime forze impersonali e da strutture indipendenti dalla volontà umana» (n. 42). Centrale appare in tutta l’enciclica la riconsiderazione della parola «sviluppo», che già per Paolo VI rappresentava il «cuore» del messaggio sociale cristiano, il termine che meglio incrocia da una parte le spinte sane dell’umanità e dall’altra l’ideale cristiano. Potente resta l’idea che lo sviluppo è vocazione indomita e plenaria dell’uomo, il quale non può non desiderare «di essere di più», ed è infatti su questa strada che egli, se vuole, incontra Cristo come colui che «rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela anche pienamente l’uomo all’uomo» (Gaudium et spes, n. 22). Su questo punto avviene l’innesto più alto tra l’elaborazione montiniana e quella di Benedetto XVI, il quale scrive: «Proprio perché Dio pronuncia il più grande “sì” all’uomo, l’uomo non può fare a meno di aprirsi alla vocazione divina per realizzare il proprio sviluppo». E continua: «La verità dello sviluppo consiste nella sua integralità: se non è di tutto l’uomo e di ogni uomo, lo sviluppo non è vero sviluppo» (n. 18), e forse è semplicemente «sviluppo disumanizzato» (n. 11). Di qui discende quella che il Papa stesso definisce la «centralità della persona umana, la quale è il soggetto che deve assumersi primariamente il dovere dello sviluppo» (n. 47). Non è un caso che vari commentatori abbiano molto valorizzato questo passaggio, che non può ridursi però a slogan sterile, ma va assunto in tutta la sua pregnanza storico-sociale. E allora, da una parte, non sarà inutile notare come da questa asserita «centralità» della persona discenda nell’enciclica l’«apertura alla vita» che è «al centro del vero sviluppo» (n. 28), come pure l’esigenza, per gli Stati, «a varare politiche che promuovano la centralità e l’integrità della famiglia, fondata sul matrimonio tra un uomo e una donna» (n. 44). Dall’altra, bisognerà rilevare che la socialità, e dunque l’etica, non potranno più essere, nella mentalità dei credenti, lasciate in seconda fila rispetto alla politica o all’economia quali optional marginali, ma deve essere coestesa all’intera attività umana, anche a quella più arditamente complessa. Afferma il Papa: «Per questo, i canoni della giustizia devono essere rispettati sin dall’inizio, mentre si svolge il processo economico, e non già dopo o lateralmente» (n. 37). E altrove avverte: «Occorre adoperarsi non solamente perché nascano settori o segmenti “etici” dell’economia o della finanza, ma perché l’intera economia e l’intera finanza siano etiche, e lo siano non per l’etichettatura dall’esterno, ma per il rispetto di esigenze intrinseche alla loro stessa natura» (n. 45). In altre parole, chiamata in causa è qui l’intera l’economia, che deve poter andare «oltre la logica dello scambio degli equivalenti e del profitto fine a se stesso» (n. 38), e in particolare il mondo del lavoro e delle imprese dove sono oggi richiesti «profondi cambiamenti» (n. 40). Non c’è dubbio infatti che si vada dilatando «la consapevolezza circa la necessità di una più ampia “responsabilità sociale” dell’impresa» e che si stia sempre più diffondendo il convincimento in base al quale «la gestione dell’impresa non può tenere conto degli interessi dei soli proprietari della stessa, ma deve anche farsi carico di tutte le altre categorie di soggetti che contribuiscono alla vita dell’impresa» stessa (n. 40). Nel contempo, e specularmente, ad ogni lavoratore deve essere offerta «la possibilità di dare il proprio apporto in modo che egli stesso sappia di lavorare in proprio» (41). Insomma, la carità nella verità è «un’esigenza della stessa ragione economica» (n. 36). Parole severe l’enciclica riserva sul tema della disoccupazione (n. 25), in linea con quello che è da sempre il magistero della Chiesa.

3. È l’intero arco dell’esperienza in re sociali che passa, senza reticenze, sotto la lente della Caritas in veritate. Non c’è aspetto incluso nella dinamica sociale, infatti, che non venga considerato e, se occorre, ricollocato secondo una visione innovativa e dinamica insieme: «In una società in via di globalizzazione, il bene comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle nazioni». A partire da questo criterio fondamentale, l’enciclica si rivela un testo provvidenziale, che offre una cornice solida entro cui cercare risposte all’altezza dei grandi cambiamenti in atto, in particolare dei cambiamenti esigiti da quella crisi economico-finanziaria che nell’ultimo periodo ha investito il mondo intero. Nel momento stesso infatti in cui sembra farsi strada l’idea che questa crisi non sia poi troppo diversa da quelle che l’hanno preceduta, e per qualcuno si potrà quindi tornare senza più pericoli all’esuberanza del passato, l’enciclica assesta un opportuno scossone, affinché non si diffondano comode o improponibili illusioni. Se, come effettivamente succede, cresce la ricchezza del mondo ma aumentano le disparità, nessuno può ritenersi tranquillo. Se continua lo scandalo di un supersviluppo dissipatore a fronte di povertà sempre più desolanti, se le distorsioni gravi e gli effetti deleteri di un’attività finanziaria mal utilizzata quando non speculativa continuano a ricadere sulla fasce più indifese della popolazione mondiale, se la corruzione e l’illegalità non vengono arginate e superate, se i vari protezionismi economici e culturali non sono riconsiderati per la quota di egoismo che racchiudono, se le politiche degli aiuti internazionali non seguono una logica meno auto-referenziale e dunque più efficiente, se i piani di cooperazione intergovernativi non approdano a concrete e verificate realizzazioni, se gli organismi internazionali non recuperano uno scatto di iniziativa, se i poteri pubblici non sapranno rinnovare la loro capacità di presa sui problemi, e se proporzionatamente non crescerà una più sentita partecipazione dei cittadini alla res publica, se tutto questo e altro ancora non comincia ad accadere allora davvero questa crisi si sarà dispiegata invano, limitandosi ad impoverire il mondo. Già lo sapevamo, è una crisi di sistema che ha come inceppato gli oliati meccanismi di un’economia inadeguata alle complessità delle sfide attuali, e da essa non si esce – osserva il Papa – senza «riprogettare il nostro cammino», senza «darci nuove regole» e «trovare nuove forme di impegno», senza «puntare sulle esperienze positive e rigettare quelle negative». Deve cioè guadagnare un’evidenza maggiore la consapevolezza che solo «la via solidaristica allo sviluppo dei Paesi poveri possa costituire un progetto di soluzione della crisi globale» (n. 27). Il che include un «allargamento del nostro concetto di ragione e dell’uso di essa» (Benedetto XVI, Discorso all’Università di Regensburg, 12 settembre 2006, cit. in Caritas in veritate, n. 31), per «renderla capace di conoscere e di orientare queste imponenti nuove dinamiche» (n. 33) all’interno di una nuova sintesi umanistica (cfr. n. 21). Solo se ci poniamo lungo questa strada, la crisi si rivelerà, nella sua durezza, un’«occasione di discernimento e di nuova progettualità» (cfr n. 21).

A questo riguardo, com’è noto, nello scorso mese di luglio si è svolto all’Aquila un’importante riunione dei Paesi del G8 che si è via via allargato coinvolgendo altre nazioni, fino a configurare ipotesi concrete di nuovo governo dell’economia del mondo. Si è trattato di un appuntamento importante, dal quale sono scaturite decisioni che in una certa misura già si collocano su logiche innovative, quali sono suggerite dalla recente enciclica papale. In particolare, citiamo il Fondo annunciato per fronteggiare la grave emergenza alimentare, e che attende di essere ora concretamente partecipato e quindi efficacemente distribuito. Come Vescovi italiani, nel momento stesso in cui ringraziamo con tutto l’affetto il Papa per il dono di questa enciclica, destinata alla Chiesa ma come non mai messa a disposizione all’intelligenza del mondo, non possiamo non incoraggiare queste nuove dinamiche, auspicando che il nostro Paese sia un protagonista avveduto e coraggioso dei nuovi scenari.

4. A proposito di inventiva e fervore caratterizzanti questo pontificato, un’altra iniziativa indetta dal Santo Padre sta riscontrando un largo e spontaneo consenso, come si fosse individuata un’esigenza profonda ma ancora inespressa. Mi riferisco all’Anno Sacerdotale, aperto il 19 giugno scorso, solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Con ogni evidenza si tratta di un progetto che anzitutto coinvolge la Chiesa ad intra, e tuttavia sarebbe un errore pensare che anche ogni uomo e ogni donna del nostro tempo, per quanto distratti o estranei alla presenza del sacerdote, non ne siano in qualche modo invece i destinatari. Non è forse nella memoria delle nostre Chiese la testimonianza di preti che, inviati in situazioni pastorali difficili, in contesti aridi, con una partecipazione esternamente minoritaria, riescono a stabilire con gli abitanti di quelle comunità un piano di comunicazione asimmetrica finché si vuole ma viva, affidabile, perseverante, discreta eppure intraprendente, tale da invertire un declino che sembrava segnato? E non abbiamo forse tutti già chiaro, e così non è già per il nostro popolo, che queste figure di sacerdoti riescono ad incidere non tanto per la visione sociologica o l’indotto di costume, quanto per l’intimità della loro vita con il Signore? Noi fermamente crediamo che i giovani di oggi, quale che sia il loro stile di vita e l’ordine delle loro scelte; i ragazzi, per quanto avvolti nelle spire pervasive della cultura mediatica; le famiglie di oggi anche variamente assortite e per quanto remote all’invito della Chiesa; gli anziani soli, i poveri abbandonati a se stessi, gli ammalati, gli arrabbiati con la vita, insomma i soggetti più diversi che vivono tra noi, tutti siano magari inconsapevolmente interessati agli esiti interiori di questo appuntamento. Qui, infatti, sta il punto, come il Santo Padre l’ha esposto nella Lettera indirizzata per l’occasione ai presbiteri di tutto il mondo: l’Anno Sacerdotale «vuole contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo d’oggi». Parole semplici o, se si vuole, piane, che fanno appello però in maniera determinante alla qualità e al contenuto dell’auto-coscienza che ogni sacerdote deve avere di sé: non ci può essere infatti una vita di dono senza un soggetto adeguato che la guida e la gestisca, senza cioè la coscienza della propria chiamata originaria e dell’incontro sorgivo con il Chiamante.

