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Vaticanismi
Perché il Progetto culturale di Ruini è essenziale e non c’è alcun piano B della Cei
di Maurizio Crippa
“Il Progetto culturale, tuttora vivo e attivo, non è portato avanti con la stessa convinzione”, anzi c’è “un’inspiegabile freddezza a livelli anche alti della gerarchia”. Così il giudizio tagliente e accorato, sul Foglio di ieri, del vaticanista Sandro Magister. Il lento cambio della guardia ai vertici della chiesa italiana, fattosi burrascoso dopo la drammatica vicenda Boffo, ha posto all’ordine del giorno, non solo ecclesiale, il tema di una presunta “crisi” – o addirittura del possibile abbandono – del Progetto culturale della chiesa italiana, varato nel 1994 proprio da Ruini. Abbandono smentito in realtà non solo dalle dichiarazioni ufficiali ma anche dai fatti (l’imminente convegno su Dio), ma che, se fosse vero, dovrebbe porre un’altra domanda: la chiesa italiana ha pronto un “piano B”, ovvero un “progetto” differente? L’impostazione del problema non convince appieno Luigi Accattoli, decano dei vaticanisti, che prova ad allargare la veduta: “Non bisogna confondere quello che è un cambio avvenuto nel governo della chiesa italiana con una presunta crisi del progetto culturale, che invece non c’è.
Nella Cei è indubbio che i nuovi vertici – scelti però dal Papa, va ricordato – intendono seguire una linea di minor intervento in quello che chiamo il ‘conflitto legislativo’. E questo è in sintonia con una parte maggioritaria dell’episcopato, che era da sempre in sofferenza rispetto alla guida ruiniana”. Ma, spiega Accattoli, il Progetto culturale inteso come “lavoro per incrementare la rilevanza pubblica della fede e per sostenere una visione antropologica, quello non cambierà. Perché è un progetto ‘pedagogico’ di lunga durata. E soprattutto perché è frutto di una visione filosofica, culturale profonda e sedimentata, che inizia con l’ultimo pontificato di Montini e prosegue senza soluzione di continuità da allora. Un giudizio sulla modernità che non passa in fretta”. Il resto, compresi certi toni polemici, invece sì. Alla vitalità del Progetto serve però maggior freschezza. Al cuore del pontificato di Benedetto XVI c’è infatti l’esigenza di una “comunicazione della fede” più diretta ed essenziale.
Non è un caso che la filosofia di un sito di informazione religiosa molto vivace e seguito come Korazym.org, nato da un gruppo di giovani nel 2002 dopo la Giornata della gioventù di Toronto, sia proprio di “comunicare la vita, quindi anche quella della chiesa e il suo giudizio, attraverso i fatti e la realtà”, come dice una delle responsabili della giovanissima redazione, Angela Ambrogetti. “Chi non comunica non esiste”, si legge nella presentazione del giornale online, “ed è chiaro che i grandi temi che devono essere comunicati dai cristiani siano quelli che hanno a che fare con l’oggi, quindi la ‘questione antropologica’, la bioetica”, prosegue Ambrogetti, che non vede necessario alcun “piano B” per rendere diversamente presente la chiesa. Solo, aggiunge usando un termine caro al cardinal Ratzinger, “i cristiani dovrebbero essere meno ‘autooccupati’, autoreferenziali”.
Non esiste invece alcun “piano B”, secondo Marco Politi, “semplicemente perché il ‘piano A’ – inteso come definizione di un’antropologia culturale che valesse per tutti i cattolici – non è mai decollato in quanto irrealizzabile”. Storico vaticanista di Repubblica e autore del saggio polemico “La chiesa del no”, Politi spiega che il Progetto culturale, nel senso di organizzazione, convegni e studi come quello appena presentato sull’educazione (“lavoro eccellente”) continuerà tranquillamente sui suoi binari. “Ma la vera necessità culturale per la chiesa, al di fuori del ruolo politico che Ruini le ha garantito, sarebbe di iniziare a compiere una vera ricognizione di come a tutti i livelli, nella base, nelle assiociazioni, vengono oggi vissuti i contenuti della fede”. Perché, secondo Politi, la questione antropologica si gioca innanzitutto nel riconoscimento delle antropologie reali oggi presenti nella chiesa e nella società. Detto ciò, secondo Politi più che un “piano B” alla chiesa italiana “servirebbe un ‘piano ABC’, cioè il ripartire da un confronto interno più libero su tutti i grandi temi, che in questi anni è mancato, e non a caso poi si alimenta sui giornali, e non nelle riunioni ecclesiali”. E’ anche per questo, dice, che oggi come oggi “non ci sarebbe una gerarchia pronta e in grado di esprimere una visione culturale e antropologica”.
© 2009 - FOGLIO QUOTIDIANO
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