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Due testimonianze in memoria di Alda Merini morta il primo novembre

Ultimo Aggiornamento: 05/11/2009 15:25
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Due testimonianze in memoria di Alda Merini morta il primo novembre

Lettere imprecise spedite all'amato


di Gianfranco Ravasi

"Se tu conosci / l'ala dell'Angelo / se tu lasci la madre terra / che ti ha così devastato (...) / ora che vedi Dio / riconosci in te stesso / il fiore della sua lingua". Scelgo questi versi emblematici tra i suoi tanti per salutare Alda Merini:  sono tratti dalla raccolta poetica Clinica dell'abbandono che mi aveva dedicato nel 2003. La poetessa milanese, infatti, si era profondamente affezionata a me, attendeva le mie telefonate per dirmi spesso poesie che - come accadeva agli antichi rapsodi - affidava solo alla parola detta, lasciando che si cristallizzassero soltanto sulla pagina viva dell'anima di chi l'ascoltava. Sempre in quella raccolta aveva scritto:  "Ogni poeta / laverà nella notte / il suo pensiero / ne farà tante  lettere / imprecise / che spedirà all'amato / senza un nome".

Non so quando e come avvenne la nostra conoscenza:  certamente fu da quel momento in cui quella vena mistica, che era da sempre in lei, si irrobustì  fino ad assumere una forma nettamente cristologica. Fu così che nel 2001 mi chiese di scrivere la prefazione del suo Corpo d'amore. Un incontro con Gesù. La carnalità, che in lei era spesso intrecciata all'eros, qui si trasfigurava e diventata la sarx giovannea, la "carne" del Verbo, e la Divinità diveniva Umanità gloriosa e dolente. Aveva, così, voluto che fossi ancora io ad accompagnare una delle sue opere più alte, quel Poema della Croce (2004), non di rado approdato nelle chiese o in spazi religiosi come una moderna rappresentazione sacra.

La poetessa poneva il suo Cristo al centro dello spazio e del tempo in una epifania tragica eppur luminosa. Attorno allo sperone roccioso del Calvario s'addensava non solo l'odio del mondo, ma si delineava anche "il teatro della derisione", cioè la brutale stupidità e la volgarità dell'umanità che la Merini tanto detestava. Eppure su quell'asse della derisione e della crudeltà si inaugurava il giudizio definitivo sul male e si apriva il cielo della redenzione. La croce, ove si raggrumava il dolore di Dio, diventava segno  d'amore:  "Dio ha espresso il suo amore per l'uomo col pianto". Cristo è "la lacrima di Dio", una lacrima che "coprì tutta la carne del Figlio".

La colpa e la grazia, l'inferno e la gloria, la tenebra e la luce sono stati i poli della ricerca spirituale di Alda, una ricerca attraversata non di rado dai fulmini della follia che lei non temeva di rappresentare, consapevole - come era accaduto nella grande tradizione mistica e letteraria (si pensi solo all'Idiota di Dostoevskij) - che esiste una possibilità di conoscenza metarazionale che non è sempre e necessariamente irrazionale. È per questo che nel 2007 aveva voluto che io preparassi un'altra introduzione per il poema consacrato al santo "folle" Francesco d'Assisi, "il liuto di Dio". Libero e nudo, egli entra agli occhi degli uomini "logici" e calcolatori in quella  pazzia che è suprema saggezza, "folle come te, Signore, folle d'amore".

Alda Merini non mi aveva mai perdonato di avere lasciato Milano, la comune città, per Roma. Le sue sterminate telefonate avevano negli ultimi tempi sempre questa stimmata d'amarezza. Quando l'avevo visitata anni fa per la prima volta nella sua casa ai Navigli, aveva voluto rivestirne il terribile abbandono e la povertà con una valanga di fiori, secondo quella generosità che la spogliava persino del necessario pur di donare qualcosa a un altro. Aveva persino convocato un violinista che l'accompagnasse al pianoforte che lei sapeva suonare, mentre il cantore delle sue poesie, Giovanni Nuti, mi avrebbe offerto alcuni versi musicati. Anche due settimane fa, prima che io partissi per un viaggio in America, chiamandola all'ospedale milanese ove era ricoverata mi aveva strappato la promessa che l'avrei visitata a Natale, quando sarei ritornato lassù, anche perché - mi diceva - "non riuscirò a venire a Roma per l'incontro del Papa con gli artisti del 21 novembre", incontro a cui l'avevo invitata. Ci ritroveremo, invece, su altre strade. Per me sarà la via della memoria spirituale e del ricordo a Dio, ma anche quella dei molti doni che mi aveva destinato, come il crocifisso di un artista noto che aveva voluto darmi alla vigilia della mia ordinazione episcopale e che ora è nella mia casa romana.

Nata nel primo giorno di primavera, Alda Merini è morta nella solennità di Tutti i Santi. Vorrei, allora, dedicare a lei quei versi finali d'una poesia inedita che mi aveva inviato proprio nel giorno - due anni fa - del funerale di mio padre:  "Non scongiurare la morte / di lasciarlo qui sulla Terra:  / ha già sentito il profumo di Dio, / lascialo andare nei suoi giardini".


(©L'Osservatore Romano - 2- novembre 2009)
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