Ma si può ben illustrare l’Anno Sacerdotale anche a partire da una frase del Santo Curato d’Ars: «Il Sacerdote è l’amore del cuore di Gesù» (cfr B. Nodet, Jean-Marie Vianney, Curé d’Ars, 100), che il Papa commenta: «Come non ricordare con commozione che direttamente da questo Cuore è scaturito il dono del nostro ministero sacerdotale?». E appena prima: «Il cuore di Dio freme di compassione […] si commuove e riversa tutto il suo amore sull’umanità» (Benedetto XVI, Omelia per l’inaugurazione dell’Anno sacerdotale, 19 giugno 2009). Ed indica con parole felici un incandescente profilo di questi amici di Dio che sono indispensabili agli uomini. Mi limito ad osservare che il Santo Padre invita ad annotare e assumere non concetti astratti, o nuove elaborazioni teologiche, ma «il metodo pastorale» di San Giovanni Maria Vianney, e dal metodo pastorale ossia dalla sua concreta testimonianza risalire al senso della grandezza e dello stupore, scorgere come coincidono persona e missione, misurare il senso sconfinato della responsabilità, l’aprirsi ad un inconfondibile dialogo di salvezza con i fedeli laici, l’accendere con la presenza davanti all’Eucaristia un circolo virtuoso che può ribaltare un intero contesto pastorale, individuare preventivamente i rischi di un intorpidimento dell’anima, un vivere originalmente in mezzo al popolo i consigli evangelici, insomma un lasciar intuire e rimpiangere in quanti lo vorranno il fascino dell’amore misericordioso di Dio. Dicevo del consenso che quest’anno sta riscuotendo, e infatti le nostre diocesi si sono messe alacremente all’opera ed è un fiorire di Lettere da parte dei Vescovi e di progetti precisi, spesso articolati, da parte delle Chiese locali. Non c’è chi non veda infatti oggi un’occasione propizia per sbalzare meglio la figura del presbitero, rilanciarne il ruolo e la missione magari a fronte di qualche stanchezza, stringere relazioni presbiterali forse in qualche caso un po’ spente, rinvigorire il rapporto confidente con il Vescovo, promuovere finalmente il laicato senza per questo trascurare proprio i sacerdoti.

Un ringraziamento sentito desideriamo insieme rivolgere al Papa per la sua continua peregrinazione in mezzo al nostro popolo cristiano: in questi ultimi mesi egli ha toccato la terra di Puglia, con il viaggio a San Giovanni Rotondo, il 21 giugno 2009, la Val d’Aosta, da dove il 19 luglio ha raggiunto la diocesi di Ivrea e precisamente Romano Canavese, terra natale del Cardinale Segretario di Stato, e infine domenica 6 settembre la diocesi e la città di Viterbo. Ci rallegriamo con i Confratelli Vescovi di queste Chiese per il felice esito di questi importanti pellegrinaggi.

5. Un argomento di indubbia importanza ha solcato il dibattito estivo sviluppatosi tra un giornale e l’altro del nostro Paese, quello del nichilismo. Esso ha preso le mosse dalle parole pronunciate da Benedetto XVI prima della preghiera dell’Angelus di domenica 9 agosto. Parlava di Edith Stein e di Massimiliano Kolbe, martiri uccisi ad Auschwitz, nei lager che, «come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell’inferno che si apre in terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte». E continuava: «Purtroppo però questo triste fenomeno non è circoscritto ai lager. Essi sono piuttosto la punta culminante di una realtà ampia e diffusa, spesso dai confini sfuggenti. I santi […] ci fanno riflettere sulle profonde divergenze che esistono tra umanesimo ateo e umanesimo cristiano; un’antitesi che attraversa tutta quanta la storia, ma che alla fine del secondo millennio, con il nichilismo contemporaneo, è giunta ad un punto cruciale» (Saluto all’Angelus, 9 agosto 2009). Ebbene, con qualche rammarico abbiamo notato come su queste parole sia sorto subito un evidente fraintendimento, quasi che per il Papa l’umanesimo non cristiano sia automaticamente nichilista e che il nichilismo porti invariabilmente ai lager. Il suo discorso era naturalmente assai meno semplicistico, come si può facilmente evincere da una lettura serena dell’intero suo testo. Il cristianesimo non esclude ciò che è il portato di vita di ciascuno, ossia che ci possano essere persone non credenti capaci di una loro moralità forte, estranee alla tentazione nichilista. Ma bisogna fare attenzione per non edulcorare mai questo ospite inquietante del nostro tempo. Il nichilismo non è paragonabile ad una qualsiasi posizione filosofica. Se la sua sostanza, sempre identica a se stessa, è il nulla, il non senso, esso si manifesta sotto varie espressioni − dallo scetticismo esistenziale al libertarismo − che però non devono trarre in inganno, trattandosi sempre di un avversario terribilmente serio, mai da trattare con dilettantismo. Non è questa la sede per ulteriori approfondimenti, e tuttavia mi sembrano utili due osservazioni. La prima: se Dio non c’è, e dunque tutto manca di fondamento, diventa arduo se non impossibile giustificare la differenza qualitativa e irriducibile dell’uomo rispetto al resto della natura, e diventa ugualmente arduo se non impossibile riconoscere la libertà intesa in senso proprio, come facoltà squisitamente umana, sottratta alla casualità. Vi è un discutere, talora, che lascia interdetti: bisognerebbe evitare che il gusto dell’azzardo intellettuale porti a tagliare il ramo stesso sul quale ci si trova a disquisire. Seconda osservazione: se, come esige il nichilismo, anche solo parlare di princìpi è considerata una deriva liberticida ed autoritaria e si ritiene lesivo dell’intelligenza qualsiasi riferimento ad un bene oggettivo che preceda le nostre scelte, allora davvero educare diventa un’impresa impossibile. Nonostante gli esiti di estraneazione e smarrimento cui è pervenuta una parte non irrilevante della nostra società, in particolare della popolazione giovanile, si ha come l’impressione che siano troppo pochi coloro che accettano di fare effettivamente i conti con questo tarlo inesorabile che polverizza ogni voglia di futuro. E per converso siano ancora troppi i maestri che lusingano i giovani indicando loro un «dio sbagliato» (ib). Si ambienta in un simile contesto culturale – a me pare – l’invito che Papa Benedetto aveva rivolto quindici giorni prima ai sacerdoti di Aosta: «Dio! Dobbiamo di nuovo portare in questo nostro mondo la realtà di Dio, farlo conoscere e farlo presente» (Omelia ai Vespri nella Cattedrale di Aosta, 24 luglio 2009). Questa non è, come qualcuno potrebbe pensare, un’apologetica scontata: parlare di Dio è aprire, spalancare la vita a tutte le sue positive virtualità, nessuna esclusa; offrire la bussola per non smarrire gli orizzonti dell’essere; rivelare «l’insieme di tutte le relazioni per trovare la strada, l’orientamento dove andare» (ib). Mai dimenticarlo: l’uomo rischia di non scoprirsi veramente libero fino a quando non comprende la verità di essere stato creato libero da un Altro, più grande di lui.

Ma qui cominciamo ad avventurarci in quel grande tema dell’emergenza educativa che sarà il centro del nostro prossimo piano pastorale. A questo stesso argomento è dedicato il rapporto-proposta che, curato dal Comitato per il Progetto culturale, ha visto la luce appena una settimana fa. Esso si annuncia come uno strumento stimolante di riflessione e di confronto che varrà la pena rilanciare nelle singole realtà ecclesiali, anche come degno pretesto per un dialogo con altre agenzie che sul territorio avvertono al pari di noi i morsi, appunto, dell’emergenza educativa.  

6. Sempre questa estate, il Tar del Lazio accoglieva il ricorso presentato da un variegato cartello di associazioni laiciste ed esponenti di altre confessioni religiose non cattoliche, con il quale si chiedeva che l’insegnamento di religione non produca crediti aggiuntivi nella valutazione scolastica di quel 91 per cento degli studenti che liberamente scelgono di avvalersi di tale insegnamento. Le motivazioni di questa iniziativa appaiono speciose, perché in nome di una supposta non discriminazione, di fatto si finisce – e come – per discriminare la stragrande maggioranza degli studenti. Opportunamente, il Ministero della Pubblica Istruzione ha già avanzato ricorso al Consiglio di Stato, ribadendo con altro suo atto la validità della presenza dell’insegnamento di religione nel curriculum scolastico. Occorre dire che la sentenza ha suscitato immediatamente una vivace reazione che ha visto tra i protagonisti la nostra Commissione episcopale per l’Educazione cattolica, la scuola e l’università e gli stessi insegnanti di religione. Soprattutto da loro è venuta un’importante segnalazione: questa reiterata offensiva, su un punto apparentemente limitato della normativa in atto già passata al vaglio di altre sentenze, può fuorviare dal nocciolo della vera questione, depotenziando l’aspetto motivazionale legato all’interesse per la conoscenza del fenomeno religioso. Occorre osservare che la posizione italiana sull’argomento è in sintonia con i più avanzati sistemi scolastici nazionali. Fa testo la Lettera diffusa nel maggio scorso dalla Congregazione vaticana per l’Educazione cattolica, e della quale l’opinione pubblica ha avuto notizia nelle settimane scorse. Vi si legge, tra l’altro: «La specificità di quest’insegnamento non fa venir meno la sua natura propria di disciplina scolastica, con la stessa esigenza di sistematicità e rigore delle altre discipline». Non richiede cioè l’adesione di fede, ma assicura una riflessione  argomentata sulle grandi domande di senso e sulla religione cattolica che offre i codici indispensabili per decodificare i segni della storia, dell’identità, dell’arte e della musica dell’Occidente, ma non solo (cfr Benedetto XVI, Discorso agli Insegnanti di religione cattolica, 25 aprile 2009). Per cui parlare in modo sbrigativo di catechismo di Stato finisce per far incespicare quell’indispensabile e prezioso dialogo interculturale, per altri versi e in altri contesti auspicato.

