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la beatificazione di don Carlo Gnocchi

Ultimo Aggiornamento: 26/10/2009 18:09
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«Non dimenticatevi di vivere»


Pubblichiamo ampi stralci di un articolo del presidente della Fondazione Don Gnocchi tratto dall'ultimo numero della rivista "Communio" (Jaca Book) appena uscito e dedicato all'azione sociale della Chiesa.

di Angelo Bazzari

"Mi raccomando. La passione sociale è un distintivo delle anime che hanno capito il cristianesimo e che vogliono viverlo attivamente. Come non c'è un Cristo diviso e separato dai suoi fratelli, così non ci può essere un cristiano separato dai fratelli", ha detto l'Adam, e Péguy anche più fortemente ha definito il cristianesimo "un immischiarsi furiosamente nelle cose che non ci riguardano".
Questa raccomandazione che don Carlo Gnocchi rivolgeva al giovane e promettente Alberto Crespi nel 1943 riassume bene il suo approccio alla questione sociale e all'impegno politico che il secondo dopoguerra aveva messo sul tappeto con estrema urgenza per i cattolici impegnati nella ricostruzione del Paese. 
Don Carlo, del resto, era cresciuto alla scuola del cardinale Ferrari, arcivescovo di Milano dal 1894 al 1921, che della dottrina sociale della Chiesa aveva fatto il perno del suo servizio pastorale e della formazione di sacerdoti e di laici di forte e convinta spiritualità, vestita di concretezza per mordere la realtà sociale.

Quella di don Gnocchi era una preoccupazione eminentemente educativa. Ce lo ricorda nell'opera Educazione del cuore del 1937, pubblicata non appena iniziato il suo impegno spirituale al prestigioso Istituto Gonzaga dei Fratelli delle scuole cristiane di Milano, finalizzato ai giovani della borghesia milanese potenziali candidati alla futura classe dirigente del Paese:  "I giovani impieghino ad altro rendimento le loro esuberanti energie di mente e di cuore, sentano la passione politica, si appassionino per la questione sociale, che porta loro la voce accorata di tante miserie e di tante ingiustizie, lottino pure per l'arte, prendano il tifo per lo sport, si mettano a capofitto in qualche associazione, pur di fare:  scrivano, leggano, combattano, si azzuffino, soffrano, corrano, ma vivano, perbacco, vivano e non si lascino vivere".

È un'accorata esortazione ad appropriarsi nel copione sociale e nella vita pubblica delle responsabilità non solo per diritto, ma per obbligo di osservanza, che enuncerà con maggiore forza e sistematicità in Restaurazione della persona umana del 1946, con queste parole:  "Il cittadino deve prendere viva parte diretta alla vita nazionale e al governo della cosa pubblica; non ne ha soltanto il diritto facoltativo, ma un obbligo grave di coscienza, il medesimo che gli comanda di essere persona. Di questo egli deve convincersi e bisogna energicamente convincere anche il popolo italiano, il quale, nel suo costituzionale disinteresse alla vita pubblica e, per la sua naturale pigrizia, ha più volte, nella sua breve e sfortunata storia politica, consentito che il campo della cosa pubblica, lasciato incontrastato libero dai probi cittadini, e il governo dello Stato fossero facile preda degli incompetenti, degli ambiziosi, dei professionisti della politica o peggio dei profittatori e degli avventurieri".

Espressioni indubbiamente taglienti e forti, dettate da esperienze di vita durante il ventennio fascista, sostenuto da una propaganda manipolativa e truffaldina, alimentata da violenze devastanti, che don Gnocchi aveva patito sulla sua pelle e vissuto in prima persona nella lande desolate del Don, in una terra insolente e inospitale, durante la tragica ritirata di Russia nel gennaio del 1943.

Parole sgorgate da una straordinaria capacità di giudizio critico sulla realtà che stava vivendo e suggerite da quello spirito di profezia che ha sempre connotato il suo pensare e caratterizzato il suo agire.
Ma c'è un'ulteriore spiegazione di queste dure parole, riassumibile nell'intuizione profonda del significato dell'Incarnazione, la "differenza cristiana" in azione.

Il tema dell'incarnazione del Verbo di Dio è sempre stato al centro, in modo esplicito o in maniera implicita, del pensiero e dell'opera di don Carlo. Lo scrive in un altro passo di Restaurazione della persona umana:  "L'essenza gaudiosa e la novità rivoluzionaria del messaggio cristiano è tutta nella verità dell'Incarnazione, che si traduce, per ogni uomo e per la civiltà tutta, nella possibilità e nella certezza di una rinascita provocata dall'innesto della vita divina sull'esausta vita umana:  così come nella persona di Cristo".
Per don Gnocchi è più che mai essenziale e decisivo per l'umanità riscoprire il senso dell'Incarnazione perché "in questo faticoso itinerario della mente a Dio, la nostra epoca porta caratteristiche e condizioni particolari:  anzitutto un immenso e disperato bisogno di Dio. Mai epoca della storia ha cercato più forsennatamente della nostra una verità, una giustizia ed un amore supremo. Se ancora si illude di poterli trovare altrove che in Dio, è soltanto un fatale errore di orientazione; l'istinto che la sospinge e la esalta è profondamente vero e il dispendio di eroismo offerto per questa impresa è quanto di più gigantesco l'umanità abbia realizzato sulla via della verità e della carità".

