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Un attacco a testa bassa al motu proprio. Bullismo e disinformazjia dei Dehoniani

Ultimo Aggiornamento: 28/01/2010 10:09
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28/01/2010 10:09

Un attacco a testa bassa al motu proprio. Bullismo e disinformazjia dei Dehoniani

I Dehoniani hanno inviato in questi giorni a tutti i sacerdoti italiani, per invitarli all'abbonamento, il primo numero dell'anno della rivista Settimana, poco raccomandabile periodico che cerca di spargere, con ritardata insistenza su parole d'ordine sempre più fruste e surreali, il verbo del progressismo cattolico. Non è certamente un caso che proprio in questo numero destinato gratuitamente alla massima diffusione possibile, sia apparso un attacco frontale e dichiarato al Motu proprio di Papa Benedetto e ad un sito, Maranatha, che dà ai progressisti un estremo fastidio. Sì: perché mentre fornisce un servizio liturgico impareggiabile, ed è quindi usatissimo dai preti, trasmette anche informazioni sulla Tradizione immemoriale della Chiesa: quella che molti vorrebbero veder seppellita e dimenticata per sempre. Alcuni di questi preti si adontano di trovare su quel sito i capisaldi dell'ortodossia (la dichiarazione Dominus Iesus, il Messale tridentino, alcune encicliche preconciliari, il Catechismo di S. Pio X e quello tridentino, tanto per citarne alcuni). Il fastidio è accresciuto dal sospetto (fondatissimo!) che molti loro confratelli si lascino sedurre da quel pericoloso materiale reazionario... Ed ecco allora che cosa è apparso sul numero citato della rivista dehoniana (nostri le sottolineature e i commenti interpolati in rosso):


CHI VUOLE TORNARE AI "RITI TRIDENTINI"?

Gentile redazione,
sono stato ordinato presbitero [diffidate di questa parola: è un marchio di fabbrica del modernista medio: per loro i semplici vocaboli 'prete', o 'sacerdote', sanno troppo di curato d'Ars] lo scorso 9 maggio e sono un vostro abbonato. Sono qui a sottoporvi una questione che mi sta a cuore: il fatto di uno strano movimento liturgico, secondo me contrario alla riforma e al concilio Vaticano II, perché stanno sempre più puntando sul fatto che la santa messa cosiddetta "tridentina" è il rito romano "giusto".
Vorrei che si facesse chiarezza sulla possibilità di utilizzo del rito straordinario reintrodotto dal motu proprio di Benedetto XVI e, soprattutto, che venga messa a tacere ogni forma di confronto tra i due riti [frase ingenuamente confessoria dell'effettivo liberalismo di questi sedicenti 'aperti']. Per darvene un esempio, vi invito a visitare il sito
http://www.maranatha.it/.
Vorrei che si facesse capire "a certa gente" quale grande valore ha la partecipazione dell'intero popolo di Dio alla liturgia [frase fatta insignificante se ce n'è una].

lettera firmata


Come il nostro lettore, anch'io che per anni ho usato il sito http://www.maranatha.it/, in questi ultimi mesi sono stato sconcertato dal fatto che esso misceli tranquillamente i testi dei due messali (Pio V e Paolo VI), come fossero equivalenti [FALSO: i testi dei due messali sono nel sito chiaramente distinti. Ma questa gente è talmente latinofoba da scambiare il messale di Paolo VI nella versione originale latina dell'Editio typica con quello di S. Pio V... E' vero che molto spesso il messale paolino in latino è così lontano dalle infedeli traduzioni da sembrare 'tridentino' (e per questo motivo, Maranatha fa benissimo a mettere a fronte i testi latino e italiano del novus ordo: così risalta la malizia dei traduttori). Ma nulla giustifica una così grossolana cappella dell'articolista, che perdipiù ha la patente, come vedremo, di liturgista]. Il tutto accompagnato da presentazioni ed elogi vari, compreso il "libello" dei cardinali Ottaviani e Bacci, uscito nel 1969 e denigratorio della riforma, perché viene letta con la lente di un sola stagione teologica della chiesa. Stranamente in questi giorni è sparito dal sito... [non è vero: l’illuminante scritto dei due cardinali – Ottaviani poi era Prefetto del S. Uffizio - è sempre presente su Maranatha; quanto all'accusa di usare la lente di una sola stagione teologica, sembra fatta apposta proprio per descrivere chi formula l'accusa, che dimostra d'essere mentalmente rinchiuso nel recinto della nouvelle théologie, già moribonda dopo poco più di mezzo secolo di vita].

Cosa dire di questo "movimento liturgico" che vuole tornare ai cosiddetti "riti tridentini"? In pratica, però, Trento non fa che codificare il Missale della corte di Innocenzo III [che però a sua volta corrispondeva nell'essenziale al rito romano di molti secoli prima: è molto più simile alla Messa che celebrava Gregorio Magno il Messale tridentino, che non l'artificiale assemblaggio creato da Bugnini].