Ma è sullo stesso strumento concordatario che di tanto in tanto si riversano riserve e velleitarismi anche da settori insospettabili dell’opinione pubblica. Trascorsi ormai venticinque anni dalla felice riforma che ha riguardato il Concordato in vigore nel nostro Paese, risulta ulteriormente confermata l’importanza e l’attualità di quel grande accordo di libertà che accomuna Stato e Chiesa non solo nel riconoscimento della reciproca autonomia, ma anche nell’impegno condiviso di collaborazione per la promozione dell’uomo e il bene del Paese. Ci rafforziamo dunque in questa convinzione: se restiamo costantemente aperti al confronto con tutte le posizioni culturali, la nostra Chiesa potrà uscirne migliorata, senza tuttavia trovarsi per ciò stesso condizionata negli orientamenti e nelle scelte da operare. La nostra comunità ecclesiale ha davanti a sé infatti una stagione fervida di incontri e impegni annunciati nel segno della sinergia intellettuale rispetto a sensibilità diverse dalla propria, e ciò non per un eclettismo fine a se stesso, ma perché approfondendo continuamente la nostra identità, e mai rinunciando ad essa, non possiamo non avvertire il vincolo che ci lega all’autentica ricerca condotta da tante persone nei vari campi dell’attività umana. In altri termini, la Chiesa pellegrina in Italia non indietreggia, e mai rinuncerà – secondo la sua tradizione – ad un atteggiamento di apertura virtuosa collaudato negli anni, e spera che altri si affaccino o continuino ad affacciarsi nell’agorà pubblica con onestà e passione, amore disinteressato per le sorti comuni, autentica curiosità intellettuale, in vista – se ci saranno – di alcune convergenti sintonie .

7. Questo ci porta a dire una parola proprio sulla nostra Chiesa, le sue aspirazioni, il suo essere lievito e luce nella storia: lievito che s’ immerge nella pasta umana come il Verbo Eterno per assumere e condividere, luce posta sul candelabro per far brillare la bellezza salvifica del Vangelo e la verità piena dell’uomo creato e redento. La Chiesa ha dunque lo sguardo fisso su Gesù; da Lui, e dalle sue sorprese divine, è incantata e innamorata. Le sue energie migliori sono indubitabilmente riversate sull’impegno apostolico perché le anime incontrino il Signore, sentano il suo amore, vivano la vita con lui, e – insieme ai fratelli – partecipino alla costruzione di una società vera e giusta. Basta pensare ai nostri cari sacerdoti che, nelle parrocchie come in ogni altro ufficio, mai danno mai scontata la fede, e si dedicano incessantemente per alimentarla e trasmetterla. A loro va la nostra gratitudine e il rinnovato affetto in questo Anno Sacerdotale. Credo valga per tutti noi ciò che Benedetto XVI diceva in particolare alla diocesi di Roma: «C’è oggi il rischio di una secolarizzazione strisciante anche all’interno della Chiesa, che può tradursi in un culto eucaristico formale e vuoto, in celebrazioni prive di quella partecipazione del cuore che si esprime in venerazione e rispetto per la liturgia. È sempre forte – continuava – la tentazione di ridurre la preghiera a momenti superficiali e frettolosi, lasciandosi sopraffare dalle attività e dalle preoccupazioni terrene» (Omelia del Corpus Domini, Santa Maria Maggiore, 11 giugno 2009). Su questo fronte c’è un esame di coscienza continuo da condurre per l’impegno di fedeltà e di amore dovuto a Cristo Gesù. L’essere noi, in Italia, una Chiesa di popolo che tale si conserva con suoi connotati e sue proprie caratteristiche, nonostante il processo di scristianizzazione in atto in tutto l’Occidente, non comporta certo alcuna attenuazione delle esigenze che si presentano a chi vuole seguire il Signore, il quale «non si contenta di una appartenenza superficiale e formale, non gli è sufficiente una prima ed entusiastica adesione; occorre, al contrario, prendere parte per tutta la vita al suo pensare e al suo volere […] (che) comporta difficoltà e rinunce perché molto spesso si deve andare controcorrente» (Benedetto XVI, Saluto all’Angelus, 23 agosto 2009). Vorremmo che le nostre comunità crescessero senza sosta in una fede pensata, che si concepisce nella forma della comunione ecclesiale in riferimento al Magistero ascoltato e amato. Una fede per ciò stesso capace di dare a tutti ragione della speranza cristiana (cfr 1Pt 3,15), affrontando le sfide antropologiche che caratterizzano questa stagione e che chiedono ai cattolici di essere presenti e propositivi grazie ad una ragione illuminata dalla fede. La Chiesa, quando parla di temi antropologici, lo fa non per invadere campi di competenza altrui, o ancor meno per distogliersi dal proprio Signore, ma per il dovere di trarre le conseguenze necessarie dal mistero di Cristo, che rivela all’uomo le sue reali dimensioni, esattamente come insegna il Concilio Vaticano II. L’etica evangelica non è una gabbia che si vuole imporre alla libertà, ma la via della vera umanizzazione (cfr. GS, 22). Essa è intrinseca alla fede proprio perché una fede che non diventi pratica coerente resta fuori dalla vita. La Chiesa offre questo servizio con la passione che nasce dall’amore verso Dio e verso l’umanità, senza arroganza o pregiudizio.

Inoltre, siamo ben coscienti che gli altri, guardandoci, hanno il diritto di ricevere da noi, dal tessuto della nostra vita comunitaria, una testimonianza genuinamente cristiana. E anche quando i punti di vista possono essere legittimamente diversi, non possiamo comportarci in maniera triste, come quelli che non hanno speranza (cfr 1Tess 4,13). Come non ricordare l’ammonimento del Papa, a proposito di certi atteggiamenti, confrontati con quelli dei Gàlati: c’è un «mordere e divorare» che esiste «anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata» (cfr Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica, 10 marzo 2009)? Più di recente ha puntualizzato: «Le cose nella società civile e, non di rado, anche nella Chiesa soffrono per il fatto che molti di coloro, ai quali è stata conferita una responsabilità, lavorano per se stessi e non per la comunità, per il bene comune […]. La prudenza esige la ragione umile, disciplinata e vigilante, che non si lascia abbagliare da pregiudizi: non giudica secondo desideri e passioni, ma cerca la verità – anche la verità scomoda» (Omelia per le Ordinazioni episcopali, cit.). E all’Angelus di ieri incalzava ancora: «Ai nostri giorni, forse per certe dinamiche proprie delle società di massa, si constata non di rado un carente rispetto della verità e della parola data, insieme ad una diffusa tendenza all’aggressività, all’odio e alla vendetta. […]. Ma per fare opere di pace bisogna essere uomini di pace» (Saluto all’Angelus, 20 settembre 2009).

8. Una parola vorremmo dire sul nostro Paese, su questa Italia che con grande dignità ha saputo fino ad oggi affrontare una crisi economica che l’ha complessivamente impoverita, chiedendo sacrifici pesanti a tutti, e soprattutto ai meno abbienti. Questa Italia ci appare ciclicamente attraversata da un malessere tanto tenace quanto misterioso, che non la fa essere talora una nazione serena e del tutto pacificata al proprio interno, perché attraversata da contrapposizioni radicali e da risentimenti. Questa stessa Italia, nostra patria, chiede a tutti e a ciascuno un supplemento di amore, un amore fiducioso anche nel coinvolgimento degli altri, un amore capace – nel discernimento sapiente – di inglobare pure le ragioni diverse dalle proprie, rinunciando innanzitutto alla polemica pur di raggiungere un consenso sulla verità più generale. In quest’ottica, non vi è dubbio che compito essenziale della politica è la giustizia, e quindi la promozione del bene comune, ossia del bene «di quel “noi tutti”, formato da individui, famiglie e gruppi intermedi che si uniscono in comunità sociale» (Caritas in veritate, n. 7). Dunque, un bene non impersonale né qualunquistico, ma rivolto a persone concrete: «È prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale, che in tal modo prende la forma di polis, di città» (ib). Servire gli altri secondo questa «via istituzionale – possiamo anche dire politica – della carità» non è meno qualificato e incisivo «di quanto lo sia la carità che incontra il prossimo direttamente, fuori dalle mediazioni istituzionali della polis» (ib). È il motivo per cui la Chiesa non cessa di raccomandare ai giovani e all’intero laicato la strada non solo del volontariato sociale, ma anche della politica vera e propria, nelle sue diverse articolazioni, quale campo di missione irrinunciabile e specifico (l’invito più recente del Papa è quello espresso a Viterbo, domenica 6 settembre 2009). Il criterio fondamentale per una onesta valutazione dell’agire politico è dunque la capacità di individuare le obiettive esigenze delle persone e delle comunità, di analizzarle e di corrispondervi con la gradualità e nei tempi compatibili. È, in altre parole, il criterio della reale efficacia di ogni azione politica rispetto ai problemi concreti del Paese.
Occorre, inoltre, che chiunque accetta di assumere un mandato politico sia consapevole della misura e della sobrietà, della disciplina e dell’onore che esso comporta, come anche la nostra Costituzione ricorda (cfr art. 54).

