Benvenuto in Famiglia Cattolica
Famiglia Cattolica da MSN a FFZ
Gruppo dedicato ai Cattolici e a tutti quelli che vogliono conoscere la dottrina della Chiesa, Una, Santa, Cattolica e Apostolica Amiamo Gesu e lo vogliamo seguire con tutto il cuore........Siamo fedeli al Magistero della Chiesa e alla Tradizione Apostolica che è stata trasmessa ai santi una volta per sempre. Ti aspettiamo!!!

 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva

Persecuzione anticristiana. In Arabia? No: in Inghilterra!

Ultimo Aggiornamento: 26/02/2010 17:13
Autore
Vota | Stampa | Notifica email    
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
06/02/2010 08:14

Persecuzione anticristiana. In Arabia? No: in Inghilterra!

di Gianfranco Amato

Neppure il clima natalizio è riuscito ad arrestare l’ondata discriminatoria che sta colpendo i cristiani nel Regno Unito. Questa volta è toccata a Olive Jones, insegnante di matematica con esperienza ventennale. Da quattro anni la professoressa Jones ha scelto di dedicarsi all’insegnamento a domicilio di ragazzi gravemente ammalati o con particolari disturbi psichici. Per tale incarico ha ricevuto un contratto part-time di 12 ore settimanali dalla Oak Hill Short Stay School e dai Servizi Scolastici del Comune di North Somerset.

Durante una delle sue lezioni domiciliari la professoressa Jones, approfittando del fatto che la sua alunna si sentisse male, ha deciso di scambiare due chiacchiere con la madre della ragazza. In qullo che doveva essere un normale colloquio tra donne, la Jones ha commesso l’imprudenza di toccare un argomento oggi pericoloso in Gran Bretagna: la propria fede religiosa. Così, l’incauta insegnante ha raccontato alla madre dell’alunna un episodio accadutole quando da adolescente aiutava i genitori nella fattoria di famiglia vicino a Carmarthen nel Galles.

Mentre si trovava alla guida di un trattore e stava affrontando una salita particolarmente ripida, all’improvviso il mezzo agricolo cominciò a ribaltarsi e per un puro caso non fu all’origine di un incidente mortale. Da quel momento la Jones interpretò quel “caso” come un miracolo ed si avvicinò alla fede. Malgrado non avesse fatto trapelare alcun disappunto, la madre della ragazza decise di inoltrare un reclamo contro l’insegnante per quella sua personale esternazione. Neppure le autorità interessate dalla protesta della donna avvisarono la professoressa Jones, la quale, del tutto ignara della denuncia a suo carico, decise di proseguire tranquillamente nel proprio lavoro tornando successivamente a visitare l’alunna per le consuete lezioni.

L’insegnante questa volta, però, commette una seconda imprudenza chiedendo alla ragazza se desidera che preghi per le sue particolari condizioni di salute. A quella inaspettata domanda la stessa ragazza volge lo sguardo alla madre che seccamente replica: «Noi veniamo da una famiglia che non crede». Di fronte a tale reazione la Jones desiste immediatamente. Anzi, adducendo a pretesto che la ragazza non si sentisse particolarmente portata per la matematica, chiede alla madre se intenda cancellare le successive lezioni. La madre risponde di no, desiderando che la propria figlia continui a ricevere l’insegnamento domiciliare.

Nonostante le due donne si lascino in buoni rapporti, nel giro di poche ore la professoressa Jones viene convocata dalla preside della scuola che le contesta il fatto di aver manifestato, durante il servizio, la propria fede, qualificando quel fatto come un vero e proprio atto di «bullismo». Un gesto di pura ed inqualificabile prepotenza. Da qui, il licenziamento in tronco. La professoressa Jones, ovviamente, non la prende benissimo. Dichiara di sentirsi «devastata» dal provvedimento che considera «completely disproportionate» e un vero «marchio di infamia» inflitto alla sua persona.