Come rispondere alle domande del lettore? Ripercorrendo brevemente il documento Avvio di una riflessione sul motu proprio "Summorum pontificum" di Benedetto XVI, redatto nel settembre 2007 dall'Istituto di liturgia pastorale di Padova, dall'Associazione professori e cultori di liturgia e dal Monastero di Camaldoli [E' COME SE LA BANDA BASSOTTI, GAMBADILEGNO E DIABOLIK SI METTESSERO A SCRIVERE UN COMMENTARIO AL CODICE PENALE!]. Il documento vuole riflettere sulla situazione che verrà a crearsi nelle comunità di rito romano e vuole «offrire un contributo alle delicate mediazioni che saranno necessarie per evitare che l'impatto della nuova disciplina possa generare nella realtà ecclesiale divisioni e contrapposizioni e non comunione e riconciliazione, come è nelle sue intenzioni». Il punto centrale del problema sta nell'interpretazione del Vaticano II e dei documenti della riforma liturgica promulgati negli anni seguenti. Sono in continuità o in rottura con la tradizione liturgica precedente?

Lo storico non può non osservare che è dalla metà del 1800 che nascono istanze di revisione dei riti. Lo stesso Benedetto XVI ha più volte criticato un'interpretazione del concilio in termini di pura discontinuità e rottura. Infatti, assicurare continuità e vitalità ad una tradizione, significa rinnovarla nella continuità e, nello stesso tempo, con un certo grado di discontinuità. Ogni tradizione rituale vive delle sue radici e sopravvive, non nonostante, ma attraverso le riforme.
Si deve fare un'osservazione importante: non si è ritornati al Missale Romanum del 1570 (detto di Pio V), ma al Missale Romanum del 1962 riveduto da Giovanni XXIII. È quindi improprio dimenticare l'opera di riforma che la stessa Santa Sede ha operato lungo gli ultimi secoli.

Ma quali sono i valori irrinunciabili che devono essere valorizzati anche da chi vuole usufruire dell'indulto? Essenzialmente tre:

a) la riforma liturgica non va messa in dubbio teologicamente, permanendo il ritorno ai libri tridentini come forma rituale extraordinaria e non ordinaria e universale;

b) non si deve creare una divisione [che si crea precisamente per effetto di atteggiamenti di sufficienza e di esclusione, come quelli mostrati e propagandati da questo testo], né il motu proprio liberalizza l'uso dei libri tridentini [ah no? tutti i commentatori si sono sbagliati?]. Difatti, per la forma ordinaria non sono esigite [il participio passato di 'esigere' è 'esatto'... ma non esigiamo troppo] delle condizioni precise, mentre lo sono quelle per l'uso della forma extraordinaria;

e) una di queste condizioni è che la partecipazione attiva dev'essere salvaguardata (ad esempio, non solo mediante un ascolto silenzioso, ma anche attraverso una certa comprensione del latino) [FALSO: benché alcuni vescovi ostili si siano inventati di far l'esame di latino ai fedeli, nulla li autorizza a ciò, come chiarito dall'Ecclesia Dei: né nel motu proprio, né nella lettera di accompagnamento; in quest'ultima di dice che 'l’uso del Messale antico presuppone una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina'; ma solo per prevedere sociologicamente che le richieste saranno limitate, non per imporre requisiti che, per esser tali, dovrebbero essere normativamente sanciti dal testo del motu proprio].

Il lettore auspica che si faccia chiarezza «sulla possibilità di utilizzo del rito straordinario». Sulla scorta del già citato documento e della Lettera ai vescovi inviata dopo il motu proprio, mi sembra di poter sintetizzare nei punti seguenti le condizioni richieste per la celebrazione liturgica in forma extraordinaria [altro marchio di fabbrica lessicale: questa gente si sente costretta a ricorrere ad un termine inesistente in italiano, solo per non dover scrivere che la Messa antica è 'straordinaria', perché può lasciar intendere ch'essa è - come è - magnifica e sublime]:

1. Circa i soggetti che richiedono il rito straordinario, il documento precisa le condizioni oggettive e soggettive. Quelle oggettive prevedono parrocchie nelle quali ci sia un gruppo stabile di fedeli che lo chiedono. Risulta pertanto esclusa la richiesta di fedeli singoli e di non appartenenti alla stessa parrocchia o di gruppi eterogenei che lo chiedono per particolari circostanze [per fare un gruppo stabile bastano tre persone (
vedi qui). Se fosse vero quanto dice - e non lo è - allora basterebbe che un gruppo si scindesse in sottogruppi su base parrocchiale per ottenere, a norma del motu proprio, non un'unica Messa per città o diocesi, ma tante Messe quanti sono i sottogruppi così formati]. Le condizioni soggettive - si legge nella Lettera ai vescovi - insistono nel richiedere [niente affatto: vedi sopra] ai fedeli che celebrano in forma straordinaria «una certa misura di formazione liturgica e un accesso alla lingua latina; sia l'una che l'altra non si trovano certo di frequente». Come si vede, queste condizioni devono essere contemporaneamente presenti.