Come Vescovi di questo amato Paese sottolineiamo anche noi con il Papa  «l’importanza dei valori etici e morali nella politica» ad ogni livello (Saluti all’Udienza generale, 1 luglio 2009). E invitiamo tutti – singoli, gruppi, istituzioni − a guardare avanti, a far tesoro dell’esperienza con una capacità di autocritica che sia in grado di superare un clima di tensione diffusa e di contrapposizione permanente che fa solo male alla società. È urgente e necessario per tutti e per ciascuno guadagnare in serenità. Questo oggi il Paese domanda con più insistenza. È bene in ogni caso essere consapevoli che la comunità cristiana mai potrà esimersi dal dire – sulla base di un costume di libertà che sarebbe ben strano fosse proprio a lei inibito – ciò che davanti a Dio ritiene sia giusto dire. Peraltro, anche quando annuncia una verità scomoda, la Chiesa resta con chiunque amica. Essa infatti non ha avversari, ma davanti a sé ha solo persone a cui parla in verità, dunque mai con parole che possano essere scambiate o accomunate a quelle legittimamente espresse in nome della politica o del costume. Questo servizio, che consegue alla nostra missione di Pastori, non può non essere colto nel suo intreccio di verità e carità, e rimane vivo e libero da qualsiasi possibile strumentalizzazione di parte. Esso è illuminato dalla luce di Cristo e, nel contempo, dalla consapevolezza che «la ragione e la fede collaborano nel mostragli (all’uomo) il bene, solo che lo voglia vedere; la legge naturale, nella quale risplende la Ragione creatrice, indica la grandezza dell’uomo, ma anche la sua miseria quando egli disconosce il richiamo della verità morale» (Caritas in veritate, n. 75). D’altro canto, come Vescovi, se avvertiamo necessaria una costante e umile verifica della condotta nostra e delle nostre comunità, siamo tuttavia consapevoli di non poterci mai sottrarre al dovere di testimoniare e annunciare la verità, ed essere cioè quel «segno di contraddizione» rispetto allo spirito del mondo di cui parla il Vangelo (cfr Lc 2, 34-35). Sappiamo pure che nel cuore di ciascuno sono impressi indelebili i segni della bellezza che è Dio, e dunque della nostalgia verso le cose grandi e di una sempre rinascente volontà di bene. Sono queste attitudini a sostenere la fiducia della gente semplice, nel porre in essere ogni giorno le piccole scelte di giustizia e di carità, di impegno e di sacrificio, che spostano la bilancia del mondo.

9. Nell’agenda della vita socio-politica nazionale, sono in evidenza questioni importanti, alcune delle quali non possono – per la valenza etico-umanistica che racchiudono – non interessare il nostro ministero. Niente ci è più estraneo della volontà di far da padroni: cittadini di questo Paese, conosciamo bene i principi e le regole che reggono una democrazia pluralista, nella quale tuttavia le religioni sono presenze né abusive né sconvenienti, puntando esse in tutta trasparenza, e fuori da ogni logica mercantile, al colloquio con le coscienze e alla lievitazione della riflessione comune. La stessa memoria degli impegni solennemente assunti da ogni forza politica al momento del voto, si pone per noi su quel livello della pertinenza etica che è intrinseco ad una partecipazione vitale di tutti i cittadini alla costruzione della polis.

    9.1. Sulla pillola Ru486 − su cui è stata assunta una decisione controversa, sottovalutando probabilmente, e a giudizio di molti, le notizie circa i casi avversi − noi abbiamo detto già in più occasioni quello che era doveroso dire. Ossia che è una decisione solo apparentemente rispettosa della libertà, in quanto annulla i diritti di una delle parti in causa, la più indifesa, cioè della vita appena affiorata ma già reale. E anche nei confronti della donna, il principio di precauzione poteva e doveva suggerire altre cautele. Lo stesso vincolo ad un ricorso al farmaco solamente tramite ricovero ospedaliero, al di là delle obiezioni che esso incontra e a misure sempre meno rigorose che la prassi in simili casi finisce per incoraggiare, nei fatti non determina quell’allerta adeguato che la natura del farmaco imporrebbe. Su tutto ci pare che emerga il rischio di una ulteriore banalizzazione del valore della vita, con l’incremento di una mentalità secondo cui l’aborto stesso finisce per essere considerato un anticoncezionale. Che è esattamente ciò che la controversa legge 194 nella sua prima parte esclude. Si è ora in attesa delle delibere tecniche che dovrebbero essere emesse a breve, e soprattutto si è in attesa di quel dibattito parlamentare che potrà consentire di arrivare ad una maggiore verità sul farmaco stesso, e su ciò che ha già obiettivamente causato anche in varie altre nazioni. Ci pare giusto ribadire il collegamento stretto che intercorre «tra etica della vita ed etica sociale nella consapevolezza che non può avere solide basi una società che – mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata» (Caritas in veritate, n. 15).

    9.2. Riguardo al “fine-vita” – tema sul quale abbiamo dovuto purtroppo registrare in questi ultimi giorni un pronunciamento quanto meno ambiguo – attendiamo una legge che possa scongiurare nel nostro Paese altre situazioni tragiche come quella di Eluana. È ora alla Camera l’articolato di legge già approvato al Senato, che attende di essere discusso in sede di Commissione. Nel rispetto delle prerogative del Parlamento, ci limitiamo ad auspicare che un provvedimento, il migliore possibile, possa essere quanto prima varato a protezione e garanzia di una categoria di soggetti tra i più deboli della nostra società, senza lasciarsi fuorviare da pronunciamenti discutibili. In questo senso, il lavoro già compiuto al Senato è prezioso, perché dice la volontà di assicurare l’indispensabile nutrimento vitale a chiunque, quale che sia la condizione di consapevolezza soggettiva. Osserva il Papa: «Come ci si potrà stupire dell’indifferenza per le situazioni umane di degrado, se l’indifferenza caratterizza persino il nostro atteggiamento verso ciò che è umano e ciò che non lo è?» (Caritas in veritate, n. 75).

    9.3. Ho lasciato volutamente per ultima la questione immigratoria, che è fenomeno che impressiona per il numero di persone coinvolte, per i drammi cui dà vita, per le problematiche di vario ordine che solleva, per le sfide che pone alle comunità nazionali e a quella internazionale. Confermati dalle valutazioni che il Papa offre nella sua ultima enciclica, dobbiamo qui ripetere ciò che è già nella convinzione di molti e su cui ci siamo già soffermati in occasione dell’ultima Assemblea episcopale di maggio, ossia che si è di fronte a un fenomeno sociale di natura epocale, da inquadrare in una vigorosa e lungimirante politica di cooperazione internazionale (cfr Caritas in veritate, n. 63). Infatti, allorché si tenta di dirimere il fenomeno entro parametri più ristretti, di fatto esso sfugge da ogni parte. E d’altro canto, l’appello a procedere celermente attraverso soluzioni internazionali e multilaterali non può rappresentare una via di fuga solo dialettica rispetto alle emergenze concrete e lancinanti che nel frattempo si avvicendano. A più riprese l’Italia ha cercato negli ultimi lustri delle risposte alle questioni provenienti dai flussi migratori, e ultimamente ciò è accaduto con il varo delle disposizioni in materia di sicurezza pubblica, sulle quali in verità non sono mancate da parte cattolica riserve variamente espresse. Ora, tenuto saldo il criterio esposto nella Caritas in veritate (al n. 9), secondo cui «la Chiesa non ha soluzioni tecniche da offrire e non pretende minimamente di intromettersi nella politica degli Stati», bisogna osservare che vi è la necessità di soluzioni in grado di contemperare esigenze diverse ma, a guardare bene, non antitetiche. Il rispetto della legalità e della sicurezza dei cittadini non può essere disgiunto dalla garanzia dei diritti umani riconosciuti nell’ordinamento nazionale e internazionale, né può portare a trascurare stati di necessità e doveri da sempre radicati nel cuore della nostra gente. L’esclusione dal circuito della legalità può dar luogo infatti a non previste situazioni di ulteriore auto-emarginazione delle persone, indotte per la paura a nascondersi e a ritirarsi definitivamente dalla fruizione di servizi essenziali che le strutture pubbliche fino a ieri garantivano a tutti. In altre parole, i problemi che si tenta di risolvere per una certa via fatalmente ritornano, riproponendo l’esigenza di dispositivi meglio calibrati, come opportunamente è stato fatto per le badanti. È illuminante ricordare il criterio di recente enunciato: «Ogni migrante è una persona umana che, in quanto tale, possiede diritti fondamentali inalienabili che vanno rispettati da tutti e in ogni situazione» (Caritas in veritate, n. 62)

10. Termino segnalando come la vicina ricorrenza dei 150 anni dall’Unità dell’Italia debba trasformarsi in una felice occasione per un nuovo innamoramento del nostro essere italiani, dentro l’Europa unita e in un mondo più equilibratamente globale. Storici ed esperti vari hanno discusso negli ultimi mesi sul carattere dei festeggiamenti e sulle opere da lasciare a ricordo. Noi pensiamo che ci sia qualcosa di importante da far succedere nelle coscienze, il riflettere cioè sulla base secolare del nostro essere – alla radice – italiani, segnati da confini così caratteristici che è impossibile guardare sulla carta geografica l’Italia e non pensare ad una sua naturale vocazione unitaria. Certo, la storia e il costume ci hanno insegnato ad apprezzare le articolazioni, i diversi territori, le città, ma tutto questo ormai in un invincibile processo di coesione per valorizzare le appartenenze confluenti nell’unità della nazione, a sua volta inserita in processi di cittadinanza sempre più ampi. Servono visioni grandi, non per fare della retorica, ma per nutrire gli spiriti e seminare nuovo, vitale ottimismo. Ha ragione chi dice che l’anniversario deve alimentare la cultura dello stare insieme, di questo c’è oggi bisogno, abbassare le difese e gettarci maggiormente nell’incontro con gli altri. In questo, le nostre comunità cristiane distribuite a reticolo continueranno a fare la loro parte. L’Italia sa che può contare sempre sulla Chiesa, sulle sue risorse e sulla sua leale dedizione, sul suo spirito di sacrificio e la sua volontà di dono.


