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Viaggio Apostolico di Sua Santità Benedetto XVI a Cipro 4-6 giugno 2010

Ultimo Aggiornamento: 11/06/2010 21:46
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07/06/2010 18:19

Dalla cattedra della Croce un messaggio di liberazione


dal nostro inviato Mario Ponzi

Forse non avevano bisogno di nuove motivazioni, ma di una iniezione di fiducia e di speranza sì. Così Benedetto XVI ha riservato ai sacerdoti, ai religiosi, alle religiose e ai movimenti ecclesiali laicali latini e maroniti due momenti di incontro e di preghiera.
Con la comunità latina il Papa ha celebrato la messa sabato pomeriggio, nella chiesa della Santa Croce, a pochi metri dalla sua residenza a Nicosia. È una chiesa parrocchiale. Può contenere circa 350 persone. Internamente si affaccia su un giardino fiorito come pochi se ne vedono. A volte ospita momenti di incontro organizzati dalla nunziatura, che si trova in un'ala dell'annesso monastero. Il più delle volte si anima per la presenza dei numerosi parrocchiani, immigrati per la maggior parte, che, dopo la messa, colgono l'unica occasione che hanno per incontrare i loro connazionali. Gli stranieri costituiscono la vera caratteristica di questa comunità ecclesiale latina. Solo duemila infatti sono cittadini ciprioti; altri settemila, pur essendo residenti stabilmente nell'isola sono originari di altri Paesi e ben quindicimila sono lavoratori stranieri che non hanno residenza permanente. In gran parte sono filippini; tanti nordafricani, diversi latinoamericani e molti srilankesi. Chiesa e comunità dipendono dalla cura pastorale del Patriarcato di Gerusalemme dei Latini, poiché la parrocchia è una delle tre latine sull'isola - sono quattro in tutto - storicamente curate dai francescani della Custodia di Terra Santa. Ecco perché il saluto liturgico all'inizio della messa è stato rivolto al Papa dal patriarca latino di Gerusalemme, Sua Beatitudine Fouad Twal.
La messa era quella propria della santa Croce. La preghiera ha assunto il tono dell'invocazione universale. Si è pregato e cantato in greco, in latino e in inglese. Ma qualsiasi fosse la lingua usata la preghiera era unica e corale. Cipro è infatti uno di quei Paesi nei quali desiderio di libertà, orgoglio di popolo, tradizioni e fedi diverse sono totalmente mescolati e radicati da formare un'anima sola. I cattolici, siano essi latini, armeni o maroniti, danno il loro modesto ma fondamentale contributo all'amalgama di questa anima, offrendo una preziosa testimonianza.
Il Papa nella sua omelia ha additato la croce come esempio e testimonianza dell'amore di Cristo e ha invitato a identificare nel suo mistero le sofferenze che patiscono i cristiani in tante parti del mondo per le privazioni e le umiliazioni causate dalle differenze etniche e religiose. Ha quindi esortato i sacerdoti a uno sforzo ancora più grande, per diffondere soprattutto la loro capacità di perdonare.
E dalla figura del Papa ma soprattutto dalle sue parole si sono così rinnovati lo slancio del perenne invito all'unione fraterna, la tacita condanna della violenza, la speranza in un futuro di pace e di giustizia. Un discorso difficile da fare e da capire se si ripensa alla breve processione che ha accompagnato il Papa all'altare. Il corteo si è mosso dal vicino monastero e, per entrare nella piccola chiesa, è passato all'esterno, sotto lo sguardo dei militari delle Nazioni Unite di guardia sui tetti diroccati, e le forze turche a ridosso del filo spinato, sulla linea che spezza in due la città. Si avvertivano le note del canto d'introito e, per una strana coincidenza, il tocco delle campane che segnavano l'ora. Una melodia che invitava a volgere lo sguardo verso l'alto del cielo e lo scandire del tempo che costringeva a tenere i piedi per terra.
Ma forse proprio per questo l'invocazione del Papa ha assunto ancor più valore. Parlava ai sacerdoti latini lì davanti a lui, ma il suo sguardo era rivolto più a oriente, verso il resto della Terra Santa, che continua a essere bagnata dal sangue di vittime innocenti. La storia passata, e purtroppo quella recente, i luoghi comuni sulla mescolanza di fede e nazionalismo, di politica e religione sembrano effettivamente avallare alcuni timori. C'è bisogno di un rinnovamento da dentro. Questo è il vero grande ruolo che compete alle religioni:  favorire il rinnovamento spirituale. Un messaggio che è stato colto anche dallo sceicco Mohammed Nazim Abil Al-Haqqani, leader spirituale di un movimento sufi, 89 anni, personalità di spicco nel mondo islamico a Cipro, da sempre impegnato nel dialogo tra le religioni. Nonostante abbia dovuto compiere uno sforzo non indifferente soprattutto per le sue condizioni fisiche - dovute all'età - non ha voluto mancare l'incontro con il Papa. Lo ha atteso seduto su una sedia all'esterno della nunziatura. Si è alzato per andargli incontro appena lo ha visto. Si è scusato per il fatto di aver aspettato seduto, "ma sa - gli ha detto - sono molto anziano". E il Papa, tendendo le braccia quasi per sostenerlo, gli ha risposto:  "Capisco, sono anziano anch'io!". Il leader sufi gli ha spiegato che vive dietro la chiesa, nella parte Nord di Cipro, e che, dal momento in cui ha saputo del suo arrivo, è stato determinatissmo nel volerlo salutare. Nazim ha voluto lasciare al Papa in dono un bastone istoriato, una targa con parole di pace in arabo e un rosario musulmano. Il Pontefice, da parte sua, gli ha donato una medaglia. L'incontro si è concluso con un abbraccio fraterno e con l'assicurazione che ognuno di loro avrebbe pregato per l'altro. Quattro minuti in tutto, forse di meno. Ma si è trattato di una testimonianza dello sforzo che devono fare le religioni per trovare dentro se stesse la forza e la chiave per interpretare i segni dei tempi e condurre l'umanità verso la pace.
Lo ha ripetuto ai fedeli della sua Chiesa cattolica Benedetto XVI, anche durante l'incontro riservato ai maroniti. Hanno colto la delicatezza del pensiero del Papa il quale ha voluto recarsi nella loro chiesa cattedrale, dedicata a Nostra Signora delle Grazie. È stato l'ultimo momento della sua permanenza a Nicosia, domenica pomeriggio, prima di raggiungere l'aeroporto internazionale di Larnaca da dove è partito alla volta di Roma.
Nella cattedrale, posta nel cuore della città vecchia, circa trecento fedeli hanno accolto il Papa con un canto melodioso, della più pura tradizione liturgica maronita. Tra loro c'erano anche quanti hanno collaborato con il comitato organizzatore della visita. Dopo lo scambio dei discorsi - il Papa è stato salutato dall'arcivescovo maronita di Cipro, monsignor Joseph Soueif, e dal patriarca di Antiochia dei maroniti, Sua Beatitudine il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir - è stata intonata la preghiera del perdono, secondo la liturgia siriaca. La cerimonia si è conclusa con un'invocazione a Maria e la successiva benedizione del Papa.
Mentre lasciava la chiesa lo seguiva l'eco di un canto, anche questa volta eseguito in lingue diverse, ma capaci di esprimere un unico sentimento di gratitudine per il dono di una presenza.


(©L'Osservatore Romano - 7-8 giugno 2010)
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