«Se avessi commesso un atto criminale», confessa, «credo che la reazione sarebbe stata la stessa». La professoressa si scaglia contro l’interpretazione del concetto di libertà di opinione applicata nel suo caso. Sul punto la donna ha le idee molto chiare: «Sono davvero stupita che in un Paese con una forte tradizione cristiana come la Gran Bretagna sia diventato sempre più difficile parlare della propria fede». Ciò che la rende più furiosa non è tanto l’errata interpretazione delle nuove ambigue disposizioni normative in materia di uguaglianza, quanto il «politically-correct system» che impedisce, di fatto, «la possibilità di esternare in pubblico qualunque riferimento alla dimensione religiosa della propria coscienza, pur potendo tale circostanza essere potenzialmente utile anche agli altri».

«La sensazione che ho», continua la Jones, «è che se avessi parlato di qualunque altro argomento al mondo, non ci sarebbero stati problemi, ma il semplice fatto di aver toccato il tema del cristianesimo ha rappresentato la violazione di un tabù. Lo stesso cristianesimo viene ormai visto come una “no-go area”, un campo minato nel quale è più prudente non addentrarsi in pubblico».

La mia amica avvocatessa Andrea Williams, direttrice del Christian Legal Centre, che assiste la professoressa, ha espresso il suo commento: «Storie come quella di Olive Jones stanno, purtroppo, diventando sempre più diffuse in questo Paese e rappresentano il risultato di un’applicazione maldestra delle cosiddette politiche sull’uguaglianza, le quali si traducono, di fatto, in una vera e propria discriminazione a carico dei cristiani nel tentativo di eliminare la dimensione religiosa dalla sfera pubblica».

«Olive Jones», continua la direttrice del Christian Legal Centre, «ha avuto compassione per la sua allieva e si è ritrovata senza lavoro per aver espresso la speranza che nasce dalla sua fede. E’ tempo che si recuperi un approccio di “common sense” su queste delicate materie». Nick Yates, portavoce del Comune di North Somerset, si è limitato ad un freddo e laconico comunicato: «Olive Jones ha lavorato come insegnante per i Servizi Scolastici di North Somerset. Una denuncia è stata sporta da un genitore nei suoi confronti. Su tale denuncia è in corso un’attività istruttoria». Nel frattempo la professoressa Jones è stata licenziata senza preavviso. Episodi del genere fanno persino rimpiangere gli eccessi di un certo sindacalismo scolastico di casa nostra.

Da
Il Sussidiario.net
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
22/02/2010 11:52

Licenziata per una crocetta al collo

di Gianfranco Amato


E’ finito davanti alla Court of Appeal londinese un altro celebre caso di discriminazione nei confronti dei cristiani in Gran Bretagna. Nadia Eweida, una cinquantottenne impiegata delle British Airways, non si è arresa di fronte al verdetto del Tribunale del Lavoro che ha respinto il suo ricorso.

Questi i fatti. Nel settembre 2006 Nadia Eweida, addetta al servizio di check-in presso il terminal 5 dell’aeroporto di Heathrow, si vede intimare dalla direzione della compagnia aerea di non indossare, durante l’orario di lavoro, la collanina con la croce che portava al collo. Il rifiuto da parte della dipendente, motivato da sue profonde convinzioni religiose e dal fatto che i segni distintivi di altre fedi venivano invece permesse dalla compagnia, non viene preso molto bene.

Infatti, senza tanti complimenti, Nadia Eweida viene licenziata il 20 settembre 2006, con la motivazione che la sua croce d’argento, non più grande di una moneta da 5 pence, appare contraria alla «company’s uniform policy». Le 49 pagine di dettagliate istruzioni sull’uso delle uniformi e dei gioielli delineavano, infatti, una filosofia aziendale impostata sull’assoluta “neutralità” nei confronti delle convinzioni personali dei dipendenti.

Invoca, poi, l’art. 9 della Convenzione europea sui diritti del’uomo e le vigenti normative britanniche in materia di tutela delle pratiche e delle convinzioni religiose dei dipendenti, l’Employment Equality (Religion or Belief) Regulations 2003. Evidenzia, inoltre, la disparità di trattamento compiuta dalla British Airways nel «permettere l’utilizzo di simboli religiosi visibili per i credenti in altre fedi, come ad esempio il kara, braccialetto sacro dei Sikh, il kippah, copricapo degli ebrei, o la hijab, velo per le donne musulmane».