Cari Confratelli, grazie per il vostro generoso ascolto e grazie per il confronto che da esso scaturirà, e che sarà importante quanto l’avvio. La nostra Conferenza è unita, unita a Pietro, suo primate, e unita al proprio interno dai vincoli che scaturiscono dall’ordinazione episcopale ma anche dalla profonda stima e dalla considerazione in cui ciascuno tiene l’altro. Di questo sento di dovere a voi, e a tutti i confratelli un grazie speciale. Ci assistano in coro i Santi Patroni delle nostre Chiese, ci assistano San Francesco e Santa Caterina. Maria Santissima, così venerata dal nostro popolo, ci ottenga dal Figlio le grazie di cui abbiamo bisogno.

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23/09/2009 08:13

La CEI vede la questione educativa come perno per l'evangelizzazione

Afferma il direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per le comunicazioni sociali



 ROMA, martedì, 22 settembre 2009 (ZENIT.org).-

La riflessione del Consiglio permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), ha rilanciato martedí "la questione educativa come il perno di una rinnovata stagione di evangelizzazione", spiega mons. Domenico Pompili, direttore dell’Ufficio nazionale della CEI per le comunicazioni sociali (Ucs), in un comunicato stampa.

Nella nota il sacerdote ha tracciato un resoconto dei lavori della seconda giornata del Consiglio permanente, dopo quella dedicata lunedì alla prolusione del Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova e Presidente della CEI.

"La giornata di oggi ha registrato al mattino un’ampia ed articolata riflessione alla luce della prolusione del Presidente", spiega mons. Pompili.

"Tutti gli interventi hanno esplicitamente ringraziato il card. Bagnasco per i contenuti e il tono del suo intervento introduttivo che è apparso lucido e sereno allo stesso tempo”.

"Il riferimento alla Caritas in veritate è stato richiamato da più di uno dei presenti, rimarcandone il valore di autorevole lettura della condizione sociale e culturale di oggi", ha aggiunto.

"In particolare ci si è soffermati sull’Anno sacerdotale, visto come una preziosa opportunità per rinsaldare i legami tra la Chiesa e il territorio così come per approfondire il senso di un ministero – quello sacerdotale appunto – che identifica  strettamente l’essere con l’agire".

"Quindi nel pomeriggio ci si è interrogati sulla traccia degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020 che rilanciano la questione educativa come il perno di una rinnovata stagione di evangelizzazione".

"Questa prima fase di confronto e di approfondimento sta cercando di dissodare il terreno per giungere entro il prossimo anno a rintracciare nella sfida educativa, vista come testimonianza credibile e non semplicemente come metodo pedagogico, uno snodo decisivo per l’attuale contesto, segnato da un nichilismo diffuso".

"Tale situazione problematica si allenterà infatti non solo grazie a valori proclamati, ma soltanto in virtù di figure di riferimento che incarnano il Vangelo fino a farne derivare concrete e puntuali indicazioni per la vita quotidiana", ha concluso mons. Domenico Pompili.


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23/09/2009 10:45

I vescovi in campo: giù le mani dal Concordato

di Andrea Tornielli

Roma
I vescovi riuniti al «parlamentino» della Cei discutono la
prolusione di Bagnasco. Fino a questo momento non si è parlato della successione a Boffo alla direzione di Avvenire - che pare non sia imminente - né si è insistito sul caso in sé. Subito dopo che Bagnasco aveva terminato il suo discorso, lunedì pomeriggio, un paio di vescovi del Consiglio permanente sono intervenuti parlando dell’Anno sacerdotale.
Ieri tutti gli intervenuti nel dibattito, informa una nota del portavoce don Domenico Pompili, «hanno esplicitamente ringraziato il cardinale Bagnasco per i contenuti e il tono del suo intervento introduttivo che è apparso lucido e sereno allo stesso tempo». Moderato nei toni, fermo su alcuni punti considerati irrinunciabili, chiaro nei riferimenti (il principale criterio di giudizio per valutare i politici è la loro azione di governo, ma chi ha un ruolo istituzionale è chiamato alla sobrietà), il presidente dei vescovi ha inteso voltare pagina e guardare al futuro, senza farsi arruolare nelle file dell’opposizione al governo Berlusconi. Ed è riuscito di fatto ad accontentare sia la Santa Sede, sia i vescovi più moderati, sia quelli fautori di un maggior interventismo antigovernativo. Il dibattito nel «parlamentino» Cei ha poi toccato altri temi della prolusione, l’enciclica e il suo valore per leggere la situazione sociale, la questione dell’emergenza educativa, rilanciata nel pomeriggio dal cardinale Camillo Ruini, che ha presentato il rapporto La sfida educativa curato dal Comitato per il progetto culturale della Conferenza episcopale e pubblicato dall’editrice Laterza.
Toni e contenuti della prolusione di Bagnasco sono stati apprezzati in Vaticano, ed è significativo il titolo con cui L’Osservatore Romano di ieri titolava il testo del cardinale: «Una Chiesa amica». Il cardinale, infatti, nel formularla ha recepito le preoccupazioni espresse nei sacri palazzi, dov’era evidente la volontà di non alzare in alcun modo il livello dello scontro con il governo. Dalla Segreteria di Stato era stata avanzata al presidente della Cei la richiesta di rivedere il testo, ma Bagnasco, che l’ha limato fino all’ultimo, non ha ritenuto di spedirla Oltretevere con largo anticipo.
Il suo non è stato uno sgarbo - le prolusioni non vengono mai riviste dal Vaticano - ma una rivendicazione di autonomia.
Al di là di questo episodio, con il discorso di lunedì pomeriggio sembrano archiviate le letture e le interpretazioni che tendono ad accreditare uno scontro tra la Segreteria di Stato e la presidenza della Cei. Un ruolo importante - e non poteva non essere così - ha svolto Benedetto XVI, preoccupato per il presunto conflitto di competenze tra il suo principale collaboratore, Bertone, e il presidente dei vescovi. Le difficoltà di assestamento vengono considerate quasi fisiologiche dopo il lungo tramonto dell’era Ruini: il «cardinal sottile», protagonista della vita ecclesiale italiana dell’ultimo quarto di secolo, giunto nel 1991 alla presidenza della Cei aveva inaugurato infatti l’epoca dell’interventismo della Chiesa nell’agone sociale e politico. E tutto ciò avveniva negli anni del pontificato di Giovanni Paolo II, poco interessato alle vicende interne italiane.
Fino a quel momento, a partire dagli anni in cui nasceva la Conferenza episcopale, la cabina di regia era sempre rimasta Oltretevere, al punto che negli anni Cinquanta una volta capitò che i cardinali della Cei dovettero ritardare la loro riunione perché non era arrivato dal Vaticano un documento con le indicazioni da parte del Sostituto della Segreteria di Stato.
Per di più, in queste settimane è percepibile un certo disorientamento negli uffici della Conferenza episcopale, determinato dall’uscita di scena di Dino Boffo, il quale, com’è noto, era ben di più di un direttore di giornale e di Tv: si trattava infatti di un consigliere ascoltato, del vero interfaccia tra i vertici Ruini-Bagnasco e gli uffici Cei oggi privati di questo collegamento.
Ma c’è un’altra questione che ha fatto capolino nella prolusione di Bagnasco e che sembra preoccupare non poco il Vaticano, quella del Concordato.
Il presidente della Cei ha ribadito lunedì e ha ripetuto
nell’intervista concessa a Famiglia Cristiana, «l’importanza e l’attualità di quel grande accordo di libertà che accomuna Stato e Chiesa», osservando come su di esso «di tanto in tanto si riversano riserve e velleitarismi anche da settori insospettabili dell’opinione pubblica».
Parole, queste ultime, probabilmente riferibili
all’editoriale con cui Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, il 30 agosto scorso, aveva fatto balenare il superamento del Concordato all’insegna di una Chiesa spoglia di poteri.
Fonti autorevoli affermano che in Vaticano, tra chi si occupa di questioni finanziarie, serpeggia un certo timore per queste voci di revisione concordataria.
In particolare per quanto riguarda i bilanci in rosso della Tv Sat 2000 e del quotidiano Avvenire (circa 30 milioni di euro l’anno), che vengono solitamente appianati con fondi in parte riferibili anche all’otto per mille, le cui finalità sono il sostentamento del clero, le attività caritative e le attività pastorali.
C’è chi Oltretevere ha manifestato la preoccupazione che qualche politico sollevi obiezioni sulla destinazione di quei fondi.

© Copyright Il Giornale, 23 settembre 2009 consultabile online anche
qui.
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25/09/2009 11:55

I Vescovi italiani riflettono sull'immigrazione dall'Est Europa

Nell'ultima giornata del Consiglio permanente della CEI


 (ZENIT.org).-

Il fenomeno del crescente flusso migratorio proveniente dall’Est Europa suscita sempre maggiore attenzione nei Vescovi italiani. E' quanto ha detto mons. Domenico Pompili, direttore dell'Ufficio comunicazioni sociali della CEI.

“La giornata conclusiva dei lavori del Consiglio permanente – ha fatto sapere mons. Domenico Pompili in una nota – ha visto la riflessione dei Vescovi concentrarsi su un fenomeno che sta facendosi consistente nel nostro Paese e cioè il numero degli immigrati provenienti dai Paesi dell’Est europeo”.
“Per lo più – ha aggiunto – si tratta di persone che appartengono alla Chiesa ortodossa, ma trovandosi nel nostro Paese cercano contatti con le nostre parrocchie per la preghiera e per la stessa formazione cristiana, oltre che per bisogni di varia necessità”.