Non quindi un "concetto" di Dio, il Dio dei filosofi, come direbbe Pascal, perché "il nostro tempo ha bisogno di un Dio di giustizia e di amore nel quale gli uomini si ritrovino fratelli e perciò diano una mano a sanare le gravi ingiustizie che ancora li dividono:  un Dio terrestre e umano, da amare e da seguire appassionatamente come un capo e una dottrina nuda e essenziale e pur capace di sostenere lo slancio eroico e il bisogno di dedizione che è nel cuore dell'uomo moderno. Orbene - conclude don Carlo - mi pare che nessuno meglio di Gesù Cristo possa rispondere a questi requisiti:  Dio disceso in questo mondo e pure uomo come tutti noi, vissuto e morto su questa terra, giovane, forte e dolce, che ha sperimentato tutta la nostra vita in quello che ha di più umile e ci ha amato fino a morire per la nostra salute. Bisogna che l'uomo moderno si riaccosti direttamente ed esclusivamente a Lui. Non sarà facile trovarlo solo e puro, a causa della ressa dei santi, di devozioni, di credenze e di prescrizioni che gli hanno messo intorno certa religione barocca e popolaresca, risentirne la forza e novità, dopo tanta letteratura oleografica e predicazione convenzionale. Ma pure il Vangelo, per chi lo sa leggere, custodisce integra e pura la sua figura e la sua dottrina e la Chiesa cattolica, nella sua azione essenziale, ne rivive l'opera salvatrice del mondo".

L'antropologia cristiana è tutta qui. Per il cristiano infatti "l'individuo è una parola detta da Dio una volta sola, per sempre e che soltanto Lui conosce adeguatamente. L'enigma stesso che ogni uomo racchiude per sé e per gli altri, lo colloca in una lontananza e in un isolamento misterioso e lo rende assolutamente indicibile, inesprimibile. Ogni uomo, coi sensi più intimi del proprio essere, sperimenta nelle sue profondità vitali questo carattere costante di "aseità" augusta e misteriosa". Ne consegue un rovesciamento di prospettiva rispetto alle ideologie che, in genere, subordinano la persona e la vita individuale agli imperativi dello Stato o alle diverse e totalitarie utopie che si sono accreditate dalla notte dei tempi, sia pure nell'illusorio intento di far guadagnare all'uomo la felicità.

Don Gnocchi ammonisce infatti affermando che "non l'uomo è per la causa, ma le cause sono per l'uomo". L'uomo rimane una realtà inviolabile e irripetibile. Perciò "nessun uomo può essere, e tanto meno essere reso, copia di un altro perché egli è copia di Dio, riflesso di una delle sue infinite qualità e una faccia del suo prisma. È dovere di ogni uomo verso se stesso e della società verso ogni uomo, di conservare, di rispettare e di sviluppare questa originalità della persona, sigillo della sua divina origine per meglio attuare il disegno di Dio sull'individuo e sulla storia".

Questa consapevolezza però non deve indurre l'uomo ad avvitarsi su di sé, a murarsi in uno splendido isolamento, perché "la persona non è una goccia d'acqua senza consistenza che si può dissolvere nell'oceano, nemmeno allo scopo di costituire la maestà e la potenza di questo, né una monade chiusa e senza finestre. Tra il rifiuto di sé e l'abdicazione di sé, c'è il dono di sé". 

Siamo al centro gravitazionale del pensiero e del cuore pulsante dell'azione sociale di don Gnocchi:  la persona è se stessa quando si dona, ovvero esercita la carità, proprio come fa Dio incarnandosi e vestendosi di umanità. Non l'utopia quindi, non la sola compassione, non l'esercizio del potere danno ragione dell'agire cristiano nella vita sociale e politica, ma il dono di sé, che si fa progetto condiviso con altri uomini per riportare l'umanità a come Dio l'ha sognata da sempre e che don Carlo traduce così:  "Cristo dunque, vero Dio e vero uomo, è l'esemplare e la forma perfetta cui deve mirare e tendere ogni uomo che voglia possedere una personalità veramente umana, capace cioè di attuare pienamente l'istinto che la sospinge a superarsi e ad ascendere verso il divino... Ogni restaurazione della persona umana, che non voglia essere parziale, effimera o dannosa, non può essere quindi che la restaurazione in Cristo di ogni uomo".

