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La paternità spirituale del cappellano militare

Ultimo Aggiornamento: 07/10/2009 13:11
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07/10/2009 13:11

La paternità spirituale del cappellano militare

Anche nella vita militare è centrale il ruolo del sacerdote



ROMA, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).-

Riportiamo di seguito l'articolo a firma di mons. Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, apparso sul nuovo numero di Paulus, dedicato a “Paolo il lavoratore”.

 * * *

Costruire il presbiterio e annunciare il Vangelo nel mondo militare: è il programma della Chiesa Ordinariato per rendere più solida la fede, certa la speranza e operosa la carità. A nessuno sfugge la fine dell’epoca di cristianità, che, in pochi decenni, ha messo in questione un’impostazione pastorale consolidatasi nei secoli e capace di formare generazioni di cristiani. Percepiamo la perdita di punti di riferimento, il vuoto di fondamenti, lo sfaldamento dei valori e di una certa prassi etica, il diffondersi di esperienze religiose vaghe. In tale cambiamento affiora un’assistenza spirituale alle Forze armate, che esige l’autentico confronto con la cultura moderna e i fenomeni della secolarizzazione per intercettare le istanze di fondo della società e individuare il modello di annuncio del Vangelo da proporre. Di qui il bisogno di cappellani militari che sappiano offrire la loro esistenza per aiutare altre persone a “vedere” e “toccare”, in certo modo, quel Gesù che hanno accolto. Soltanto attraverso presbiteri toccati da Dio, Egli può far ritorno presso gli uomini. Penso a tutti quei sacerdoti impegnati tra i militari con l’umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo. Come non sottolineare la loro generosità apostolica e il loro servizio infaticabile? Ma i cappellani, come gli altri sacerdoti, avvertono i rischi degli anni che passano: lo scoraggiamento, l’accettazione più o meno consapevole della mediocrità, l’abitudine a dei “surrogati” quasi che essi soli possano rendere praticabile il ministero ricevuto. Facendo spazio alla grazia di Dio, tutto può diventare occasione preziosa di purificazione, per scendere dalla superficie delle cose alla profondità del Mistero che avvolge la storia umana. Un percorso provvidenziale nel contesto dell’Anno Sacerdotale, che vede la comunità castrense impegnata a risvegliare il significato, la bellezza e la celebrazione della Penitenza sacramentale, come pure la necessità dell’accompagnamento spirituale.

Una caserma come parrocchia

L’Anno Sacerdotale vuole essere un tuffo nella spiritualità, sperimentando, alla scuola di san Giovanni Maria Vianney, l’inesauribile fiducia nel sacramento della confessione, dove viene offerto l’infinito amore di Dio per l’uomo. Opportunamente papa Benedetto XVI afferma: «I sacerdoti non dovrebbero mai rassegnarsi a vedere deserti i loro confessionali né limitarsi a constatare la disaffezione dei fedeli nei riguardi di questo sacramento» (Lettera per l’indizione dell’Anno Sacerdotale). Al riguardo, perché le caserme, le navi, gli aeroporti, in Italia e all’estero, diventino come la parrocchia del Curato d’Ars, sono state avviate alcune iniziative pastorali, suggerite nella mia ultima Lettera Pastorale dedicata alla direzione spirituale: catechesi sul sacramento della Riconciliazione; lectio biblica sul senso del peccato e sul perdono; meditazioni mensili sul sacerdozio; l’annuale convegno del presbiterio castrense, dal 19 al 22 ottobre prossimo, su “Parola di Dio e accompagnamento spirituale”; tre corsi di Esercizi spirituali su “Guide spirituali nella Bibbia”. Ai cappellani si chiede di gustare e frequentare periodicamente la direzione spirituale ed essere consapevoli della loro paternità, fatta di fermezza e dolcezza, forza e tenerezza, seguendo i militari con lo sguardo non solo degli occhi ma del cuore. Uno sguardo caldo, capace di infondere fiducia all’altro, una fiducia che dice: «Tu mi interessi in questo momento più di ogni altra cosa; tu sei qui adesso e sei importante per me». Non c’è dono più accetto a Dio del fatto di presentargli discepoli che, mediante la conversione, si avvicinano a lui. Il mondo intero non vale tanto quanto l’anima di un uomo, perché il mondo passa mentre l’anima è e resta incorruttibile. «Un buon pastore – esclamava Giovanni Maria Vianney – un pastore secondo il cuore di Dio, è il più grande tesoro che il buon Dio possa accordare a una parrocchia e uno dei doni più preziosi della misericordia divina». Il cappellano ha sempre qualcosa che avvince. Ha la grazia. La sua porta è aperta a tutti. Il dovere della sua vita è essere uomo per gli altri. Ferito dalle sofferenze, dalle malattie delle persone, dal numero dei loro peccati, è al tempo stesso sereno, pieno di benevolenza, indulgente e compassionevole. Chi lo incontra cambia vita, ritrova la fede e la fiducia e ricentra la propria esistenza su Dio.

L’accompagnamento spirituale

Più siamo attaccati a Cristo, più il nostro cuore è pieno di Lui e di desiderio che tutti lo conoscano e lo amino, divenendo – anche se non ce ne rendiamo conto – suo segno trasparente; più si affina la nostra capacità di attrarre verso di Lui, più contiamo su di Lui e meno sulle nostre capacità e più la grazia si fa strada nel cuore dei nostri militari con la consegna di un amore disinteressato e gratuito, offrendo l’indicazione di una via di uscita a un fratello disperato, che non vede alcuno spiraglio di luce. E talvolta l’indicazione della via deve essere unita a qualcosa d’altro. Occorre un invito, un gesto che rende possibile e concreta la via della salvezza: Il gesto del samaritano che si carica sulle spalle il viandante percosso dai banditi, lo porta alla locanda, ci rimette del suo: ecco l’accompagnamento spirituale. Come il santo Curato con il consiglio persuasivo accostò i suoi parrocchiani alla vita sacramentale, particolarmente alla Riconciliazione, dando il via ad un circolo virtuoso, così i cappellani offrendo la propria disponibilità, la propria casa, la propria vita mostrano e fanno scoprire dei “varchi” nelle esperienze umane del limite con la loro parola e la celebrazione dei sacramenti. Nell’esistenza cristiana, illuminata dalla prospettiva della fede e dalla certezza della verità della presenza del Signore, l’amore stesso di Dio ci tiene uniti a Sé e fra di noi più fortemente di quanto possono le promesse umane. I cappellani militari celebrano l’Anno Sacerdotale con entusiasmo, desiderosi di crescere nella perfezione spirituale, dalla quale soprattutto dipende l’efficacia del loro ministero. E poiché c’è uno stretto rapporto tra il sacerdozio battesimale e quello ministeriale, anche se sono di natura diversa, ogni fedele militare con la sua vita santa è chiamato a essere opera lucis. Ma di questa luminosità cristiana il presbitero ne è come una sorgente. L’augurio è che la nostra Chiesa abbia una claritas occupans ac dirigens. La chiarezza non è solo quella che illumina la vita personale del sacerdote, ma anche l’intero popolo di Dio; il dirigens non è solo riferito alla condotta personale del cappellano, ma anche a quell’accompagnamento spirituale da riservare ai fedeli perché camminino sulla via della salvezza. Un Anno di intensa vita interiore, quindi, nella grande e bella famiglia militare, che esprimerà e nutrirà la gioia di essere cristiani: una gioia che sgorga dalla certezza che Dio ci ama.

Vincenzo Pelvi
Arcivescovo Ordinario militare per l’Italia
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