Secondo il Dossier Statistico Immigrazione Caritas/Migrantes 2008, sono 1 milione e 130 mila gli immigrati di confessione ortodossa presenti in Italia. “Tutto questo – ha spiegato mons. Domenico Pompili a “L'Osservatore Romano” – pone ovviamente delle questioni nuove che vanno esaminate con attenzione”.

Nell'ultima giornata i Vescovi italiani hanno ampiamente riflettuto anche sull’Anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI.A questo proposito, mons. Pompili ha notato che “la missione del prete sembra oggi ancor più necessaria ed originale in una società, segnata dal rarefarsi dei rapporti personali e gratuiti”.

Riguardo ai lavori del Consiglio episcopale permanente, ha quindi aggiunto che “in particolare si è sottolineata la spontanea adesione che si registra in molte Chiese particolari a momenti di riflessione che riscoprono il sacerdote come l’uomo dello preghiera e dell’ascolto prima ancora di qualsiasi sua azione pastorale”.

“Si è quindi auspicato che la Messa crismale quest’anno aiuti ancor più ad evidenziare la partecipazione all’unico sacerdozio di Gesù Cristo e una più consapevole rinnovazione delle promesse sacerdotali”, ha infine concluso.
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29/09/2009 16:30

BOFFO: CROCIATA, NON DOBBIAMO CHIARIRE SU ACCUSE ANONIME

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

''I fatti sono davanti a tutti, il dottor Boffo con le sue dimissioni ha voluto dire la volonta' di non esporre la Chiesa a ulteriori attacchi.
Da parte sua ha chiarito in questa maniera come si tratti di un'iniziativa che ha il suo punto d'appoggio in una lettera anonina e non ha altri argomenti da offrire''.
Lo sottoluinea il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata nella conferenza stampa sui recenti lavori del consiglio episcopale Permanente. ''Credo - afferma il presule - che noi non abbiamo chiarezza da fare sui fatti di Terni''.
Quanto alla nomina del nuovo direttore di Avvenire, Crociata rivela che i vescovi non hanno fretta: ''con calma - dice - si provvedera' alla nomina di chi prendera' la responsabilita' dopo le dimissioni del dottor Boffo. Avvenire e' una società con il suo cda, e al Consiglio Permanente certo si e' parlato con dispiacere di quel che e' accaduto: un attacco personale a una persona che ha servito con grande professionalita', e si e' ribadita la volonta' di andare avanti, dopo un gesto che qualcuno ha presentato come intimidazione, in questo impegno a servire la Chiesa e il Paese con serenita' nelle ricerca della verita', per il bene pastorale del popolo cristiano e il bene comune di tutto il paese''.
''L'ambito della comunicazione - conclude mons. Crociata - e' di grande rilevanza per la Cei, che in modo particolare che intende continuare a far svolgere il loro servizio a questi strumenti che sono ad essa ricondicibil. Per questo non si e' parlato di nessuna ristrutturtazione particolare''.

© Copyright (AGI)

FINE VITA: CEI, TESTO SENATO E' PUNTO EQUILIBRIO SIGNIFICATIVO

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

''Come vescovi italiani seguiamo con interesse e attenzione il dibattito parlamentare che auspichiamo porti a una legge che salvaguardi le esigenze essenziali piu' volte ribadite dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco.
E ci sembra che il testo del Senato rappresenti punto di equilibrio piuttosto significativo''.
Lo afferma il segretaro della Cei, mons. Mariano Crociata che riassume in una battuta le aspettative dei vescovi su questo tema: ''la vicenda dei mesi scorsi suggerisce, incoraggia, fa ritenere necessaria una legge che prevenga l'arbitrio''. ''Auspichiamo - spiega - una soluzione condivisa, ma e' il Parlamento che deve farla. Noi riteniamo di ribadire i principi e auspichuiamo che il Parlameno trovi il modo di pervenire alla conclusione legislativa di un iter che e' in fase gia' avanzata. E che vi si arrivi con la stessa serenita', sintesi e equilibrio del Senato''.

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RU486: CEI, BANALIZZA ABORTO, SALVAGUARDARE SALUTE DONNE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set. -

''La Ru486 indubbiamente rischia di riportarci indietro rispetto alla stessa legge 194, infondendo una sorta di banalizzazione dell'aborto: e' questo il rischio che ci preoccupa''. Sono le parole usate dal segretaro della Cei, mons. Mariano Crociata, che spiega cosi' l'atteggiamento dei vescovi riguardo alla pillola abortiva. Chiediamo, scandisce, ''uno sforzo di valutare attentamente le conseguenze effettive dell'uso e delle modalita' di questo farmaco, per la salvaguardia anche delle donne''.

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AFGHANISTAN: CEI, CONDIVIDERE RESPONSABILITA' INTERNAZIONALE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

Riguardo alla missione di pace in Afghanistan, ''non tocca noi come vescovi esprimere se continuare o recedere, c'e' da condividere pero' una responsabilita' internazionale''. Lo afferma il sgeretario della Cei, mons. Mariano Crociata che spiega cosi' l'atteggiamento della Chiesa Italiana su questo tema. ''Si tratta - ricorda il presule - di decisoni che vanno intese come espressione di una responsabilita' politica e istituzionale di una nazione nel novero di altre nazioni affinche' si compia un processo di superamento delle violenze e dei conflitti e si inneschi un processo verso la pace che sembra ancora lontana''.
''Le vittinme del terrorismo - conclude mons. Crociata - suscitano sentimenti di profondo cordoglio e amarezza. Auspichiamo che si cerchino i modi affinche' la violenza finisca mentre esprimiamo solidarieta' e vicinanza alle famiglie dei caduti e a quanti operano in un ambito esposto a grandi rischi''.

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IMMIGRAZIONE: CEI, EQUILIBRIO TRA LEGALITA' E ACCOGLIENZA

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

Sul tema dell'immigrazione ''i vescovi condividono la preoccupazione espressa piu' volte dal presidente della Cei, card. Angelo Bagnasco, affinche' si raggiunga sempre e si persegua il giusto equilibrio tra legalita' e rispetto delle esigenze pace sociale e l'accoglienza e il rispetto delle persone''. Lo conferma oggi il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, nella conferenza stampa sui lavori del Consiglio Episcopale Permanente. Quanto alla proposta di legge sulla cittadinanza, Crociata non entra nel merito dell'articolato ma sottolinea che davanti a un fenomeno cosi' vasto, l'attenzione alle esigenze dell'integrazione e' imprescindibile''.

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CEI: AMAREZZA PER ALLARMANTE DEGRADO DEL VIVERE CIVILE

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

''Amarezza per l'allarmante degrado del vivere civile'' e' stata espressa dai vescovi utaliani nel comunicato conclusivo dei lavori del Consiglio Episcopale Permanente.
''Tutti i vescovi - afferma la nota - si sono ritrovati nella convinzione espressa dal presidente Angelo Bagnasco, secondo cui la Chiesa e' in questo Paese una presenza costantemente leale e costruttiva che non puo' essere coartata ne' intimidita, perche' compie il proprio dovere''.
''Pensare in grande senza lasciarsi rinchiudere in visioni anguste e' - riferisce il comunicato Cei - la prospettiva da tutti condivisa che si fa appello alla comunita' ecclesiale e civile, nella consapevolezza che solo quando il Vangelo diventa cultura, cioe' si declina in comportamenti concreti, asslve al suo compito di offrire una speranza fondata a una societa' scettica e' disorientata''.
Da parte sua il segretario Cei, Mariano Crociata, ha rilevato in questo contesto il reiterarsi di ''messaggi e stili di vita che non aiutano la trasmissione di un messaggio educativo''.

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Conferenza Episcopale ItalianaCONSIGLIO PERMANENTERoma, 21-24 settembre 2009 

COMUNICATO FINALE

 Il Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana, presieduto dal Cardinale Angelo Bagnasco, Arcivescovo di Genova, si è riunito a Roma per la sessione autunnale dal 21 al 24 settembre 2009. Tutti i partecipanti hanno ringraziato il Cardinale Presidente per i contenuti e il tono della sua prolusione, che ha offerto una lettura lucida e serena del momento presente. In particolare è stata apprezzata la scelta di fare della recente enciclica papale Caritas in veritate la chiave interpretativa dell’attuale situazione economica e culturale, soggetta a veloci trasformazioni. Non è mancata l’attenzione all’Anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI, preziosa opportunità per approfondire il senso della figura del sacerdote, il cui profilo non cessa di attrarre e di creare aspettative proprio in una società anonima e segnata dal rarefarsi della prossimità e della gratuità. È stata esaminata una prima traccia degli Orientamenti pastorali per il decennio 2010-2020, che porranno al centro la questione educativa, perno di una rinnovata stagione di evangelizzazione. Non si tratterà di un semplice prontuario pedagogico a uso delle Chiese particolari, ma piuttosto di uno strumento che propizi una presa di coscienza plausibile e praticabile per reagire al diffuso nichilismo che pervade la vita di tanti, specie dei più giovani. Il Consiglio Permanente ha approvato l’ordine del giorno dell’Assemblea Generale, che si terrà ad Assisi dal 9 al 12 novembre, autorizzando l’invio a tutti i Vescovi della bozza di due documenti che dovranno essere vagliati in quella occasione. Il primo è la nuova edizione del Rito delle esequie; il secondo si concentra sulla presenza e l’azione della Chiesa nel Mezzogiorno. Specifica attenzione è stata dedicata anche all’approssimarsi della ricorrenza del centocinquantesimo dell’unità d’Italia. È stata autorizzata la preparazione di un vademecum per le parrocchie italiane, a cui sempre più spesso si accostano fedeli provenienti da Paesi dell’Est europeo e appartenenti all’ortodossia. È stata licenziata una Nota che recepisce le norme pubblicate dalla Santa Sede per gli Istituti superiori di scienze religiose e sono state assunte talune determinazioni in materia di sostentamento del clero. Infine, è stato approvato il Messaggio per la Giornata per la Vita del 2010.

