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Giovanni Paolo II in un libro di Gian Franco Svidercoschi

Ultimo Aggiornamento: 04/10/2009 07:23
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04/10/2009 07:23

Quella risposta arrivata il 13 maggio


Nel  giugno  seguente [1979], la  visita  in  Polonia. Karol Wojtyla desiderava rivedere almeno una volta la sua Patria. Ma, quello che era di per sé un viaggio sentimentale e insieme un viaggio di fede, non poteva inevitabilmente non assumere delle connotazioni politiche. Anche perché in quel periodo storico, e a maggior ragione, adesso con un polacco salito sulla cattedra di Pietro, la sfida del comunismo, di un ateismo eretto a sistema, strumento di oppressione dei credenti e delle Chiese, era al primo posto delle preoccupazioni e della strategia diplomatica della Santa Sede.

Giovanni Paolo IIPapa Wojtyla, senza comunque tirare mai la corda, aveva fatto capire subito come  la  pensasse. Aveva  aggiornato l'Ostpolitik vaticana, vincolando ogni eventuale accordo con l'Est (proprio in nome dell'Atto di Helsinki) al rispetto dei diritti umani. Aveva detto che sarebbe stato lui, ora, a parlare per la "Chiesa del silenzio". Aveva rilanciato la questione dell'unità europea, rifiutando perciò la logica divisoria di Yalta. E aveva insistito ripetutamente sul concetto di libertà religiosa, non più solo in una prospettiva individuale o come libertà di culto, ma nel senso di una dimensione "sociale e pubblica" della fede.
 
Alla fine, anche Breznev, il despota del Cremlino, dovette cedere. Il Papa polacco tornò nella sua Polonia, e, come intuì immediatamente il cardinale König, quella visita fu un terremoto. La presenza di milioni di persone, specialmente di giovani. Le Messe nelle piazze. Le preghiere che sembravano tante frecciate contro il regime. Come a Varsavia. "Scenda il Tuo Spirito! E rinnovi la faccia della terra. Di questa Terra!". Il Papa che a Gniezno dava voce ai popoli slavi. Il Papa in preghiera ad Auschwitz. Il Papa nella sua Cracovia. Tutto fu un vero terremoto. E spaventò anche il capo della diplomazia vaticana, Casaroli, il quale, mentre una sera Wojtyla parlava dalla finestra con i giovani, si lamentò con alcuni cardinali:  "Ma che cosa vuole? Uno spargimento di sangue? Oppure vuole rovesciare il governo?".

Proprio durante quel viaggio, invece, i polacchi scoprirono di non avere più paura; e, la stessa voglia di libertà, di riscatto, cominciò ad allargarsi per cerchi concentrici ai Paesi vicini. L'anno dopo nacque Solidarnosc. Il proletariato si rivoltava contro lo Stato-partito, che aveva calpestato i diritti dei lavoratori, del lavoro stesso. Era il primo sindacato libero nel blocco sovietico. E, con il sindacati, c'era tutta la società polacca. C'era il sostegno di Giovanni Paolo II. E quando pochi mesi dopo la situazione prese a farsi pericolosa, e arrivarono i segnali di una possibile invasione da parte dell'Armata Rossa, Wojtyla scrisse al presidente sovietico richiamando la storia della sua Patria, le sofferenze patite, il suo diritto a essere libera, sovrana, a decidere del proprio destino.

Quella lettera però non ebbe mai alcuna risposta. A meno che non si voglia considerare una "risposta" il tentativo di uccidere il Papa polacco, di eliminare colui che sarebbe stato un testimone troppo scomodo, troppo "ingombrante", al momento del colpo di Stato del generale Jaruzelski, e poi della repressione, della cancellazione legale non solo del movimento operaio ma, in pratica, della libertà di un'intera nazione. "Penso che esso sia stato - scrisse il Papa dell'attentato in Memoria e identità - una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza, scatenatasi nel XX secolo". Come non leggere in queste righe l'idea del Papa, se non addirittura la convinzione, che per individuare chi avesse armato la mano di Alì Agca sarebbe stato necessario risalire a qualche servizio segreto dell'Est?



(©L'Osservatore Romano - 25 settembre 2009)

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