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MONS. GHERARDINI STRONCA LA CRISTOLOGIA LIBERALE E LA TEOLOGICA DI MONS. BRUNO FORTE

Ultimo Aggiornamento: 24/02/2010 11:39
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22/02/2010 11:41

E Monsignor Forte continua a deliziarci....:


IL "METICCIATO" DELLE RADICI (EBRAICO) CRISTIANE

I meticci europei...

di Francesco Colafemmina

Di idee innovative sulla storia e la cultura europea ne avevamo sentite, pure, l'idea che oggi propone dalle colonne del quotidiano di Confindustria (il Sole 24 ore) Mons. Bruno Forte, ci sembra degna di una bella risata!
Partiamo dalla fine. Afferma Mons. Forte:
"Proprio così, ebraismo e cristianesimo, nel loro indiscutibile "meticciato" con la grande cultura greca e il pragmatismo latino, potranno offrire quel supplemento d'anima, di cui come mai l'Europa ha bisogno."

Meticciato? Tralasciando per un attimo la difficoltà naturale nel contemplare la "cultura ebraica" fra le matrici identitarie europee, ancor più complesso è cercare di identificare la nascita di questa identità nel "meticciato" fra ebraismo, cristianesimo, classicità greca e classicità romana. Un minestrone più che un meticciato. Un minestrone che emana anche un po' di nauseabondo olezzo...
Tornando però all'incipit dell'articolo di Mons. Forte, è interessante notare come riproponga concetti già da lui espressi nel 2007 a Sibiu. In particolare mi riferisco al rimando all'opera di Novalis "Cristianità o Europa", secondo il Forte una delle opere più profetiche sulla necessità di una costruzione spirituale dell'Europa. Un'opera però limitata dal sogno utopistico di un'Europa idealizzata.
Citazioni dotte a parte il concetto alla base di questo testo di Mons. Forte è una dichiarazione programmatica di fedeltà al relativismo.

Normalmente le radici cristiane dell'Europa vengono richiamate per identificare la fonte di una storia comune. Questa fonte significa che l'Europa si unisce su valori, storie, identità definite e comuni a buona parte del continente europeo. Per Mons. Forte invece il concetto è da ribaltare. Le radici non significano la necessità di ricordare il passato e la fonte da cui è scaturita l'Europa contemporanea. No.
Le radici significano l'esatto contrario, significano un bagaglio culturale antistorico e a-storico. Una riserva ideale, non a caso identificata con la parola cardine di ogni vacuità: la "spiritualità". Questa "spiritualità" o pneumatismo, contenuto nelle nostre radici, è in realtà una sorta di propellente verso il futuro, verso una nuova identità completamente diversa da quella del passato.

Dove non arriva dunque la logica, giunge la dialettica. Quella dialettica in grado di dimostrare che il bianco non è bianco, ma è verde. Anzi è verde per me, rosso per te, viola per quell'altro. E tutte queste definizioni sono contemporaneamente vere.

In altri termini quello di Mons. Forte è un vero e proprio manifesto relativista applicato all'identità culturale europea, non a caso sporcata col fango ideologico del "meticciato". Introdurre la parola "meticciato" in un contesto identitario e culturale vuol dire fare un pernacchio a tutti coloro che quell'identità la considerano "pura", autentica. Significa introdurre il germe del relativismo anche nella solida certezza della cultura che questa Europa ha fatto grande e che oggi è evidentemente in aperta decadenza da più di un secolo. Paradossalmente dunque, pur criticando Novalis, Mons. Forte sembra attaccarsi alla sua visione panteistico messianica nel formulare l'idea di "nuova spiritualità europea".

L'evidente approccio relativistico di Mons. Forte balza ancor più agli occhi se confrontato con questo splendido testo del Cardinal Ratzinger del 2004.

Ratzinger diceva allora:

C’è qui un odio di sé dell’Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l’Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L’Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova - certamente critica e umile - accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere. La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri. Essa sicuramente non può sussistere senza rispetto di ciò che è sacro. Di essa fa parte l’andare incontro con rispetto agli elementi sacri dell’altro, ma questo lo possiamo fare solamente se il sacro, Dio, non è estraneo a noi stessi. Certo, noi possiamo e dobbiamo imparare da ciò che è sacro per gli altri, ma proprio davanti agli altri e per gli altri è nostro dovere nutrire in noi stessi il rispetto davanti a ciò che è sacro e mostrare il volto di Dio che ci è apparso - del Dio che ha compassione dei poveri e dei deboli, delle vedove e degli orfani, dello straniero; del Dio che è talmente umano che egli stesso è diventato un uomo, un uomo sofferente, che soffrendo insieme a noi dà al dolore dignità e speranza. Se non facciamo questo, non solo rinneghiamo l’identità dell’Europa, bensì veniamo meno anche ad un servizio agli altri che essi hanno diritto di avere. Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi. Come andranno le cose in Europa in futuro non lo sappiamo. La Carta dei diritti fondamentali può essere un primo passo, un segno che l’Europa cerca nuovamente in maniera cosciente la sua anima. In questo bisogna dare ragione a Toynbee, che il destino di una società dipende sempre da minoranze creative. I cristiani credenti dovrebbero concepire se stessi come una tale minoranza creativa e contribuire a che l’Europa riacquisti nuovamente il meglio della sua eredità e sia così a servizio dell’intera umanità.

Una bella differenza dunque!

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