  1.         La “grande finestra” da cui guardare il mondo

“Non ci lasceremo guidare da qualche «piccola finestra» del dettaglio, del pregiudizio o dell’incertezza, «ma dalla grande finestra che Cristo ci ha aperto sull’intera verità, guardiamo il mondo e gli uomini e riconosciamo così che cosa conta veramente nella vita»”. Questa suggestiva immagine del Papa, posta all’inizio della prolusione, spiega la prospettiva di fondo dei lavori del Consiglio Permanente, dominati dalla fiducia, nonostante l’amarezza per l’allarmante degrado del vivere civile. Per questo tutti i Vescovi si sono ritrovati nella convinzione espressa dal Presidente, secondo cui “la Chiesa è in questo Paese una presenza costantemente leale e costruttiva che non può essere coartata né intimidita solo perché compie il proprio dovere”. Pensare in grande, senza lasciarsi rinchiudere in visioni anguste, è la prospettiva da tutti condivisa, che si fa appello alla comunità ecclesiale e civile, nella consapevolezza che solo quando il Vangelo diventa cultura, cioè si declina in comportamenti concreti, assolve al suo compito di offrire una speranza fondata a una società scettica e disorientata.

 2.         Anno sacerdotale: una preziosa opportunità

In questo contesto, l’Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI al fine di “contribuire a promuovere l’impegno d’interiore rinnovamento di tutti i sacerdoti per una loro più forte ed incisiva testimonianza evangelica nel mondo di oggi” (Lettera di indizione, 16 giugno 2009), costituisce una risorsa non solo per la comunità ecclesiale, ma anche per la stessa società civile. A ben vedere, infatti, tutti abbiamo bisogno di testimoni credibili per superare la rassegnazione e il fatalismo. Come è stato osservato, la crisi odierna non si pone semplicemente sul piano delle idee, ma pervade i costumi e perciò non può essere affrontata limitandosi a enunciare principi e valori. Da questa inedita condizione il prete è decisamente sfidato, ma allo stesso tempo egli medesimo diventa una sfida agli occhi di tutti, se vive all’altezza della propria vocazione. Non si è taciuto il fatto che proprio il sacerdote rischi oggi – anche a motivo dell’accrescersi degli impegni – una preoccupante scissione tra la sfera personale e l’attività ministeriale, separando l’essere dall’agire. Occorre dunque affrontare la possibile deriva di una “professionalizzazione” riduttiva, incapace di rendere ragione di quel mistero di salvezza a cui il sacerdote deve attrarre con la propria persona, ancor prima che con le sue attività. Egli, infatti, riesce a educare efficacemente soltanto se dietro al suo fare si colgono le tracce di un’esistenza di fede e dunque lieta, anche quando è segnata da fatiche e prove. Per questo, il Consiglio Permanente ha ribadito sincera gratitudine per la testimonianza di tantissimi preti che rendono presente la Chiesa nel Paese, senza sottrarsi alle dinamiche di un mondo che cambia e alle sollecitazioni del Vangelo che non muta.

 3.         Verso gli Orientamenti pastorali del decennio 2010-2020

La Chiesa intera è chiamata a generare nuovi credenti attraverso l’esperienza dell’educare. A questo tema – già affrontato nell’Assemblea Generale celebrata nel maggio scorso – è stata dedicata un’ampia riflessione nel contesto della presentazione della prima traccia degli Orientamenti pastorali del prossimo decennio. Come è noto, da tale traccia scaturirà il testo che, una volta approvato nell’Assemblea Generale prevista nel maggio 2010, costituirà l’asse portante della proposta della CEI per gli anni 2010-2020. Si è auspicato un documento unitario ed essenziale, che abbia la capacità di “trafiggere i cuori” per raccogliere l’emergenza dell’educazione nel nostro contesto liquido e plurale. Si è ribadito che la malattia mortale che rende tanto difficile il rapporto educativo è l’incapacità di rapportarsi con il reale, avendo smarrito il senso dell’oggettività. È emersa la necessità di focalizzare anche altre dimensioni fondamentali dell’esperienza umana, quali la libertà, la volontà, la ragione, l’amore, e – non ultima – la fede. La famiglia gioca un ruolo decisivo in questa traditio dell’arte di vivere, a condizione che sappia superare la tentazione iperprotettiva a risparmiare ai figli qualsiasi esperienza del limite e del sacrificio. Perché sia efficace, l’intervento educativo richiede l’apporto di tutti gli adulti e delle diverse agenzie sociali. Perché la domanda di educazione non resti un’aspirazione generica e confusa, deve penetrare in tutti gli ambiti di vita: la famiglia, la comunità ecclesiale, la scuola e il lavoro, ma anche il tempo libero, lo sport e la comunicazione sociale, come si ricava dallo stimolante rapporto-proposta La sfida educativa, appena pubblicato per iniziativa del Comitato per il progetto culturale.

 4.         La questione del Mezzogiorno

Il convegno Chiesa del sud, Chiese nel sud, celebrato a Napoli nel febbraio scorso, ha posto i presupposti per riconsiderare i temi affrontati dai Vescovi vent’anni or sono nel documento Sviluppo nella solidarietà. Chiesa italiana e Mezzogiorno. A detta di molti, infatti, la questione meridionale rischia di essere oggi avvolta in un clamoroso silenzio, pur in presenza di preoccupanti segnali di crisi. Non tutto il Sud è povero – è stato sottolineato – ma patisce un impoverimento progressivo in alcune macroaree. Tale situazione richiede non assoluzioni preventive né indebite colpevolizzazioni, ma una parola di responsabilità indirizzata alla gente del Sud e alla Chiesa che colà vive, capace nel contempo di rivolgersi al Paese intero, come voce di tutta la Chiesa che è in Italia. Per questo occorre fare appello a tutte le forze positive, declinando l’attenzione alle problematiche locali nella coscienza di appartenere a un’unica nazione. Il documento, che sarà esaminato nella versione definitiva dall’Assemblea Generale che si terrà ad Assisi dal 9 al 12 novembre, non si limiterà a denunciare i problemi con taglio sociologico, ma offrirà chiavi di lettura animate dalla speranza cristiana, virtù che non tace il peccato, ma sa far leva sulla responsabilità, sulla solidarietà e sulla sobrietà.

 5.         Nuovo Rito delle esequie, vademecum e adempimenti giuridici

Il Consiglio Permanente, approvando l’ordine del giorno dell’Assemblea Generale di novembre, ha stabilito che in quella sede sia vagliato il testo del nuovo Rito delle esequie. Nell’attuale scenario socio-culturale questa frontiera della vita viene spesso censurata, mentre chiede di essere accompagnata alla luce della fede. È infatti quello della morte uno dei momenti in cui la prossimità della Chiesa si manifesta più chiaramente, esigendo una particolare attenzione alle persone. È stato anche approvato il progetto di demandare ai competenti uffici della CEI la preparazione di un vademecum pastorale, che aiuti i parroci e le parrocchie a rispondere in maniera giuridicamente corretta ed ecumenicamente rispettosa alle richieste circa l’amministrazione di sacramenti e la catechesi, che con sempre maggiore frequenza provengono da fedeli giunti da Paesi dell’Est europeo e appartenenti all’ortodossia.È stata licenziata la Nota di ricezione per l’Italia dell’Istruzione sugli istituti superiori di scienze religiose, recentemente pubblicata dalla Congregazione per l’educazione cattolica. Con questo adempimento giunge a compimento il processo di adeguamento degli istituti di formazione teologica, strumenti indispensabili per rispondere alla domanda di teologia da parte dei laici e per disporre di docenti di religione e di operatori pastorali in grado di fare fronte alle esigenze della comunità ecclesiale, inserendosi con competenza nel dibattito pubblico e nel mondo del lavoro. Per quanto concerne il sostentamento del clero, è stata ribadita la necessità di promuovere con rinnovato slancio una campagna per incrementare le cosiddette offerte deducibili. Sono state, inoltre, approvate le determinazioni che fissano il punteggio aggiuntivo a favore di docenti e officiali a tempo pieno delle Facoltà teologiche e degli Istituti superiori di scienze religiose e la quota minima della remunerazione dovuta dalle parrocchie personali ai parroci e ai vicari parrocchiali. Tenendo conto del modesto incremento del tasso di inflazione, si è deciso di mantenere invariato nel 2010 il valore del punto. Infine, è stato licenziato il testo del Messaggio per la 32a Giornata per la Vita, che si terrà domenica 7 febbraio 2010, ed è stato approvato lo statuto dell’Associazione Incontro matrimoniale.

 6.         Nomine

Il Consiglio Episcopale Permanente ha proceduto alle seguenti nomine:

- S.E. Mons. Alceste Catella, Vescovo di Casale Monferrato, membro della Commissione Episcopale per la liturgia.

- S.E. Mons. Giovan Battista Pichierri, Vescovo di Trani – Barletta – Bisceglie, membro della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo.

- S.E. Mons. Antonio Staglianò, Vescovo di Noto, membro della Commissione Episcopale per la cultura e le comunicazioni sociali.

- Don Franco Magnani (Mantova), Direttore dell’Ufficio Liturgico Nazionale.

- Don Maurizio Viviani (Verona), Direttore dell’Ufficio Nazionale per l’educazione, la scuola e l’università.

- Don Paolo Gentili (Grosseto), Direttore dell’Ufficio Nazionale per la pastorale della famiglia.