Questa restaurazione integrale della persona umana implica il dovere di affrontare con serietà il mistero del male e del dolore, soprattutto di quello innocente, che fa scandalo e problema. Occorre "attraversare" il mistero della croce di Cristo, emblema di ogni impotenza, sintesi di ogni dolore, ma anche dichiarazione pubblica di un amore senza confini e senza misura, se si vuole avere la chiave per comprendere il vivere umano.

La croce come apparente eclissi di Dio, ma anche annuncio di una definitiva irruzione della Grazia nel mondo e l'avvio di una nuova umanità redenta. Ecco perché don Gnocchi scrive che "dopo Cristo non è più possibile altra redenzione che non sia "cristiana" e il sangue dell'uomo non ha potere di purificazione e di pacificazione se non è versato e commisto a quello di Cristo nel calice della messa, rinnovazione e attuazione del sacrificio del Redentore".
E ancora, perché concepisce la cura della salute dell'uomo come vera e propria azione redentiva:  "La cura degli ammalati, le arti della medicina, la carità verso i sofferenti, la lotta contro tutte le cause dell'umana sofferenza sono una vera e continua redenzione materiale che fa parte della redenzione totale di Cristo e di essa ha tutto l'impegno e la dignità". Una mirabile sintesi e un riepilogo della sua vita, della sua opera e del suo pensiero, scolpiti in queste parole"Nella misteriosa economia del cristianesimo, il dolore degli innocenti è dunque permesso perché siano manifeste le opere di Dio e quelle degli uomini:  l'amoroso e inesausto travaglio della scienza; le opere multiformi dell'umana solidarietà; i prodigi della carità soprannaturale".

Non basta l'ammirazione per un uomo che non ha trattenuto niente per sé, donando, primo in assoluto in Italia, persino le cornee a due ragazzini non vedenti, come gesto di amore infinito per i suoi mutilatini. Non è sufficiente lo stupore per la straordinaria opera in forte espansione che oggi porta il suo nome. Serve poco sapere dove ha tratto le risorse per realizzare quello che ha costruito se non si comprende appieno la radice di tutto il suo operare, meglio, di tutto il suo essere. Don Gnocchi ha scelto la carità come "via definitiva" perché essa è segno della presenza di Dio nella storia, nonostante il male e la sofferenza, capace già ora di prefigurare e far gustare ciò che un giorno sarà definitivo per l'umanità. Una carità che va strutturata, organizzata in modo da "recuperare e intensificare la vita che non c'è, ma ci potrebbe essere", condividendo la sofferenza come prassi terapeutica e coniugando con rigore scienza e carità, al fine di realizzare una "terapia dell'anima e del corpo, del lavoro e del gioco, dell'individuo e dell'ambiente:  medici, fisioterapisti, maestri, capi d'arte ed educatori, concordemente uniti nella prodigiosa impresa di ricostruire quello che l'uomo o la natura hanno distrutto, o almeno, quando questo è impossibile, di compensare con la maggior validità nei campi inesauribili dello spirito, quello che è irreparabilmente perduto nei piani limitati e inferiori della materia".

In questa opera di restaurazione integrale della persona umana è decisiva per don Gnocchi l'attuazione del rapporto di "fiduciosa collaborazione", ossia di sussidiarietà tra Stato e iniziativa privata:  "Il modo più rapido, più economico e più conclusivo per lo Stato di attuare i propri compiti assistenziali è quello di entrare in stretta e fiduciosa collaborazione con l'iniziativa privata. In questa umanissima attività, dove la giustizia e la carità si danno la mano, fin quasi a confondersi, né lo Stato può fare senza l'iniziativa privata, né questa deve fare senza lo Stato. La giustizia retributiva può giungere anche ad organizzare una società lucida e perfetta come una macchina, ma appunto perché tale, arida ed effimera, dove venga a mancare l'olio della carità individuale".

Precisando molto bene l'importanza sociale della sua opera e il senso politico della sua stessa esistenza, vissuta a stretto contatto con i ruoli politici istituzionali. "Nell'esercizio dell'assistenza sociale, l'opus perfectum si trova soltanto nel connubio tra la giustizia e la carità, tra lo Stato e l'individuo, perché l'attività assistenziale, in quanto riguarda prevalentemente l'ora del bisogno, della prova e del dolore umano, è forse una di quelle che più da vicino attingono il sacrario misterioso della persona umana, dinanzi al quale lo Stato, e tanto più quello democratico, deve riverentemente arrendersi ed agire".
Il 25 ottobre di quest'anno, a Milano, don Gnocchi sarà proclamato beato, prototipo esemplare di una carità fattiva, fortemente proiettata sul futuro, utile per il mondo.


(©L'Osservatore Romano - 24 ottobre 2009)
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