2. Circa i ministri che presiedono [non presiedono: celebrano. Presiedetevele voi, le vostre assemblee!] il rito preconciliare, si stabilisce che debbano avere una certa familiarità con il rito stesso [FALSO: non c'è scritto proprio da nessuna parte. Ovvio che il sacerdote deve comprendere quello che dice: ma per quello, messalini bilingue son più che sufficienti]. Potranno bastare i video on-line per sopperirvi? [YES!]

Inoltre, dovrebbero avere con quel rito una sintonia spirituale. Va osservato che l'attuale cammino formativo dischiude ai presbiteri un'esperienza ecclesiale e spirituale che non può facilmente essere tradotta nelle categorie del rito preconciliare [ed è per questo che ne han tanto bisogno: per disintossicarsi]. Infine – terza condizione posta ai presbiteri che usano dell'indulto [NON-E'-UN-INDULTO. Ma sa leggere questa gente? E se sì, riesce a comprendere quel che legge?] - non devono escludere di celebrare con i libri del Vaticano II: «Non sarebbe, infatti, coerente con il riconoscimento del valore e della santità del nuovo rito l'esclusione totale di esso».

3. Il motu proprio riprende la distinzione tra messa "senza popolo" e messa "con il popolo". Stando ai principi ispiratori del documento, non sembra di poter dedurre che un singolo presbitero possa scegliere di celebrare con i fedeli con i libri del Vaticano II e, quando celebra da solo, con il rito preconciliare [FALSO: l'art. 2 del motu proprio dice esattamente, precisamente, palesemente il contrario: "Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l'uno o l'altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario"]. Anche per la forma straordinaria vale il principio che forma tipica della celebrazione è quella con il popolo, visto che, per porla in atto, ci vuole un gruppo stabile di parrocchiani.

In chiusura, la lettera domanda soprattutto che «venga messo a tacere ogni forma di confronto tra i due riti». E da chi può venir fatto tacere? Impossibile. Si può però auspicare che scompaia presto l'astio che si legge nei siti tradizionalisti verso la riforma liturgica e le persone che vi hanno lavorato con scienza e prudenza e per teologi e pastori che se ne nutrono per la loro spiritualità e nell'azione pastorale [questo astio forse sparirà quando verrà meno l'inesorabile odio che voi liturgisti bugninisti riservate alla Tradizione della S. Chiesa ed ai tradizionalisti: e ne avete di strada da fare rispetto a noi, visto che non ci risulta che sia conculcato in alcun luogo il diritto dei fedeli ad avere la liturgia ordinaria, mentre gli ostacoli contro la liturgia straordinaria sono quotidiani].

Come concludere questa breve riflessione sulle condizioni richieste per celebrare con i libri liturgici precedenti il concilio? Rubo la conclusione al documento richiamato all'inizio: «Una forma rituale, anche se a precise condizioni viene dichiarata "non proibita", va considerata extra-ordinem, in quanto non viene necessariamente ritenuta per principio né consigliabile né raccomandabile [e allora che s'è fumato il Papa, se ci ha dato qualcosa di sconsigliabile e poco raccomandabile?] [...]. Dunque, la forma ordinaria del rito romano rimane la via principe della pastorale, della cura d'anime, della spiritualità e della formazione [con i bei frutti in tema di pratica religiosa, vocazioni, 'formazione' del popolo di Dio, che tutti conoscono e che nemmeno i modernisti osano più contraddire].

La presenza di una forma extraordinaria può essere compresa senza conflitto e in una logica di autentica riconciliazione soltanto nella misura in cui essa rimane strettamente limitata a condizioni oggettive e soggettive "non ordinarie": condizioni che - come dice lo stesso Benedetto XVI - "non si trovano tanto di frequente". Solo un accurato discernimento di queste condizioni potrà permettere al cammino liturgico delle comunità ecclesiali di trarre profitto pastorale e spirituale da questo passaggio disciplinare, recuperando l'uso della partecipazione attiva di tutto il popolo di Dio al mistero celebrato, e così purificando grazie a questo nuovo uso - le proprie celebrazioni da ogni possibile abuso».

Daniele Piazzi


Questo Daniele Piazzi è un 'presbitero' che, manco a dirlo, si picca di liturgia ed è responsabile dell'Ufficio Culto Divino della diocesi di Cremona: quella cioè dell'antivescovo Lanfranconi, che ha appena cacciato il coro dalla cattedrale perché preferisce le canzonette. Riparleremo di tutte queste questioni tra una quindicina d'anni, cari signori, quando gli anni Settanta saranno definitivamente superati anche nella Chiesa, come già (e da tempo) nella società.

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