- Mons. Adolfo Zambon (Vicenza), Direttore dell’Ufficio Nazionale per i problemi giuridici.

- Dott. Matteo Calabresi, Responsabile del Servizio per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica.

- Mons. Ugo Ughi (Fano – Fossombrone – Cagli – Pergola), Vice Assistente Ecclesiastico Generale dell’Azione Cattolica Italiana.

- Don Giuseppe Masiero (Padova), Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Azione Cattolica Italiana per il settore adulti.

- Don Jean Paul Lieggi (Bari - Bitonto), Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Guide e Scouts Cattolici Italiani (AGESCI) per la branca Rovers/Scolte.

- Don Stefano Caprio (Foggia – Bovino), Assistente Ecclesiastico Generale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC).

- Padre Edoardo Ricevuti, O.Cist., Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC) per la branca Lupetti.

- Don Giuseppe Cavoli (Fano – Fossombrone – Cagli – Pergola), Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC) per la branca Esploratori.

- Padre Gerardo Pasquinelli, F.D.M., Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC) per la branca Coccinelle.

- Don Fabio Gollinucci (Trieste), Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC) per la branca Scolte.

- Don Giovanni Facchetti (Bolzano – Bressanone), Assistente Ecclesiastico Nazionale dell’Associazione Italiana Guide e Scouts d’Europa Cattolici (AIGSEC) per la branca Guide.

- Il Consiglio Permanente ha espresso il gradimento della terna presentata dall’Associazione Cattolica Esercenti Cinema (ACEC) per la scelta del proprio presidente.

 

La Presidenza della CEI, riunitasi lunedì 21 settembre, ha proceduto alle seguenti nomine:

- S.E. Mons. Eugenio Ravignani, Amministratore Apostolico di Trieste, membro della Commissione Episcopale per l’ecumenismo e il dialogo.

- Mons. Adolfo Zambon (Vicenza), membro del Comitato per gli enti e i beni ecclesiastici.

- Dott. Matteo Calabresi, membro del Comitato per la promozione del sostegno economico alla Chiesa Cattolica.

- Prof. Gian Carlo Blangiardo, membro del Comitato per il progetto culturale.

- Don Alfonso Raimo (Salerno – Campagna – Acerno), membro del Collegio dei revisori dei conti della Fondazione Missio.

- Don Angelo Auletta (Tricarico), don Paolo Angelo Bonini (Albenga – Imperia) e don Bernardino Pessani (Milano), Assistenti Spirituali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore – sede di Roma.

  

Roma, 29 settembre 2009

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CEI: PER SACERDOTI RISCHIO ''PROFESSIONALIZZAZIONE''

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 29 set.

In Italia, ''il sacerdote rischia oggi una preoccupante scissione tra la sfera personale e l'attivita' ministeriale, separando l'essere dall'agire''.
Lo rilevano i vescovi italiani, nel
comunicato finale del Consiglio Permanente della Cei, diffuso oggi.
Occorre anche nel nostro Paese di grande tradizione cristiana, spiegano i vescovi eprimendo gratitudine al Papa per
l'Anno sacerdotale, ''approfondire il senso della figura del sacerdote, il cui profilo non cessa di attrarre e di creare aspettative proprio in una societa' anonima e segnata dal rarefarsi della prossimita' e della gratuita'''.
Per la Cei, bisogna dunque arginare ''la deriva di una 'professionalizzazione' riduttiva'', partendo dalla consapevolezza che ''il sacerdote deve attrarre con la propria persona, ancor prima che con le sue attivita'''. Il prete, infatti, ''riesce a educare efficacemente soltanto se dietro al suo fare si colgono le tracce di un'esistenza di fede e dunque lieta, anche quando e' segnata da fatiche e prove''.
''Tutti abbiamo bisogno di testimoni credibili per superare la rassegnazione e il fatalismo'', ricordano i vescovi, secondo i quali ''la crisi odierna pervade i costumi e non puo' essere affrontata limitandosi a enunciare principi e valori''. Una ''inedita condizione'', questa, che puo' consentire al prete di diventare ''una sfida agli occhi di tutti, se vive all'altezza della propria vocazione''. In merito, ''sincera gratitudine'' e' stata espressa dal Consiglio Episcopale ''per la testimonianza di tantissimi preti che rendono presente la Chiesa nel Paese''.
''L' Anno Sacerdotale che il Papa ha voluto offrire - ha aggiunto da parte sua mons. Mariano Crociata presentando le conclusioni dei lavori della scorsa settimana - diventa un'opportunita' straordinaria per tutti i preti e per la popolazione e un incoraggiamento ai sacerdoti alle prese con un impegno difficile per tanti versi, sia per le difficolta' dell'accresciuto carico pastorale ma anche per la mentalita' secolarizzata che rischia di farli sentire un po' controcorrente''.
Secondo il segretario della Cei, ''la missione della Chiesa e' contrastare certe tendenze, e se cio' rende faticoso il cammino non per questo - ha concluso - scoraggia''.

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Il comunicato finale del Consiglio permanente della Cei

La Chiesa in Italia presenza leale e costruttiva


Roma, 29. Il progetto di legge sul fine vita, attualmente in discussione in Senato, "rappresenta un punto di equilibrio piuttosto significativo". È quanto ha affermato questa mattina il segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), il vescovo Mariano Crociata, a margine della presentazione del comunicato finale del Consiglio permanente della Cei. "Come vescovi italiani - ha detto monsignor Crociata - seguiamo con interesse e attenzione il dibattito parlamentare che auspichiamo porti a una legge che salvaguardi le esigenze essenziali più volte ribadite dal presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco. E ci sembra che il testo del Senato rappresenti un punto di equilibrio piuttosto significativo". La vicenda dei mesi scorsi - ha spiegato ancora monsignor Crociata - "suggerisce, incoraggia, fa ritenere necessaria una legge che prevenga l'arbitrio. Auspichiamo una soluzione condivisa, ma è il Parlamento che deve farla. Noi riteniamo di ribadire i principi e auspichiamo che il Parlamento trovi il modo di pervenire alla conclusione legislativa di un iter che è in fase già avanzata. E che vi si arrivi con la stessa serenità, sintesi e equilibrio del Senato". Sempre sul tema della difesa della vita, monsignor Crociata ha anche parlato della commercializzazione della pillola abortiva Ru486:  "Rischia indubbiamente - ha detto - di riportarci indietro rispetto alla stessa legge 194, infondendo una sorta di banalizzazione dell'aborto. Chiediamo uno sforzo di valutare attentamente le conseguenze effettive dell'uso e delle modalità di questo farmaco, per la salvaguardia anche delle donne".

Come accennato, monsignor Crociata aveva in precedenza illustrato il comunicato finale del Consiglio permanente, i cui lavori sono stati "dominati dalla fiducia, nonostante l'amarezza per l'allarmante degrado del vivere civile. Per questo tutti i vescovi si sono ritrovati nella convinzione espressa dal presidente, secondo cui "la Chiesa è in questo Paese una presenza costantemente leale e costruttiva che non può essere coartata né intimidita solo perché compie il proprio dovere"".
Riguardo all'Anno sacerdotale indetto da Benedetto XVI, è stato osservato come "a ben vedere, tutti abbiamo bisogno di testimoni credibili per superare la rassegnazione e il fatalismo". Oggi il sacerdote rischia anche a motivo dell'accrescersi degli impegni, una preoccupante scissione tra la sfera personale e l'attività ministeriale, separando l'essere dall'agire. Occorre dunque affrontare la possibile deriva di una "professionalizzazione" riduttiva, incapace di rendere ragione di quel  mistero di salvezza a cui il sacerdote deve attrarre con la propria persona, ancor prima che con le sue attività".

La Chiesa intera - prosegue il comunicato finale - "è chiamata a generare nuovi credenti attraverso l'esperienza dell'educare" in tutti gli ambiti di vita, "come si ricava dallo stimolante rapporto-proposta La sfida educativa, appena pubblicato per iniziativa del Comitato per il progetto culturale".

Il Consiglio ha affrontato anche la questione del Mezzogiorno, con l'analisi di un documento che verrà esaminato nel corso dell'Assemblea generale straordinaria che si terrà ad Assisi dal 9 al 12 novembre:  la questione meridionale - si legge nel comunicato - che "rischia di essere oggi avvolta in un clamoroso silenzio", "richiede non assoluzioni preventive né indebite colpevolizzazioni, ma una parola di responsabilità indirizzata alla gente del Sud e alla Chiesa che colà vive, capace nel contempo di rivolgersi al Paese intero, come voce di tutta la Chiesa che è in Italia. Per questo occorre fare appello a tutte le forze positive, declinando l'attenzione alle problematiche locali nella coscienza di appartenere a un'unica nazione". È "negli interessi del popolo italiano - ha poi spiegato monsignor Crociata - che vi sia un equilibrio tra le esigenze dell'unità della solidarietà nazionale e l'esigenza del federalismo".
Il Consiglio permanente ha stabilito anche che a novembre sia vagliato il testo del nuovo Rito delle esequie:  "Nell'attuale scenario socio-culturale - affermano i vescovi - questa frontiera della vita viene spesso censurata, mentre chiede di essere accompagnata alla luce della fede. È infatti quello della morte uno dei momenti in cui la prossimità della Chiesa si manifesta più chiaramente, esigendo una particolare attenzione alle persone".
 
Infine, è stato anche approvato il progetto di demandare ai competenti uffici della Cei la preparazione di un vademecum pastorale, che aiuti i parroci e le parrocchie a rispondere in maniera giuridicamente corretta ed ecumenicamente rispettosa alle richieste circa l'amministrazione di sacramenti e la catechesi, che con sempre maggiore frequenza provengono da fedeli giunti da Paesi dell'est europeo e appartenenti all'ortodossia.


(©L'Osservatore Romano - 30 settembre 2009)
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