British Ariways, infatti, si è vista bene dal vietare simili forme esteriori di fede. Singolare la tesi difensiva della compagnia aerea. L’avvocatessa Ingrid Simler si rivolge alla Corte sostenendo che «l’esibizione della croce al collo non è richiesta come precetto dalla religione cristiana ed è quindi frutto di una scelta individuale e non obbligatoria rimessa al mero desiderio della Eweida».

Ma l’avvocatessa si spinge oltre – fino al limite dell’irriverente –, quando dichiara che «il simbolo utilizzato dalla Eweida deve intendersi come espressione di una semplice convinzione allo stesso modo dei simboli utilizzati da altre persone per manifestare contro il nucleare o in favore dei diritti degli omosessuali».

All’udienza sono presenti diversi sostenitori di Nadia Eweida e qualche parlamentare. C’è pure l’ex Ministro degli Interni John Reid, il quale, prendendo la parola fuori dall’austero palazzo di stile gotico-vittoriano che ospita la Court of Appeal, dichiara: «Questo caso rappresenta un chiaro indicatore del fatto che i cristiani non godono delle stesse protezioni previste dalla legge per i fedeli di altre religioni a cui viene garantita, nel posto di lavoro, la massima disponibilità per quanto riguarda l’abbigliamento e l’esibizione di simboli religiosi».

Anche Nadia Eweida, subito dopo l’udienza, rende una dichiarazione: «Io ho combattuto questa battaglia legale fino alla Corte d’Appello per difendere il diritto dei cristiani a portare indosso una croce. E’ triste constatare come British Airways non si renda conto e non riesca a percepire che proprio la croce è il simbolo per eccellenza della fede cristiana».

Lo scorso venerdì 12 febbraio, la Corte d’Appello londinese, con una sentenza più che prevedibile, ha respinto il ricorso di Eweida. Patetica l’uscita di Lord Justice Sedley, uno dei giudici d’appello, che dopo aver ribadito l’inopportunità di esibire simboli religiosi nei luoghi di lavoro, ha dichiarato che, tutto sommato, «non è impensabile che in alcuni casi un divieto generale rappresenti l’unica soluzione».

Peccato che l’ultima sentenza dell’Alta Corte in materia abbia ribadito il fatto che la proibizione ad una ragazza sikh di portare a scuola il “kara”, braccialetto sacro, integri un vero e proprio atto di discriminazione religiosa.

Qual è la differenza tra una croce ed un kara? Semplice. La reazione dei discriminati. Non è facile gestire politicamente le veementi proteste della comunità sikh o di quella islamica, mentre i cristiani hanno da sempre dimostrato di essere assai più “tolleranti” rispetto alle ingiustizie patite. Fa parte, del resto, del loro stesso DNA. La morale di questa storia dovrebbe farci riflettere.

Mentre da noi in Italia si discute se esporre o meno il crocifisso nei luoghi pubblici, in Gran Bretagna la magistratura ha già deciso che ad un cristiano si può impedire di portare al collo il simbolo della propria fede sul luogo di lavoro. Se consentiamo che la tolgano dai muri, arriveranno a levarcela anche di dosso.


Fonte:
Il Sussidiario
OFFLINE
Post: 31.493
Registrato il: 02/05/2009
Registrato il: 02/05/2009
Sesso: Maschile
26/02/2010 17:13



IL CASO/ Hercule Poirot svela il mistero anticristiano in Gran Bretagna

Gianfranco Amato

Giovedì 25 febbraio 2010

David Suchet, il celebre attore che in televisione ha impersonato l’investigatore Poirot, è un altro dei tanti personaggi pubblici che hanno avuto il coraggio di denunciare il rischio di emarginazione che oggi corrono i cristiani in Gran Bretagna.

In un’intervista al settimanale Woman’s Weekly David Suchet ha dichiarato senza mezzi termini: «Corriamo seriamente il pericolo di non percepire più l’importanza della fede cristiana nel nostro Paese». Ed ha aggiunto un’amara considerazione: «La gente è più preoccupata di non offendere le altre fedi», precisando però subito - onde incorrere nelle ire dei sacerdoti del politically correct - che, comunque «si dovrebbero guardare con rispetto tutte le religioni, senza discriminarne o marginalizzarne nessuna».     
       

A proposito della propria fede, David Suchet ha offerto, in un’altra intervista, una testimonianza personale, ricordando di aver incontrato, vent’anni fa, l’esperienza cristiana attraverso la lettura, in una bibbia acquistata per curiosità, di un’epistola di San Paolo in cui veniva spiegato cosa significasse davvero essere cristiani. Fu quella lettura ad «aprire una breccia» nel cuore di Suchet e a dare un’esauriente e ragionevole risposta a quello che da tempo stava cercando: «una dimensione trascendente, quasi mistica, ma capace di incarnare, al tempo stesso, qualcosa di umanamente accessibile, con cui poter entrare in relazione». Un trascendente sperimentabile nella banale concretezza del quotidiano.

Troppo facile la battuta per cui anche quella volta le famose “celluline grigie” del grande Hercule Poirot hanno scoperto la Verità.

L’attore collabora da tempo con un’organizzazione non-profit che si è vista rifiutare finanziamenti governativi perché ha la malaugurata sventura di essere una Christian charity. In precedenza, peraltro, la stessa associazione aveva puntualmente ricevuto sussidi pubblici per anni. Il fatto è che da qualche tempo qualcosa è cambiato nel Regno Unito.

Quella dell’uomo ormai identificato con il noto personaggio di Agatha Christie, non è la sola denuncia del rischio di emarginazione dei cristiani. Il conduttore della rete britannica Radio 2, Jeremy Vine, ha segnalato la crescente ostilità nei loro confronti, soprattutto da parte dei media, dichiarando alla rivista Reform Magazine che «è ormai diventato quasi socialmente inaccettabile affermare pubblicamente di credere in Dio». Così come la cattolica Cherie Blair, moglie dell’ex Premier britannico, ha affermato che «i cristiani sono spesso marginalizzati e che la fede rappresenta un argomento su cui sempre meno persone amano discutere apertamente».

Pure la musulmana baronessa Warsi ha denunciato «una sempre più crescente intolleranza ed un atteggiamento illiberale nei confronti di chi professa la propria fede in Dio». In un discorso tenuto all’ultima Conservative Party Conference Lady Warsi ha accusato coloro «che manipolano il concetto di “eguaglianza”, pretendendo, di fatto, uno svuotamento della fede».

L’Arcivescovo di York si è spinto oltre parlando di una vera e propria «intolleranza» nei confronti dei gruppi cristiani, quando si tratta di finanziare loro iniziative di carattere sociale. L’anno scorso l’alto prelato si è lasciato andare all’affermazione secondo cui le comunità cristiane sembrano essere considerate «inadeguate e non meritevoli» di ricevere fondi pubblici.

A volte i numeri e le statistiche, però, dicono più di molte parole. L’ultimo sondaggio condotto da ComRes, uno dei più accreditati ed autorevoli istituti demoscopici britannici, ha mostrato, infatti, che più di quattro cristiani su cinque (84 per cento) ritengono che la libertà religiosa sia fortemente a rischio nel Regno Unito. Quel timore, quindi, non può essere liquidato come l’esasperata preoccupazione di qualche suscettibile bigotto.

Ciò che sta accadendo ai cristiani nel Regno Unito, in realtà, getta una luce inquietante sulla sfida lanciata dallo stesso Gesù Cristo, quando si chiese se il Figlio dell’Uomo, alla sua prossima venuta, inveniet fidem in terra. Forse quell’enigmatica domanda, in fondo, non era davvero retorica.

www.ilsussidiario.net

Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
 | 
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Bacheca | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:04. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com